E si mette a dormire
un giorno d'autunno sul monte La Meta

 

L'aria è pungente al mattino presto, il sole illumina senza scaldare e nuvole grigie sono alle prese con i primi contrafforti appenninici. Un verdisimo bosco di abeti ed una spoglia faggeta si fronteggiano ai due versanti del sentiero. In mezzo ci siamo noi.

Camminiamo tranquilli, guardandoci intorno, cercando di intuire lo svolgimento del percorso. 

Gli abeti ci hanno lasciato da un pò quando il panorama si apre: una bella radura di color smeraldo contrasta nettamente con gli scheletri arborei dei faggi che la circondano; in alto la nostra
Meta, spoglia, selvaggia, brilla alla luce nel biancore delle sue pietraie.
Attraversiamo in silenzio il verde tappeto, rapiti da chissà quali pensieri. Siamo avvolti dalla freschezza dell'aria, respiriamo il profumo dell'erba, ci culliamo nelle carezze del vento in un ambiente fuso ormai con i nostri corpi.

Intanto le cime lontane hanno perso la loro battaglia e in un attimo il grigio si impadronisce del cielo.
Usciti dall'ultimo boschetto la sensazione è di quelle forti: la radura poco prima smeraldina è diventata scura e cupa, alle nostre spalle un intreccio di rami spogli, mentre davanti, la pietraia che
prima brillava riempie ora di grigio tutto il vallone. E' un tutt'uno di nubi e di pietre, di fumi e di rocce fin sotto la cima, nascosta ormai allo sguardo: soltanto la sua ombra, dietro ai vapori, sembra
scrutare il nostro cammino. Sembra severa, minacciosa, quasi avesse architettato lei tutto questo per restare da sola nel suo silenzio.

Ma ecco che accade qualcosa, il vento si ferma, e insieme al freddo si diffonde un silenzio irreale. Un fiocco, poi un altro e un altro ancora, milioni di candidi fiocchi scendono lenti e inarrestabili. In un istante è magia. Nulla resiste al bianchissimo abbraccio, nulla pare reagire. Restiamo immobili, affascinati, felici, e per diversi minuti lasciamo che la neve abbracci anche noi. Sappiamo che questo non è il nostro posto ma vorremmo restare, vorremmo indugiare e lasciarci coprire dal soffice velo.

Più volte, scendendo, ci fermiamo a guardare, più volte sorridiamo nel cuore, quasi a prolungare il silenzio irreale per continuare a far parte di questa magia.
Con un velo di malinconia salutiamo la montagna, ringraziandola per averci permesso di assistere ad uno dei suoi spettacoli migliori: quello che si ripete negli anni, quando, stanca di mille fatiche, si avvolge nelle sue bianche lenzuola e si mette a dormire.

Dodo

 

 

 

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