Identità perdute

Sanae si stava massaggiando le braccia e il collo. Praticare lo shiatsu era davvero massacrante...pensare che era cominciato tutto per caso...

Ripercorse con la mente quegli ultimi mesi. Dopo l'incidente la donna che diceva di essere sua madre aveva insistito per andarsene dal Giappone. Avevano dei parenti in Germania le aveva detto, suo padre in effetti era tedesco. Questa era una delle poche cose che le aveva raccontato del suo passato, ma per il resto era buio completo. E quella donna non si lasciava smuovere dalle sue suppliche, si rifiutava di rispondere alle sue domande. Chi era Sanae? Cosa faceva prima dell'incidente? Aveva amici, parenti a Fujisawa? A quale scuola andava? Come trascorreva le sue giornate? Tutte domande senza risposta. A volte passava nottate intere a lottare contro quel buio che la circondava, cercando di ricordare anche solo dei piccoli dettagli, un nome che potesse squarciare il velo che era calato sulla sua memoria. E invece niente. Tutto quello che le rimaneva era quella sconosciuta che sembrava voler dimenticare tutto quello che era successo prima dell'incidente. In fondo era buffo. Due donne senza memoria, ma per motivi diversi.

Sanae sospirò. "Cominceremo una nuova vita" le aveva detto quella donna. E così erano partite lasciando chissà cosa dietro di loro. E a lei era rimasto solo quel nome che non riconosceva Sanae Shwartz. Non aveva neanche un volto a cui attaccarsi, non aveva idea di come fosse il suo riflesso allo specchio. Forse era bionda con gli occhi azzurri...in fondo suo padre era tedesco. Qualche volta le era venuta la tentazione di chiedere a qualche paziente o a un infermiera come fosse il suo aspetto, ma poi si era sempre vergognata. Le sembrava assurdo dover chiedere ad uno sconosciuto "Scusa, ti dispiace dirmi come sono fatta?" Di sicuro sarebbero scoppiati a ridere. Poi il tempo era passato e ora che conosceva tutti in quell'ospedale fare quella domanda era diventato impossibile. Di certo avrebbero creduto ad uno scherzo, o magari l'avrebbero presa per pazza.

E così aspettava, aspettava, aspettava. Ogni mattina apriva gli occhi sperando di vedere di nuovo la luce, di potersi finalmente guardare, di vedere i volti delle persone con cui viveva ogni giorno. I dottori dicevano che era solo questione di tempo, ma quanto poteva essere lungo quel tempo? Una settimana, un mese, un anno? Nessuno sembrava saperlo. E così lei rimaneva confinata in quel buio degli occhi e della mente.

All'improvviso sentì dei passi affaticati attraversare la stanza e un profumo intenso pungerle il naso.

-Chi è?-

Una risata cristallina riempì la stanza, mentre i passi e il profumo continuavano ad avvicinarsi.

-Katy?-

-Aahhh! Come hai fatto?! Volevo farti una sorpresa!-

Sanae rise divertita.

-Riconoscerei la tua risata tra mille! L'ho sentita tante di quelle volte!-

La ragazzina sbuffò contrariata prima di scoppiare nuovamente a ridere.

-E va bene! Tanto la sorpresa ce l'ho lo stesso!-

E così dicendo posò in grembo a Sanae un fascio di tulipani rossi.

-Ma cosa...ah sono fiori, vero?-

Sanae accostò al viso i petali morbidi e freschi e inspirò a fondo.

-Bè sono tulipani rossi, sai li ho raccolti nelle aiuole dell'ospedale...-

-Katy! Lo sai che è proibito! E poi non dovresti uscire da sola...-

-Oh ti prego Sanny non sgridarmi! Se potessi vedere che giornata c'e' fuori! E che colori! Non si poteva rimanere tutto il giorno chiusi in mezzo a tutto questo bianco...io dico che sarebbe stato un delitto, ecco!-

Sanny. Le piaceva quando la chiamava così. Quel soprannome la faceva sentire sicura, chissà perché...Sanae non riuscì a rimanere seria e tese le braccia verso Katy per invitarla ad avvicinarsi. La ragazzina le volò tra le braccia ridendo felice.

-Se è così hai fatto bene, ma la prossima volta voglio che porti anche me intesi?-

-Promesso! Domani usciamo insieme e devastiamo un'altra aiuola!-

-Katy insomma!!-

Ma il rimprovero finì in un'altra risata.

Era sempre così con Katy, non si riusciva a stare seri.

Sanae carezzò con dolcezza la testolina dell'amica prima di sciogliersi dall'abbraccio.

-Scommetto che adesso hai mal di schiena.-

Il silenzio di Katy servì da conferma. Non voleva ammetterlo, ma ormai anche raggiungere il giardino era diventata un'agonia per lei. Rientrava esausta dalle sue escursioni segrete, ma non si lamentava mai, aveva paura che Sanae le avrebbe proibito di uscire se avesse saputo quanto era doloroso per lei fare quei pochi passi.

-Su stenditi, vediamo di mettere ordine in questa vecchia schiena-

Katy sorrise. Era sicura che le mani di Sanae fossero magiche, la sua amica insisteva che era merito della tecnica shiatsu, ma lei era convinta che Sanae avesse un dono e non si stancava di ripeterglielo.

Sanae cominciò a muoversi con fluidità intorno a Katy. Le dita, le mani e le braccia della ragazza esercitavano pressioni precise e profonde sul corpo dell'amica. Quando praticava lo Shiatsu Sanae sembrava tornare a vedere. Nella sua mente il corpo del paziente era chiaro come la più semplice delle mappe. I flussi di energia che lo attraversavano, i punti nevralgici ogni cosa era sotto il suo controllo. Era come se le sue dita fossero in grado di "vedere" le disfunzioni nell'organismo dei suoi pazienti e agissero di conseguenza per dargli sollievo. Sanae diceva spesso che le sue mani erano l'estensione del suo cuore e che era per questo che riuscivano a capire così bene il dolore degli altri. Non era una frase sua, era sicura che fosse stato qualcuno a dirgliela, anzi a ripetergliela per tutta la sua infanzia, ma non riusciva a ricordare chi. Sua madre diceva che lo Shiatsu era una tecnica che la sua famiglia si tramandava da generazioni, ma non scendeva mai in particolari...come al solito.

Ed era cominciato tutto per caso...già per caso...

Dopo l'incidente aveva perso la speranza, le sembrava di non avere niente per cui vivere. Senza passato e senza futuro, ecco come si sentiva. E così si era lasciata andare. Scacciò con fastidio il ricordo di quel periodo dalla mente. Perché doveva ricordarsi solo quello che non voleva?

Una notte in quell'ospedale tedesco aveva sentito un pianto insistente, doloroso. Lo aveva seguito a tentoni, come ipnotizzata e aveva trovato Katy. Si era avvicinata al suo letto lentamente e le aveva sfiorato una spalla. Non si erano dette niente, ma Sanae aveva percepito attraverso quel rapido tocco tutta la sofferenza della ragazzina. Le sue mani avevano cominciato a muoversi quasi da sole, guidate da una conoscenza che non ricordava di avere. Presto Katy aveva smesso di piangere.

"Sei un angelo?"

Sanae aveva sorriso. "Non sono nessuno. Ora stai meglio?"

La risposta di Katy era stato un abbraccio caldo, lungo e pieno di riconoscenza. Quell'abbraccio l'aveva fatta rinascere, le aveva indicato una strada che forse aveva solo dimenticato. Dopo quella notte era successo tutto molto in fretta, Katy aveva raccontato a tutti delle mani magiche di Sanae e presto i pazienti avevano cominciato a fare la fila davanti alla sua stanza. Il fisioterapista dell'ospedale era rimasto folgorato da quella ragazzina così giovane che pure mostrava una conoscenza così profonda di quella tecnica orientale e le aveva proposto di studiare al suo fianco. Una sorta di scambio di conoscenze. Così Sanae aveva cominciato a frequentare i corsi dell'ospedale mostrando una capacità di apprendimento decisamente superiore alla media. Sua madre non sembrava entusiasta della sua idea di diventare fisioterapista, ma dato che la cosa sembrava aiutarla ad affrontare la cecità non aveva avuto il coraggio di opporsi.

Erano già passati diversi mesi da allora e ormai "il dono" di Sanae non era più messo in discussione da nessuno. Lo avevano semplicemente accettato senza farsi troppe domande, ognuno si era dato una spiegazione di comodo "avrà imparato da sua madre" "suo padre era medico no?" ed era andato avanti con la sua vita. Solo Klaus, il suo amico-maestro aveva cercato di farsi raccontare il passato di Sanae dalla madre, naturalmente era stato uno sforzo vano. Aveva anche provato a fare delle ricerche per conto suo, ma sembrava che all'ospedale di Fujisawa nessuno avesse mai sentito parlare di una certa Sanae Shwartz. Anche Sanae ne era rimasta delusa, aveva segretamente pregato che Klaus trovasse una traccia del suo passato, una chiave che la aiutasse ad aprire quella porta chiusa. Invece niente...

-Ora sì che sto bene!-

Sanae si riscosse dai suoi pensieri e sorrise in direzione della voce sottile di Katy.

-Allora vado così puoi riposarti un pò. Ci vediamo domani!-

Ma Katy era già caduta in un sonno profondo. Sanae le accarezzò i capelli morbidi. Povera bambina, così piena di vita e con un corpo che già la tradiva.

* * *

Genzo Wakabayashi se ne stava mollemente appoggiato allo stipite della finestra aperta su una giornata di sole. Si portò di nuovo la sigaretta alle labbra distogliendo lo sguardo dalla luce accecante di quel pomeriggio. Quelle giornate insolitamente calde gli ricordavano l'autunno a Fujisawa. Passò nervosamente una mano sulla visiera del suo cappello preferito, lo aveva ricevuto in regalo dai suoi compagni dell'Amburgo. I ragazzi ci avevano fatto ricamare sopra la sigla SGGK, Super Great Goal Keeper. Sei il migliore e tutti lo devono sapere. Ecco quello che gli avevano detto. Qualcuno ancora gli scriveva, ma lui non apriva mai quelle lettere, non gli interessava sentirsi dire quanto mancasse alla squadra o peggio ancora quanto le cose andassero bene anche senza di lui. Aspirò un'altra boccata di fumo.

Aveva cominciato a fumare dopo l'incidente, non che non l'avesse mai fatto prima ma aveva sempre cercato di limitarsi ci teneva alla sua condizione atletica...ma ormai...aspirò di nuovo più profondamente fino a che sentì i polmoni pieni di fumo. Ma sì rovinati pure, tanto a chi importa?

-Si può sapere come ti viene in mente di fumare?! Lo sai che siamo in un ospedale?-

Genzo quasi cadde dalla finestra. Eppure l'infermiera era già passata non doveva esserci nessuno nei dintorni...e poi aveva aperto la finestra no? Guardò verso l'ingresso della camera mentre spegneva la sigaretta e la buttava dalla finestra. No ancora lei? Ma è una persecuzione!

-Ti sbagli...viene da fuori probabilmente-

Il viso di Sanae si rabbuiò. Facendo scorrere le mani lungo le pareti raggiunse la finestra da dove aveva sentito provenire quella voce ormai conosciuta. Naturalmente avrebbe potuto usare quell'orribile bastone bianco che le avevano regalato, ma fino a che rimaneva in ospedale poteva fare senza. Ormai conosceva l'edificio abbastanza bene e poi in questo modo c'era ancora qualcuno che la scambiava per una ragazza normale...Tese le braccia in avanti finchè non raggiunse le spalle del ragazzo e accostò il viso al suo petto. Genzo era rimasto immobile, più incuriosito che imbarazzato. Chissà cosa aveva in mente quella pazza...ma no non era possibile...e invece sì! Non c'era dubbio, lo stava annusando! Senza dubbio sarebbe scoppiato a ridere se le parole insolitamente taglienti della ragazza non lo avessero investito con forza.

-Puzzi di fumo da fare schifo. Lo sentivo già dalla porta. Non te l'ha mai detto nessuno che ai ciechi si acuisce il senso dell'olfatto? Non credere di poterti approfittare del mio handicap per negare l'evidenza. Stavi fumando e qui è vietato.-

Il ragazzo si sentì subito in colpa, ma era troppo orgoglioso per ammettere di essere in torto.

-Bè ma a te che importa? E poi avevo la finestra aperta di certo non faccio morire di cancro nessuno in questo ospedale.-

Non riusciva a guardare in faccia quella ragazza, si vergognava del suo comportamento ma era più forte di lui, non riusciva a cedere.

-E a te non pensi?-

Genzo rimase senza parole. Improvvisamente il tono della ragazza era cambiato. "A te non pensi". Genzo non ebbe bisogno di riflettere molto per rispondere a quella domanda. No non ci pensava. O forse non gli interessava più pensarci. Che gli importava di conservare sano un corpo ormai inutile?

Sul viso di Sanae comparve un sorriso. Il più triste che Genzo avesse mai visto. Per un attimo fu tentato di sfiorare quel viso così puro, di stringere quel corpo minuto, fragile, eppure capace di esprimere una forza tanto evidente. Naturalmente ricacciò indietro quell'istinto insensato in un secondo e stava per rispondere con una delle sue solite battute ciniche, ma la ragazza lo precedette.

-Allora hai proprio deciso di vivere a metà?-

Genzo alzò gli occhi su di lei. Vivere a metà...

are you breathing only half of the air
are you giving only half of a chance

Perché riusciva sempre a dirgli delle cose che lo destabilizzavano? Lui che era sempre stato un punto fermo, una roccia a cui gli altri si appoggiavano, la colonna portante di ogni squadra in cui aveva giocato. La sua presenza rendeva tutti tranquilli in campo "tanto c'è Wakabayashi in porta, lasciate che ci pensi lui". Nessuno aveva mai messo in discussione la sua totale e esibita sicurezza. Nessuno. E adesso bastavano le frasi sconnesse di una ragazzina a metterlo in crisi. Era proprio un fallimento totale.

are you still turning around the same things
are you still waiting for that same day to come

-Forse sono solo stufo di correre e ritrovarmi sempre nello stesso punto-

-Forse hai solo paura di cominciare a correre davvero. Certo che è più facile rimanere fermi, aspettando che qualcosa cambi. Ma ti do una notizia non cambierà niente se non sarai tu a volerlo-

are you locked up in you counting the days
oh how long until you have your freedom

Questo era troppo. Le odiava quelle frasi fatte del cavolo. Le prediche morali poi non le aveva mai sopportate. Non le accettava dai suoi genitori, figurarsi se doveva sentirsele fare da quella lì.

-Bè forse non me ne frega niente di cambiare le cose. Magari sto bene così.-

Sanae sembrò riflettere seriamente su quella possibilità. Il volto concentrato, gli occhi persi in chissà quale visione e il dito indice tra le labbra corrucciate, come se questo potesse aiutarla a capire meglio. Genzo si lasciò sfuggire un sorriso. E lui che aveva detto quelle parole solo per dare un taglio a quella conversazione fastidiosa...la fissava in attesa di una reazione che non riusciva a prevedere, incapace di distogliere lo sguardo.

Come guidata da un'improvvisa illuminazione Sanae prese la mano del ragazzo. Chiuse gli occhi e appoggiò la fronte bianca su quella mano così grande intrecciata alle sue così sottili. Genzo la guardò con aria interrogativa, dimenticandosi che con lei non poteva evitare di esprimersi a parole come faceva con tutti gli altri. Non avrebbe saputo dire quanto tempo rimasero così, forse solo pochi istanti o forse un'eternità. Era come se il normale scorrere dei minuti, delle ore, dei giorni fosse stato interrotto per lasciare il posto a uno spazio senza tempo, senza strappi.

-Ma non è così.-

Sanae pronunciò quelle parole quasi con sollievo.

-Lo sento così chiaramente...Il tuo corpo non è affatto in equilibrio, c'è un conflitto così forte dentro di te...se solo tu ti ascoltassi invece di nasconderti in una situazione in cui non vuoi stare, di correre contro te stesso.-

Genzo era frastornato. Ma cos'è adesso sta' storia dell'equilibrio e del conflitto? Ma quale conflitto? Questa qui è proprio fuori di testa altro che storie! Io sto bene come sto punto e basta e l'ultima cosa di cui ho bisogno è di una stupida ragazzina che mi viene a dire come dovrei comportarmi.

-Sì, sì certo lo senti chiaramente come no...guarda che non mi faccio abbindolare come gli altri.-

Sanae lo guardò senza capire.

-Credi che non le abbia sentite le voci che girano in quest'ospedale su di te? Sui tuoi incredibili poteri di guaritrice, il tuo dono...ma dai fammi il piacere. Ma cosa vuoi capirne di quello che provano le altre persone? Pensi davvero di poter capire come sono fatto stringendomi una mano? Sei proprio un'illusa...anzi no direi che sei una presuntuosa.-

Come se non avesse detto niente. Qualunque altra ragazza sarebbe scappata a gambe levate o magari lo avrebbe insultato a sua volta e invece cosa faceva lei? Gli sorrideva con comprensione! Genzo sentì un moto di rabbia invadere il suo corpo, strinse i pugni finché le nocche non diventarono bianche, annullare qualsiasi emozione era diventata un'abitudine. Apparire sempre calmo e controllato una necessità, o forse un modo per evitare gli altri. Già perché di fronte alla sua totale indifferenza per tutto, al suo essere intoccabile, tutti cedevano il passo. I suoi compagni, i suoi allenatori, persino i suoi genitori avevano rinunciato a confrontarsi con lui, a che scopo farlo? Tanto sembrava che niente lo toccasse, nessuna parola, nessun gesto sembrava avere il minimo effetto e d'altra parte la sua innata capacità di squalificare i discorsi altrui con le sue risposte ciniche aveva da tempo fatto passare la voglia a chiunque di intavolare una discussione con lui. Quella ragazza però decisamente non era "chiunque"...

-E' difficile credere a qualcosa che non si vede, me ne rendo conto. Si è così abituati a credere solo ai propri occhi e a soffocare i propri istinti. Per me è più facile, sono abituata a farmi guidare solo dal mio istinto, a fidarmi di quello che non vedo per necessità...ma tu non ti stanchi mai di nascondere le tue emozioni?-

don't you wanna shake because you love
cry because you care
feel 'cause you're alive

E adesso che razza di domanda era quella? Possibile che non si potesse fare un discorso normale con quella ragazzina? Genzo abbassò la visiera del cappellino ancora più del solito...ecco un'altra cosa spiazzante, con lei questa tecnica non funzionava! Di solito quel gesto gli serviva a nascondersi dagli sguardi degli altri, a nascondere il suo sguardo agli altri. Era un modo per impedire a chiunque di avvicinarsi troppo e col tempo chi lo conosceva aveva capito che il significato di quel gestro era "il discorso finisce qui". Ma con lei quel gesto studiato e così efficace era del tutto inutile.

Sanae non riuscì a trattenere un sorriso.

-E adesso che ti prende?- Genzo si sentiva esasperato, non sapeva come uscire da quella situazione. Maledì per l'ennesima volta quella stupida gamba che gli impediva di muoversi come avrebbe voluto...in altre parole di allontanarsi il più in fretta possibile da quella finestra, da quella stanza, da quell'ospedale, da quella ragazza.

-Pensavo che con me nasconderti dietro al tuo amato cappellino non ti serve a niente.-

Genzo sussultò. Ma come cavolo ha fatto a capire cosa pensavo? Ma no...un momento, ma allora...

-Ma allora riesci a vedermi?! Come diavolo fai a sapere che ho il cappello in testa altrimenti?-

Questa volta Sanae scoppiò in una risata calda, incontenibile e contagiosa. Per chiunque tranne che per lui. Genzo rimase impassibile aspettando che il moto di ilarità della ragazza si esaurisse.

-Io no, ma il resto della gente di questo ospedale sì! Credi che non abbia sentito le voci che girano in quest'ospedale su di te? Sul tuo famoso cappello che non togli mai e che ti cali sugli occhi quando vuoi chiudere una conversazione? Credi davvero di poterti nascondere dietro a un oggetto così piccolo? Sei proprio un illuso...anzi no un presuntuoso.-

Sanae pronunciò quelle ultime parole con un sorriso nella voce. Genzo sentì la rabbia impadronirsi di nuovo del suo corpo, l'istinto di strozzare quella ragazzina petulante si faceva sempre più forte...adesso aveva anche usato le sue stesse parole, le sue stesse frasi rivoltandole contro di lui! Era troppo...anche per la sua imperturbabile calma.

-Senti mi hai proprio rotto! Ma si può sapere cosa cavolo vuoi da me?! Non posso stare solo un attimo che arrivi tu a rompermi l'anima. Vai a istruire sulla vita qualcuno che crede ancora alle favole, và. E poi cosa ne vuoi sapere tu della vita eh? Fai tanto la superiore, ma io alla tua santità non ci credo neanche un pò. Vieni a dire a me che mi nascondo, proprio tu che non hai neanche il coraggio di ricordarti chi eri e che cosa hai fatto nella tua vita! Troppo comodo cara mia cancellare così con un colpo di spugna tutti gli errori e i rimpianti, sai cosa ti dico? Che sei stata fortunata ad avere quell'incidente!-

Genzo si bloccò di colpo. Di solito provava un piacere sottile nel mettere i suoi interlocutori di fronte a verità fin troppo scomode, a distruggere la loro sicurezza e la loro serenità con il suo cinismo. Ma persino lui, questa volta, si rese conto di essere andato troppo oltre.

Sanae sentì le gambe che le cedevano. Si rannicchiò su se stessa, una mano fra i capelli neri e un sorriso vuoto sulle labbra.

-Fortunata dici...-

Genzo aprì la bocca per replicare, ma era come se tutta le parole gli si fossero bloccate in gola.

-In quell'incidente ho perso mio padre. Sai che non ho pianto neanche al suo funerale? Come si fà a piangere per la morte di un estraneo? Perché è questo che è diventato dopo l'incidente. Non ricordo neanche la sua voce. E ogni volta che quella donna...mia madre mi abbraccia, io non provo niente. Perché per me è un'estranea che mi abbraccia. A volte mi chiedo se sia davvero mia madre, se lo fosse come potrei provare tanta indifferenza? Ogni mattina mi sveglio e aspetto almeno dieci minuti prima di aprire gli occhi...e passo quel tempo interminabile a pensare che forse questa è la mattina giusta, che quando aprirò gli occhi vedrò finalmente una luce, un colore, una forma, qualcosa. Ma non succede mai. Dalla mia stanza ho fatto togliere tutti gli specchi perché quelle superfici così fredde e inutili mi ricordavano continuamente che non so neanche come sono fatta.-

Ma perché gli stava dicendo tutte quelle cose? Proprio a lui che di certo se ne sarebbe servito per le sue piccole vendette personali. Eppure non riusciva a fermare quel fiume di parole che le premeva sulle labbra, quelle parole che non aveva mai detto ad alta voce, quelle domande che non aveva mai avuto il coraggio di fare.

-Dicono che ho un dono, che c'è qualcosa di magico nelle mie mani, ma questo non fa altro che farmi sentire ancora più isolata. A volte vorrei non saper fare niente, non averlo affatto questo "dono", poter essere finalmente una ragazza normale e non il fenomeno da baraccone che tutti guardano pieni di stupore e compassione. E invece continuo a usare questo...questo "dono" perché è l'unica cosa che mi rimane, è l'unico modo che ho per essere certa di esistere, per avere la prova che la mia presenza conta qualcosa, serve a qualcuno. Non sopporto di essere inutile, non lo soppporto.-

Lo aveva detto tutto d'un fiato, tutti quei pensieri, quei dubbi che le vorticavano in testa da tanto tempo finalmente erano usciti. Ora che il silenzio della stanza d'ospedale aveva preso il posto delle sue parole dolorose, Sanae sentì tutto il peso del suo discorso ricaderle sulle spalle. Che stupida a parlare così, ma cosa mi è venuto in mente di dire tutte quelle cose insensate...se prima aveva dei dubbi adesso sicuramente si sarà convinto che sono completamente pazza! No e adesso? Klaus mi ucciderà...ho completamente compromesso il rapporto medico-paziente! E pensare che mi ero impegnata tanto per spingerlo a fidarsi di me...che stupida, stupida, STUPIDA!

-Sei la tipica ragazzina giapponese.-

Sanae alzò la testa verso quella voce che sembrava aver recuperato la solita imperturbabile sicurezza. Ma che cosa voleva dire con quella frase?

Genzo osservò per un attimo il volto confuso della ragazza. Rannicchiata su se stessa, con la mano tra i capelli lucidi e gli occhi grandi, pieni di pensieri, in quel momento fu certo di non aver mai visto niente di più bello e di più fragile...ma guarda se doveva capitare proprio a me una così...

-Sai il solito...occhi neri, capelli neri, pelle chiara quasi trasparente, naso piccolo all'insù, bocca...-

Genzo soffermò lo sguardo sulle labbra rosse dal disegno delicato. Sulla pelle nivea della ragazza quelle labbra morbide brillavano come un rubino adagiato su una stola di raso color avorio. Tutto in lei sembrava così puro e allo stesso tempo così pieno di passione, intenso. Ma cosa sto pensando! Figurati se mi può piacere una ragazzina insignificante come questa...devo dire qualcosa questo silenzio non mi piace per niente...

-Insomma hai capito no? Non sei niente di speciale, esattamente una ragazzina come ce ne sono tante in giro in Giappone perciò è inutile che ti fai tanti giri mentali per sapere come sei fatta.-

Come sempre quando si trovava in imbarazzo o a disagio tutto quello che riusciva a dire era intriso di cinismo e ironia. Ma proprio questo dovevo dire? Si sarà offesa! Dio non ci credo che dopo come l'ho insultata prima adesso le ho detto pure che non è niente di speciale...bene direi che posso dire addio alle sedute di shiatsu, va già bene se non trova il modo di farmi buttare fuori dall'ospedale, tanto qua già mi odiano tutti...

E poi successe qualcosa di inaspettato. Sul volto contratto di Sanae comparve un sorriso, un sorriso vero, un sorriso che fino a quel momento solo Katy aveva avuto l'occasione di vedere qualche volta. La ragazza si sfiorava il viso e i capelli e presto il sorrio si trasformò in una risata.

-Sono così...io sono così!-

Sanae non riusciva a smettere di ripetere quella frase e neanche di ridere.

Questa chi la capisce è bravo. Cosa avrà da ridere adesso.

-Ragazzina, sei sicura di non essere scappata da qualche manicomio vero?-

Sanae alzò la testa verso il ragazzo continuando a ridere, con la pancia che ormai le faceva male.

-E io che mi ero immaginata bionda con gli occhi azzurri, che delusione!-

A quel punto neanche Genzo riuscì più a trattenersi e seguì la ragazza nella sua risata ormai convulsa. C'era qualcosa di liberatorio nel lasciarsi andare così, in quel ridere fino a sentire gli addominali contratti e doloranti.

Quando finalmente riuscì a smettere di ridere Sanae si alzò dal pavimento ansimante come se fosse di ritorno da una lunghissima corsa. Genzo continuava a lasciarsi sfuggire qualche breve risata, ma ormai anche lui si era calmato. La voce di Sanae risuonò nell'aria ormai silenziosa della stanza asettica.

-Grazie-

Grazie. Non si ricordava neanche più l'ultima volta che aveva sentito quella parola rivolta a lui. Di sicuro i suoi non l'avevano mai ringraziato per niente. Bé a volte i compagni di squadra quando parava quei tiri imprendibili...ma questo era un grazie diverso, decisamente diverso.

-Bé mi aspetto che in segno di riconoscenza mi lasci finalmente in pace-

Così dicendo Genzo si calò il cappello sugli occhi e incrociò le braccia al petto fingendo di cadere in un sonno profondo quanto improvviso.

-Scordatelo-

E così dicendo la ragazza si diresse verso la porta.

-Non permetterò mai che tu faccia i miei stessi errori...soprattutto adesso che so che siamo così simili.-

Simili? Ma dove? Io assomiglierei a questa pazza?! Che palle! Ma possibile che sia capitato nell'unico ospedale dove la gente invece di fregarsene ti rompe l'anima dalla mattina alla sera?

-Fai un pò come ti pare.-

Concluse il ragazzo sbuffando e ritornando a guardare fuori dalla finestra.

-Un giorno sarai tu a ringraziarmi e allora saremo pari.-

Ma ormai Genzo non poteva più sentirla.

 

 

 

 

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La canzone in sottofondo è Heaven out of Hell di Elisa. Se vuoi leggere il testo originale vai qui.