Eustochia (al secolo Smeralda Calafato) nacque a Messina da ricca e nobile famiglia il 25 marzo 1434 che in quell’anno era giovedì santo.
Sin da piccola, il padre Bernardo cercò di avviarla al matrimonio secondo i costumi del tempo ed occasioni di fidanzamento non le mancarono, per la sua bellezza e le buone condizioni economiche della famiglia. Ella, però, rifiutò sempre per il desiderio di consacrarsi al Signore.
La vocazione alla vita consacrata che la Santa sentiva nel suo giovane cuore fu ostacolata prima dal padre e dopo la sua morte, anche dai tre fratelli. Invece, la madre Mascalda, donna di fede e carità,nonché terziaria francescana, la educò, soprattutto con l’esempio, alla religione, la sostenne sempre nel suo desiderio ed entrerà nel monastero fondato dalla figlia con la sorella di Smeralda di nome Mita.
Smeralda aveva 15 anni e mezzo, quando entrò a far parte delle clarisse di S. Maria di Basicò in Messina, assumendo il nome di suor Eustochia in onore di una discepola di S. Girolamo. La ricerca della perfezione spirituale da parte della giovane suora si manifestò presto nel desiderio di voler vivere secondo lo spirito di perfetta osservanza della prima regola di S. Chiara, che vigeva, invece, in modo mitigato nel monastero che l’aveva accolta. Non potendo cambiare il tenore di vita in esso, maturò il desiderio di fondarne un altro.
Eustochia, allora, superando ogni sorta di ostacoli che vennero dall’interno del monastero di Basicò e dall’esterno, riuscì ad attuare il suo sogno.
Dietro bolla di Papa Callisto III poté adattare un vecchio ospedale a monastero e successivamente ampliando una casa donatale dal suo grande benefattore Bartolomeo Ansalone, poté realizzare il tanto sospirato Monastero di Montevergine, monastero dalla primitiva osservanza (unico in tutta la Sicilia). Eustochia si inserisce così tra i grandi riformatori della Chiesa del XV secolo.
Condusse sempre vita di estrema povertà, penitenza, carità e preghiera. Fu incoraggiata spesso da visioni celesti, ma anche terrorizzata da visioni demoniache che le causavano pure danni fisici.
Il giovedì 20 gennaio 1485, a mezzogiorno, si spense tra le sue consorelle, ripetendo più volte il dolce nome “Jesu”.
Tanti i miracoli verificatisi in vita e dopo
la morte attorno alla Santa, primo tra tutti
l’attuale integrità del suo corpo che a distanza
di più di 500 anni dalla morte si regge in
posizione eretta.
L'arcivescovo di Messina, nel 1690, scriveva
alla S. Congregazione dei Riti: "Il
suo corpo, da me diligentemente veduto e
osservato, è integro, intatto e incorrotto
ed è tale che si può mettere in piedi, poggiando
sulle piante di essi. Il naso è bellissimo,
la bocca socchiusa, i denti bianchi e forti,
gli occhi non sembra affatto che siano corrotti,
perché sono alquanto prominenti e duri, anzi
nell'occhio sinistro si vede quasi la pupilla
trasparente. Inalterate le unghie delle mani
e dei piedi. Il capo conserva dei capelli
e, quello che reca maggiore meraviglia, si
è che due dita della mano destra sono distese
in atto di benedire, mentre le altre sono
contratte verso la palma della mano [accenno
ad una benedizione che la beata avrebbe dato
con quella mano, dopo la sua morte, ad una
suora. Le braccia si piegano sia sollevandole
che abbassandole. Tutto il corpo è ricoperto
dalla pelle, ma la carne sotto di essa, si
rileva al tatto disseccata>>.
Ancora oggi si può vedere intatto il corpo
della beata ed in piedi nell'abside della
Chiesa di Montevergine, esposto alla venerazione
del popolo, che in folla vi accorre soprattutto
il 20 gennaio. L'iconografia rappresenta
la beata in ginocchio dinanzi al Sacramento
e, più frequentemente, con la Croce nelle
mani.
Aesso S. Eustochia, prima e spiritualmente
perpetua Abbadessa, accoglie, nella chiesa
del suo monastero, continui pellegrinaggi
di fedeli che vi accorrono soprattutto il
20 gennaio e che con grande suggestione ammirano
il prodigio legato alle sue spoglie mortali.
Tra questi pellegrini, anche Giovanni Paolo
II, recatosi nella chiesa di Montevergine
l’11 giugno 1988.
Sua Santità ne porta da allora un vivo ricordo e nel 1997, ricevendo in Vaticano Mons. Giovanni Marra che da pochi giorni aveva nominato Arcivescovo di Messina, gli disse: «Vai a Messina dove vedrai una Santa in piedi!».
Subito dopo la sua santa morte, il popolo, cominciò a sperimentare la sua intercessione presso Dio tanto da considerarla Beata e annoverarla presto tra i protettori della città di Messina dopo la Madonna della Lettera, patrona principale della Città e dell’Arcidiocesi, e il 14 settembre 1782 il suo culto venne confermato dal Papa Pio VI.
Il 25 giugno 1962 la Congregazione dei Riti dichiarò la Beata Eustochia Patrona della Federazione delle Clarisse dei Monasteri di Sicilia, pur non essendo, all’epoca, ancora venerata col titolo di Santa.
L’11 giugno 1988 Sua Santità Giovanni Paolo
II, tra una folla esultante, compì la prima
canonizzazione, nella storia, celebrata fuori
dal territorio pontificio per l’Italia:
quella della messinese Eustochia Smeralda
Calafato, vergine clarissa, “sposa del Crocifisso”.
Una sua preghiera al Crocifisso mostra da
quale desiderio di soffrire fosse animata:
"O dolcissimo mio Signore, vorría morire
per lo tuo santo amore, cosí come Tu moristi
per me! Forami il cuore con la lancia e con
i chiodi de la tua amarissima Passione; le
piaghe che tu avesti nel tuo santo corpo,
che io le abbia nel cuore. Ti domando piaghe,
perché mi è grande vergogna e mancamento
vedere Te, Signore mio, piagato, che io non
sia piagata con Te".
Sulla vita della Calafato, clarissa, abbiamo
due antichi mss.: il primo è nella Biblioteca
comunale di Perugia e una sua copia, debitamente
collazionata, il 28 febbraio 1781 fu inviata
dall'arcivescovo di Messina alla S. Congregazione
dei Riti per il processo di beatificazione
della serva di Dio (copia pubblicata dal
Macrì nel 1903). L'origine di questo ms.
si fa risalire a un tempo di poco successivo
alla morte della beata, quando suor Jacopa
Pollicino, figlia del barone di Tortorici,
su richiesta di suor Cecilia, badessa del
monastero di S. Lucia di Foligno (con cui
le Clarisse messinesi erano in corrispondenza),
scrisse la Vita della Calafato, facendosi
aiutare da altre suore che erano vissute
con la beata. Suor Cecilia, trasferendosi
in seguito a Perugia, portò seco il ms.,
lo ritoccò e gli diede un miglior ordine,
togliendo espressioni prettamente siciliane
e arricchendolo di colorito toscano.
Il secondo ms. fu ritrovato da Michele Catalano
nella Biblioteca Civica Ariostea di Ferrara
e da lui pubblicato nel 1942. Composto nel
1493, due anni dopo la morte della Calafato,
riproduce con la più grande fedeltà l'originale,
seguendolo anche nelle espressioni siciliane:
questo testo "oltre alla notevolissima
importanza mistica e al valore agiografico
e storico, ha valore non piccolo nella storia
della nostra lingua" (Catalano).
< grazie a GIACOMO SORRENTI, (Con Eustochia sulla Via della Croce, Edizioni Porziuncola, Assisi 2004, pp.95
) e a Giuseppe Morabito>