Arte e storia  

          

Storia di Fener

Fonte:

"ALANO la memoria e l'immagine di una Comunità"

Comune di Alano di Piave

 

prime notizie

1400-1500: GLI ANNI DEllA GRANDE ATTESA

1600: IL SECOLO DI GREGoRIO BARBARIGO

1700 - "UNA PALESE DECADENZA DELIA VITA CRISTIANA"

1800 - LA GRANDE CRISI

1900

 

prime notizie

Le prime notizie riguardanti Fener ci prevengono da un atto di donazione che risale al 983 dopo Cristo: il vescovo di Vicenza, Rodolfo, dona al monastero   dei santi Vito e Modesto di Vicenza varie proprietà, tra cui "un casale in Fonzase, un casale in Fulinario et uno in Secusino". Giacinto Franzoia

L'identificazione di "Fulinarium" (luogo caratterizzato dalla presenza di "folli" per la lavorazione della lana, dal latino "fullare" con "Fener" è, come sostengono studiosi autorevoli, linguisticamente fondata.

Ritroviamo il toponimo "Fulinario" in un altro atto, sottoscritto il 12 settembre 1168 da papa Alessandro III°, che conferma detti beni al monastero trevigiano dei santi Felice e Fortunato.

Quasi sei anni dopo, l'11 febbraio 1174, lo stesso papa, confermando i possedimenti e i privilegi dei canonici di Treviso, accenna ancora a Fener, chiamandolo però, questa volta, "Fenario".

Non dobbiamo stupirci di questo scarso rispetto per la toponomastica da parte di un uomo di grande cultura come Alessandro III.   In quegli anni terribili egli è preso da ben altre preoccupazioni: sta organizzando la lotta dei Comuni lombardi contro Federico Barbarossa, lotta che si concluderà nel 1176 a Legnano con la sconfitta dell'imperatore tedesco e con l'affermazione dell'autonomia della Chiesa e delle libertà comunali.

Fener balza agli onori delle antiche cronache anche nel 1283.   In quell'anno, Gherardo Da Camino, divenuto capitano generale di Treviso, decide di annientare i Da Castelli, suoi irriducibili nemici, che dalle loro rocche di Asolo, Cornuda e Muliparte controllano vasti territori della Marca trevigiana,   tra i quali Fener e Campo (nel contempo Alano, con Pederobba, è soggetto   alla signoria dei Da- Alano Magnavacca e Colmirano dipende dall'omonima famiglia, i Da Comirano).

Narra lo storico trevigiano Giovanni Bonifacio nella sua "Storia di Trevigi" che Gherardo Da Camino " fece distruggere Cavaso, Cornuta, Castelcesio, Scaggiasorgo e le   fortezze delle ville di Campo, di Comirano e di Fenero ..."

Dunque, anche Fener aveva un proprio castello.   La cosa non deve affatto meravigliare, dati i tempi: "... a Fenero, a     Quero... e in moltissimi altri villaggi ne esistevano di cui non rimane più traccia ".

Nel 1339 la Serenissima annette Treviso.   Abolisce i quattro antichi quartieri (il Duomo, la Riva, il Mezzo, l'Oltrecagnan) in cui il territorio trevigiano era suddiviso e vi introduce una nuova ripartizione amministrativa.   Nascono così le Podesterie, che Venezia controlla direttamente attraverso i podestà, scelti   di anno in anno tra i membri del patriziato.   La Podesteria di Treviso viene, a sua volta, divisa in quattro parti: la Mestrina, la Campagna, la Zosagna, il quartiere d'Oltrepiave e di qua del Piave. A quest'ultimo è annessa la Pieve di Quero, circoscrizione amministrativa che ricalca quella religiosa, nata da secoli, col diffondersi del Cristianesimo nelle      campagne, e che comprende sette comunità rurali o "Regole": Quero, Alano, Fener, Campo, Colmirano, Vas e Segusino.

Sorta, dunque, come organizzazione territoriale ecclesiastica, la Pieve di   Quero ne conserva nel corso dei secoli estensione e confini.   Essa costituisce dal punto di vista geografico una strana propaggine della Diocesi di Padova, che si incunea tra le Diocesi di Treviso, Ceneda, Feltre e Belluno.   La cosa   trova giustificazione storica nella donazione dei territori pedemontani del      versante trevigiano del Grappa fatta nel X° secolo da   re Berengario al vescovo di Padova Silibone, successivamente confermata da re Rodolfo.

Fino dai tempi più remoti, Quero mantiene nell'ambito della Pieve una posizione preminente.      Esso è sede ab antiquo della "chiesa matrice", l'unica, per vari secoli, a disporre di un battistero, a cui tutti i fedeli della Pieve devono fare ricorso. Col decorrere del tempo, Quero vede aumentare la sua importanza strategica, esso diventa sede di un presidio militare stabile. Ma ogni Regola gode di ampia autonomia amministrativa nell'ambito della Pieve.   Ognuna elegge il suo "meriga", cioè il capo del paese, che convoca e presiede l'assemblea dei capi famiglia     e al quale sono riservate mansioni in prevalenza sgradevoli o pericolose, come l'imposizione ai regolieri di tributi.          Merighi di Fener nel 1300, di cui si sono occupate le cronache del tempo e i cui nomi sono giunti fino a noi: Bartolomeo Morosini, Zanetto, Aldigerio di Parisio, Scoto, Pietro di Francesco, Giacomino, Giovanni di Francesco, Pietro di Francesco.

Nulla sappiamo invece dei primi rettori della chiesa di san Michele , una chiesa la cui origine non è attestata da alcun documento a noi pervenuto. L'unica cosa certa è che essa è dedicata a san Michele Arcangelo, il cui culto, affermatosi in oriente agli albori del Cristianesimo, si è poi diffuso nel mondo occidentale per opera dei bizantini.

Ma sono i longobardi, in seguito alla loro conversione al Cattolicesimo   che riconoscono in san       Michele il patrono delle loro truppe e costruiscono nelle campagne delle penisola molte chiese a lui dedicate. Tra queste, con tutta probabilità, quella di Fener.   Che però rimane avvolta nel silenzio per secoli.   Essa non appare nemmeno nell'elenco delle chiese obbligate a versare la decima papale istituita nel 1297 da Bonifacio VIII.

La troviamo citata per la prima volta il 13 ottobre 1373 in un atto dei notaio Oliviero di Valdobbiadene ("se la comunità fenerese vuole la piena disponibilità di un sacerdote che celebri in san Michele e ne abbia cura, deve anche provvedere al suo sostentamento").

Una seconda citazione compare il 30 maggio 1402 nel testamento di donna   Maria da Quero, che lascia un campo arativo e uno prativo situati a Fener alla "masaria ecclesie sancti Michaelis de Fenerio" .

Il problema di cui si sta occupando il notaio Oliviero è molto sentito. Fener è una Regola autonoma, con un suo apparato amministrativo; ha una   chiesa fornita di battistero (testimonianza di una precedente, remota parrocchialità ?) e che gode di rendite proprie, autonomamente gestite   dai massari delle confraternita, eletti, come negli altri Comuni, dal popolo; ha un   suo cimitero.   E tuttavia la comunità fenerese (un centinaio di abitanti in tutto) non può contare sulla presenza permanente di un sacerdote abilitato ad amministrare i sacramenti.   Essa dipende dal parroco di Campo e chiunque   voglia officiare in san Michele deve ottenerne l'autorizzazione.

La questione è tanto seria da richiedere, come abbiamo visto, l'intervento di   notai esterni alla Pieve.       Non è quindi da escludere che ne siano stati coinvolti pure, i Da Fener, famiglia presente in loco fin dai primi decenni del '400 e destinata a raggiungere una posizione di preminenza proprio grazie alla professione notarile. Una famiglia, dunque, che ha raggiunto posizioni di prestigio a Treviso e fatto buoni affari a Fener, dove, grazie ai folli, alle segherie, ai mulini, alle fucine per la fabbricazione dei "paternostri" (catene, i cui anelli ricordano i grani del rosario), alle cave di pietra e al porto delle zattere, si è sviluppata una fiorente attività artigianale e commerciale.

Ma torniamo al nostro san Michele, involontario protagonista di una vicenda     destinata a risolversi in tempi tutt'altro che brevi e causa di non pochi equivoci.

Ne sarà vittima lo stesso cardinale Gregorio Barbarigo, il quale, fidandosi di alcune autorevoli testimonianze, durante la sua visita del 1666 farà murare all'interno della chiesa una lapide il cui testo (successivamente riportato nella iscrizione tuttora esistente) ne fa risalire la consacrazione al primo giugno1444:

                                         D.O.M.

                               LEO CENETENSIS ANTISTES

                      ANNUENTE ZENO EPISCOPO PATAVINO

                            HOC TEMPLUM CONSECRAVIT

                                    DIE PRIMA JUNII

                                           1444

"Leone vescovo di Ceneda - con licenza di Zeno vescovo di Padova - consacrò questa chiesa     il primo giugno 1444".

La cosa non regge. Infatti, Pietro Leoni, già vescovo di Ossero, diventa vescovo di Ceneda nel     1445 e Jacopo Zeno, già vescovo di Belluno e Feltre, diventa vescovo di Padova nel 1460. Di conseguenza, se si accetta che la chiesa in questione sia stata consacrata dai vescovi Leoni e Zeno, tale consacrazione non può essere avvenuta nel1444, ma in un anno successivo, compreso tra il 1460 (nomina dello Zeno a vescovo di Padova) e il 1474 (morte del Leoni).

Naturalmente, è altrettanto sostenibile la tesi opposta: l'autore dell'iscrizione può aver sbagliato non la data, ma i nomi dei due vescovi.   La cosa è meno probabile, ma è un fatto che proprio in quel periodo siano,state consacrate l'arcipretale di Quero e le parrocchiali di Segusino e di Campo (quest'ultima ad opera del vescovo di Vicenza, monsignor Poccenigo). La questione rimane aperta.

Giugno 1455 - Monsignor Artico, vicario generale dei vescovo Fantino Dandolo, in visita a Fener, definisce san Michele "chiesa campestre" non consacrata. Si tratta dunque di una cappella, di un semplice oratorio, sempre dipendente dalla Parrocchia di Campo e fornito dello stretto necessario: un messale, un calice d'argento, qualche pianeta.

 

1400-1500: GLI ANNI DELLA GRANDE ATTESA

2 ottobre 1488 - E' in visita pastorale il vescovo Pietro Barozzi, celebre per il rigore con cui conduce le sue ispezioni e redige i suoi rapporti. La descrizione che egli fa della chiesa di san Michele è addirittura impietosa. Premesso che si tratta di un oratorio come tanti altri sparsi nel territorio della   Pieve, senza qualifica parrocchiale malgrado la presenza del fonte battesimale (peraltro non usato) e del cimitero, le sue condizioni sono pessime: ha una cappella laterale malamente affrescata, due porte tanto sconnesse da risultare inutili, travature di cattiva qualità interamente rivestite con listelli di abete, il pavimento ricoperto di tavolame scadente. Inoltre è quasi in rovina e, a differenza dell'unico altare, non è nemmeno consacrata. San Michele ha in dotazione un calice di argento con patena, di dimensioni ridotte, un purificatorio addirittura lercio ed un solo panno di lino per ricoprire il calice. Unico anche il messale di carta di papiro, una pianeta lacerata e tenuta insieme con della resina, un altare portatile e un po' di paramenti in disordine.          E tanto per concludere: "ecclesia ista non illuminatur".   Non viene illuminata: per mancanza di candele o per mancanza di finestre?   Propendiamo per la seconda ipotesi.   Infatti, nella descrizione delle chiese, le finestre vengono sempre accuratamente descritte.   Figuriamoci se un particolare simile poteva sfuggire a monsignor Barozzi.

Questa visita, che segue di trentatre anni quella del vicario generale Artico e precede di ottantatre quella del vescovo Ormanetto, dimostra quanto labili siano, in quegli anni, i legami tra Padova e le realtà periferiche o marginali della Diocesi.   D'altra parte gli interessi politici ed economici della comunità fenerese sono rivolti verso Treviso e, in misura minore, verso Feltre. I riferimenti a Padova sono rari, del tutto occasionali e toccano questioni di scarso rilievo.

Lo stesso avviene per quanto riguarda i rapporti religiosi.   Non solo le istituzioni giuridiche e burocratiche della Curia sono viste con totale distacco, ma nulla, o quasi, lega il fedele di Fener alla città di Padova, alla sua cattedra vescovile, alla sua basilica, al suo capitolo, ai monasteri, alle scuole pie.

D'altronde, per tutto il 1300 e gran parte del 1400, il capo della Diocesi è affatto assente: il normale controllo della Pieve e delle sue Regole è demandato per casi particolari al vicario del vescovo di Treviso e in generale al pievano di Valdobbiadene.

Il 22 dicembre 1413, Pietro Marcello, vescovo di Padova, nomina Giorgio, pievano di Valdobbiadene, suo vicario generale nei territori feltrini e trevigiani della Diocesi patavina: ma queste deleghe non convincono affatto.   Durante la sua visita del 1424 a Valdobbiadene il vicario Giovanni Muttoni si sente rinfacciare la decadenza dell'ospedale di san Prosdocimo, i cui beni vengono divorati da un'amministrazione corrotta e incontrollata. Di chi la responsabilità?   Del vescovo di Padova e delle sue assenze.   Egli ne renderà conto a Dio.

Dunque, scarso interessamento da un lato, scarsa simpatia dall'altro. Nelle chiese di Alano e Campo, dopo i primi rettori nativi di Possagno, Asolo, Valdobbiadene, Feltre, Colbertaldo, si susseguono sacerdoti provenienti da Venezia, da Ferrara, dalla Germania, dall'Albania.   Prè, Giacomo sembra essere l'unico ecclesiastico padovano nell'arco di due secoli. Ma ora le cose sembrano destinate a cambiare...

 

12 ottobre 1571 -La visita di un vescovo, anzi la visita del capo stesso della Diocesi, anche se preannunciata da tempo, è un evento così eccezionale da porre in stato di agitazione tutta la comunità.   Della visita precedente, avvenuta quasi un secolo prima, ormai nessuno è in grado di serbare un ricordo diretto.  

Il nuovo vescovo, Nicolò Ormanetto, proprio perchè, molto atteso, riceve un'accoglienza quasi trionfale.   Ma anche per lui, una volta esauriti i convenevoli e le cerimonie previsti dal rituale, il primo e più importante appuntamento è quello con la chiesa.   Scrive il cancelliere: Il vescovo visitò la chiesa di san Michele di Fener ancora dipendente dalla chiesa di sant'Odorico di Campo. In essa è custodito il Santissimo Corpo di Cristo in una pisside di rame dorata.   Questa è contenuta in un     tabernacolo di legno dipinto, collocato sopra un grande altare situato nella parte orientale dell'edificio.In questa chiesa celebra la messa prè Giovanni de Bernardinis     eletto, come egli stesso dichiara, dai cittadini di Fener, ma che non esercita autonomamente la cura delle, Anime, in quanto può confessare e impartire il     sacramento della comunione solo se autorizzato dal parroco di Campo. Lo stesso avviene per la sepoltura dei morti. Insomma, una situazione pesante.

 

Nel 1571, è rettore di Campo prè Cesare Villabruna, da cui dipendono gli oratori di santa Cecilia, di san Daniele, di san Giacomo e di san Michele. Ma san Michele, che viene equiparato agli altri oratori, a differenza di questi può custodire il Santissimo, ha il suo fonte battesimale e il suo cimitero: è possibile che per poter battezzare un bambino, per poter confessare e comunicare i propri compaesani, per poter seppellire i propri morti ci sia bisogno del permesso altrui?

Fioccano le proteste, si moltiplicano le petizioni. Monsignor Ormanetto, acceso propugnatore della Controriforma, ferreamente impegnato nell'attuazione dei decreti del Concilio di Trento, oppresso        da mille problemi, deve rassegnarsi a sorbire le geremiadi di due villaggi insignificanti e rissosi che si palleggiano l'un l'altro responsabilità. Comunque Fener vuole avere un prete per sè e non sembrano esserci problemi per il suo sostentamento. Spira dunque aria di secessione.   Monsignor Ormanetto non sa come uscirne: esorta alla reciproca comprensione e promette, senza troppo sbilanciarsi, il suo interessamento.

 

Ma torniamo a san Michele.   La chiesa, probabilmente ricostruita nel 1559, si presenta solida e spaziosa. Ora gli altari sono tre, ma nessuno risulta consacrato.   A quello maggiore è   annessa la confraternita, del Santissimo. Adesso la navata riceve luce da tre finestre, tutte volte a       mezzogiorno; due sono tappate con della tela, una è fornita di vetri. C'è la canonica ma non la sacrestia, nè, il campanile.   L'unica campana penzola da una specie di capriata fissata sul tetto della chiesa.

 

6 settembre 1581 - Il nuovo vescovo, Federico Corner, è accolto da prè Giovanni Maria Discardis. Ancora nulla di nuovo purtroppo!   La promessa di monsignor Ormanetto è rimasta tale. Per battezzare un bambino bisognerà ancora inerpicarsi fino a Campo, percorrendo una strada lunga, faticosa e spesso impraticabile, specie d'inverno. Monsignore dichiara solennemente: "se si farà un baptistero nella chiesa di Fener honorevole et ornato di   tutto punto, consento...che in quella possino anco battezzare" (vedi foto)

Finalmente!   Oggi, sabato 6 settembre 1581, è proprio un gran giorno .   Questo è l'inizio, il resto verrà. Prè Discardis presenta al vescovo le sue "credenziali", tra cui l'atto, sottoscritto dal notaio Vittore Pontini di Quero e vidimato dal podestà di Treviso, che attesta la sua elezione a curato di san Michele da parte dei seniores. Presenta anche l'inventario dei "beni" della sacrestia.            L'altare maggiore e sempre affidato alla fratalea del Santissimo, l'unica esistente. Il beneficio ha un'entrata di 14 staia di frumento, frutto di 22 campi di terra, e di 16 staia di "frumenton" a misura trevigiana.   Non molto, per la verità, e ciò spiega le non poche manchevolezza riscontrabili nella chiesa, come, ad esempio, l'assenza di vetri alle finestre. Il vescovo prende atto e fa le sue osservazioni di quanto bisogna procurare.

3 ottobre 1587 - Monsignor Federico Corner è nuovamente ospite dei feneresi.   Il suo ingresso in san Michele ha la solennità delle grandi occasioni. Anche il cerimoniale è più elaborato ed impegnativo del solito, i fedeli vivono con intensità il momento.  

  Il vicario generale del vescovo ha visitato la chiesa parrocchiale di san Michele di Fener, non più la "cappella", come è stata definita per secoli. Il vescovo ha ordinato che in questa chiesa si custodiscano il Santissimo e il fonte battesimale, e che i seniores presentino all'autorità ecclesiastica il   sacerdote da loro prescelto.   In tal modo la "cura" è stata trasferita in questa chiesa ed è nata una nuova Parrocchia .

     Ecco dunque l'annuncio tanto atteso : "habemus Parochialem ecclesiam sancti Michaelis villae Feneris!" La lunga vertenza è così terminata, l'autonomia da Campo è finalmente realtà grazie a   prè Discardis!

     Ed ora uno sguardo d'insieme alle strutture principali della nuova Parrocchia alle prescrizioni dei visitatori.   Anzitutto la chiesa. Il battistero, collocato alla sinistra dell'ingresso principale, è stato rimesso a nuovo.   Presso il ciborio sono custoditi, nelle loro ampolle, anche gli oli santi, che dovranno per essere alloggiati in una apposita finestrella ricavata nella parete a sinistra dell'altare maggiore.   Questo,   non consacrato, deve essere ingrandito e ricoperto con una tavola di legno          in cui inserire la pietra sacra.   La pisside di rame, che ora custodisce il Santissimo nel solito tabernacolo di legno, deve lasciare il posto ad una di argento. Il secondo altare, dedicato alla Risurrezione di Cristo, anch'esso non consacrato e anch'esso da ricoprire come l'altare maggiore, va protetto con una cancellata.Idem per il terzo, dedicato alla Madonna.

Le funzioni del campanile, che ancora non c'è, sono svolte da una specie di torre campanaria eretta sul tetto dell'abside. Il cimiterio, che attornia la chiesa, è recintato.

Le entrate del beneficio ammontano a 40 ducati in tutto.   Ma la nuova Parrocchia, insiste il vescovo, deve dotarsi di tutte le strutture fondamentali. Ad esempio, verso il lato a meridione della chiesa va costruita la sacrestia, abbastanza ampia da contenere armadi e scaffali, almeno un lavello e           l'oratorio. Molto vicino alla chiesa dovrà sorgere anche la nuova canonica, mentre quella attuale, in cui prè Discardis vive con Angela, la sua domestica, è lontana due tiri d'arco.

Queste iniziative comportano un grande sforzo finanziario e le risorse sono poche, ma vi devono concorrere tutti, ricchi e poveri, cittadini e abitanti del contado.   Devono concorrere soprattutto i massari della confraternita del Santissimo   con il denaro raccolto durante le sacre   funzioni e al termine delle processioni da loro organizzate.

10 ottobre 1594      La piccola comunità fenerese saluta il nuovo vescovo Marco Corner.   Gli va incontro prè Dicardis, il primo parroco della storia di Fener, ormai ultrasessantenne. La chiesa continua a non avere la sacrestia. Il cimitero è recintato, ma gli manca la croce. Il reddito della chiesa si aggira sempre intorno ai 40 ducati.   Buone notizie invece dal servizio anagrafe: le anime di cui prè Discardis dovrà   occuparsi hanno superato il tetto delle 200 unità.

1600: IL SECOLO DI GREGORIO BARBARIGO

 

26 settembre 1601 - La chiesa di san Michele, tirata a lucido per l'occasione,è ancora una volta onorata dalla presenza di Marco Corner.   Gli porge il saluto della comunità Giovanni Maria Discardis, ormai è ligio ai suoi doveri: non insegna la dottrina (i fanciulli vanno a Campo), ma dice messa tutti i giorni, porta la tonsura e l'abito talare, tiene con cura i registri parrocchiali e possiede una buona biblioteca.  

Ma veniamo, come sempre, alla chiesa. Il Santissimo è ancora ospite di un tabernacolo di legno, ma si tratta di un tabernacolo nuovo, dipinto e dorato.

L'altro elemento importante, cioè il battistero, posto in fondo alla navata, a sinistra della porta principale, fa bella mostra di sé. Ora tutti e tre gli altari hanno la pietra sacra e sono tenuti in ordine dalle confraternite.   Solo il confessionale lascia un po' a desiderare. La sacrestia custodisce due calici dorati con le relative patene e cinque pianete; la canonica i libri dei nati, dei matrimoni e dei morti. Malgrado le buone intenzioni del rettore e dei fedeli, il campanile resta sempre un sogno, la comunità dovrà ancora accontentarsi del trillo di una campanella che occhieggia da una piccola cella campanaria appollaiata sulla sommità della chiesa. Il cimitero, come sempre è in gran disordine, e   gli "inconfessi", hanno ormai raggiunto il ragguardevole   numero di sei.

26 aprile 1613 ~ Visita fugace di monsignor Zaniboni, delegato del vescovo di Padova. Egli non si limita però a celebrare la messa e ad impartire alcuni ordini riguardanti le pissidi, la grata da apporre alla finestra dell'abside, la sostituzione di scranni e sedili con inginocchiatoi da disporre in modo corretto , ma interviene anche in una materia piuttosto delicata e che riguarda l'ordine di precedenza dei singoli gonfaloni nelle processioni interparrocchiali organizzate dalla Vicaria.  

15 ottobre 1616 - E' il turno di un altro sostituto del       vescovo. Costui rileva che gli arredi della chiesa sono piuttosto malandati, che gli altari mancano di tela cerata e che gli ordini di monsignor Zaniboni, a quasi cinque anni di distanza, non sono stati presi nella minima considerazione da prè Discardis, che   si trascina sempre più a fatica, ha ormai ottantacinque anni. Tra due anni sarà sostituito da prè Giovanni Cozza di Bigolino , che reggerà la cura fino al 1631 e di cui nulla o quasi conosciamo (nessun vescovo e nessun vicario ha avuto occasione di essergli ospite), salvo alcune scarne annotazioni nei registri parrocchiali.

17 luglio 1633 - Il nuovo vescovo, Marco Antonio Corder, proveniente col suo seguito da Quero, è colpito dall'accoglienza calorosa che gli è riservata. Dopo le solite cerimonie, benedice solennemente i fedeli, impartisce l'assoluzione ai defunti, prescrive (anche lui!) che nella parete a destra dell'altare maggiore sia aperta una nicchia, munita di portoncino e relativa serratura,                per la custodia degli oli santi. La chiesa di san Michele è diventata più ricca. L'altare maggiore sfoggia la sua prima pala: essa raffigura la Vergine, a cui fanno corona san Giovanni Battista, san Pietro, san Michele Arcangelo, san Sebastiano e san Rocco A destra della navata c'è l'altare della Risurrezione, a sinistra quello del Rosario. Dell'altare maggiore si occupa la confraternita del Santissimo, amministrata da un massaro eletto ogni anno.

Il curato è ora prè Iseppo Zardus (o Zardo o Zadra), anch'egli prescelto dai quattro seniori della Regola. Per quanto riguarda il catechismo, le cose procedono senza infamia e lode.

15 settembre 1647 - E' domenica. il vescovo Giorgio Cornaro scende da Quero, cavalcando alla testa di un lungo, gioioso corteo.   La gente applaude. L'ingresso in san Michele Arcangelo è solenne. Affianca il vescovo Giovanni Maria Agrizzi , proveniente dalla diocesi di Aquileia, curato dal 27 maggio 1634, anch'egli scelto dai seniores.   E'    il primo parroco di Fener a fregiarsi del titolo di "don", dapprima riservato a prelati e ad abbati e da qualche decennio esteso a tutto il clero secolare. Purtroppo, don Agrizzi non è destinato a fare bella figura, molte cose non sono in regola e           il parroco viene redarguito con severità: "negligens" lo qualifica il vescovo. Ma non si tratta solo di negligenza.   In realtà all'Agrizzi sembrano importare ben poco sia la manutenzione della chiesa quanto la cura delle anime e l'insegnamento della dottrina.   Anche la relazione, scarna e distratta, testimonia    il suo disinteresse. Un dato confortante è rappresentato dall'incremento notevolissimo della popolazione.   Ora la parrocchia di Fener è forte di ben160 anime da comunione e 98 puti!            Dunque, una comunità giovane oltre che in crescita.

Don Giovanni Maria Agrizzi muore nel 1662.   Lo sostituisce per qualche settimana don Girolamo Scharcabarozzi, con mandato di "curato economo", cioè di amministratore provvisorio dei beni della chiesa .   Il 12 marzo 1662 fa il suo ingresso don Vittore Kinzpergher .

9 settembre 1666 - Gregorio Barbarigo, cardinale, si presenta al suo primo appuntamento con Fener.   A questo appuntamento, attesissimo, altri seguiranno con non usuale frequenza, fino allo spegnersi del secolo.   E anche a Fener   egli lascerà una traccia profonda del suo passaggio. La folla dei fedeli lo acclama a lungo ed egli risponde benedicendo ed elargendo indulgenze.   Vuole impartire personalmente la cresima, poi si sofferma a lungo in cimitero a pregare per i morti.   Quindi una visita accurata alla scuola della dottrina, a cui tiene particolarmente. Don Vittore è persona coscienziosa e corretta, forse un po' ingenua. Ha preparato una relazione notevole.

19 ottobre 1674 - Gregorio Barbarigo è di nuovo a Fener.   Don Kinzpergher, che ha capito quanto egli tenga alla scuola della dottrina cristiana, gliela fa trovare in perfetto ordine e si guadagna, oltre agli encomi, la simpatia del severo cardinale. Intanto le ispezioni a chiesa, sacrestia e cimitero sono affidate al convisitatore don Giovanni Clericato, che esprime la propria soddisfazione per aver tro-    vato le cose più importanti "ad formam".   C'è persino la nicchia degli oli santi,     con tanto di porticina munita di serratura!   Ciò lo induce a lodare la "diligente parochi", ma non lo distoglie dall'esibirsi in una lunga serie di osservazioni.          

La relazione di don Vittore ricalca quella precedente sia riguardo alla chiesa e agli altari quanto alle confraternite, che continuano senza gravi turbamenti la loro vita, peraltro sempre più grama.   La Parrocchia sta diventando povera. Il parroco deve fare anche il maestro di scuola.   Per fortuna, può contare sulla collaborazione di Giovanni Battista Franzoia e di sua moglie. Ed infine una nota fieramente polemica contro un usurpatore di rango, l'arciprete di Quero, che succhia denaro da Fener ("per beni e decime") senza   alcuna contropartita, defraudandone il legittimo titolare.

Don Vittorio è anche uomo di un candore disarmante.   Egli confida al cardinale le segrete aspirazioni della sua vita, un sogno ad occhi aperti che lo accompagna da anni.   "Vede, Eminenza, io vorrei che Ella mi concedesse la grazia di benedire la prima pietra di una nuova chiesa da erigere a Fener in onore della Madonna della Salute, per la cui costruzione è però indispensabile "l'aiuto temporale e spirituale" della Curia.

Don Vittore, sempre attento agli interessi della sua troppo piccola comunità   non si lascia sfuggire occasione per incrementarne la consistenza: i signori Bacchetti, residenti ai Faveri, borgata appartenente alla Parrocchia di Campo e a questa collegata da "stradde pessime" vorrebbero essere aggregati alla più   vicina e comoda Parrocchia di Fener.   Non sarebbe opportuno accontentarli,         naturalmente "auditis audiendis"?

Ma c'è qualcosa che non funziona tra don Kinzpergher e i suoi parrocchiani. Di che si tratta?   Difficile dirlo. il sacerdote carica il suo racconto di toni drammatici: "mi vogliono quasi lapidare, perchè, spiega, intendo attuare i decreti del Concilio di Trento, specie quelli che disciplinano l'insegnamento della dottrina cristiana.   E c'è chi si ribella. Invece di produrre ciance e malignità, insiste il parroco, meglio sarebbe che venisse insegnata e praticata la dottrina, anche d'estate, in pubblico quanto in privato.  

L'avventura fenerese di don Vittore volge al termine, nel 1679, egli lascerà san Michele per intraprendere una nuova esperienza sacerdotale come parroco di Campo.

Gli succederà, quale curato economo, don Pietro Germano e quindi, nel 1680, il nuovo parroco, don Angelo Agrizzi : proprio quel chierico ventenne che, nella sua relazione del 1666, don Kinzpergher aveva segnalato al Barbarigo per la sua vita esemplare.  

30 maggio 1686 - Torna il cardinale! I feneresi si sono preparati a riceverlo degnamente: dopo dodici anni la sua figura severa e paterna è ancora   impressa nel ricordo di molti. In prima fila, tra gli invitati, è don Vittore Kinzpergher, che, come sappiamo, ha lasciato da tempo la piccola Parrocchia di Fener per   reggere quella più importante di Campo. Accanto a lui è il titolare, don Angelo Agrizzi. Costui è esattamente l'opposto del suo predecessore: è un uomo pratico, con i piedi saldamente piantati nelle rendite del beneficio e delle confraternita, di cui   offre un quadro rigoroso.

4 ottobre 1694 - Il grande Barbarigo chiude il ciclo delle sue visite in terra fenerese.   Cresima i ragazzi, rivolge parole commosse ai fedeli, sosta a lungo in preghiera. Poi i soliti ordini.         Purtroppo per il cardinale, don Agrizzi è anche titolare del beneficio di sant'Agata a Funer di Valdobbiadene, patronato dei signori Bottignoli, il quale gli rende 200 Ducati. Ha 48 anni, coltiva progetti ambiziosi egli restano ancora sette mesi di vita.

Nell'aprile del 1695 la Parrocchia viene affidata per l'ordinaria amministrazione dei beni a don Marco Franzoia, curato economo. Alla fine del mese i "seniores", scelgono, il nuovo parroco nella persona di don Paolo Brunelli da Combai , "hora capellano in villa di   Quero".

L'11 maggio, tra seniores e l'eletto viene stipulato un vero e proprio contratto il cui testo è conservato nell'Archivio parrocchiale di Fener, in base al quale il nuovo parroco, "presente e accettante durante tutta la sua vita", è investito del "godimento e possesso" dei beni della chiesa di san Michele.   In cambio, egli si impegna nella cura e governo delle anime,   celebrando i divini uffici   particolarmente nei giorni festivi e non abbia a mancare di celebrare la santa messa e dire il vespro. Il parroco "cos¡ promette e si obbliga".   Dopodichè, dovrà presentarsi, con                l'assistenza di uno dei quattro seniores, al superiore ecclesiastico competente per avere l'approvazione.

8 settembre 1699 - Scende in corteo da Alano monsignor Giorgio Corner, cardinale anch'egli. E' persona affabile e gentile, parla con efficacia, ama far risaltare il lato migliore delle cose.   Suo malgrado, è però costretto a rilevare lo stato di precarietà in cui si trovano chiesa e sacrestia, entrambe gravemente lesionate dal terremoto del 23 febbraio 1695 .   La canonica, disabitata da anni e pressoché, distrutta, è stata in parte ricostruita da don Paolo Brunelli.   Gli dà una mano Gregorio Agrizzi, chierico.

Una situazione non proprio brillante. Inoltre, fra tutti gli abusi che si compiono a Fener, balzano all'occhio i vizi del gioco e dell'usura, che sono praticati comunemente. Ma don Brunelli è uomo di fede: egli vuole ricostruire la sua Parrocchia, vuole ricostruirla anche materialmente.   In soli quattro anni ha speso la bellezza    di 927 lire tra acquisti e restauri. Oltre alla chiesa "ruinata dal terremoto", ha affrontato altri lavori davvero impegnativi, tra cui la canonica: in conclusione, le difficoltà sono molte, forse troppe, ma don Brunelli persegue con determinazione il grande obiettivo di ricostruire spiritualmente e materialmente la Parrocchia che il Signore gli ha affidato.   Una Parrocchia che             ha ormai superato il tetto delle 300 unità (219 anime da comunione e 85 putti) e che, purtroppo, ha bisogno di molte cure.

1700 - "UNA PALESE DECADENZA DELLA VITA CRISTIANA"

 

12 ottobre 1724 - Un quarto di secolo separa la visita del cardinale Giovanni Francesco Barbarigo da quella del suo predecessore.   Sono in molti ad attenderlo e tutti vedono in lui l'erede e il continuatore dell'opera del grande zio. Purtroppo non c'è più ad accoglierlo don Paolo Brunelli. il destino non è stato generoso con lui e la sua opera di ricostruzione è rimasta incompiuta. Egli se ne è andato da ormai ventuno anni e il suo posto è stato preso da don Angelo Liberale Palatini, uomo di ben altra statura.   Costui ha predisposto una relazione dalla quale    emerge un ulteriore incremento demografico: 318 parrocchiani, di cui 244 anime da comunione e 74 non. Il vescovo è tutt'altro che soddisfatto. Anche l'aspetto generale della chiesa suscita tristezza.   L'unica nota lieta è rappresentata dal campanile rimesso a nuovo, il quale ostenta con orgoglio le due piccole campane.

17 maggio 1736 - Monsignor Giovanni Minotto Ottoboni proviene da Segusino.   Il suo è un ingresso fastoso. Ogni cosa si svolge all'insegna della solennità. Parroco è don Alberto Brunelli , presentato al vescovo dai quattro anziani della Regola e nominato il 15 luglio 1725.

Oltre a lui, vivono a Fener tre sacerdoti e due chierici: don Antonio Forcellini, don Carlo Franzoia, don Alessandro Franzola, Giacomo Agrizzi e Antonio Agrizzi. Don Brunelli ha presentato una relazione completa.

8 luglio 1745 - Un altro vescovo fa tappa a Fener: è Carlo Rezzonico, destinato ad ascendere tra pochi anni al Soglio di san Pietro.   Egli trova la chiesa di san Michele in ottime condizioni.   La sua prima preoccupazione è verificare il livello e la costanza dell'insegnamento della dottrina.   E qui lo aspetta una graditissima sorpresa: la preparazione raggiunta dai feneresi supera tutte le sue previsioni.   Gregorio Barbarigo non ha dunque seminato invano! E' ancora parroco don Alberto Brunelli.    La popolazione è ancora in calo.   Adesso è ridotta a 266 unità, di cui 201adulti e 65 "minori".         Don Alberto si assopisce per sempre nel 1758. Nella primavera dello stesso anno, dopo il breve interregno del curato economo don Giovanni Maria Marzari, viene nominato parroco don Valentino Graziani.

28 aprile 1774 - Le porte di san Michele si aprono al nuovo vescovo, Nicolò Antonio Giustiniani, in una chiesa degnissima, ben conservata, ben coperta e ottimamente arredata.                  Pronunciato da un simile uomo, questo è davvero un grande elogio per il parroco e per tutta la comunità fenerese   "Una palese decadenza della vita cristiana..." E'questo il dramma del tempo.                   Don Valentino Graziani, eletto anch'egli dai quattro seniores ed investito della cura d'anime l'8 marzo 1758, sembra essere in piena sintonia col suo vescovo: egli dedica tutto il tempo disponibile proprio all'insegnamento della dottrina cristiana (ha preparato ben cinquanta giovani per la cresima) ed ottiene un encomio solenne. Anche la tenuta dei registri canonici porta il segno della diligenza.             Don Valentino Graziani chiude la sua giornata laboriosa nel 1785.   Segue la solita fase di amministrazione provvisoria dei beni, affidata in questo caso a don Giuseppe Nani, e quindi, dal 1785 al 1804 è parroco don Francesco Novello Roveredo.   Gli subentra come curato economo don Giacomo Bacchetti fino all'elezione a parroco, nell'ottobre del 1804, di don Antonio Brunello , destinato a diventare, dodici anni dopo, arciprete di Quero. 

 

1800 - LA GRANDE CRISI

 

3 ottobre 1816 - Benedice Fener e la sua gente il nuovo vescovo di Padova,   Francesco Scipione Dondi Dell'Orologio.   Gli sono stati riservati festeggiamenti degni del suo rango e del merito che tutti gli riconoscono: quello di avere interrotto un silenzio durato oltre quarant'anni. I feneresi vogliono dimostrargli tutta la loro gratitudine, ma l'atmosfera è pesante. La vita si è fatta dura, incombe lo spettro della carestia e su tutto regna una grande confusione.   Lo stesso Comune di Fener ha cessato di esistere: da otto anni è stato unificato con i Comuni di Campo e di Colmirano e poi accorpato ad Alano.   Il 1° gennaio 1816 il nuovo organismo, con il nome di "Alano di           Piave", è stato annesso alla Provincia di Belluno .   Mai i cittadini sono stati chiamati ad assumere una qualsiasi decisione.   In nome dei nuovi principi di libertà, uguaglianza e fraternità, ogni forma di autodeterminazione popolare   è stata di fatto abolita.

Anche l'organizzazione parrocchiale ha subito una trasformazione profonda. Con la morte delle confraternita (sostituite dalla struttura oligarghica della fabbriceria) e lo svuotamento delle prerogative della Regola e dell'istituto dei seniores, tutto il potere è ora accentrato nelle mani del parroco. Don Antonio Brunello da Thiene, parroco dal 13 ottobre 1804, è pienamente                     consapevole della drammaticità del momento.   La sua relazione è una denuncia dolorosa: la Parrocchia, come del resto tutta la comunità, sta vivendo giorni amari.  

L'insegnamento della dottrina resta sempre il pilastro dell'attività pastorale ma, purtroppo, anche a questo proposito, "le replicate endefesse esortazioni del parroco" rimangono troppo spesso lettera morta. Le anime da comunione sono 174, i "minori" 70.   Il paese è in piena recessione.

Nel 1818 è      nominato parroco don Giacinto Franzoia da Pove , che muore quattro anni più tardi, nel dicembre del 1822.

Nel 1823 diventa parroco don Giovanni Maria Scalabrin di Covolo,    fino al 1874, cioè per ben cinquantuno anni.

17 settembre 1863 - Monsignor Federico Manfredini, dopo essersi recato in tutte le altre Parrocchie della Vicaria, sosta nella terra di san Michele.   Un altro mezzo secolo è passato dall'ultima visita pastorale e nel frattempo Fener ha conosciuto la carestia, la peste, il tifo e il colera. Ora è parroco don Giovanni Maria Scalabrin, nominato, in base alle nuove disposizioni, direttamente dal vescovo di Padova, senza alcuna possibilità di intervento da parte dei seniores. Dopo aver comunicato oltre cento fedeli e cresimato ben sessanta pueros et puellas", il vescovo impartisce i suoi ordini.

" Nell'oratorio dell'Addolorata sia posta la tela cerata sulla pietra sacra dell'al tare..." è questo il primo accenno, a noi pervenuto, dall'esistenza di un ora torio a Fener.   Esso è stato costruito nel cuore del paese in onore di Maria Vergine Addolorata, precisa il parroco, e, non disponendo di rendite proprie, "viene mantenuto dalle pie offerte dei fedeli.  

  Buona la frequenza alla dottrina cristiana.

Gravissima invece la situazione dell'insegnamento pubblico. La scuola comunale è stata chiusa nel lontano 1849: un ignobile vuoto che nessuno pensa di colmare.   Per fortuna della comunità ci sono delle maestre private che si rendono disponibili anche per i poveri. La piccola comunità di Fener si sta riprendendo: il numero delle anime è balzato a quota 368.

16 ottobre 1884 - Siamo alla penultima visita pastorale del secolo e della nostra "storia".   Ne è protagonista il vescovo Giuseppe Callegari, universalmente noto per gentilezza d'animo e generosità.   Ben ottantatre fanciulli ricevono la cresima dalle sue mani: un dato senza precedenti. il parroco, don Giulio Dalla Costa, è raggiante. il vescovo ha per lui parole difficilmente dimenticabili. Egli si spegnerà, serenamente com'era vissuto, due anni dopo la visita pastorale che gli aveva illuminato la vita nell'inverno del 1886.   Prenderà il suo posto un uomo degno di lui, don Angelo Grigoletto.  

29 settembre 1896 - L'ultimo appuntamento del secolo tra il capo della Diocesi e la Parrocchia di Fener si svolge in un tripudio di bandierine e di manifesti inneggianti alla Chiesa e ai suoi pastori.   E tuttavia gli animi sono tesi.   La povera gente sta imparando a percorrere la strada dell'emigrazione.   Si parte verso la Svizzera, la Francia, il Belgio.   Ma si parte sempre più spesso, con tutta la famiglia, anche verso i paesi d'oltreoceano, si parte per non tornare.

Monsignor Giuseppe Callegari benedice a lungo il suo popolo.Gli è vicino don Angelo Grigoletto di sant'Ilaria, parroco di Fener dal 1884, persona garbata e intelligente.Lo stato materiale   della chiesa è in condizioni discrete, il campanile abbisogna di qualche riparazione.

Insomma, mentre il mondo esterno affonda sempre più nel buio dell'incertezza, i1 Cuore antico della Parrocchia pulsa al ritmo giusto. Il vescovo ne è felice.

1900

Naturalmente, nel corso del ventesimo secolo altri vescovi verranno a benedire la terra di san Michele e altri parroci celebreranno al suo altare.

Vogliamo ricordarne il nome:

Don Bortolo Bortolin (1902-1909), don Gabriele Sormani (1909-1911), don Rizzardo Ferretto (1912-1928), don Angelo Zanella (1929-1936) che diventerà cameriere segreto soprannumerario del papa, don Igino Benacchio (1936), don Quirino Galana (1937-1939), don Giuseppe Spimpolo (1939-1945), don Giuseppe Ceccotto   (1945 -1988) e infine don Paolo Bellot (1988 - ..).

 

 

 

I Parroci:

1581 - Discardis 1618 - G. Cozza
1631 - I. Zardus
1634 - G. M. Agrizzi
1662 -V. Kinzpergher
1680 - A. Agrizzi
1695 - P. Brunelli
1703 - A.L. Palatini
1725 - A. Brunelli
1758 - V. Graziani
1785 - F.N. Roveredo
1804 - A.Brunello
1818 G.Franzoia
1823 G. M. Scalabrin
1874 - G. Dalla Costa
1884 - A. Grigoletto
1902 - B. Bortolin
1909 - G. Sormani
1912 - R. Ferretto
1929 - A. Zanella
1936 - I. Benacchio
1937 - Q. Galana
1939 - G. Spimpolo
1945 - G. Ceccotto
1988 - P. Bellot

 
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