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Anno X N° 417 19/5/10 |
Serve
un nuovo sistema multipolare che coinvolga anche i Paesi poveri di Robert
B. Zoellick*
Avvenire - 24 aprile 2010
Addio
al sistema gerarchico. Il ruolo della Banca Mondiale
Se
il 1989 ha visto la fine del 'secondo mondo' con il crollo del comunismo, il
2009 ha visto la conclusione di ciò che veniva identificato come 'terzo mondo':
l'economia mondiale è ora multipolare e in continua, repentina, evoluzione -
Nord e Sud, Est e Ovest del mondo sono riferimenti di direzione su di una
bussola, non più indicatori di un destino economico. La povertà resta e
bisogna porvi rimedio, così come occorre risolvere il problema dei Paesi al
collasso economico ed istituzionale. Le sfide globali si stanno intensificando e
bisogna essere pronti ad affrontarle.
Ma
è il modo in cui dobbiamo affrontare queste questioni che va cambiando. Il
lessico che rimanda a parole come Primo e Terzo mondo, donatore e beneficiato,
vincente e perdente, è ormai desueto. Oggi, è già possibile osservare le
difficoltà incontrate dal multilateralismo. Il Doha Round dell'Organizzazione
mondiale del commercio e il vertice di Copenaghen sui cambiamenti climatici
rivelano quanto sia difficile promuovere un'equa distribuzione di benefici e
responsabilità fra Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo. Lo stesso dicasi
per quanto attiene a molte altre sfide incombenti: gestione delle risorse
idriche; malattie; flussi migratori; questioni demografiche; e Paesi in
situazione di conflitto o da poco emersi dalle stesse. Non è più possibile
risolvere le grandi questioni internazionali senza l'intervento dei Paesi in via
di sviluppo. Ma riferendoci al G-20 come nuovo soggetto di cooperazione, non
possiamo imporre una gerarchia nuova ed inflessibile. Né possiamo occuparci di
questo mondo in continua evoluzione avendo come riferimento il vecchio G-7: gli
interessi dei Paesi avanzati, pur con le migliori intenzioni, non possono
rappresentare la prospettiva delle economie emergenti. Non possiamo restare
fermi alla geopolitica di un tempo. Si avverte forte l'esigenza di una 'nuova
geopolitica economica multipolare' dove le responsabilità vengano condivise nel
riconoscimento delle differenti prospettive e circostanze, al fine di realizzare
interessi comuni.
Prendiamo
ad esempio la riforma finanziaria: e' evidente la necessità di rivedere e
migliorare la regolamentazione finanziaria. Ma attenzione alle conseguenze non
volute quali il protezionismo finanziario. La regolamentazione decisa a
Bruxelles, Londra, Parigi o Washington, confezionata su misura per i grandi
istituti bancari, potrebbe non essere in linea con le esigenze di mercato dei
Paesi in via di sviluppo, indi limitarne le opportunità di crescita economica.
Wall Street ha mostrato chiaramente i rischi connessi ad una finanza
spericolata: bisogna essere cauti e prendere seri provvedimenti. Nel contempo,
una innovazione finanziaria, prudente e sottoposta a controlli, si traduce in
maggiore efficienza e protezione dai rischi, anche in materia di cooperazione.
Una risposta populista a livello di paesi G7 può significare la perdita di
opportunità per miliardi di individui.
Prendiamo
la risposta alla crisi: in un mondo in transizione, il pericolo è che i Paesi
avanzati si concentrino in vertici sui sistemi finanziari, o sulle difficoltà
di reazione dei Paesi sviluppati come e' avvenuto ad esempio per la Grecia. I
Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di vertici sulla povertà. Essere in
grado di ascoltare le esigenze dei Paesi in via di sviluppo non è più solo una
questione di carità o solidarietà: È nostro interesse. Questo nuovo mondo ha
bisogno di istituzioni multilaterali agili, flessibili e responsabili, che diano
voce a chi non ce l'ha, con risorse già disponibili. Il Gruppo Banca Mondiale
deve cambiare per riuscire a svolgere questo ruolo. E deve farlo senza soluzione
di continuità e sollecitamente. Ecco perché abbiamo lanciato la riforma più
ampia mai realizzata nella storia dell'istituzione, includendo la rappresentanza
e il diritto di voto dei Paesi in via di sviluppo. Tuttavia i problemi hanno
bisogno di risorse economiche per essere affrontati. La Banca Mondiale necessita
di più risorse per sostenere questo nuovo modello di sviluppo e per rendere
efficiente la modernizzata cooperazione multilaterale in questa nuova economia
globale multipolare. Se la ripresa non decolla, dovremo farci da parte. E'
questa la ragione per cui la Banca Mondiale chiede ora il primo aumento di
capitale dopo oltre 20 anni. Il multilateralismo moderno non sarà un sistema
gerarchico ma sarà più simile alla rete Internet, collegando un numero sempre
crescente di Paesi, aziende, individui ed Ong, attraverso una rete flessibile.
Le istituzioni multilaterali, legittimate ad operare ed efficaci, quale il
Gruppo Banca Mondiale, possono essere la trama di questo tessuto connettivo che
raccorda la struttura di base di questo sistema dinamico e multipolare.
Dobbiamo
sostenere l'aumento di poli multipli di sviluppo, a beneficio di tutti.
*Presidente
della Banca Mondiale
Africa
e Stati Uniti verso maggiore cooperazione
Misna
- 23 aprile 2010
Si
è concluso con l'impegno a rafforzare la cooperazione e a 'istituzionalizzare'
con cadenza annuale vertici di alto livello i primi colloqui diretti tra Unione
Africana (UA) e Stati Uniti. In comunicato congiunto che dà conto di
discussioni tenute tra Mercoledì e ieri, UA e Stati Uniti affrontato un'ampia
varietà di argomenti inclusa la promozione di istituzioni democratiche, la
creazione di opportunità per i popoli africani, il miglioramento delle
condizioni di vita nel continente, il surriscaldamento del pianeta e le
conseguenze dei cambiamenti climatici. Guidata dal presidente della Commissione
UA, Jean Ping, la delegazione africana ha incontrato diversi esponenti
dell'amministrazione americana cui ha riconosciuto un diverso approccio in
politica estera rispetto agli anni scorsi e una più convinta volontà di
contribuire allo sviluppo dell'Africa. Da parte loro, gli Stati Uniti hanno
sottolineato il ruolo decisivo dell'Unione Africana nella promozione della
democrazia e del buon governo, facendo anche riferimento alle prese di posizione
dell'organismo continentale nei confronti di alcuni paesi (Mauritania, Guinea,
Niger e Madagascar) dove si è di recente assistito a colpi di stato o
cambiamenti di governo al di fuori delle regole costituzionali. "E' ovvio -
ha detto Ping - che Africa e Stati Uniti hanno avuto una lunga storia di
cooperazione e sono tuttora legate da vincoli economici, sociali e culturali;
tuttavia, questa cooperazione è stata soprattutto bilaterale. Adesso, in un
mondo chiaramente diverso... cin sono molte questioni che non possono essere
confinate o risolte tra singoli paesi... ecco perché l'Africa ha il dovere e la
responsabilità di affrontare unita nuove sfide che vanno dalla povertà al
sottosviluppo, allo sviluppo delle infrastrutture e alla gestione dei
conflitti".[GB]
Contro
la mercificazione dell'acqua, un appello da Cochabamba
Misna
- 23 aprile 2010
"Il
cambiamento climatico è il risultato di un modello produttivo estrattivo,
depredatore e inquinante, che viene esaustivamente riassunto nello sfruttamento
su larga scala di miniere, petrolio, carbone, gas e nella costruzione delle
dighe, orientato a sostenere il consumo energetico dissipatore che include anche
l'industria militare". Comincia con queste parole la dichiarazione del
terzo Festival internazionale dell'acqua, riunito lo scorso fine settimana a
Cochabamba, in Bolivia, alla vigilia della "Conferenza mondiale dei popoli
sui cambiamenti climatici e i diritti della Madre terra". Un tentativo di
mettere il problema del clima nella prospettiva dell'uso delle risorse naturali
e biasimare l'attuale modello di sviluppo: "Queste attività - si legge
nella dichiarazione - si appropriano delle acque superficiali e sotterranee e
distruggono gli ecosistemi generatori d'acqua; consumano acqua dolce in larga
quantità, e la reimmettono nell'ambiente contaminata, compromettendo così il
ciclo idrologico naturale". I partecipanti alla conferenza di Cochabamba
affermano inoltre che le soluzioni nella logica del mercato non funzionano:
agrocombustibili, riforestazione per compensare gli effetti delle emissioni
inquinanti, dighe per l'energia idroelettrica, tutte cose incluse nei cosiddetti
"meccanismi di sviluppo pulito" (Cdm), non risolvono e anzi aggravano
il problema climatico e ambientale. "Ma soprattutto sono mezzi di
ricolonizzazione territoriale che tolgono alle comunità locali il diritto di
uso e gestione dell'acqua, della biodiversità e del territorio",
aggiungono i partecipanti al Festival dell'acqua di Cochabamba affermando che
"la giustizia climatica non è possibile senza una giustizia
dell'acqua". [MV][CO]
In
calo gli aiuti europei al Sud del mondo, serve più impegno
Misna - 21 aprile 2010
"I
paesi poveri sono i grandi perdenti della crisi; i donatori hanno tagliato
l'assistenza mentre l'aumento dei pezzi di alimenti e combustibili li ha fatti
ulteriormente regredire": è il quadro illustrato dal commissario europeo
allo Sviluppo, Andris Piebalgs, durante una conferenza stampa a Bruxelles sul
tema degli Obiettivi di sviluppo del millennio dell'Onu. "Lontano
dall'essere raggiunti, devono restare in cima all'agenda dell'Europa" ha
insistito Piebalgs in riferimento agli Obiettivi, chiedendo a tutti gli stati
membri di mantenere l'impegno assunto dello 0,7% del Prodotto interno lordo
(Pil) destinato alla cooperazione allo sviluppo entro il 2015. Nonostante
l'Unione europea (UE) sia a oggi il maggior donatore con 49 miliardi di euro nel
2009 e 55 miliardi previsti nel 2010 (ovvero lo 0,42% del Pil a fronte di una
previsione dello 0,56%), per arrivare allo 0,7% entro il 2015 mancano altri nove
miliardi di euro l'anno. "Non si tratta di grandi somme - ha detto Piebalgs
-. È una questione di volontà politica. Ne va della credibilità degli stati e
dell'UE". Il commissario dell'Unione Europea ha anche ribadito la necessità
di rafforzare la lotta all'evasione fiscale a livello internazionale. "Il
flusso di denaro che esce illegalmente da queste nazioni - ha detto Piebalgs in
riferimento ai paesi del Sud del mondo - è sette volte superiore agli aiuti che
ricevono e spesso questo succede perché le imprese straniere che lavorano lì
evadono le tasse".[VV]
L'Onu
chiede ai Paesi del Golfo rispetto per i diritti di donne e immigrati
AsiaNews - Jeddah - 20 aprile 2010
Secondo
la responsabile della Commissione per i diritti umani è ora di cambiare le
legislazioni che discriminano le donne, impedendo loro di compiere scelte
riguardo alla vita loro e del Paese, e che sottopongono gli immigrati
all'arbitrio dei datori di lavoro.
I
Paesi del Golfo dovrebbero cambiare la loro legislazione in materia di diritti
delle donne e dei lavoratori immigrati: le prime in quanto soggette a numerose
forme di discriminazione, i secondi poiché lo "sponsorship system"
attualmente vigente li espone a potenziali abusi da parte dei datori di lavoro.
La richiesta è stata fatta in Arabia Saudita da Navi Pillay, responsabile della
Commissione dell'Onu per i diritti umani.
La
Pillay, in una conferenza tenuta ieri alla King Abdullah University for Science
and Technology di Jeddah ha così preso di mira due dei temi più controversi
della vita sociale della regione. Ed è significativo che le sue richieste,
specialmente quella riguardante i diritti delle donne, abbiano avuto eco
scarsissima sui media locali.
Per
le donne, legate a una tradizione che in pratica le qualifica incapaci di
qualsiasi attività giuridicamente rilevante, la Pillay ha affermato che
"debbono essere rimosse" le "barriere discriminatorie che
continuano a impedire alle donne il diritto di compiere le scelte che riguardano
la propria vita e di partecipare pienamente alla vita pubblica, intervenendo
alle discussioni che influenzano le scelte della nazione". Ci sono Paesi
musulmani, ha sottolineato, che hanno ampliato i diritti delle donne con una
"interpretazione dinamica della tradizione islamica". Governanti ed
esperti hanno concordato che "tale legislazione è compatibile con la
giurisprudenza islamica". "Ed è anche tempo di mettere a riposo
l'idea della tutela maschile", che prevede la presenza, fisica e giuridica,
di un uomo - padre, fratello o marito - accanto alla donna per una gran numero
di atti. Compreso quello di uscire di casa.
Quanto
al "kafala", lo "sponsorship system", esso in pratica
prevede che il permesso di soggiorno degli immigrati è legato al contratto di
lavoro. "Rapporti sulla regione - ha osservato la responsabile della
commissione Onu - indicano costantemente crescenti pratiche di confische
illegali di passaporti, trattenute di stipendio e sfruttamento da parte di
agenzie di collocamento senza scrupoli e datori di lavoro". "Alcuni
sono stati tenuti a lungo in prigione dopo essere fuggiti dagli sfruttatori e
non possono accedere al sistema giudiziario per ottenere rimedio alla loro
situazione". I ricchi Stati della regione, in effetti, vedono la presenza
di milioni di immigrati, soprattutto asiatici, occupati soprattutto nei lavori
domestici e nell'edilizia e il sistema del "kafala" finisce col
permettere ai datori di lavoro forme di sfruttamento, che vanno dal non
pagamento, in tutto o in parte, dello stipendio al far pagare alle cameriere
l'alloggio in casa, e non sono rarissimi i casi di violenze.
La
questione da qualche tempo è oggetto di dibattiti anche in sede politica e ci
sono vari tentativi di regolamentare diversamente la questione, riconoscendo ai
lavoratori immigrati alcuni diritti.
Meno
armi, più aiuti allo sviluppo
Misna
- 19 aprile 2010
"Il
mondo è eccessivamente militarizzato mentre lo sviluppo è sotto-finanziato:
queste priorità dovrebbero essere invertite": a sottolinearlo oggi è
stato Ban Ki-moon, Segretario generale dell'Onu, durante un lungo dibattito
sulla questione del disarmo globale di fronte all'Assemblea generale delle
Nazioni unite. "Accelerando il disarmo possiamo liberare le risorse di cui
abbiamo bisogno per combattere i cambiamenti climatici, l'insicurezza alimentare
e raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio" ha detto Ban Ki-moon
ai rappresentanti dei governi mondiali, ricordando che annualmente si spende un
trilione di dollari (un miliardo di miliardi) per gli armamenti. Intervenendo al
dibattito sul disarmo e la sicurezza mondiale, il segretario generale ha
raccomandato di ridurre sia le cosiddette armi di distruzione di massa che
quelle di piccolo calibro che, ha detto, "nelle mani sbagliate, distruggono
vite, impediscono gli sforzi per la pace, ostacolano l'aiuto internazionale,
facilitano i traffici illeciti e impediscono investimenti e sviluppo". Ai
paesi produttori di armi il presidente dell'Assemblea Ali Treki ha chiesto una
seria valutazione della fabbricazione, dell'utilizzo e del commercio di armi, da
quelle nucleari a quelle più leggeri.[CC]
Paesi
del Golfo, migliorano condizioni sociali ma non per tutti
Misna
- 20 aprile 2010
Progressi
economici e sociali, maggiore spazio ai diritti di minori e donne, lotta più
concreta al traffico di esseri umani. In un discorso rivolto ai sei paesi membri
del Consiglio di cooperazione del Golfo e pronunciato a Jeddah (Arabia Saudita),
l'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani, Navanethem Pillay, ha preso
atto degli sforzi fatti nella regione per arrivare a società più eque e
libere. Sottolineando alcuni significativi cambiamenti all'interno del sistema
legislativo e giudiziario, la signora Pillay ha in particolare sottolineato i
progressi compiuti per superare le disparità di genere. "Tuttavia - ha
aggiunto - barriere discriminatorie continuano ad esistere e a mettere a rischio
il diritto delle donne a vivere la propria vita, a fare le proprie scelte in
autonomia e a poter pienamente prendere parte alla vita pubblica". Un altro
tema toccato dall'esponente dell'Onu è stato quello dei diritti dei migranti.
Sottolineando l'esistenza di numerosi casi di passaporti confiscati
illegalmente, di trattenute salariali ingiustificate e di sfruttamento vero e
proprio da parte di datori di lavoro e agenzie di impiego, la Pillay si è detta
particolarmente preoccupata della situazione dei lavoratori domestici stranieri
che non hanno spesso accesso al sistema giudiziario locale, obbligati a restare
con lo stesso datore di lavoro e impossibilitati a lasciare il paese ospite. Nel
corso di un viaggio di 10 giorni la Pillay visiterà anche Qatar, Kuwait,
Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Oman, gli altri cinque paesi che insieme
all'Arabia Saudita fanno parte del Consiglio di cooperazione del Golfo. [GB]
Per
due settimane al Palazzo di Vetro, forum sui popoli indigeni
Misna - 20 aprile 2010
Promuovere
lo sviluppo attraverso il rispetto delle culture e delle tradizioni dei popoli
indigeni: è l'appello fatto dal Segretario generale delle Nazioni Unite Ban
Ki-moon agli stati membri dell'organizzazione internazionale in occasione
dell'apertura del Forum annuale sulle questioni indigene al Palazzo di Vetro a
New York. Cominciato ieri, l'incontro riunisce più di 2000 rappresentanti di
comunità provenienti da ogni parte del globo, che nelle prossime due settimane
discuteranno insieme ai delegati degli stati mebri e delle organizzazioni non
governative l'applicazione della Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni,
approvata a Settembre 2007, in cui vengono riconosciuti i diritti dei popoli
autoctoni alla proprietà della loro terra e sancito il diritto all'identità,
la lingua, la formazione e il mantenimento delle proprie tradizioni. Tra i temi
all'ordine del giorno ci sono inoltre le condizioni di vita dei popoli autoctoni
del Nord America e il rapporto tra popolazioni indigene e ambiente, al fine di
valutare una soluzione alla questione dei cambiamenti climatici. Nel corso della
seduta d'apertura del forum, accompagnata da canti e balli propiziatori tipici
del popolo maori, il governo della Nuova Zelanda - che, insieme a Stati Uniti,
Canada e Australia, si era sempre opposto alla sottoscrizione del documento sui
diritti dei popoli indigeni - ha firmato la Dichiarazione in favore dei diritti
degli aborigeni. [MV][CO]
Dai
bambini soldato ai migranti, drammi africani che ci riguardano tutti
Misna
- 20 aprile 2010
"Il
grido di questi bambini soldato è anche quello di tutti i bambini in fuga da
situazioni difficili, magari cercando rifugio a casa nostra. Noi dobbiamo
saperli accogliere, non a colpi di respingimenti e 'pacchetti sicurezza' ma con
rispetto e umanità": lo ha detto padre Alex Zanotelli, ospite oggi a Roma
alla presentazione di due volumi pubblicati dalla Edizioni Paoline, sul tema dei
bambini soldato in Africa. Una problematica ancora molto attuale anche se poco
rilanciata dai grandi media italiani, ha sottolineato il missionario comboniano,
denunciando la "società di sordi e ciechi" che rischia di prevalere
nel nostro paese. 'Uccidi o sarai ucciso', del sacerdote statunitense con
esperienza missionaria in Uganda Donald Dunson, raccoglie testimonianze di
minorenni arruolati dall'Esercito di resistenza del signore (Lra), la ribellione
fondata nel 1986 da Joseph Kony che, dopo oltre un ventennio di violenze e
sequestri commessi nei distretti della comunità Acholi del Nord Uganda,
continua a terrorizzare popolazioni nel nord della Repubblica Democratica del
Congo, nel sud del Centrafrica e nel Sud Sudan. "Vittime, società civili,
reti missionarie, tutti si chiedono il 'perché' di un conflitto persistente per
così tanti anni, che solidi eserciti non sono tuttora in grado di fermare"
ha detto il giornalista Giampiero Forcesi, conoscitore dell'area e in
particolare della regione nordorientale congolese del Kivu. Individuare le
"responsabilità" è compito arduo, hanno ammesso gli stessi relatori,
ma si possono delineare piste ben chiare. A partire dalle responsabilità delle
ex potenze coloniali (Inghilterra in Uganda, Belgio in Rwanda) nel privilegiare
alcune etnie a discapito di altre, fomentando conflittualità tra gruppi che
coesistevano senza problemi, ma soprattutto interessi economici per
multinazionali, grandi potenze e gli stessi governi locali. In 'Corri, Lidja,
Corri', il secondo libro presentato dalla casa editrice delle Paoline, l'autore,
il congolese Paul Bakolo Ngoi, si rivolge a lettori in tenera età, raccontando
il dramma dei bambini soldato attraverso gli occhi una bambina sequestrata.
"Sotto i nostri occhi si consumano tragedie che non dobbiamo lasciar
passare: quello che viene fatto ai bambini soldato è il massimo della
disumanizzazione. Nell'era della globalizzazione, non lasciamo questi problemi
soltanto all'Africa, sono problemi di tutti noi. E per cominciare a risolverli,
dobbiamo aiutare l'Africa a rimettersi in piedi" ha concluso padre
Zanotelli. [CC]
Giornata
mondiale contro la malaria, progressi ma molto resta da fare
Misna
- 23 aprile 2010
La
distribuzione di zanzariere e le campagne di sensibilizzazione messe in atto dai
volontari hanno ridotto in modo significativo la diffusione della malaria: lo
rende noto un rapporto della Federazione Internazionale della Croce Rossa e
Mezzaluna Rossa (Ficr) pubblicato alla vigilia, il 25 Aprile, della Giornata
Mondiale contro la malaria. "Dati provenienti da paesi come Burkina Faso,
Togo e Kenya dimostrano che le comunità impegnate nelle campagne di
informazione possono fare una differenza significativa nel proteggere le persone
più a rischio come i bambini sotto i cinque anni e le donne incinte"
sottolinea Jason Peat, capo del programma globale sulla malaria della Ficr
secondo cui dal 2002 ad oggi, la distribuzione delle zanzariere ha protetto
oltre 18 milioni di persone evitando più di 300.000 morti. Ciononostante le
vittime della malaria sono ancora più di 850.000 ogni anno. Un bilancio
"inaccettabile" per il direttore generale del Fondo delle Nazioni
Unite per l'infanzia (Unicef), Ann M. Veneman secondo cui "di questi, quasi
il 90% vive in Africa sub-sahariana e la maggior parte sono bambini al di sotto
dei cinque anni". A minacciare un aumento dei casi di malaria nei paesi in
prima linea nella lotta contro la sua diffusione, secondo l'epidemiologo
senegalese Cheikh Fall, ricercatore all'Istituto di sanità e sviluppo di Dakar
(Ised) sono inoltre i cambiamenti climatici, "che hanno un impatto negativo
sull'organismo umano e favoriscono l'aumento delle temperature e la
proliferazione di agenti di rischio". La lotta al paludismo, quindi,
dev'essere coordinata a livello politico, sanitario e scientifico, ha
sottolineato lo specialista, poiché il fenomeno "costituisce un fardello
economico, e un ostacolo allo sviluppo delle comunità locali". Secondo
l'ultimo rapporto sulla malaria dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms)
progressi significativi, grazie a politiche di prevenzione mirate e maggiori
investimenti sulla sanità pubblica si sono registrati in una decina di paesi
subsahariani (Botswana, Capo Verde, Eritrea, Namibia, Rwanda, São Tomé e Príncipe,
Sudafrica, Swaziland, Tanzania e Zambia) che hanno visto diminuire di circa la
metà il numero di pazienti infettati e i decessi legati alla malattia.[AdL]
Da
Misna del 20 aprile….
A
poco meno di un anno dalla scadenza di un programma decennale contro la
diffusione della malaria, uno studio del Fondo delle Nazioni Unite per
l'infanzia (Unicef) ha fatto il punto sulla situazione sottolineando i progressi
fatti, ma ribadendo che la sfida resta ancora da vincere. "Grazie a una
forte cooperazione internazionale - ha detto la direttrice esecutiva
dell'Unicef, Ann Veneman - è stato possibile compiere importanti progressi, ma
tanto resta ancora da fare soprattutto in favore di bambini e donne incinte che
continuano a morire in Africa a causa di una malattia prevenibile e
curabile". Sul fronte della prevenzione, secondo i dati contenuti nel
documento, su 350 milioni di zanzariere necessarie a livello globale, 200
milioni circa sono state rese disponibili tra il 2007 e il 2009 in Africa dove
si conta il 90% dei casi di malaria. Il rapporto rende merito anche alle
politiche adottate da diversi paesi africani che nello stesso periodo hanno
destinato maggiori fondi alla spesa sanitaria, sottolineando però la
persistente carenza di mezzi per un'azione ancor più incisiva. Secondo l'ultimo
rapporto sulla malaria dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms)
significativi sono i dati provenienti da una decina di paesi (Botswana, Capo
Verde, Eritrea, Namibia, Rwanda, São Tomé e Príncipe, Sudafrica, Swaziland,
Tanzania e Zambia) che hanno visto diminuire di circa la metà il numero di
pazienti infettati e i decessi legati alla malattia.[GB]
Un
comitato congiunto per la sicurezza e l'integrazione del Sahel
Misna - 21 aprile 2010
Integrazione
regionale e contrasto a ingerenze esterne, soprattutto da un punto di vista
politico, sono le prospettive dalle quali guadare l'inizio dei lavori oggi nella
città algerina di Tamanrasset di un comitato congiunto degli stati maggiori di
quattro importanti paesi della regione del Sahel. In una nota diffusa ad Algeri
dal ministero della Difesa si sottolinea che attraverso il nuovo organismo
Algeria, Mauritania, Mali e Niger si impegnano a operare "nel rispetto di
una strategia comune" in materia di "sicurezza" e "lotta al
terrorismo". La creazione del comitato segue due diverse riunioni alle
quali tra Marzo e Aprile hanno partecipato i ministri degli Esteri e i capi di
stato maggiore dei paesi dell'area, oltre ad Algeria, Mauritania, Mali e Niger
anche Libia, Burkina Faso e Ciad. Durante questi incontri era emersa la volontà
di rafforzare l'integrazione politica ed economica del Sahel, contrastando allo
stesso tempo il tentativo di alcuni paesi europei e degli Stati Uniti di
esercitare pressioni sulla base di una presunta crescente minaccia di carattere
terroristico. I ministri degli Esteri del Sahel avevano anche ribadito la
"ferma condanna del terrorismo" e la "determinazione a sradicare
questo fenomeno per ridare alla regione la sua vocazione di scambi, pace,
stabilità e cooperazione". [VG]
Una
"strategia verde" per far crescere le economie del continente
Misna
- 22 aprile 2010
Promuovere
la crescita economica nei paesi dell'Africa attraverso una strategia di sviluppo
incentrata sulla sostenibilità ambientale: è l'obiettivo di un piano d'azione
intitolato "Strategia per la crescita verde dell'Africa" che la Banca
di sviluppo africana (Adb) sta elaborando in vista del prossimo consesso annuale
dell'istituto. In base a un comunicato dell'Adb, il piano è incentrato su
cinque progetti pilota volti a favorire il trasferimento di tecnologie sulle
energie rinnovabili e assicurare un quadro istituzionale e politico capace di
garantire la sostenibilità delle misure per trasformare le economie dei paesi
dell'Africa in sistemi produttivi ecocompatibili. La "crescita verde"
è un nuovo paradigma economico dello sviluppo sostenibile, in cui vengono
sottolineati i benefici di attività produttive legate a un uso sostenibile
delle risorse naturali, nonché la necessità di una combinazione di politiche
ambientali e sociali, perseguendo anche l'obiettivo di un miglioramento della
qualità della vita per tutti attraverso la creazione di lavoro e la riduzione
della povertà. [MV][CO]
Malaria: servono maggiori fondi per debellarla definitivamente
headlinesindia.mapsofindia.com - New Delhi - 23 april 2010
Libera traduzione ed adattamento a cura di Banglanews. L'articolo originale è sull'edizione inglese
Per
debellare la malaria, che costituisce un rischio per il 77 per cento della
popolazione del Sud-Est asiatico ed è causa di migliaia di morti ogni anno,
c’è bisogno di più impegno e maggiori fondi per interventi efficaci da parte
dei donatori e degli Stati, ha detto oggi l'Organizzazione mondiale della sanità
(Oms).
Definendola
una malattia senza confini, Samlee Plianbangchang, il direttore regionale Oms
per il sud-est asiatico ha detto in una dichiarazione: "I finanziamenti per
interventi efficaci potrebbero significativamente ridurre i decessi per malaria
in molti paesi".
"Nel
sud est asiatico, molti paesi hanno compiuto notevoli progressi e hanno
dimostrato che il supporto per il controllo della malaria sta funzionando",
ha detto prima della Giornata mondiale contro la malaria, che si celebra il 25
aprile.
Per
esempio, Sri Lanka e Corea del Sud hanno entrambi raggiunto la fase di
eliminazione di malaria. Il Bhutan ha anche fatto buoni progressi e ora punta
verso l'eliminazione della malaria. Le morti per malaria sono diminuite
notevolmente in Bangladesh, Thailandia e Myanmar con una migliore gestione del
caso, dice la nota.
"Tuttavia,
la malaria è endemica in tutti i paesi della regione del Sud-Est asiatico, ad
eccezione della Repubblica delle Maldive, e la situazione sta diventando sempre
più difficile da controllare a causa di vari problemi tecnici e
gestionali", ha aggiunto Plianbangchang .
Jai
P. Narain, direttore del settore delle malattie trasmissibili, ha agiunto:
"ripetute epidemie sono comuni a causa dei cambiamenti socio-ambientali.
Molti casi sono dovuti alla migrazione della popolazione. Non vi è dubbio che
la malaria abbia effetti nocivi sullo sviluppo economico, in particolare per il
sostentamento del poveri ".
"E’
ben chiaro che per raggiungere i Millennium Development Goals (MDG), dobbiamo
ridurre l'impatto della malaria in modo significativo. Ma per farlo, abbiamo
bisogno di affrontare fattori sociali, economici, ambientali e comportamentali
che contribuiscono alla comparsa della malattia e il suo impatto ", ha
aggiunto.
Plianbangchang
ha detto: "La Giornata Mondiale contro la Malaria è l'occasione per
ricordare al mondo che anche se sono stati compiuti progressi nella lotta contro
la malaria, la malattia antica, rimane una minaccia per l'umanità. E’ ora di
aumentare i nostri sforzi e lavorare insieme per sconfiggere la malaria una
volta per tutte . "
Secondo
l'OMS, sono circa 2,5 milioni i casi confermati di malaria comunicati ogni anno,
ma le cifre reali sono molto più elevate. Le stime affermano che ci sono almeno
20-30 milioni di casi e 100.000 morti ogni anno. (IANS)
Cartoline dall'Algeria - 24 di p. Silvano Zoccarato
Touggourt - maggio 2010
Sogno
del Paradiso
Vengo a dirvi che ho sognato il mio padre (Mons Raimbaud, vescovo di Laghouat
morto il 25 giugno 1989). Era nella gioia (khir) datagli da Dio! Spero che Dio
faccia per noi quello che ha fatto per lui. L'ho visto proprio come era. Il suo
volto... pieno di luce. E fiori dappertutto... e lui era seduto. Gli ho detto:
"Padre, sei morto vero"? Mi ha detto: "Non sono morto. Sono
vivente... Ho visto la mia famiglia, mio padre, mia madre, i morti e i vivi, li
ho visti tutti".
Gli ho detto : "Padre, come ti trovi? Mi ha detto: "Sono e mi trovo
bene (khir)! Dio mi ha dato molto. La preghiera che ho fatto...lui mi ha dato
una ricompensa grande, e quello che ho fatto era una piccola cosa".
I suoi vestiti erano come dei fiori... molto belli.
Gli ho detto:"Padre... e questi vestiti?
Mi ha detto: "Sono i vestiti del Paradiso... Di a tutti che sono molto
felice (ferhan). Avete pregato molto bene per me, il primo giorno. Continuate a
pregare per me: sono con voi. Io prego per voi, vi guardo..."
E io Aicha vedevo una giovane accanto a lui, vestita tutta di bianco e che
pregava Dio vicino a lui. Gli ho detto: "Padre mio, questa giovane?"
Mi ha risposto: "Tu sai chi è. Ella prega per me ed è contenta di me
(ferhana)".
Veramente, non mi ha detto che era Lalla Maria. Mi ha detto: "Prega per me
ed è contenta di me".
Fatelo con dolcezza e rispetto
Disse Gesù ai suoi discepoli: "Prendete il mio giogo sopra di voi, e
imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro".
Gesù aveva appena detto: "Ti rendo lode, o Padre, perché hai rivelato
queste cose ai piccoli. Ogni cosa mi è stata data dal Padre mio". ( Mt 11,
29).
In contrapposizione con quanto insegnavano Scribi e Farisei, Gesù annuncia
l'amore del Padre e il suo amore per il Padre. E' perché è stato mite, umile e
obbediente. A questo possono far parte anche i suoi discepoli. Non è un 'giogo'
di servi, ma di figli. Gesù si propone come esempio e insegna come vivere i
rapporti col Padre e coi fratelli. Gesù non impone, fa nascere e insegna a far
nascere dal cuore un sì di fiducia e di gioia
Scrive il Card. Martini: "Mitezza è la capacità di cogliere che, nelle
relazioni personali che costituiscono il livello propriamente umano
dell'esistenza, non ha luogo la costrizione e la prepotenza, ma la passione
persuasiva, la forza e il calore dell'amore".
E' quanto visse Francesco d'Assisi.
Padre Massimiliano Mizzi OFM Conv. Scrive:
"Francesco e' andato dai Musulmani con mitezza e bontà e non con la spada
dell'odio ma con rispetto come ad un fratello che gli vuole bene. E' andato con
il messaggio dell'amore. Il Sultano ha capito che Francesco voleva solo il bene
della sua anima non di soggiogarlo arrogantemente al cristianesimo. Il Sultano
che, da parte sua 'era incline alla mitezza' l'ha capito subito e accettò di
dialogare con Francesco e il loro dialogo era basato sul rispetto da tutte e due
le parti che, nel dialogo, è una regola fondamentale . (...)
Un' altra cosa da notare è che Francesco era pronto a subire la morte piuttosto
che usare violenza con il dissidente".
Ai cristiani perseguitati, l'apostolo Pietro consigliava: "Date ragione
della vostra speranza con dolcezza e rispetto. Sarà questo a toccare il
cuore". (1 Pt 3,16)
Lasciarsi amare
Arrivato in Algeria tre anni fa, avevo paura. In Europa si comunica solo
attentati e crudeltà. Io vivo tra amici. Quanti momenti belli di accoglienza e
di bontà. I primi giorni, trovandomi senza pane, una persona è venuta alla
porta con un bel pane. Un altro giorno mi sono commosso ancora di più quando i
vicini si erano accorti che non avevo più gas e a mezzogiorno in punto uno è
venuto con un pasto completo di couscous e con una bottiglia di sugo di frutta e
una bella mela. Ora le attenzioni da parte di tante persone sono aumentate.
Quando alcune mamme di alunni mi portano qualcosa esclamo scherzando: "Che
persecuzione di affetto!"
E bello lasciarsi circondare così. E' bello amare e lasciarsi amare. Trovo
questo anche nel pensiero di alcuni saggi islamici, attribuito a Gesù.
Dio ha detto a Gesù in ispirazione : "Quanto a mitezza sii per la gente
come la terra sotto di loro, come acqua corrente quanto a generosità, e quanto
a misericordia come il sole e la luna sul giusto e sull'empio". Al
Balawlli, m. 1207
Come funziona una parrocchia rurale: Pathorgata di Piero Gheddo
Tratto
dagli Appunti di padre Piero Gheddo per la catechesi a Radio Maria – 21
dicembre 2009
Nota: Durante il mio ultimo viaggio sono anche stato a Pathorgata e volevo scrivere qualcosa in proposito, ma ho trovato questi appunti, scritti con la consueta precisione e competenza da padre Piero. Mi limito ad aggiungere qualche foto. L'articolo non è stato rivisto dll'autore.
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Più visito le missioni e più mi innamoro della vocazione missionaria. Ho trovato tanti missionari che hanno speso una vita totalmente dedicati al loro popolo, anche quando questo non rispondeva alle loro cure. Uno
di questi è stato padre Giovanni Battista Vanzetti, scomparso da
poco (1925-2007) che ricordo di aver visitato nel 2001. Mi parlava della
sua missione e diceva che la sua era brava gente, con buoni sentimenti;
mentre sentivo dire dai suoi confratelli che Vanzetti, a partire dal 1962,
aveva fondato da solo la parrocchia di Pathorgata in 17 anni di durissimo
e penoso lavoro, dato l’ambiente ostile nel quale s’era trovato a
lavorare, con momenti di vera persecuzione. Ma lui parlava bene dei suoi
cristiani, almeno con me che, come giornalista, avrei potuto scrivere cose
negative su Pathorgata. A volte si sfogava e si lamentava con i confratelli, ma col missionario giornalista non poteva dare un’idea negativa della sua gente! Vanzetti
era uno dei tanti missionari che scrivono e parlano poco delle loro
fatiche e avventure, ma lavorano molto. Il suo ricordo rimane scolpito nel
cuore di molti che l‘hanno conosciuto e sul marmo di una lapide affissa
sul muro esterno della casa parrocchiale di Pathorgata. Oggi la parrocchia è affidata a padre Emanuele Meli (in Bangladesh dal 1972) (dopo che per qualche anno vi è stato parroco padre Livio Prete, che ha costruito la nuova casa dei padri NDR) e, precedentemente, anche il compianto padre Pesce. Lo visito un venerdì, giorno di festa per i musulmani come da noi la domenica. Due
matrimoni nella Messa solenne del mattino, con chiesa strapiena di santal
e oraon, liturgie, canti, discorsi e cerimonie varie per poco meno di due
ore. |
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Poi
quella massa di fedeli si divide nelle due etnie e nei cortili della
missione festeggiano a modo loro i due matrimoni. Spettacolo che commuove. Cortei,
danze, musiche e canti, doni agli sposi, i variopinti costumi, le
bancarelle che vendono dolciumi, biscotti, involtini di carne. Soprattutto
la felicità che brilla nei volti di tutti ed esplode in una gioia
incontenibile. Senza bisogno di spiegazioni capisco perchè i tribali, in una società come quella bengalese che da sempre li marginalizza e sfrutta, si avvicinano alla Chiesa cattolica ed a quelle protestanti. La
fede e la comunità cristiana danno loro una nuova identità, una unità
che non avevano, una educazione e una forza di rappresentanza che non
potevano nemmeno sognare rimanendo nelle loro credenze tradizionali,
quando venivano additati come “adibasis”. aborigeni, primitivi,
selvaggi. Oggi il cristianesimo, rispettato e ammirato dai musulmani, dà
a loro un Libro, una Legge, una Comunità che li mettono alla pari con i
bengalesi. Capisco anche perchè la fede, che non è una cultura, crea però
una cultura come modo di pensare e di vivere che caratterizza il popolo
credente. Padre
Emanuele Meli così mi ha presentato la sua parrocchia nella visita che
gli ho fatto a Pathorgata pochi mesi fa, il 24 gennaio 2009: |
Io
vado molto adagio a battezzare, dai tre ai cinque anni di catecumenato, perché
devo convincermi che sono maturi per il battesimo.
Se ci fosse più personale e più mezzi, potremmo avere più conversioni, ma il nostro problema oggi è di istruire bene questi cristiani. Abbiamo visto che i cristiani fatti in fretta non resistono. Il catecumenato è lungo anche perché i giovani cristiani accolgono la fede con entusiasmo. La loro religione tribale non li sostiene più, sentono un vuoto dentro e questo vuoto il cristianesimo lo riempie; e poi vedono la differenza fra paganesimo e cristianesimo e sono contenti di essere cristiani. Non si convertono all’islam, perché l’islam è troppo oppressivo della persona. I tribali sono persone libere, l’islam è soffocante, il cristianesimo lascia libera la persona. Non sono abituati a una vita disciplinata, quando portiamo ragazzi nell’ostello, le prime volte scappano e bisogna riportarli indietro. Nell’ostello di Pathorgata quest’anno ho aumentato i ragazzi da 100 a 150 perchè vedo che l’ostello è veramente formativo. All’inizio noi giovani missionari eravamo contrari all’ostello, poi abbiamo visto che è indispensabile e formativo”.
|
Anche
a Pathorgata, come nelle altre parrocchie del Bangladesh, il problema più
sentito sono i catechisti e la formazione profonda dei cristiani. Oggi il lavoro principale di padre Meli è di formare i catechisti, indispensabili per avere buoni cristiani. In Italia noi a volte diciamo che come sono i preti o il prete della parrocchia, tali sono i cristiani. In missione si dice questo dei catechisti che praticamente sono quelli che rappresentano per i non cristiani e i giovani cristiani la figura del cristiano e hanno l’autorità di guidare le comunità parrocchiali sparse nei molti villaggi. Padre
Meli mi spiega che i catechisti sono buoni laici cristiani, che
volontariamente e quasi sempre gratuitamente si impegnano in questo
lavoro. Questo dà l’idea di come la fede, specialmente nei primi
tempi della missione, suscita entusiasmo e dedizione, come leggiamo
negli Atti degli Apostoli. “Abbiamo due categorie di catechisti – mi dice. - I prayer leaders (capi della preghiera) che guidano la preghiera, venti villaggi venti prayer leaders. Poi ci sono due catechisti a tempo pieno e due suore che visitano i villaggi per la catechesi alle donne e ai bambini. |
Il
catechista più anziano è quello particolarmente dedicato ai non cristiani,
visita i villaggi e le famiglie pagane che manifestano interesse per il
cristianesimo. Un altro mezzo per avere cristiani è di aiutarli a risolvere i
problemi di terre. Sono diventato amico di un avvocato bihari e con lui aiutiamo
i santal nei loro problemi di terre. Un altro mezzo è di stargli vicino e
aiutarli a risparmiare, a produrre qualcosa in modo che siano autosufficienti
come famiglia, in questo aiutati dalla Caritas e dalle Credit Union (banche di
credito, vedi più avanti).
“Dopo
la guerra d’indipendenza (1971), noi giovani missionari eravamo restii a
battezzare, ma ci siamo convinti che vogliono proprio il battesimo e ho
sperimentato che introducendo giovani famiglie nella vecchia comunità
cristiana, questa riceve nuove forze nella fede e un entusiasmo che li impegna a
diffondere la fede. Un mezzo importante di evangelizzazione è la cura dei
malati e l’ospedale cattolico. Molti vedendo la nostra carità, l’ambiente
familiare e le cure dell’ospedale di Dinajpur, rimangono impressionati e
vengono per ricevere l’istruzione cristiana”.
La
missione cattolica fra i tribali cura molto l’inculturazione della fede e
della vita cristiana, soprattutto spiegando il cristianesimo nella loro lingua
locale. Meli conosce bene il santal, l’ha studiato, e si lamenta che dopo la
sua generazione di missionari, quelli venuti dopo hanno cominciato a dire che
con il bengalese si va avanti lo stesso e non lo studiano più. Pochi lo
imparano.
“Da
sempre la tradizione del Pime - dice Meli - era di imparare le lingue locali
anzitutto per far capire bene la fede. C’è un abisso linguistico e culturale
fra il santal e il bengalese. Il bengalese lo studiano i più giovani, gli
adulti lo usano nei mercati, negli uffici governativi, ma fra di loro usano il
santal o l’oraon. Se parli bengalese capiscono la metà o anche meno di quel
che dici. Nei tempi recenti padre Carlo Calanchi, che conosce il santal quasi
come l’italiano, ha fatto un lavoro meraviglioso preparando la liturgia e la
Scrittura in santal, testi ancora usati specie dai catechisti. E’ vero che il
lavoro di inculturazione lo faranno i preti locali, ma andare nei villaggi per
educarli alla fede dobbiamo farlo noi, parlando la lingua locale, visitando le
famiglie, conoscendo la mentalità e l’ambiente in cui vivono.
“I protestanti hanno un approccio diverso dal nostro ai tribali, li fanno diventare subito cristiani. Non hanno attenzione alla cultura, mentre noi stiamo attenti, cerchiamo di tenerli nella loro società, di conservare i loro valori. I protestanti usano sempre il bengalese, non il santal o l’oraon. Hanno grandi ostelli che noi non abbiamo, ne hanno più di noi e formano più in fretta di noi dei professionisti e dei pastori, ma negli ostelli i ragazzi sono tutti uguali, trattati allo stesso modo. Perdono la loro identità di santal, oraon o altro. I protestanti e i battisti fanno un bel lavoro, però poi curano molto meno di noi i loro battezzati, infatti non pochi si perdono o vengono nella comunità cattolica”.
Chiedo
a padre Emanuele se attraverso le scuole della missione e gli ostelli sono
riusciti a formare giovani diplomati e laureati. Risponde:
“Sì,
abbiamo dottori, avvocati e altre professioni. Non invece imprenditori, perché
manca la mentalità imprenditoriale e commerciale. Il tribale pensa all’oggi,
non al domani, non programma, non prevede, non organizza, vive alla giornata. E
poi ha sempre un complesso di inferiorità verso il bengalese, mentre
l’industria è il commercio sono competitivi. Io dico spesso ai santal che la
mentalità di vivere alla giornata non è più possibile. Se hanno un negozietto
che vende il tè, viene un bengalese un po’ arrogante che dice: ti pago
domani. Il santal non osa replicare, se non lo paga, lui non protesta. Se poi
viene un parente a prendere il tè, si aspetta che glie lo dia gratis e lui
stesso, il negoziante, dice: “Come faccio a farglielo pagare se è mio
parente?”.
“Sono
stato in India – dice ancora padre Emanuele - a visitare la missione dei
gesuiti fra i santal. Anche loro dicono che creare una mentalità
imprenditoriale e commerciale fra i tribali è cosa difficile e quasi
impossibile. Adesso incominciano a cambiare cultura, ma ci vorrà tempo. Fra i
tribali non esistono ricchi e poveri, tutti più o meno debbono essere sullo
stesso piano. Sono ricchi (per modo di dire) quelli che sono riusciti a non
farsi portare via i terreni o non hanno venduto i loro terreni”.
Pathorgata
è un grosso villaggio multireligioso e multiculturale. La vicinanza dei
musulmani e degli indù non provoca lotte o contrasti. A livello di villaggio,
l’islam popolare è tollerante, non c’è fanatismo. Poco lontano dalla
chiesa parrocchiale c’è un santuario islamico e un tempio indù, ambedue
frequentati come anche la chiesa cattolica, ma si vive in buona armonia.
“Musulmani
e indù – dice padre Meli - andando nei loro luoghi di culto vengono anche a
vedere la chiesa cattolica. Spiego loro cosa facciamo, fanno domande ma senza
aggressività. Oggi anche fanno loro opere sociali come noi, la missione ha
insegnato molto. Abbiamo alcuni cattolici che si convertono all’islam,
specialmente alcune infermiere andate a Dacca che sposano un musulmano, ma
poche. A Pathorgata però cristiani e musulmani vivono separati, perché le loro
vite sono diverse, il matrimonio è diverso, ecc. Nelle città ormai cambia
tutto, ma nei villaggi si vive separati.
I
missionari del Pime sono in Bengala dal 1855 e vi hanno fondato la Chiesa. Ma
ancor oggi sono necessari, come mi ha detto il vescovo locale mons. Moses Costa.
Chiedo a padre Meli qual è secondo lui il problema fondamentale di oggi della
diocesi di Dinajpur e in genere in tutto il Bangladesh e come i missionari
possono dare il loro contributo alla crescita di questa giovane Chiesa.
Risponde:
“Credo che sia il passaggio dai missionari al clero locale. E’ una fase
delicata e importante. Noi missionari dobbiamo incoraggiare e sostenere i preti
locali e stimolarli e aiutarli. A Dinajpur abbiamo dieci preti santal e alcuni
hanno studiato a Roma, uno sul matrimonio santal ha fatto una bella tesi. Gli
altri preti diocesani sono bengalesi o oraon, adesso c’è anche un prete
khotryo. I preti santal sono buoni ma non hanno iniziative, bisogna stimolarli,
orientarli, aiutarli. Si sta già parlando di un vescovo santal, ce n’è già
uno in India a Dumka.
I
preti bengalesi, nell’ambiente santal, sono stranieri più di noi, che abbiamo
uno spirito missionario. Noi dobbiamo aiutarli e sostenerli, ma anche lasciare
che seguano un po’ la loro linea e metodo, che non sono i nostri. Ci sono
certe cose che per i preti locali sarebbero difficili e noi ci impegnamo in
queste.
Dhanjuri - Dinajpur -15 maggio 2010
Rullano
i tamburi di Dhanjuri che fanno dimenticare il caldo e sono segno di nuova
gioia. TUTTI gli STUDENTI della scuola DHANJURI SAINT FRANCIS HIGH SCHOOL
che si sono presentati all'esame statale della decima (SSC) sono stati promossi.
13 con A+ (massimo dei voti da 4 in su' ) 4 con A- ( meno di 4) Solo una è
stata promossa con B.
Festa
anche per voi che con il vostro sostegno allo studio avete dato questa gioia.
Maria,
sede della Sapienza, continui a vigilare su chi insegna, chi studia e chi è
solidale con noi.
Eccovi
tre foto di questi momenti. Si vede che il P.Cherubim è il primo a gioire.
Il
ragazzo Natanael, di Khalisha, spiega ai malati del lebbrosario il perchè di
tanta gioia.
Anche
una ragazza lebbrosa che impara il cucito è stata promossa. Dolci per tutti.
Grazie
di cuore
Fr.Adolfo
Anche
al St. Philip boarding di Dinajpur, diretto da p. Fabrizio Calegari,
tutti e 19 gli esaminandi sono stati promossi: 17 con A e 2 con
A+. Al St Philip la festa per i risultati degli esami si è aggiunta a quella per lo scudetto dell’Inter.
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Co-operative
assiste i migranti cattolici
Ucan
- 19 aprile 2010
Libera traduzione ed adattamento a cura di Banglanews. L'articolo originale è sull'edizione inglese
La
Mothurapur Multipurpose Cooperative Society (MMCS), per i cattolici migranti
provenienti dalla Chiesa di S. Rita di Mathurapur, nella diocesi di Rajshahi ,
è stata costituita nel 2009 con l'obiettivo di aumentare il risparmio tra i
migranti e di assistere coloro che vivono e lavorano nella capitale e nelle città
adiacenti.
Circa
200 lavoratori migranti e studenti, insieme a due sacerdoti e una suora, hanno
presenziato ad un incontro a Tejgaon, Dhaka, il 16 aprile.
I
partecipanti hanno detto che devono affrontare numerosi problemi, vivendo e
lavorando in un ambiente non cristiano.
"Al
mio posto di lavoro non riuscivo a tollerare la disonestà. Ho avuto gravi
scontri con [alcuni] non cristiani, e alla fine sono stato costretto a lasciare
il mio lavoro ", ricorda Ronald Costa, 25 anni, operaio in una fabbrica di
confezioni.
Gravi
difficoltà incontrate dai migranti
Un
altro lavoratore, sempre nel campo delle confezioni, ha detto che aveva un
problema più serio.
"Vivendo
e interagendo con i non cristiani, ho dimenticato la mia famiglia, anche se ero
il capofamiglia. Ho poi sposato una ragazza non cristiana ", ha
detto, ma ha aggiunto," in seguito ho realizzato il mio errore e sono
tornato alla mia famiglia, con l'aiuto della Chiesa ".
Allo
stesso modo, Sagor Costa, 28 anni, che lavora nello stesso settore, vicino a
Dhaka ha detto: "Una volta mi sono ammalato seriamente e non avevo il
denaro necessario per il trattamento. Ma non sono riuscito a ottenere un
prestito perché ero sconosciuto alla gente intorno a me. "
Lipon
Rozario, 35 anni, un cuoco, ha detto che è doloroso che lui e la sua famiglia
non possono andare in chiesa la domenica perché non ci sono chiese, dove vive e
lavora.
Tuttavia,
gli organizzatori hanno detto che sono pronti ad aiutare i migranti non solo nel
campo religioso, ma anche in quello socio-economico ed anche con una assistenza
legale.
Il
presidente della Mothurapur Multipurpose Cooperative Society Tarcisio Palma, ha
detto a UCA News, "La nostra società cercherà di aggiornarsi sulla
situazione degli immigrati regolari".
Ha
detto poi che la sua organizzazione aiuterà i lavoratori disoccupati a trovare
un lavoro, fornirà assistenza di emergenza in tempi di crisi finanziaria,
gestirà l'istruzione per le persone a basso reddito, fornirà libri religiosi,
e organizzerà seminari, Messe e meetings di preghiera.
Padre
Patrick Gomes, parroco della parrocchia di Mothurapur, ha applaudito a questa
iniziativa per la costruzione della solidarietà tra i migranti.
"Aiuta
le persone di diversa provenienza e professioni a interagire gli uni con gli
altri e risolvere i loro problemi", ha detto il sacerdote che è anche
cancelliere della diocesi di Rajshahi.
Utilizzare
bene i fondi nel settore dell'istruzione
Daily
Star - 24 aprile 2010
Necessario
evitare che siano preda di funzionari corrotti
Libera traduzione ed adattamento a cura di Banglanews. L'articolo originale è sull'edizione inglese
La
necessità di un utilizzo adeguato e, più in particolare, libero da corruzione
dei fondi nel settore dell'istruzione, come sottolineato dal ministro
dell'istruzione di recente ad un seminario, non può essere mai troppo
enfatizzata. E poiché il settore è considerato incline alla corruzione,
particolare attenzione deve essere posta per assicurarsi che i fondi stanziati
in questo settore non siano sprecati.
Vale
la pena ricordare che gli insegnanti, soprattutto nelle scuole primarie, non
sono pagati bene e questo importante sub-settore è in crisi, anche se la
distribuzione tempestiva dei libri di testo è migliorata, il che porta in primo
piano la necessità di una razionalizzazione di assegnazione con particolare
attenzione a questo livello di istruzione.
Ma
prima di garantire il corretto impiego dei fondi, è importante identificare le
lacune attraverso cui la corruzione si svolge. E come in ogni altro caso di
corruzione, è di nuovo proprio l'amministrazione che gestisce fondi
dell’istruzione che deve essere posta sotto stretta sorveglianza.
Così,
come primo passo per assicurare un sistema scolastico libero da corruzione,
sarebbe necessaria una profonda revisione di tutta l'amministrazione dal livello
ministeriale fin giù al comitato di gestione delle scuole primarie.
Ma
cosa sta facendo il governo per ottenere questo?
Poiché
la corruzione o la cattiva gestione dei fondi parte dal livello più alto
dell'amministrazione, il primo compito sarebbe quello di garantire che la
leadership ai vertici non sia toccata dalla corruzione o da qualsiasi interesse
di parte.
Ovviamente,
esortazioni e semplici espressioni di un pio desiderio non bastano. Adeguate
riforme istituzionali dovranno essere effettuate per migliorare il sistema. Le
raccomandazioni e i buoni propositi non mancano, si tratta ora di agire!
Disponibilità
dei libri di testo
New
Age - 20 aprile 2010
Libera traduzione ed adattamento a cura di Banglanews. L'articolo originale è sull'edizione inglese
Il
governo dell’Awami League, dopo aver assunto il potere, ha deciso di
distribuire gratuitamente i libri di testo agli studenti della classe I alla
classe IX classe, precedentemente la distribuzione si fermava alla classe V. La
decisione è stata davvero lodevole ma bisogna purtroppo notare che, anche
quest’anno, alla vigilia dei primi test e dopo ben quattro mesi dall’inizio
dell’anno scolastico, alcune scuole sono ancora prive di libri.
Naturalmente
ciò non può che influire negativamente sugli esami schedulati nel mese di
maggio.
Non
riuscire a distribuire i libri di testo in tempo è diventato normale.
Quest’anno
ho poi assistito, nel mio ultimo viaggio, ad un altro fenomeno: oltre ai libri
di testo le casi editrici pubblicavano dei riassunti e dei libercoli con la
soluzione dei vari quiz (quelli che vengono eseguiti agli esami). Il profitto su
questi testi era notevolissimo ma, giustamente, il governo li ha vietati. Ebbene
cosa hanno fatto gli editori? Un bello sciopero che ha ulteriormente aggravato
la situazione.
La
società e il governo hanno il dovere di predisporre e fornire servizi per tutti
onde acquisire l'istruzione di base.
news.bbc.co.uk - 10 maggio 2010
Adattamento
e traduzione a cura di Banglanews. L'articolo originale è sull'edizione
inglese
Mohammed
Shahin, 11, vende le sigarette per gli automobilisti a Dhaka. "
Mi sento disperato, ma non ho altra scelta che mandare mio figlio al
lavoro " ci ha detto Olil Mohammed, il padre del bambino
E 'un lavoro abbastanza duro per ogni adulto, figuriamoci per un bambino di 11 anni. |
Eppure
è raro vedere Mohammed senza un sorriso sul suo volto anche se è un bambino
intrappolato nel posto di lavoro di un adulto.
Il papà di Mohammed ci ha detto che lui guadagna, in una giornata, poco di più
del figlio e che, senza il suo aiuto, la famiglia non potrebbe sopravvivere.
"Sua madre - mia moglie - è malata ed ho altre due bambine ed un
bambino", ha detto Olil.
"Ci siamo trasferiti a Dhaka, del distretto di Bhola quattro anni fa per
fare più soldi ed è quello che stiamo facendo."
"Se avessi l'opportunità sarei felice di poter mandare mio figlio a
scuola!”
Progetto “Pè De
Pincha”
Boa Vista - 19 aprile 2010
“Padre
Benito, guarda, guarda come questi animaletti sono irrequieti!” E’ il
coordinatore del progetto “pé de pincha”, Luís Prestes, che mi invita a
guardare dentro di un grosso e largo bidone, dove in mezzo all’acqua si
agitano centinaia figliocci di cheloni e lui afferma che sono circa 700.
Ci
troviamo nel villaggio Boa Vista, dedicato a S. Pancrazio, sulla destra
del fiume Mamuru, che fondammo circa dodici anni fa. Siamo partiti (io
direttore della macchina, Fabio comandante, Mateus mozzo, Raimundinho
accompagnante e Hudson reporter della Radio e TV Alvorada) da Parintins
alle 6:00 del mattino dal porto della diocesi col mio battello S.
Pancrazio; abbiamo proseguito per il Parananema e, lago dopo lago, siamo
arrivati al “furo” (canale stretto) del Brás, entrando nel paraná
del Ramos e imboccando lo Uaicurapá, per prendere sulla sinistra il
Mamuru, che prosegue fino al cuore dello stato del Pará. Una regione questa instabile e insidiosa dove banditi (cangaceiros) armati proteggono la ritirata del legname tagliato illegalmente e invadono le terre altrui dando fuoco alle case. |
Proseguendo
il viaggio, incrociamo i “ribeirinhos” (abitanti delle rive) che utilizzano
non piú il “casco” (canoa ricavata da un tronco d’albero) e remo ma la
canoa grande motorizzata com “rabeta” (macchina a nafta con un asse lungo ed
elica all’estremitá). Fiancheggiamo Varre Vento, una nuova comunitá dedicata
a S. Francesco, il cui terreno era stato occupato abusivamente dal sindaco che
poi fu dimesso e i senza terra a loro volta lo invasero.
Subito
dopo abbiamo avvistato la spiaggia del villaggio S. Pancrazio che fondammo
dodici anni fa con 12 famiglie , ma fu ufficializzato nel 2002 con 38 famiglie.
Abbiamo attraccato tra alcune barche che ci avevano preceduto, mentre il
rimbombare di botti annunciava il nostro arrivo e un nucleo di bambini e adulti
ci venivano incontro festosi.
Il
“ bazooka”, nomignolo di un mio figlioccio di Cresima, Cledemir, ideatore
della fondazione della comunitá, e della signora Maria Rosa, cuoca, dirigono
l’accoglienza. Giorno speciale, perché saranno liberati per affidarli
all’acqua figliocci di cheloni di varie specie: tartarughe, tracajás, pitiús
(o irapucas).
La
comunitá porta avanti da quattro anni un progetto chiamato “pé de pincha”
(piede della grandezza di un bottone da giacca), che é il piedino del chelonio,
una iniziativa dello IBAMA (Instituto Brasileiro Meio Ambiente)e della UFAM
(Universidade Federal da Amazônia) per ripopolare i laghi e fiumi della
regione.
La
Cina costruisce la diga più alta del mondo, l'India teme gli rubi l'acqua
AsiaNews - Pechino - 24 aprile 2010
La
diga sorgerà a 3.260 metri di altezza, sul fiume Yarlung Zangbo (Brahmaputra,
per gli indiani) utilizzando materiali e tecniche speciali. Ma l'India osserva
che il fiume è essenziale per la vita di milioni di persone e chiede garanzie,
che Pechino non appare voler dare. Per quella zona fu combattuta una guerra, mai
ufficialmente finita.
La
Cina ha ammesso che sta costruendo una diga sul fiume Yarlung Zangbo. Il fiume
nasce in Tibet ma poi scorre in India dove è chiamato Brahmaputra ed è una
delle maggiori fonti idriche del Paese, da cui dipendono milioni di persone.
Inoltre la diga sorgerà nella zona vicina al confine conteso tra i due Stati.
La
Cina ha spiegato il progetto questo mese, in un incontro riservato con il
ministro indiano degli esteri S.M. Krishna. La diga sorgerà a Zangmu a
un'altezza di 3.260 metri, nella prefettura Shannan in Tibet, e lì vicino
saranno realizzate anche altre 4 dighe in una valle tra le contee Sangri e
Jiacha. Fonti ufficiali hanno spiegato ieri che la capacità complessiva delle
dighe sarà "diverse volte" maggiore della gigantesca Diga delle Tre
Gole. Per l'altezza, la zona è spesso sottoposta a condizioni meteorologiche
estreme e saranno utilizzati materiali e tecnologie speciali, sviluppati
dall'industria spaziale cinese. Come ad esempio un cemento speciale realizzato
presso i laboratori del Centro di lancio satelliti di Xichang.
Pechino
prevede di ricavare dalla diga di Dangmu non meno di 500 megawatts di energia
elettrica, per soddisfare la crescente richiesta di Guangdong e Hong Kong e per
venderla ai Paesi vicini come Myanmar, Thailandia, Bangladesh, Laos e Cambogia.
L'India
è però molto preoccupata per il progetto, che teme possa diminuire la portata
d'acqua del fiume in India e distruggere l'ecosistema dell'Himalaya. Soprattutto
l'agricoltura e l'industria degli Stati nordorientali dell'India dipendono in
modo pesante dal fiume Brahmaputra.
Inoltre
la Cina tramite questo progetto viene a controllare in modo diretto oltre 90mila
metri quadrati di terreno la cui sovranità è controversa tra India e Cina, che
hanno combattuto una guerra mai formalmente conclusa e tengono tuttora nutrite
forze armate nella zona.
La
Cina risponde che in questo modo potrà invece sviluppare energia
"pulita" e diminuire le emissioni di anidride carbonica che derivano
dalla centrali elettriche a carbone.
Esperti
osservano che, comunque, Pechino non ha risposto alla preoccupazione indiana che
diminuisca il corso del Brahmaputra. Fonti indiane già osservano che, anche se
la diga sorge in territorio cinese, comunque la legge internazionale prevede che
l'opera non debba diminuire in modo importante il corso del fiume. Allo stesso
modo, Pechino non ha mai risposto alle preoccupazioni di Thailandia, Laos,
Vietnam e Cambogia per le dighe sul fiume Mekong nel cinese Yunnan.
L'India
appare pronta a sollevare un incidente internazionale.
In
10mila sottoposti a sterilizzazione di Luca Miele
Avvenire - 23 aprile 2010
"Una
misura punitiva per quanti hanno violato la legge del figlio unico"
La
telefonata è arrivata nel cuore della notte mentre Zang Lizhao era fuori per
lavoro. L'uomo si è precipitato a casa: sua moglie era stata portata in una
clinica "per essere sterilizzata". "Ho supplicato - ha raccontato
- i medici di attendere. Mi hanno risposto che non avrebbero aspettato un solo
giorno". Zang, nonostante ciò che è accaduto, si ritiene fortunato: ha
due figli, di 4 e 6 anni. Come altre 10mila persone è caduto nelle maglie
rigidissime della pianificazione familiare cinese.
Contea
di Puning, provincia di Guangdong: una squadra di dottori - secondo quanto ha
raccontato il Times - sta passando al setaccio la regione per raggiungere
l'obiettivo fissato dal governo, sterilizzare - con la forza se necessario -
quasi 10mila tra uomini e donne. La loro colpa? Aver violato le politiche di
controllo delle nascite, la legge in vigore dal 1979 per frenare la temuta
crescita demografica. Le autorità locali sono pronte a ricorre ad ogni mezzo.
Compreso
quello di imprigionare i parenti, persino i genitori, di chi si sottrae alla
campagna di sterilizzazione, partita lo scorso 7 aprile e destinata a protrarsi
per almeno 20 giorni. Non solo: secondo il The Southern Contryside Daily , circa
100 persone, per lo più anziani, sono stati rinchiusi in un centro di
pianificazione familiare. Un funzionario addetto alla pianificazione ha detto al
Times global che "non è raro per le autorità adottare tattiche così
dure". Alle coppie con figli "illegali" e ai loro parenti vengono
rifiutati i permessi di costruire. I bambini "illegali" sono esclusi
dalla registrazione di residenza, misura che nega loro l'accesso all'assistenza
sanitaria e all'istruzione.
Le
sterilizzazioni forzate sono solo un tassello di una politica che ruota attorno
alla diktat del figlio unico. La dove essa non vengono praticate, si ricorre
all'aborto. Cifre spaventose: secondo i dati ufficiali forniti dagli ospedali
cinesi, sarebbero 13 milioni gli aborti effettuati ogni anno. Alle statistiche
ufficiali peraltro sfuggono le interruzione di gravidanza clandestine, praticate
soprattutto nelle campagne. Pechino ha conteggiato qualcosa come 400 milioni di
nascite impedite dal 1979, l'anno dell'entrata in vigore della legge. Una
gigantesca macchina burocratica vigila sulla sua applicazione. Secondo di Harry
Wu, fondatore della Laogai Research Foundation, la Commissione statale per la
popolazione nazionale e la pianificazione familiare impiega 520mila dipendenti a
tempo pieno e oltre 82 milioni a tempo parziale. Le autorità arrivano a
decidere, sulla base di dati burocratici, quanti bambini possono nascere ogni
anno in ogni zona.
Una
politica che ha prodotto uno sconvolgimento epocale della struttura sociale
cinese, annichilendo la famiglia tradizionale, estesa, per sostituirla con una
"cellulare".
Altrettanto
dirompenti le conseguenze sociali. Per le Nazioni Unite nel 2050 il 30 per cento
della popolazione cinese avrà 60 anni e gli "over 80" saranno circa
100 milioni. La popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni diminuirà del
10 per cento. La Cina non ha un vero sistema di welfare: all'immensa quantità
di anziani dovranno provvedere famiglie con un solo figlio.
A
questo si aggiunge la sperequazione esistente tra maschi e femmine, quest'ultime
più spesso vittime degli aborti selettivi: secondo AsiaNews in Cina nascono
circa 119 maschi per 100 femmine. Persino l'esercito non è immune da questo
terremoto sociale. Nel 1998 Pechino ha ridotto a due anni la leva obbligatoria,
proprio per limitare le pressioni su nuclei familiari sempre più fragili.
Problema non da poco per la macchina bellica cinese: molti militari lasciano
l'esercito per cercare impieghi più redditizi e mantenere così gli anziani
genitori.
Avvocati
per i diritti umani manifestano a Pechino contro le ingiustizie
AsiaNews - Pechino - 22 aprile 2010
Due
avvocati rischiano la revoca permanente della loro licenza perché hanno difeso
attivisti, prigionieri politici e membri del Falun Gong. La polizia ha messo
agli arresti domiciliari 8 attivisti; 20 arrestati. Lo scorso anno altre 18
personalità legali hanno subito la revoca della licenza.
Circa
200 persone fra avvocati e attivisti hanno manifestato oggi davanti all'Ufficio
municipale della giustizia di Pechino (Umgp) a sostegno di due avvocati
che rischiano la revoca permanente della loro licenza. I due, Liu Wei e Tang
Jitian sono presi di mira perché difendono attivisti per i diritti umani,
prigionieri politici e membri del Falun Gong. Se la revoca viene applicata essi
non potranno mai più fare l'avvocato. L'Umgp ha chiesto da tempo di radiare i
due dall'ordine degli avvocati. Quest'oggi si è tenuto un'audizione, ma finora
non vi è stata alcun verdetto.
L'accusa
si riferisce a un processo celebrato il 27 aprile del 2009 a Luzhou (Sichuan),
durante il quale i due sono usciti dall'aula per protestare contro la condotta
del presidente della corte e degli altri giudici.
In
Cina la giustizia deve ubbidire al Partito e le sentenze - specie quelle contro
prigionieri politici - sono già fissate in antecedenza.
Mentre
i due si difendevano all'interno dell'Umgp), la manifestazione all'esterno è
stata controllata da centinaia di poliziotti e camionette. Almeno 8 avvocati e
attivisti non hanno potuto intervenire perché costretti agli arresti
domiciliari per oggi. Fra questi: Li Fangping, Li Xiongbing, Li Subin, Li
Heping. Venti manifestanti sono stati arrestati.
Di
fronte alla corruzione e alla violenza che domina la società cinese, molta
gente si rivolge ad avvocati che, sfidando gli ordini del Partito, cercano
l'applicazione delle leggi. Da alcuni anni sono sorti veri e propri gruppi di
"avvocati per i diritti umani" disposti - spesso anche gratis - a
difendere persone che hanno subito ingiustizie.
Poiché
le cause continuano ad aumentare, il governo non vede altra via che revocare le
loro licenze. Nel 2009, oltre a Liu Wei e Tang Jitian, altri 18 avvocati hanno
avuto la loro licenza revocata. Fra le personalità che hanno subito il
provvedimento vi sono famose personalità come Zheng Enchong e Gao
Zhisheng.
Suor
Adriana Bricchi: la fede che genera cultura di Pino Cazzaniga
AsiaNews
- Seoul - 20 aprile 2010
Alla
vigilia degli ottant'anni , la religiosa, a Seoul dl 1959, non può andare in
"pensione" perchè invitata a rispondere a una nuova chiamata
missionaria: la Mongolia.
Cinquant'anni
fa in Italia quando si voleva indicare sinteticamente una regione malmessa si
era soliti dire "e' una Corea". Oggi la Corea del sud ad ogni livello
è tra le nazioni piu sviluppate dell'Estremo oriente. L'energia che ha permesso
l'allora inimmaginabile "miracolo economico e democratico" non e'
scaturita tanto dall'aiuto esterno quanto dal potenziale culturale e spirituale
del suo popolo.
Lo
sapeva bene Park Jung-hee (1917-79), che pur avendo governato con pesante mano
dittatoriale per circa vent'anni , ha amato la nazione, è stato personalmente
pulito e politicamente lungimirante: per lui cultura e istruzione, assieme al
lavoro, sono stati i pilastri fondamentali della ricostruzione. Il popolo gli è
grato. Ciò che invece è poco noto è l'apporto indiretto ma non meno profondo
dei missionari/e. Un'intervista con Adriana Bricchi, una religiosa italiana,
missionaria in Corea da cinquant'anni, ce l'ha rivelato.
Spontaneità
di una vocazione eccezionale
Adriana non desidera che si parli di lei. "Non voglio rubare la gloria al Signore", mi ha detto tutte le volte che ho tentato di esprimere una qualche ammirazione. Ma senza precisi riferimenti biografici non apparirebbe ciò che essa è diventata: l'icona delle fede che genera cultura.
Oltre
300 leader cristiani e musulmani pregano contro il fallimento delle libere
elezioni
AsiaNews
- Manila - 23 aprile 2010
Il
raduno di preghiera è avvenuto questa mattina davanti alla sede del Comitato
elettorale di Manila. Le elezioni previste per il 10 maggio rischiano di fallire
a causa del malfunzionamento delle strumentazioni elettroniche di voto. I
manifestanti accusano il governo di voler trarre vantaggio dalla situazione per
restare al potere.
Questa
mattina oltre 300 persone tra leader religiosi cristiani e musulmani hanno
organizzato un raduno di preghiera davanti alla sede del Comitato elettorale
(Comelec) di Manila per manifestare contro il possibile fallimento delle
elezioni di maggio. Tra i manifestanti anche studenti e attivisti per i diritti
umani di entrambe le fedi.
Lo
scorso 14 aprile la Pacific Strategies and Assessments (Psa), agenzia
internazionale di intelligence il governo, ha pubblicato un documento dove sono
elencati tutti i rischi legati all'utilizzo del voto elettronico. Tra questi: il
mancato controllo delle strumentazioni di voto da parte di organi indipendenti e
l'utilizzo di due memorie di registrazione di voto ad alto rischio di
clonazione. Inoltre solo il 70% dei seggi dispone di telefoni e computer in
grado di trasmettere in sicurezza il risultato delle votazioni e non vi è
nessuna certezza sulla sicurezza dei 50 milioni di schede elettorali utilizzate
per il voto.
Mons.
Oscar Cruz, ex arcivescovo di Lingayen-Dagupan, tra gli organizzatori della
veglia, ha affermato: "La manifestazione è un modo per dire a tutti coloro
che vogliono il fallimento delle elezioni, che la gente li osserva ed è pronta
ad agire se necessario". Secondo i manifestanti la presidente Arroyo e il
governo vogliono approfittare della situazione per commettere brogli e mantenere
il potere. "Questo - afferma uno degli organizzatori - è un gesto
simbolico per far crollare il muro che potrebbe impedire ai filippini elezioni
credibili e oneste".
Orissa,
ancora assoluzioni per chi ha attaccato i cristiani di Nirmala Carvalho
AsiaNews
- Kandhamal - 21 aprile 2010
Il
sacerdote verbita Edward Sequeira, che ha subito la violenza del pogrom ed ha
rischiato di essere bruciato vivo, dice ad AsiaNews: "Nessuno stupore, c'è
una grande organizzazione che lavora contro di noi. Ma la Chiesa tornerà anche
nei distretti rasi al suolo". L'arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar:
"Pronti ad andare in appello".
Una
Corte di giustizia dell'Orissa ha assolto ieri i cinque estremisti indù che
hanno lanciato l'assalto alla comunità cristiana e ne ha rilasciati altri
diciassette per mancanza di prove. Il sacerdote verbita Edward Sequeira, che ha
subito le violenze del pogrom anticristiano ed ha rischiato di essere bruciato
vivo (cfr.: 04/09/2008 P. Edward, scampato al rogo in Orissa: I radicali indù
sono terroristi), parlando ad AsiaNews dice: "Kandhamal continua a soffrire
per le violenze religiose. Molti cristiani non sono tornati, perché hanno paura
di essere riconvertiti a forza all'induismo. Ma io tornerò dai miei lebbrosi:
hanno bisogno dell'amore della Chiesa".
Il
sacerdote, che ora vive in una parrocchia alla periferia del distretto,
racconta: "Migliaia di persone sono sfollate, vivono nelle baraccopoli o
emigrano in altri Stati della Federazione Indiana. Riportare la normalità
sembra impresa difficile: anche se la priorità è costruire le case, queste non
procedono. Inoltre, non è neanche in programma la ricostruzione di chiese o
istituzioni, mentre la sicurezza è ancora un grosso problema per i
cristiani".
Al
momento, p. Sequeira è costretto a tenersi lontano dalla sua comunità per
problemi di salute: "Sono qui per ordine del medico: ho ancora problemi
respiratori e polmonari. Ma sono anche qui 'in incognito', perché ci sono
ancora minacce contro di me. Faccio alcune visite non preannunciate al
lebbrosario di Padampur: so che è rischioso ma voglio farlo, perché i lebbrosi
sono coloro che hanno più bisogno di noi. I più poveri fra i poveri,
emarginati e ostracizzati: vado spesso da loro per aiutarli come posso. La
Chiesa ha sempre aiutato con amore e dignità queste persone, tutte di fede indù".
Per
quanto riguarda i verdetti emessi negli ultimi giorni, il verbita spiega:
"Nel mio caso ho visto gli assalitori rilasciati su cauzione: sono liberi.
Ma va detto che c'è una grande organizzazione, ostile ai cristiani, che è
potente e violenta: è comprensibile che i testimoni si siano tirati indietro o
siano divenuti ostili alle vittime. Queste sono persone che devono vivere ogni
giorno accanto a coloro che dovrebbero accusare. Altri testimoni, poi, non
vengono neanche presi in considerazione dai tribunali perché sono poveri e di
caste basse. Persino in aula vengono minacciati dagli estremisti della destra
nazionalista".
L'arcivescovo
di Cuttack-Bhubaneshwar, mons. Cheenath, spiega: "La Chiesa è molto
preoccupata dall'alto tasso di assoluzione in queste Corti. Le nostre autorità
in materia stanno studiando i verdetti, cercando di capire da dove nascano. Se
troveremo qualcosa di sospetto, siamo pronti ad appellarci all'Alta Corte. Ma,
dopo i pogrom anti-cristiani, abbiamo presentato 3.232 denunce: soltanto 832
sono state prese in considerazione. Per non parlare del clima di violenza che si
respira dentro e fuori i tribunali".
Sajan
K Gorge, presidente del Consiglio globale dei cristiani indiani, conclude:
"La credibilità di coloro che hanno condotto le indagini e i processi è
tutta da dimostrare. Anche perché l'ideologia nazionalista è incastonata nei
dirigenti locali. Di tutti i processi svolti, soltanto 89 persone sono state
condannate; 251 sono state rilasciate immediatamente".
Ahmedabad,
il laboratorio di tolleranza che ispirò Gandhi di Franco La Cecla
Avvenire
- 25 aprile 2010
Il
Mahatma nacque poco lontano da questa città, capitale storica del ricchissimo
Stato del Gujarat eppure affollata da una moltitudine umana che trascina la
propria vita nelle condizioni più misere immaginabili. Qui indù e musulmani si
sono rispettati per secoli, ma ora sono iniziati gli scontri
Con
il suo consueto anticonformismo Mark Twain, in un bel libro di viaggio intorno
al mondo intitolato Seguendo l'Equatore, dice dell'India che è un Paese dove c'è
un rispetto di tutti i tipi di vita, animale, vegetale, con l'eccezione solo
solo della vita umana.
Circolando per le strade di Ahmedabad, l'ex capitale del Gujarat, una città
industriale con una popolazione di quattro milioni di abitanti si è spesso
tentati di dargli ragione. Circolare in tuktuk, nel veicolo a tre ruote
(l'equivalente della nostra Ape) in mezzo al fumo, alla polvere, a milioni di
moto, auto, persone, vacche, bambini seminudi, donne dall'aria disperata che
spingono immensi pesi, nomadi rabari con i loro cammelli, vacche sacre, cani, dà
l'idea di una umanità fitta che non ha un minuto di requie tra l'inferno dei
quaranta gradi, il rumore incessante dei clacson, il traffico disumano che è un
continuo corpo a corpo. Ci si può fare l'abitudine, soprattutto quando la notte
scende e dà un minimo di refrigerio, ma ci si chiede come e di cosa vivono
questi bambini di pochi mesi sul marciapiede, l'uomo senza braccia disteso tra
due pavimenti dissestati, le donne che dormono su una branda improvvisata sulle
gradinate delle magnifiche moschee moghul. Questa è l'India, ci si ripete, un
terzo della popolazione mondiale e un luogo pieno di vitalità, se è vero che
questo Paese è giovane nella sua composizione demografica e ha una crescita
annua del nove e mezzo per cento. Ma viene anche da pensare che è proprio per
questo che l'India di oggi potrebbe permettersi un salto mai prima pensabile e
affrontare le sue più spinose emergenze, quella delle condizioni estreme di
vita di milioni - soprattutto nelle città - e della situazione
igienico-ambientale al limite del pensabile.
Ahmedabad è un simbolo per la nazione. Qui, nello Stato del Gujarat, poco
lontano dalla capitale, è nato Gandhi e qui ha elaborato la sua teoria
dell'ahimsa, della non violenza, mutuata soprattutto al grande patrimonio del
giainismo, una religione antica quanto il buddismo e olistica, in cui tutto il
vivente è intimamente connesso: i suoi sacerdoti girano con un fazzoletto sulla
bocca per non ingerire possibili moscerini. Ma qui è successo anche uno dei
fatti più gravi degli ultimi anni, nel 2002: uno scontro tra musulmani e indù,
provocato, dicono questi ultimi, dall'incendio doloso di un treno che riportava
pellegrini dal tempio di Ahyodhya e che diede luogo ad un massacro di duemila
musulmani da parte dei militanti fondamentalisti indù, coperti dal partito
allora al potere, il Bjp, e dai neonazisti dello Shiva Sen. Il presidente di
allora, Modhi, è stato inquisito due volte, gli Stati Uniti e l'Unione Europea
lo considerano persona non gradita e gli rifiutano i visti d'ingresso, ma lui è
ancora dappertutto, con la sua barba bianca e l'aria di piccolo sultano locale.
Eppure il Gujarat è uno dei luoghi in cui la civiltà moghul e quella induista
si sono fuse per formare un magnifico stile che è rintracciabile
nell'architettura delle haveli, le case in legno a cortile, ma anche
nell'architettura e nell'arte contemporanea: il più grande architetto indiano
vivente, Doshi, un allievo di Le Corbusier, vive qui e Husain, il più grande
pittore indiano contemporaneo, ha creato qui buona parte delle sue opere. Oggi
però vive in esilio a Doha, reo di avere raffigurato, lui musulmano, le dee del
pantheon induista come attrici discinte di Bollywood. La notte, quando
l'orchestra assordante sfuma un po', si rimane ancora incantati dall'intrico dei
cole , i vicoli che finiscono in un cortile, di cui è fatta la trama del centro
antico. I musulmani sono presenti, sono i bottegai, gli artigiani delle pietre
preziose, e dividono lo spazio con i giainisti, gioiellieri, trafficanti di
stoffe, i parsi, i veri ricchi che si danno a politica e affari, ad una comunità
ebraica e una cristiana. Questo è stato un laboratorio di tolleranza e di
sincretismo, spesso alcuni templi ospitano santi che sono oggetto di culto di
indù e musulmani insieme, qui è nato il vero sufismo indù, una mescolanza tra
il misticismo bakthi e il sufismo di Rumi, che si è prodotto nelle opere
poetiche di Kabir e di una schiera di grandi poeti e musicisti di ghazali, i
canti d'amore mistico. È per questo che si rimane turbati da come questa città
rappresenta l'India di oggi. Ci si chiede: ce la farà davvero? Sarà davvero
una grande democrazia o cadrà sotto il peso degli scontri etnici, rinfocolati
dall'ingiustizia sociale? Soprattutto impressiona l'accettazione del livello
subumano della vita quotidiana, l'inquinamento spaventoso di acque e cibo, la
presenza in città di un'immensa centrale a carbone e petrolio - il Gujarat è
uno degli Stati più ricchi dell'India, qui ci sono pozzi petroliferi, un porto
immenso e si produce gran parte dei materiali per l'industria chimica e
farmaceutica.
Gli
scarichi sono a cielo aperto e la stesso fiume Narmada, oggetto di diversione
per dare acqua ed energia ad Ahmedabad - e oggetto di lotte dei contadini per
salvare i propri villaggi che sarebbero stati allagati - è una immensa fogna a
cielo aperto. C'è speranza, dunque, per l'India di domani? Sonia Gandhi ha
lanciato alcune riforme, tra qui quella del diritto ad un minimo di derrate
alimentari per i più poveri, ma la riforma generale delle città e
dell'ambiente e ancora là da venire: bloccata, secondo Greenpeace India, che è
una delle più agguerrite al mondo, da corruzione, inefficienza ed ignoranza.
Lotta
allo sfruttamento del lavoro minorile e per i diritti per i bambini
Agenzia Fides - Roma - 21 aprile 2010
Piduguralla
è una regione nello Stato dell'Andhra Pradesh caratterizzata da un alto numero
di lavoratori minorenni che, mal pagati, privi di misure di sicurezza, di case
adeguate, di servizi medico-sanitari e di istruzione, sono soprattutto sfruttati
nelle cave di calce. L'organizzazione Intervita Onlus ha scelto di intervenire
in 28 comunità della regione per assicurare l'iscrizione alla scuola materna e
primaria a oltre 5100 bambini tra i 3 e 14 anni e a 300 adolescenti l'accesso a
corsi di formazione professionale, senza tralasciare anche la sensibilizzazione
contro lo sfruttamento del lavoro minorile. Il progetto, che coinvolgerà oltre
19mila persone, realizzato in collaborazione con la Ong italiana Mani Tese e la
ONG indiana ASSIST, impegnate in quest'ambito dal 2001, vuole offrire ai ragazzi
prospettive di vita migliori grazie alla formazione scolastica che permetterà
loro di emanciparsi dallo sfruttamento. Grazie al Sostegno a Distanza promosso
da Intervita Onlus, che assicura supporto economico per fornire assistenza a un
bambino e alla comunità per un tempo prolungato, sarà garantito l'accesso a
quattro Centri diurni (asili) a 170 bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni,
che successivamente passeranno alle scuole elementari. La formazione di 615
bambini lavoratori tra i 5 e i 14 anni avverrà invece in appositi Centri di
Istruzione Non Formale. A 250 bambini tra i più bisognosi sarà inoltre
riservato un centro residenziale, adatto a favorire la crescita e un corretto
sviluppo. Saranno in generale rafforzate le infrastrutture scolastiche nei
cosiddetti anganwadis (pre-scuola), nelle scuole elementari e nelle scuole
secondarie con interventi strutturali, sarà garantita la fornitura di materiale
didattico e ludico e la costruzione delle infrastrutture idriche. Di queste
attività con le scuole beneficeranno circa 5000 bambini. (AP)
L'assassino
pentito di suor Rani: "I cristiani, speranza per l'India" di
Nirmala Carvalho
AsiaNews - Udaya Nagar - 20 aprile 2010
Samandar
Singh si è pentito dopo aver ucciso la religiosa nel 1995. Oggi è un uomo
diverso, che aiuta i tribali e considera la famiglia di suor Rani "la sua
famiglia". Ma conferma il clima di odio anti-cristiano che attraversa
l'India e invita i suoi connazionali a vedere la verità sulla presenza dei
missionari nel Paese.
"Sono
pienamente responsabile dell'omicidio di un'innocente, una religiosa che
voleva soltanto aiutare i più poveri. Mi pentirò di quanto ho fatto per il
resto della mia vita. Non voglio neanche dire di essere stato istigato: sono
state le mie mani a colpire". Lo dice ad AsiaNews Samandar Singh, l'uomo
che il 25 febbraio del 1995 uccise con diverse coltellate suor Rani Maria. La
diocesi di Indore, dove operava la suora, ha concluso l'inchiesta diocesana sul
suo conto: ora è il Vaticano a dover decidere se il suo è stato o meno
martirio per la fede.
In
ogni caso, un primo miracolo suor Rani Maria sembra averlo fatto: il suo
assassino si è pentito ed è entrato nella famiglia della religiosa. Ora, dice,
"cerco nel mio piccolo di seguire il suo esempio, aiutando chi è meno
fortunato di me: i tribali cristiani e tutti coloro che vengono
emarginati". Arrestato subito dopo l'omicidio, l'uomo ha trascorso undici
anni in galera. In questo periodo la moglie ha divorziato da lui e si è
risposata: inoltre, il suo primo figlio è morto.
Mentre
meditava vendetta contro l'uomo che lo aveva spinto a uccidere la suora, ha
ricevuto la visita di suor Selmi Paul, sorella di suor Rani. Questa lo ha
abbracciato e lo ha chiamato fratello; lo stesso hanno fatto la madre e il
fratello della religiosa assassinata. Il gesto ha profondamente colpito
Samandar, che ha iniziato il proprio cambiamento arrivando ad abbandonare ogni
proposito di vendetta e vivere il dolore per l'omicidio.
L'uomo
è uscito di prigione grazie a una petizione in suo favore firmata dalla
famiglia di suor Rani, dalla responsabile delle suore Clarisse e dal vescovo di
Indore. Visto però che la scarcerazione tardava, la delegazione si è recata
dal governatore della zona che gli ha detto: "Soltanto voi cristiani siete
in grado di perdonare veramente. Siete un esempio per tutti: andate, e io farò
tutto il possibile per esaudire le vostre richieste".
Samandar,
uscito di galera, ha iniziato a considerare la famiglia di suor Rani come la
propria: "Visito con regolarità la tomba della religiosa: è un santuario
di pace e forza. Voglio dire a tutti che i cristiani lavorano per fare grande
l'India. I missionari ci danno speranza con il loro servizio, teso a rendere
indipendente e più forte il nostro popolo".
Tuttavia,
egli conferma l'animosità e l'odio animato dalla destra nazionale contro i
cristiani: "Prima di spingermi a uccidere, ho sentito tante falsità
intrise d'odio conto i missionari e i fedeli cristiani. Mi dicevano che
convertivano le persone con l'inganno, e che il loro lavoro fra i poveri era
soltanto una copertura. Ma ora posso dire senza alcun dubbio che i missionari
non fanno altro che lavorare e aiutare i poveri e gli emarginati. Non hanno
alcuno scopo segreto, se non quello di servire Dio".
Per
crisi e guerre niente Tg di Luciano Scalettari
Famiglia
Cristiana - 25 aprile 2010
C'è
un mondo "dimenticato" dai notiziari, è quello dei conflitti e di
alcune malattie. La denuncia di Medici senza Frontiere, nel Rapporto sulle
"Crisi dimenticate 2009".
Le
crisi più dimenticate dalla Tv
Un
misero 6 per cento. Questa la percentuale di notizie dedicate dai sei
telegiornali nazionali alle crisi dimenticate nel 2009. Il rapporto di Medici
senza frontiere – giunto alla 11° edizione (e quest'anno per la prima volta
pubblicato anche in un libro) – mostra dati alla mano che la situazione non è
diversa da quella degli ultimi anni, non solo nella scarsissima visibilità data
dai Tg alle crisi umanitarie e belliche, ma anche nella tendenza all'ulteriore
riduzione di spazi: sostanziale parità con i dati dell'anno scorso (6 per cento anche
nel 2008), tendenza al calo rispetto ai due anni precedenti (nel 2007 si era
arrivati all'8 per cento e nel 2006 al 10 per cento).
Il rapporto di Msf evidenzia anche un altro elemento preoccupante: si accentua
sempre più la tendenza a occuparsi delle crisi quando in qualche modo vi sono
implicazioni italiane oppure internazionali. In altre parole, se si parla molto
di Afghanistan è perché c'è la missione militare italiana (e internazionale)
dispiegata nel Paese, e la gran parte delle notizie non riguarda la crisi
umanitaria o le sofferenze patite dalla popolazione afghana, ma le vicende delle
missioni militari. Oppure, se improvvisamente si verifica un picco di notizie
nei Tg sulla fame nei Paesi poveri è perché si svolge qualche importante
vertice internazionale sul tema.
La ricerca, condotta per conto di Msf dall'Osservatorio di Pavia, ha anche messo
a confronto due notizie di cronaca giudiziaria che nel 2009 hanno avuto risalto
nell'informazione televisiva italiana con alcune delle crisi umanitarie. Ecco il
confronto: al delitto di Perugia sono state dedicate 536 notizie contro le 53
sullo Sri Lanka; un anno di crisi umanitaria in Pakistan ha “meritato” 225
servizi, contro i 585 che hanno visto protagonista la vicenda del delitto di
Garlasco.
Nell'indagine è riportato un'altra serie di raffronti che fa pensare: alle due
stagioni di saldi (invernale ed estiva) i Tg hanno dedicato 122 notizie,
all'emergenza in Repubblica democratica del Congo solo 7; nei tre mesi estivi si
è parlato del caldo (magari con i toni drammatici dell'”emergenza-caldo) per
246 volte, e nemmeno una volta in tutto l'anno delle malattie tropicali
dimenticate, per le quali sono a rischio più di 400 milioni di persone nel
mondo.
Infine, l'influenza suina. Totale notizie in Tv: 1.337. Invece, all'Hiv/Aids
sono state dedicate 77 notizie in tutto il 2009, alla tubercolosi 13, alla
malnutrizione 113, alla malaria 5.
Eppure,
nel Sud del mondo 6 milioni di persone hanno bisogno di farmaci retrovirali per
combattere la sieropositività, la fame uccide da 3,5 a 5 milioni di bambini
ogni anno (1 ogni 6 secondi), la Tbc e la malaria mietono anch'esse milioni di
vittime.
Scheda,
i conflitti dimenticati
Il
Rapporto sulle crisi umanitarie e belliche – come precisa Medici senza
frontiere – segnala le 10 situazioni più gravi, non necessariamente
dimenticate. Spesso però, c'è scritto nello studio, “ve ne sono alcune al
contempo drammatiche e scarsamente rappresentate” dai telegiornali nazionali.
Ecco le “guerre invisibili” di cui tratta il dossier.
REPUBBLICA
DEMOCRATICA DEL CONGO (7 notizie dedicate in tutto il 2009)
È
in corso un lungo conflitto che colpisce soprattutto l'Est del Paese. È uno dei
luoghi al mondo dove avvengono con maggiore frequenza gravi violazioni dei
diritti umani, specialmente verso le donne. La crisi umanitaria congolese,
tragico frutto della guerra, è presente nei rapporti annuali di Msf
praticamente da sempre. E da sempre risulta fra le meno seguite dai Tg.
SRI
LANKA (53 notizie)
Ha
avuto un picco di notizie nei giorni in cui le Tigri Tamil hanno annunciato la
resa. Per il resto non ha trovato praticamente alcuno spazio nei notiziari.
Eppure, nell'ultimo periodo della guerra decine di migliaia di civili sono
rimasti intrappolati negli scontri senza poter ricevere alcun tipo di aiuto o di
assistenza medica.
SOMALIA
(293 notizie)
La
guerra civile dura dal 1991, e nel 2009 le conseguenze umanitarie sono state
particolarmente gravi: sono milioni le persone che avevano (e hanno) urgente
bisogno di assistenza sanitaria. Ma la maggior parte delle notizie trasmesse non
hanno riguardato questo: si sono concentrate sul problema della pirateria al
largo delle coste somale, e in particolare sul sequestro della nave italiana
“Buccaneer”.
PAKISTAN
(225 notizie)
Le
operazioni militari hanno spesso ostacolato l'accesso degli operatori umanitari
alla popolazione. In particolare, la provincia del Belucistan è pressoché
abbandonata a se stessa. I media televisivi italiani, tuttavia, si sono occupati
quasi esclusivamente della cronaca degli attentati e dei resoconti delle
violenze.
SUDAN
(112 notizie)
L'emergenza
dei profughi del Darfur è tutt'altro che risolta. Dal punto di vista mediatico,
però, la sua visibilità è stata “a singhiozzo”. Ha ottenuto attenzione
solo quando è stato emesso l'ordine di arresto per il presidente sudanese El
Bashir da parte della Corte penale internazionale, e quando si verificò il
rapimento di alcuni operatori umanitari di Msf.
YEMEN
(54 notizie)
Nel
Nord del Paese è in corso dall'agosto 2009 una sanguinosa guerra civile fra il
governo e un gruppo amato ribelle (il movimento Al Houti). Gli sfollati sono
centinaia di migliaia, l'8 per cento dei bambini soffre di malnutrizione severa.
Nel contempo, sulle coste yemenite sono arrivate non meno di 1.000 imbarcazioni
portando dalla Somalia 50.000 profughi. Ma di Yemen nei Tg si è parlato solo
per casi di rapimenti di occidentali.
AFGHANISTAN
(1.632 notizie)
La
crisi afghana ha avuto molta visibilità, nei notiziari, unica fra quelle tenute
sotto osservazione dalla ricerca. Ma i focus dell'attenzione mediatica sono
stati la missione militare italiana e quella americana. Quasi nulla è emerso
dai notiziari sulla difficile situazione dei civili e sulle gravi carenze dal
punto di vista medico e sanitario.
Scheda,
le malattie "dimenticate"
L'Osservatorio
di Pavia non ha monitorato solo situazioni di guerre civili e conflitti, ma
anche alcune “malattie dimenticate”. Si tratta di patologie che nel Sud del
mondo causano di gran lunga più vittime di una guerra.
MALATTIE
TROPICALI DIMENTICATE (0 notizie)
Sono
la leishmaniosi viscerale, la malattia del sonno, il morbo di Chagas e
l'ulcera di Buruli. Dimenticate dai telegiornali (nessuna notizia in tutto il
2009), ma tutt'altro che rare: ne sono a rischio 400 milioni di persone. Non vi
sono fondi sufficienti né per la ricerca né per nuovi medicinali.
HIV/AIDS
(77 notizie)
Nei
Paesi ricchi, da quando la malattia è stata considerata
“controllabile”attraverso le nuove, costose generazioni di farmaci, i media
hanno quasi smesso di scriverne. Nel Sud del mondo, però, quei farmaci sono
spesso irraggiungibili: 6 milioni di persone hanno bisogno dei retrovirali. Le
statistiche ogni anno ormai confermano che la quasi totalità delle vittime (che
sono ancora milioni) è nei Paesi poveri.
MALNUTRIZIONE
(116 notizie)
Ne
soffrono 178 milioni di bambini, 20 milioni in forma grave. Le vittime, sempre
fra i più piccoli, per cause dirette o indirette legate alla malnutrizione,
sono fra 3,5 e 5 milioni ogni anno. I Tg, nel 2009, hanno parlato di questa
strage silenziosa quasi esclusivamente in occasione di vertici internazionali,
con brevi picchi di attenzione preceduti e seguiti dal silenzio. Questa
disattenzione dei media si ripercuote sulla disponibilità dei donatori: i fondi
stanziati per ricerca, sviluppo e terapie sono largamente insufficienti.
Msf:
"Adotta una crisi"
“Un’informazione
esaustiva è il primo passo per Medici senza frontiere che da sempre crede nella
testimonianza», spiega Kostas Moschochoritis, direttore generale di Msf Italia.
Perciò quest'anno, oltre alla divulgazione del Rapporto “Crisi dimenticate
2009”, l'organizzazione umanitaria intende cercare di “coinvolgere ancor di
più l’opinione pubblica in tutta Italia per far uscire così dall’oblio le
crisi umanitarie e le persone che le subiscono in tutto il mondo”.
In
due modi. Con la pubblicazione del libro (in uscita in questi giorni) “Le
crisi umanitarie dimenticate dai media 2009” (edizioni Marsilio) e con una
campagna di sensibilizzazione “per stimolare i media e i cittadini
italiani”, come spiega il direttore di Msf, “a porre attenzione sulla vita e
le sofferenze delle popolazioni vittime di guerre, malattie, catastrofi
naturali”.
La
campagna a sua volta prevede due azioni. La prima, denominata "Adotta una
crisi dimenticata", è diretta ai mezzi d'informazione, alle
Università e alle Scuole di giornalismo (col patrocinio della Federazione
Nazionale della Stampa Italiana) con lo scopo di stimolare a dare spazio e
visibilità alle crisi umanitarie. La seconda, “Accendi un riflettore sulle
crisi dimenticate”, è rivolta all’opinione pubblica per attirare
l’attenzione nei modi più diversi, attraverso iniziative concrete, ma anche
in modo virtuale attraverso il sito crisidimenticate.it e Facebook.
Nuovo
portale religioso promosso da Conferenza Episcopale e Rai
Misna
- 23 aprile 2010
"Il
portale segnala l'intenzione della Chiesa italiana per un linguaggio di cui si
avverte il bisogno affinché l'informazione e la comunicazione intorno al fatto
religioso siano tempestive, efficaci, multimediali": lo ha detto monsignor
Domenico Pompili, Sottosegretario e direttore dell'Ufficio nazionale per le
comunicazioni sociali della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) a proposito del
portale www.religionecattolica.rai.it
- online da oggi - promosso da RaiNet in collaborazione con l'Ufficio nazionale
per le comunicazioni sociali della CEI. Il nuovo spazio web multimediale
riguarda le rubriche religiose del palinsesto Rai e l'informazione prodotta
dalle redazioni giornalistiche sugli eventi ecclesiali. Documenti del magistero,
notizie, eventi ecclesiali, iniziative di solidarietà arricchiscono il portale
grazie alla collaborazione con lo staff del sito internet
www.chiesacattolica.it. Il portale tematico fornirà agli utenti di internet un
nuovo spazio multimediale di approfondimento e riflessione dedicato alle
principali espressioni religiose presenti nel nostro paese. "Siamo lieti di
poter sostenere gli obiettivi di comunicazione multimediale della Chiesa
cattolica - ha detto l'amministratore delegato di RaiNet e direttore di 'Rai
Nuovi Media', Piero Gaffuri - attraverso la ricca offerta editoriale di natura
religiosa della Rai. E il web Rai - che registra ogni mese oltre sette milioni
di utenti unici - è il mezzo che maggiormente si presta a un'informazione
completa e puntuale". [PMB]
Educazione
e denuncia ferma: il doppio ruolo pastorale della Chiesa di Salvatore
Giuliano
Avvenire
- 24 aprile 2010
Il
segnale dato con l'iniziativa anti-racket a Reggio Calabria
Ancora
una volta le energie sane della nostra società riescono a dare segnali di
speranza in un Mezzogiorno sfregiato e umiliato dalle forze brutali della mafia
e della camorra. La mobilitazione di Reggio Calabria, promossa alcuni giorni fa
da 'Libera' e da tante altre associazioni, continua a suscitare un plebiscito di
consensi per la denuncia del dramma del racket che non può essere tollerato e
ignorato in un nessun angolo del Meridione. E la Chiesa, in prima linea,
rappresentata dall'arcivescovo Vittorio Mondello e da don Ciotti, ha dato
continuità a un'azione di denuncia e di proposta che ha caratterizzato la sua
azione pastorale nel Sud del nostro Paese. Ci risuonano ancora nella mente e nel
cuore le parole pronunciate con veemenza profetica il 9 maggio del 1993 da
Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi presso Agrigento contro i mafiosi e
coloro che, come loro, spendono la vita in oscure cosche malavitose,
testimoniando l'appassionato anelito che deve sempre muovere la Chiesa verso la
giustizia contro ogni forma di criminalità organizzata. Ma ancora più
eloquente è l'esempio dei sacerdoti martiri come don Pino Puglisi, ucciso dalla
mafia nel 1993 nella sua borgata palermitana di Brancaccio nel giorno del suo 56°
compleanno o don Giuseppe Diana ucciso nel 1994 dai killer che gli spararono
nella sacrestia della sua parrocchia di Casal di Principe o dei tanti sacerdoti
e laici che hanno fecondato il nostro Meridione con il loro sangue e con il loro
esempio di vita radicalmente evangelica.
La Cei, nel suo recente documento 'Per un Paese solidale. Chiesa italiana e
Mezzogiorno', ha senza mezze parole denunciato i "meccanismi perversi e
malsani dell'amministrazione della cosa pubblica" che hanno dato il potere
ai sistemi malavitosi della mafia e della camorra di annidarsi in profondità
nel tessuto sociale sviluppandosi come un "cancro" che produce una
"tessitura malefica che avvolge e schiavizza la dignità della persona,
avvelenando la vita sociale, pervertendo la mente e il cuore dei tanti giovani,
soffocando l'economia e deformando il volto autentico del Sud".
La Chiesa prende sempre più coscienza che la sua opera di denuncia è
essenziale perché le organizzazioni malavitose, mutando tecniche e metodi,
controllano ancora in modo prepotente il nostro Mezzogiorno e nonostante
l'impegno dello Stato, delle forze dell'ordine e della magistratura, siamo
costretti ad assistere al rigenerarsi spaventoso e velocissimo dell'azione
criminale con l'astuzia propria denunciata da Cristo stesso: "I figli delle
tenebre sono più scaltri dei figli della luce" ( Lc
16,8). Oltre ad alzare la voce in segno di dissenso e di denuncia, il ruolo
della Chiesa, come sottolineano i vescovi, deve essere teso a un "preciso
intervento educativo".
Parrocchie, associazioni e movimenti devono sempre più cogliere l'emergenza di
orientare l'educazione delle nuove generazioni comunicando un profondo senso
civico e rifiutando ogni mentalità che possa creare stili mafiosi e
camorristici.
La tentazione di sminuire i fenomeni della camorra, della mafia, della
'ndrangheta e delle altre losche organizzazioni o di non parlare più del
problema, perché ritenuto quasi un male atavico e invincibile, deve cedere a
uno stile di annuncio evangelico. Ogni cristiano, come San Giovanni Battista,
dovrà poter dire ad alta voce il suo "Non ti è lecito!" ( Mc 16,18)
opponendosi a coloro che vivono nell'ingiustizia e contemporaneamente tenendo
l'indice proteso su Cristo che è la vera Via da seguire per rinnovare questo
mondo, il solo che può realmente condurre i nostri passi sulla via della pace.
Immigrazione:
con il "pacchetto sicurezza" negato il diritto alla salute
Misna - 22 aprile 2010
Si
sono nettamente irrigiditi i servizi sociali nei confronti dei migranti, in
particolare di quelli irregolari, da qualche mese bersaglio delle nuove
normative in materia di controllo dell'immigrazione in Italia. Lo ha detto alla
MISNA la dottoressa Lucia Ercoli, responsabile del 'Servizio di medicina
solidale e delle migrazioni' del Policlinico di Tor Vergata, un poliambulatorio
che, presso la parrocchia di Santa Maria Madre del Redentore di Tor Bella
Monaca, propone visite e cure gratuite per stranieri, il 70%extracomunitari.
"Abbiamo registrato un aumento del numero delle richieste perché le Asl
hanno cominciato a rifiutarsi di curare le persone senza documenti
regolari" ha detto la Ercoli, precisando che "i reparti più
sollecitati sono la pediatria, la ginecologia e l'ostetricia: ormai le donne
hanno paura di andare a partorire nelle strutture pubbliche perché potrebbero
essere denunciate. Se ciò avvenisse, avrebbero il permesso di rimanere in
Italia soltanto sei mesi dopo il parto", per poi rischiare l'espulsione e
forse la separazione dal figlio. Circa il 40% delle persone che si rivolgono al
centro del Policlinico proviene dall'Africa (con una maggioranza di nigeriani),
il 40% dall'Europa orientale, molti altri sono nomadi. "Il diritto alla
salute è un diritto di tutti, ma a quanto pare in Italia non viene
rispettato" denuncia il medico, ricordando che la struttura è stata presa
di mira, a Settembre scorso, da manifestanti razzisti e simpatizzanti di varie
formazioni politiche. "C'è un peggioramento della 'cattiveria' degli
italiani nei confronti degli immigrati - ha aggiunto la Ercoli -. Non solo
esiste ancora il mito che lo straniero viene a rubare il lavoro, ma da molti
l'immigrato viene considerato un essere inferiore". Presso un secondo
sportello aperto di recente nel quartiere di Tor Marancia, il personale del
'Servizio di medicina solidale' ha dovuto organizzare distribuzioni di viveri
per far fronte ai bisogni urgenti di centinaia di persone che non beneficiavano
di alcun tipo di servizio sociale. "Povertà e fame - ha detto ancora alla
MISNA la Ercoli - è questa la sorte di centinaia di persone nelle nostre città,
sotto i nostri occhi, ma che leggi restrittive rendono sempre più
invisibili".[CC]
La
Comunione a Berlusconi: è giusto?
Famiglia
Cristiana - 20 aprile 2010
Dopo
le mail di tanti lettori, il teologo don Silvano Sirboni interviene sul tema
della Comunione ai divorziati-risposati.
Durante
i funerali di Raimondo Vianello il premier Silvio Berlusconi ha fatto la
Comunione. Le immagini televisive hanno suscitato le proteste di numerosissimi
lettori che hanno invaso di mail il giornale per chiedere come mai un noto
divorziato risposato possa accedere ai sacramenti. Sull'argomento abbiamo
chiesto il commento del noto teologo e pastoralista don Silvano Sirboni.
Anche
per il gesto compiuto dal presidente del Consiglio vale la regola di linguistica
affermata da De Saussure: il contesto vale più del testo. In altri termini, per
farci un'opinione sulla Comunione eucaristica di Berlusconi bisogna tenere conto
del contesto in cui è stata collocata. Infatti, il gesto in sé ci interessa
relativamente. Sta alla sua coscienza giudicare se avesse o meno le disposizioni
interiori richieste per fare la Comunione (cf canone 916). Non spetta neppure al
sacerdote che distribuisce la Comunione impedire questo gesto, a meno che la
persona in questione non sia scomunicata o interdetta con pubblica sentenza (cf
canone 915).
D'altra
parte sappiamo bene che dal punto di vista formale, cioè secondo
un'interpretazione strettamente giuridica delle norme canoniche che riguardano
la situazione coniugale, al momento gli sarebbe concesso di accostarsi alla
mensa eucaristica. Infatti egli è sì divorziato e in attesa di un secondo
divorzio, ma giuridicamente è al momento un semplice separato e non convivente
(cf Direttorio di pastorale familiare, 212). Ciò che invece ci porta ad avere
qualche dubbio, fino a osare una valutazione di quel gesto, ciò che ci
scandalizza di più come cristiani è il contesto del funerale di Raimondo
Vianello che ha assunto, volute o non volute, le dimensioni dello spettacolo,
con gesti plateali da parte del presidente del Consiglio e anche da parte di
coloro che sono ben consapevoli del "quinto potere", cioè della Tv
che oggi costituisce lo strumento di informazione quasi unico per la stragrande
maggioranza della gente.
La
morte è una cosa seria, come seria è per i credenti la Comunione eucaristica.
Esse non dovrebbero mai essere strumentalizzate a fini propagandistici. Inoltre,
come cristiani, sentiamo un profondo disagio quando personalità investite di
potere approfittano di momenti fondamentali della vita di fede per fare ciò che
fanno in genere fuori della chiesa: dare spettacolo di sé.
Silvano
Sirboni
Convegno
delle Caritas diocesane: aiutare educando a nuovi stili di vita
www.radiovaticana.org
- 28 aprile 2010
Proseguono,
al Palariviera di San Benedetto del Tronto, i lavori del 34.mo Convegno
nazionale delle Caritas diocesane, promosso dalla Caritas Italiana. I
partecipanti riflettono sul tema “Educati alla carità nella verità. Animare
parrocchie e territori attraverso l’accompagnamento educativo”. Da San
Benedetto del Tronto, il servizio della nostra inviata Antonella Palermo:
Il
2009 è stato un anno “nero” per le famiglie italiane. E’ quanto emerge
dall’indagine che le Acli presentano oggi a San Benedetto del Tronto,
realizzata dall’Iref (Istituto di Ricerche Educative e Formative) su un
campione di 1500 famiglie. I dati dicono che solo il 2,2% di queste ritiene di
aver migliorato la propria condizione economica e che il 67,8% è molto
preoccupato dall’idea che nel corso del 2010 un proprio familiare possa
perdere il lavoro. Il 65,4% delle famiglie intervistate pensa che le strutture
territoriali della Caritas debbano continuare a concentrarsi sul dispensare cibo
e vestiti alle famiglie bisognose. Ma è sufficiente restare a questo livello di
aiuti? Mauro Magatti, preside della Facoltà di Sociologia dell’Università
Cattolica di Milano è convinto di no. “Bisogna che la Caritas resti nella
concretezza - ha affermato nella sua relazione di questa mattina - sapendo però
che la materialità non esaurisce il problema. La società odierna – ha detto
- si è concentrata troppo sul ‘fare’, ovvero sul consumare, dimenticandosi
di ‘agire’, di dare cioè una direzione, un senso alla società". Cosa
impariamo dunque dalla crisi?
R.
– La lezione che la crisi ci dà è molto importante: ci dice sostanzialmente
che per quanto sia giusto e fondamentale cercare di sviluppare le nostre capacità
tecnologiche, aumentare i livelli di crescita e di benessere, le cose nel mondo,
le cose tra gli uomini, non riescono a funzionare bene se si dimenticano gli
aspetti che riguardano il senso, il significato e la dimensione spirituale della
vita. La crisi ci dimostra che rischiamo sempre di costruire dei castelli di
carta, che poi improvvisamente crollano e producono molti guai. Io credo che sia
una straordinaria occasione, quella della crisi, per cogliere la sfida che il
tempo ci pone - nell’Enciclica di Benedetto XVI è chiaramente indicata – e
cioè che noi siamo di fronte ad un materialismo di nuova natura e che aiutare
anche materialmente le persone ha senso e ha significato solo all’interno di
un discorso più ampio sulla vita e sul significato della nostra esistenza.
D.
– La parola “educare” è al centro di questo Convegno. Quanto è veramente
necessaria e che cosa vuol dire nel concreto del vissuto quotidiano?
R.
– Credo che voglia dire due cose. La prima, è che ci vuole una nuova
educazione ad un nuovo modello di sviluppo e che se non cambiamo i nostri stili
di vita, se non educhiamo a nuovi stili di vita, i problemi sociali che abbiamo
di fronte agli occhi rischiano di esplodere. Dall’altra parte, la seconda
dimensione, è che dare una mano a chi sta peggio, significa certamente aiutare
dal punto di vista materiale, ma significa in moltissimi casi aiutare in un
percorso educativo a riprendere posto nella società degli uomini e a tornare
capaci di essere utili al mondo che ci circonda, a dare il proprio contributo
alla costruzione di un mondo migliore.
“Siamo
tutti come ‘balene spiaggiate’ in Europa - ha sottolineato ancora il prof.
Magatti. - che ha posto al centro le ragioni per cui è necessario rilanciare la
parola ‘solidarietà’ e il ruolo trainante che la Caritas deve offrire. Il
volontariato non restringe la propria libertà perché il illumina le menti
sulle contraddizioni di questo tempo; il volontariato serve a non nascondere il
lato ‘fallimentare’ della nostra società; ed infine la prossimità a chi ha
bisogno aiuta a ritrovare la giusta definizione del desiderio di infinito che
abita ciascun individuo”. (Montaggio a cura di Maria Brigini)
Una
mobilitazione contro ogni forma di discriminazione e di razzismo
www.paxchristi.it
20 aprile 2010
Fratelli
e sorelle universali nella città conviviale
Nella
mia città nessuno è straniero. Nella mia scuola, nel mio ospedale, nella mia
associazione, nella mia chiesa, in ogni ambiente per noi nessuno è straniero.
Nella nostra terra, in tutti i luoghi di convivenza di cui nessuno è padrone ma
di cui siamo tutti ospiti e che tutti dobbiamo curare in modo responsabile,
nessuno è straniero alla dignità umana.
L'Assemblea
nazionale di Pax Christi, riunita a Triuggio-Milano il 17-18 aprile 2010, dopo
aver ascoltato il saluto del cardinale Carlo M. Martini, la relazione del suo
presidente mons. Giovanni Giudici, la comunicazione di don Roberto Davanzo,
responsabile della Caritas ambrosiana, intende diffondere con forza il messaggio
che ha animato la sua riflessione operativa.
Non
vogliamo vivere in città di non-persone, di non-cittadini. Scegliersi il
cittadino gradito, "scegliersi l'ospite -osservava sant'Ambrogio- è
avvilire l'ospitalità". E' avvilire, quindi noi stessi. E' oscurare la
gloria di Dio che risplende sul volto di ogni persona.
Viviamo
un momento di rottura costituzionale. Dovere civico degli operatori di pace e di
tutti è arrestare e prevenire una deriva etica e politica devastante, vigilare
sull'erosione delle regole democratiche, sullo svuotamento delle istituzioni,
sull'unità del nostro paese, sull'aggressione alle coscienze civili, sui rischi
di assuefazione al degrado, sul linguaggio aggressivo e volgare.
"In
una società multietnica che sempre più sperimenta forme di solitudine e di
indifferenza preoccupanti, i cristiani devono imparare a offrire segni di
speranza e a divenire fratelli universali, coltivando i grandi ideali che
trasformano la storia e, senza false illusioni o inutili paure, impegnarsi a
rendere il pianeta la casa di tutti i popoli" (messaggio di Benedetto XVI
per la Giornata missionaria mondiale 2010)
Il
Pontificio Consiglio dei Migranti invita a una mobilitazione credente per
"combattere pubblicamente la discriminazione, la xenofobia e il
razzismo", per "neutralizzare le paure razziali e culturali, il
sospetto e la diffidenza" (documento 18 gennaio 2010).
Il
21 febbraio scorso la Conferenza episcopale italiana ha pubblicato un importante
documento centrato sulla democrazia e sull'unità dell'Italia (intitolato
"Per un paese solidale") orientato alla riscoperta della virtù della
speranza per un cambiamento profondo della realtà italiana. Il cardinale
Tettamanzi, capo di una diocesi impegnata sui temi del dialogo conviviale e
della qualità della politica, nell'aprire il Convegno della Chiesa italiana
(ottobre 2006), osservava che il cristiano più che parlare di speranza, deve
parlare con speranza e vivere la speranza.
Nella
città si gioca il futuro della famiglia umana, si elabora l'alfabeto sociale
del nuovo secolo, si impara la grammatica elementare della convivenza. Riteniamo
necessario affrontare ampiamente tale tematica alla prossima Settimana Sociale
dei cattolici italiani che si terrà a Reggio Calabria nell'ottobre 2010.
Vogliamo vivere come figli di Dio e dell'unica famiglia umana da lui sognata e
amata.
In
una città conviviale nelle sue differenze, nella città come bene comune, la
sicurezza può essere solo comune, costruita assieme nel conoscersi e nel
riconoscersi; con normative rispettose della persona; con una legislazione
democratica plasmata dalla Costituzione italiana e dalla Dichiarazione
universale dei diritti umani, quindi affermando il diritto a una cittadinanza
umana, il diritto di voto e il diritto d'asilo; promuovendo diritti universali
come l'acqua e ambienti denuclearizzati; sostenendo esperienze politiche e
sociali come i comitati Dossetti, Libera, la Tavola della pace, l'Osservatorio
Migranti; accompagnando buone pratiche sociali, esperienze di convivenza,
percorsi formativi, eventi artistici, spazi di contemplazione e di festa.
E'
importante ribadire l'importanza di un linguaggio pulito e gentile, e di uno
stile di vita semplice e sobrio, nutrito di mitezza, di fiducia, di passione e
di tenerezza.
Disarmo
per noi è anche costruire città disarmate dalle violenze, dalle
discriminazioni, dai pregiudizi, dalle paure, dalle solitudini. Solo così
possiamo essere sicuri e sereni.
Il
nostro Tonino Bello, vent'uno anni fa, il 30 aprile 1989 a Verona, ha lanciato
l'idea della pace come movimento trinitario e l'appello "in piedi
costruttori di pace!" che risuona caro e intenso nel nostro cuore:
"invocheremo lo Spirito Santo. Non solo perché rinnovi il volto della
terra. Ma perché faccia un rogo di tutte le nostre paure".
Assemblea
Nazionale di Pax Christi
Milano-Triuggio,
20 aprile 2010 (anniversario della morte di don Tonino Bello)
Ministro
difesa, occupazione territori palestinesi deve cessare
Misna
- 19aprile 2010
"L'occupazione
deve finire. Israele deve capire che il mondo non accetterà per decenni che le
autorità di Tel Aviv governino la vita dei palestinesi": lo ha detto in
un'intervista radiofonica dai toni insolitamente franchi, il ministro della
Difesa Ehud Barak, che ha parlato di "crescente delusione" da parte
degli Stati Uniti per l'impasse in cui sono precipitati i tentativi
dell'amministrazione americana di rilanciare il processo di pace. "Che ci
piaccia o no non ci sono altre soluzioni che lasciare che i palestinesi si
governino da soli" ha detto Barak, secondo cui "la soluzione va
trovata in un'iniziativa diplomatica "che non tema di affrontare i veri
nodi della questione" e ricordando che "seppure sia militarmente
forte, Israele necessita della legittimità internazionale per governare".
Entrato con il suo partito laburista - da molti considerato l'unico movimento
'moderato' in seno all'esecutivo - nell'attuale coalizione di governo di
Benjamin Netanyahu, Barak è tuttavia oggetto di aspre critiche da parte di chi
gli rimprovera di non aver fatto pressioni sul primo ministro e i suoi 'falchi',
chiedendo di congelare la costruzione degli insediamenti nei territori
palestinesi occupati su cui si è infranta la mediazione di Washington.[AdL]
Germania
d'Arabia di Eugenio Fatigante
Avvenire
- 21 aprile 2010
L'Oman
volto dell'islam moderno tra tolleranza e svolta economica
La
chiamano 'la Germania d'Arabia' e capisci subito perché. Tu dici 'sultanato
dell'Oman' e, nell'immaginario collettivo, si pensa a profumi d'incenso e colori
da ' Mille e una notte', come normale nella leggendaria terra di Sinbad il
marinaio. Poi arrivi all'aeroporto di Muscat, o Mascate, e trovi ad accoglierti,
lungo gli ampi viali che ti portano in città, curatissimi praticelli verdi e
ordinate aiuole con fiori di ogni colore. Possibile? Sì, siamo sempre in terra
d'Arabia ma, come mostra la prima immagine di Muscat, di questa penisola l'Oman
è la parte che più si è spinta avanti in un compromesso che sembra riuscito.
"Questo stato è la dimostrazione che l'Islam può essere conciliabile con
la modernità, il rispetto della tradizione islamica non è incompatibile con i
concetti di tolleranza e apertura" che, spiega Cesare Capitani,
ambasciatore qui da oltre due anni, "includono anche l'aspetto
religioso" (qui ci sono 4 chiese cattoliche). "Lo straniero è
benvenuto, non abbiamo preclusioni " , conferma il segretario generale del
ministero degli Esteri, Sayyd Badr. Per intenderci: nella terra di Sinbad non
trovi la 'scopiazzatura' degli stili di vita dell'Occidente come a Dubai, fra
mega-grattacieli e piste da sci artificiali (e anche altro), ma nemmeno quella
'cappa' che si respira in Arabia Saudita o la pura tradizione che avverti nel
vicino Yemen. Sia chiaro: nel suq di Mutrah e nelle vie lungo il porto è facile
imbattersi in persone che indossano gli abiti tradizionali, bianco per gli
uomini con il kanjhar (il pugnale ricurvo in fodero d'argento lavorato) e nero
per le donne. Il panorama fa risaltare, sulla corona di montagne rocciose che
circonda la città, moschee dalla cupole blu o dorate e caseggiati mai troppo
alti, tutti coi caratteristici muri bianchi, con l'unica variazione cromatica di
un giallo morbido.
Non bisogna dimenticare le persone disabili nei paesi in via di sviluppo...
nuova
ricerca sulle condizioni di vita dei disabili del paese
Agenzia
Fides - Dakar - 20 aprile 2010
"Le
persone con disabilità devono essere tutelate nei programmi di sviluppo della
Sierra Leone e nei progetti relativi alla riduzione della povertà", è
quanto si legge in una nuova ricerca, della ong inglese Leonard Cheshire
Disability (LCD), sulle condizioni di vita dei disabili del paese. Se negli anni
della guerra civile, che ha colpito la Sierra Leone tra il 1991 e il 2002,
grande attenzione era stata prestata alle persone rimaste disabili, adesso non
ci sono dati aggiornati riguardo ad eventuali cambiamenti. La Sierra Leone è
uno dei paesi più poveri del mondo e, otto anni dopo la guerra, le condizioni
di vita rimangono molto difficili per molti. Le persone disabili hanno un
accesso limitato all'istruzione, alle cure sanitarie e al lavoro rispetto a
quelle non disabili. Il 16,4% dei disabili non ha accesso alla sanità, oltre il
doppio rispetto ai non disabili che sono il 7.1%. Solo circa l' 1.5% delle
persone colpite da disabilità gravi ricevono assistenza sociale e benefits,
rispetto al 12,4% di quelle sane e il 14,3% di quelle che hanno disabilità
minime.
Dalla
ricerca emerge anche che i disabili sono più facilmente soggetti a violenze ed
abusi psicologici. Le persone colpite dalla polio che vivono nella capitale
Freetown non vogliono trattamenti speciali, chiedono semplicemente gli stessi
servizi di base e i diritti di qualsiasi altro cittadino. "Siamo esseri
umani" ha dichiarato il segretario generale dell'House of Jesus, una
associazione per le persone disabili del centro di Freetown. "E siamo parte
di questo paese nel quale abbiamo anche noi un ruolo da giocare, nonostante le
nostre deformità". Lo studio del LCD è stato fatto nelle zone urbane e
limitrofe nei mesi di giugno e luglio 2009, e i risultati non possono
rappresentare l'intero paese. L'organizzazione ha in programma di allargare la
ricerca alle zone rurali del paese. Nel mese di luglio 2009, il Governo della
Sierra Leone ha sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti
delle Persone Disabili e sta attualmente lavorando su una legge nazionale che la
garantisca. (AP)
Lo
Sri Lanka attende di essere il "miracolo dell'Asia" di Sarath
Fernando
AsiaNews - Colombo - 22 aprile 2010
All'indomani
delle elezioni politiche, dominate dal partito di governo, un importante
analista politico parla del presente e del futuro del Paese. Perché possa
davvero diventare "un miracolo".
Sarath
Fernando, noto analista politico e Moderatore delle Riforme per Territori e
agricoltura, valuta le elezioni politiche dell'8 aprile. Il voto ha visto la
vittoria del partito United People Freedom Alliance che sostiene il presidente
Mahinda Rajapaksa, già vincitore delle precedenti elezioni presidenziali, che
ha avuto 4.846.388 voti e 144 seggi su 225, rispetto allo United National Front
con 2.357.057 voti e 60 seggi. Ieri il nuovo parlamento si è insediato e ha
eletto portavoce Chamal Rajapaksa, fratello minore del presidente.
Alcuni aspetti speciali [di queste elezioni] sono ben visibili. La percentuale
dei votanti è stata molto inferiore rispetto a precedenti elezioni. Forse perché
la gente si aspettava molto poco da queste elezioni. Ognuno sapeva che il
governo uscente avrebbe vinto con ampia maggioranza. Nella campagna elettorale
non erano state in discussione questioni fondamentali.
Invece,
merita di essere notato il radicale cambiamento avvenuto in pochi decenni
nell'intero sistema politico del Paese. Nello Sri Lanka dagli anni '40 sono
state operate, con il sistema del suffragio universale, molte riforme sociali a
favore dei settori sociali più bisognosi, con campagne promosse dalla sinistra,
che allora era molto più forte. In questo modo il Paese ha adottato
l'istruzione gratuita, l'assistenza sanitaria gratuita, una politica di
interventi pubblici per tutelare i poveri con prezzi bassi per gli alimentari
(con un sussidio di riso e prezzi controllati per gli alimenti essenziali e
altri servizi) e anche una serie di interventi del governo a tutela degli
interessi della popolazione contro lo sfruttamento degli imprenditori. In questo
modo l'intervento del governo è diventato maggiore e l'espansione del capitale
privato è stato in parte impedito dalle politiche governative.
Questa
politica dell'intervento organizzato di popolazione, lavoratori, agricoltori,
consumatori, costituì il modello per le riforme del sistema del welfare.
Queste riforme contribuirono a rafforzare la democrazia. Queste vittoria
crearono anche grandi aspettative tra i giovani. Le ribellioni armate promosse
dai giovani, sia nel sud (nel 1971 e nel 1988) che nel nord (dal 1976 e 1983)
del Paese, furono soppresse con violenza dal governo, che rafforzò il suo
potere militare e le leggi come la Prevenzione di atti terroristi.
Da
allora i governi hanno utilizzato il potere politico per sopprimere i diritti
della popolazione e l'intervento politico delle classi lavoratrici. Fu data
priorità al settore privato, i cui interessi furono privilegiati nella politica
dei governi.
Tra
i partiti politici emerse la tendenza a promettere altre riforme a favore dei
poveri durante le campagne elettorali, ma a dimenticarsene dopo essere stati
eletti. Così è successo dopo l'elezione di Chandrika Kumarathunga nel 1994 e
di Mahinda Rajapakse nel 2005.
Queste
elezioni dimostrarono anche che per raggiungere il potere non erano necessarie
simili promesse false. I capitalisti privati avevano già abbastanza fiducia [in
tali candidati] per sapere che non sarebbero andati contro gli interessi del
capitalismo. La promessa di Mahinda di rendere il Paese "il miracolo
dell'Asia" crea allarme per le sue implicazioni. Significa invitare le
compagnie estere a venire e sfruttare lavoro a basso costo e le risorse naturali
per loro esclusivo profitto. In pratica, da 30 anni abbiamo visto sfruttare i
poveri a vantaggio dei ricchi, piuttosto che ridurre la povertà.
La
situazione attuale è che chi viene eletto deve avere sufficiente forza
economica e conoscenze. I leader politici più corrotti sono i candidati
che hanno più probabilità di essere eletti, come Duminda Silva, Thilanga
Sumathipala e altri. Oppure anche i politici trasformisti come Jonstan Fernando
che è andato da una parte all'altra e ha avuto molti voti di preferenza.
Il
popolo deve sviluppare la propria strategia e formulare una propria politica,
anche senza pretendere di avere candidati eletti. Questo può essere fatto dalle
organizzazioni di lavoratori, contadini, pescatori, donne, giovani e altri.
Questi possono diventare un'alleanza.
E'
possibile, se vediamo come la gente si è opposta ai potenti locali e stranieri,
contro la privatizzazione di imprese statali. Ora la sanità è stata
privatizzata in gran parte. E i poveri non hanno accesso ai servizi sanitari. I
costi per medicine, dottori e cure sono troppo alti per i poveri.
Allo
stesso modo, l'istruzione è ora qualcosa che occorre comprare, dalle scuole
primarie fino ai livelli superiori. Circa 100mila studenti qualificati non
possono entrare in università per mancanza di posti. Ci dovrebbero essere
impieghi alternativi per le loro capacità. Utilizzare le loro capacità
renderebbe lo Sri Lanka il miracolo dell'Asia, non quale competizione con i
Paesi ricchi, ma quale possibilità per i meno ricchi di sfruttare le loro
capacità potenziali a trasformare la natura e sfruttare risorse rigenerabili.
Occorre una nuova visione politica. I politici devono avere questa
visione".
(Ha collaborato Melani Manel Perera)
Bangkok
è a un passo dalla guerra civile di Stefano Vecchia
Avvenire - 22 aprile 2010
Molotov
e scontri tra Camicie rosse e filo-governativi
La
giornata era iniziata in un clima di relativa calma. Ma in una città ormai
pronta allo scontro e sotto assedio. Camicie rosse da una parte, gruppi
filo-governativi dall'altra. E la polizia ad evitare che la protesta degeneri.
In serata anche l'apparente tranquillità in cui vive Bangkok si è frantumata.
Con scontri fra le parti, favoriti anche dalla notizia che non ci sarà alcuna
trattativa tra le Camicie rosse e il governo thailandese: la doccia fredda è
arrivata da uno dei leader dei manifestanti sostenitori del magnate Thaksin
Shinawatra, che da tre settimane occupano il quartiere dei negozi di lusso e
quello finanziario della capitale. Nonostante l'iniziale apertura di uno
spiraglio di tregua, dopo l'offerta del premier, Abhisit Vejjajiva, di
"sedersi a discutere delle condizioni per convocare le elezioni ", uno
dei leader delle camicie rosse, Jatuporn Prompan, ha detto che "è
impossibile aprire un negoziato tra i killer e coloro che sono stati
uccisi". Negli scontri del 10 aprile ci furono 25 morti e più di 800
feriti. L'esercito, infatti, è pronto a un intervento armato entro domenica per
far sgombrare i manifestanti e da lunedì scorso sta ammassando i suoi uomini
intorno al quartiere di Silom Road. Nel frattempo, i manifestanti hanno blindato
il loro quartier generale nei pressi di un ponte della città con staccionate e
gomme di auto. Washington è tornata ieri ad appellarsi alle parti affinché
risolvano "pacificamente" la crisi.
I precedenti colloqui tra Abhisit e i capi delle Camicie rosse, svoltisi in
marzo, erano falliti per il rifiuto dell'offerta del premier di sciogliere il
Parlamento entro nove mesi. Ora i manifestanti puntano a ottenere un impegno ad
andare alle urne entro tre mesi. "Il governo si sta preparando per una
brutale repressione, per favore la smetta di trovare un motivo per uccidere
gente innocente", ha detto uno dei leader lasciando quasi presagire foschi
e drammatici scenari "da guerra civile". D'altronde dopo il no al
dialogo anche la calma surreale si è frantumata. Da una parte gli uomini e
donne del Fronte unito per la democrazia contro la dittatura (Udd), le Camicie
rosse, che ormai dal 7 aprile tengono manifestazioni che il governo ha messo
fuorilegge. Dall'altra gruppi di cittadini che si sono uniti in manifestazioni
spontanee per difendere il governo e la stabilità del Paese.
Ieri il Centro governativo per la soluzione delle situazioni d'emergenza ha dato
istruzione alla polizia dei distaccamenti presso il raduno dell'Udd di impedire
alle persone di entrare nell'area e unirsi alla protesta. Chiunque si unisca
alle Camicie rosse rischia due anni di carcere.
Ieri, comunque, la piccola manifestazione (dei filo-governativi) in Silom Road
è andata ingrossandosi con l'adesione di commercianti e dipendenti che lavorano
nella strada, fino a contare 700800 persone. Con il calare del buio si è via
via spostata verso le barriere delle Camicie rosse fino a rischiare lo scontro.
Un nutrito schieramento di sostenitori di Thaksin Shinawatra, e centinaia di
"no-colour" filo-governativi hanno infatti cominciato a bersagliarsi
con lancio di bottiglie e altri oggetti, anche con l'impiego di fionde. I due
fronti erano divisi soltanto da una cinquantina di metri, separati da una strada
su cui continua a scorrere il traffico. Gli incidenti si sono verificati davanti
all'hotel Dusit Thani. I rossi hanno anche lanciato una molotov che però non ha
raggiunto l'altro schieramento ed è esplosa nella strada che separa i due
gruppi. Il lancio di oggetti, riferiscono testimoni oculari, ha provocato il
ferimento in modo lieve di due, tre persone. È poi arrivato un reparto di un
centinaio di poliziotti che si sono frapposti tra i due gruppi impedendo ai
manifestanti filo-governativi di raggiungere la barricata dall'altra parte della
strada dietro la quale sono raggruppati i rossi.
Dalle
ferrovie all'energia, un nuovo "piano di sviluppo"
Misna
- 20 aprile 2010
Infrastrutture
e risorse umane, strade e scuole, energia e sanità: sono i settori chiave sui
quali promette di intervenire il "Piano di sviluppo nazionale", un
progetto governativo di durata quinquennale e del valore di 54.000 miliardi di
scellini, circa 18 miliardi e mezzo di euro. Il "Piano" è stato
presentato ieri a Kampala dal presidente Yoweri Museveni, secondo il quale
"bisogna lasciare ai privati la guida della crescita mentre il governo
dovrebbe creare l'atmosfera adatta". Il progetto prevede che entro il 2015
il Prodotto interno lordo (Pil) annuo pro capite aumenti da un milione a un
milione e 800.000 scellini (da 375 a 668 euro), facendo dell'Uganda un paese
"industrializzato" e a "reddito medio". Secondo i quotidiani
"New Vision" e "Monitor", i più diffusi a Kampala, nella
strategia del governo gli investimenti nelle infrastrutture hanno un ruolo
centrale. Ieri, Museveni ha sottolineato che in ogni distretto sarà creato
organismo responsabile dell'ampliamento delle reti viarie. Tra gli impegni
menzionati nel "Piano" ci sono la creazione di un servizio di autobus
veloci a Kampala, lo sviluppo delle ferrovie e del trasporto su acqua nel Lago
Vittoria, nonché la costruzione di una raffineria e di un oleodotto che
colleghi alla capitale i giacimenti della regione orientale di Eldoret. Nelle
intenzioni del governo la copertura dei costi dovrà essere garantita in parte
dalle entrate derivanti dall'esportazione di petrolio; di recente, ha ricordato
Museveni, nell'ovest dell'Uganda sono state scoperte riserve di greggio per due
miliardi di barili. Le linee guida del "Piano" sono state giudicate
con favore da alcuni organismi e gruppi di lavoro panafricani. Adebayo Adedeji,
presidente dell'"Africa Peer Review Mechanism", ha messo in guardia da
promesse azzardate e operazioni propagandistiche ma ha anche detto che "un
paese senza un progetto è destinato a morire". [VG]
E'
"illegale" per i cristiani anche festeggiare un compleanno
AsiaNews
- Tashkent - 23 aprile 2010
In
alcune zone dell'Uzbekistan ogni incontro di cristiani è considerato illecito,
persino fare festa insieme o tenere una mensa per poveri. Giudici e polizia
perseguono i cristiani con sequestri e multe esose anche solo per avere pregato
insieme. Lo permette una legge che vieta tutto quanto non è autorizzato.
Incursioni
della polizia durante gli incontri di preghiera, minacce, multe onerose,
confisca e distruzione di materiale religioso e persino dei testi religiosi. In
molte regioni dell'Uzbekistan continua la persecuzione sistematica di polizia e
autorità contro i cristiani, "colpevoli" di riunirsi in case private
per pregare insieme: al punto che persino una festa di compleanno è considerata
una "riunione illegale".
La
persecuzione è sempre maggiore nella regione nordoccidentale del
Karakalpakstan. L'agenzia Forum 18 riporta che l'8 aprile a Nukus, capoluogo del
Karakalpakstan, la polizia ha interrogato il protestante Aimurat Khayburahmanov
e gli ha chiesto di firmare una dichiarazione che non si riunisce con altri
cristiani e che non ha libri cristiani a casa. Al suo rifiuto, è stato
minacciato di essere processato se compie tali fatti. Khayburahmanov
è stato già stato 3 mesi in carcere per avere "insegnato religione senza
permesso" ed è uscito grazie a un'amnistia nel settembre 2008. Fonti
locali riportano che numerosi cristiani sono stati minacciati in modo simile in
forza dell'art. 244-3 del Codice Penale, che punisce con il carcere fino a 3
anni la "produzione illegale, il possesso, l'importazione e la
distribuzione di letteratura religiosa". Essi denunciano che la polizia
opera una ricerca capillare di letterature religiosa, che appena la trova
denuncia il possessore, che talvolta la polizia ha portato libri religiosi nelle
case dei fedeli cristiani e li ha denunciati per il loro possesso". I libri
religiosi sono poi confiscati e bruciati.
Nella
regione è esercitata una speciale sorveglianza sugli studenti, ai quali viene
intimato di non coinvolgersi con "religioni estranee [alla nostra
tradizione] e influenze estremiste e culture di massa di basso livello".
Chi lo fa, rischia l'espulsione dalla scuola e può venire applicato l'art. 240
parte 2 del Codice amministrativo, che proibisce di "attirare i credenti in
una confessione verso un'altra (proselitismo) e altre attività
missionarie". Per il 2010 sono previsti vari incontri con i giovani, per
spiegare loro il cattivo influsso di religioni straniere.
I
cristiani sono colpiti persino se organizzano partite di calcio o di
pallacanestro o qualsiasi altro evento di massa o attività sociale. Il 10
aprile la polizia ha interrotto una riunione di giovani protestanti, nel
villaggio di Baraj, distretto Bostanlik, Tashkent. All'arrivo della polizia
molti giovani giocavano a calcio o a pallacanestro. Gli agenti hanno portato in
caserma 43 partecipanti e organizzatori, prendendo loro fotografie e impronte
digitali. Molti di loro, come Aleksandr Lokshev, sono stati puniti per avere
tenuto eventi di massa non autorizzati e per avere svolto attività religiosa.
Il
pomeriggio del 12 aprile la polizia ha ispezionato i locali della Chiesa
protestante Vita Eterna a Tahskent, distretto Yakkasarai, dove i fedeli hanno
una mensa per poveri senzatetto. I presenti sono stati interrogati, il pastore e
altri sono stati portati al comando e denunciati per avere tenuto attività
"non conformi al loro statuto" approvato.
In
pratica, è possibile punire qualsiasi riunione dei fedeli. Sempre a Tashkent,
distretto di Surgeli, 10 pentecostali sono stati denunciati il 10 marzo per
riunione illegale, per essere riuniti a festeggiare un compleanno. I 10 - 8 dei
quali sono pensionati - sono stati condannati a multe pari a circa 100 volte il
salario medio mensile.
La
sfilata dei bambini soldato
Repubblica - 20 aprile 2010
Lo Zimbabwe festeggia i trent'anni di indipendenza dalla Gran Bretagna. Per l'occasione bambini soldato con finti fucili hanno sfilato nello stadio di Harare, la capitale del paese. Durante la cerimonia il presidente Robert Mugabe ha lanciato un inaspettato appello per la cessazione delle violenze a sfondo politico e razziale nel paese.
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