Un piccolo pulcino bagnato
[Parigi, scuola Saint Germain]

Laure sconvolta dopo la lezione aveva aspettato che le sue compagne uscissero dagli spogliatoi, certo non voleva incontrare gli occhi trionfanti di Marina. Non aveva certo voglia di farsi consolare dalle amiche che non avrebbero capito fino in fondo il suo strazio.
La danza era il suo mondo, la sua vita. Per realizzare il suo sogno aveva fatto tanti sacrifici, aveva dovuto lottare contro sua madre che non voleva che intraprendesse quella carriera. Ora certo non voleva andare a casa sconfitta, affranta, persa.

Si cambiò, raccolse la sua sacca di danza e uscì.

Come era diversa l'atmosfera della scuola ora. Alle grida gioiose era subentrato un freddo silenzio. Il cielo riversava sulla ragazza pioggia mista a neve. Oh, come ben si adattava quell'atmosfera gelida al suo cuore spezzato.

Senza pensare, Laure si diresse verso il metrò, le sue gambe la conducevano automaticamente. Come persa, il suo corpo camminava solo. La sua mente era altrove. Ogni tanto qualche lacrima le solcava il viso. Alcuni fiocchi di neve ferivano i suoi occhi, le sue lacrime scivolavano via senza potrar via il suo dolore.

Uscita dal metrò, Laure non si diresse subito a casa, voleva schiarirsi le idee.

A casa, vedere mia madre che mi dice "te l'avevo detto?" Ho fallito nel momento più importante! Che stupida, che stupida. Ora che faccio?

Senza accorgersi si diresse verso il parco, camminò a lungo e quando passò davanti ai giochi dei bambini, le lacrime lasciarono il posto a grossi singhiozzi. Poi cominciò a corre il più lontano possibile da quei luoghi dove in compagnia di Taro aveva trascorso momenti felici.
Corse, corse, finché non si trovò in una strada piena di gente che rientrava a casa dopo una giornata di lavoro.

Molti rimanevano incuriositi dalla ragazza. Sola, in lacrime e senza un ombrello con quel tempo così inclemente. Laure vagava senza meta, senza capir nulla, ad un certo punto si ritrovò nella piazza dell'École Militaire, aveva fatto il giro dell'isolato ed era tornata al punto di partenza, lì vicino c'era la casa di Taro, ma Laure, con le lacrime agli occhi, non vedeva nulla.
Persa nel suo dolore la ragazza non faceva molto caso a ciò che la circondava, neanche la macchina che stava sopraggiungendo. Laure senza guardare stava attraversando la strada, per fortuna qualcuno la tirò per la giacca, la afferrò e la riportò sul marciapiede.

Il tempestivo intervento di un giovanotto aveva evitato che Laure fosse investita, la gente intorno alla ragazza guardava la scena e non poteva evitare di tirare un sospiro di sollievo. Ormai il giovanotto teneva stretta e al sicuro la ragazza smarrita.

-Laure che ti è successo? -sussurrò dolcemente il giovanotto che l'aveva salvata.
La ragazza senza voltarsi riconobbe la voce amica di Taro. Le lacrime si trasformarono in singhiozzi, le parole non uscivano, la domanda rimase senza risposta.

Tarò capì che qualcosa di grave era successo dopo che si erano lasciati alla fine delle lezioni. Mille ipotesi si affollarono nella sua mente, avrebbe voluto farle mille domande, ma non era il momento. Ora doveva riportare il piccolo pulcino bagnato a casa. Non era il caso di lasciar Laure sola, visto lo stato di smarrimento in cui era.

Con estrema dolcezza Taro riparò Laure sotto il suo ombrello e la condusse a casa sua.

Taro fece entrare la ragazza, la casa era vuota, suo padre era ancora nel suo laboratorio in mansarda, sù all'ultimo piano, sarebbe sceso solo tardi nella serata, a volte si scordava addirittura di cenare e Taro, ormai abituato, cucinava e mangiava da solo.

-Vieni, ti preparo un bagno caldo, ti lascio qualcosa da metterti di pulito se vuoi?

Laure pero sembrava non aver capito la frase del suo amico. Taro allora cominciò ad aiutare la ragazza a togliersi il cappotto e a farla accomodare sul divano.

-Ecco il bagno è pronto, intanto che ti rilassi un po' preparo un buon tè, va bene?
-Sì grazie, sussurò.
-Ah, ma allora non hai perso la voce- cercò di sdrammatizzare il ragazzo e Laure sorrise dolcemente.

Laure ormai conosceva bene la casa dell'amico, sicura si diresse in fondo al corridoio dove trovò un bel bagno caldo ad attenderla. Taro aveva appoggiato una sua felpa su uno sgabello in bagno e un asciugamano morbido e profumato che sapeva di bucato proprio per lei.

Come è premuroso, ci tiene molto a me, se non ci fosse lui, ora non devo tornare a casa, non dovrò vedere la mia camera, entrare, vedere la sbarra e…no non voglio pensarci!

Laure era uscita dal bagno e con un grosso asciugamano sulla testa si diresse in salotto. Taro aveva preparato un bel tè caldo e aveva tirato fuori gli avanzi del pranzo pantagruelico del giorno prima. Dolcetti, biscottini, piccoli sandwich.
Laure ancora persa nel suo dolore si accomodò sul divano e con le ginocchia al petto si perse nell'enorme felpa dell'amico che la conteneva tutta.
Quella grossa felpa era la preferita di Taro, era quella della sua squadra! Era di due taglie più grande anche per lui, ma gliela avevano data:
-Perché quando tornerai ti starà sicuramente e allora giocherai sempre con noi- gli aveva detto Oozora.

Taro guardava Laure che aveva ricominciato a piangere, le porse il tè:
-Ti prego Laure dimmi che ti è successo, non posso continuare a vederti in questo stato. Dimmi ti pegro, se me lo dici magari posso aiutarti, o magari posso solo confortarti o sostenere o...


-Taro ti prego, potresti telefonare a mia madre e dirle che sono qui?
-Sì, certo, ma dopo mi dirai vero, quello che ti è successo?
-Sì, ma ti prego, non ho voglia di tornare a casa, inventa una scusa qualsiasi, un compito, una ricerca...qualcosa.