Sogni infranti

Giocava come se quella fosse la sua ultima partita. Amaya lo osservò scartare un avversario con fredda concentrazione e arrivare di fronte alla porta, senza fatica. Il portiere si posizionò per ricevere il tiro. Inutilmente. Il fischio dell'arbitro regolarizzò il gol.

Quattro a zero.

E stavano giocando contro i campioni uscenti.

Si sarebbe dovuta sentire felice. Addirittura entusiasta. I suoi schemi si erano rivelati un'arma vincente e Tsubasa li applicava con padronanza e naturalezza, trascinando l'intera squadra.

Non avevano perso una sola partita del campionato, a cominciare dall'amichevole contro la squadra di Santana.

Era cominciato tutto da quella partita. Il suo nuovo lavoro come vice-allenatore. La scalata verso la vetta del San Paolo. Le vittorie schiaccianti. L'attenzione dei giornalisti per gli innovativi schemi tattici della squadra di Roberto Hongo.

Il pubblico Brasiliano li aveva sostenuti con un entusiasmo senza precedenti.

E naturalmente Tsubasa Ozora era diventato il loro beniamino.

Lui che era riuscito a conciliare il gioco giapponese con le acrobazie brasiliane.

Amaya distolse lo sguardo dal tabellone per riportarlo sul nuovo capitano del San Paolo. Era l'ultima partita del campionato, vincerla significava raggiungere il traguardo di tutta una vita. Eppure non c'era segno di gioia sul volto di Tsubasa. Sorrideva, naturalmente. Incitava i compagni, come sempre. Ma i suoi occhi erano spenti. La luce che aveva brillato così intensamente quando lo aveva conosciuto...la luce che l'aveva fatta innamorare...era scomparsa.

Con uno scatto di orgoglio gli avversari si impadronirono della palla, ma non riuscirono neppure ad attraversare la metà campo. Tsubasa rubò palla e con un gesto della mano guidò i suoi compagni in una nuova azione offensiva. Passò quasi immediatamente la palla a Radunga che triangolò con Pepe, quindi scattò in avanti. I giocatori avversari furono subito su di lui, accerchiandolo.

Esattamente quello che voleva.

Pepe proseguì, completamente smarcato, sulla fascia.

Quando gli avversari si accorsero del suo gioco era già troppo tardi. Pepe si fermò proprio di fronte alla porta, in attesa. I difensori gli si fecero incontro, non riuscendo comunque a impedire il suo passaggio a Radunga. L'attaccante colpì con violenza la sfera di cuoio indirizzandola verso la porta. Accolto dall'urlo deluso degli spettatori, il pallone rimbalzò contro la traversa. Radunga non sembrò particolarmente preoccupato del suo errore e guardò alle proprie spalle.

Tsubasa, ormai libero dai suoi marcatori, avanzati nell'area di rigore per proteggere lo specchio della porta, si lanciò contro la palla che gli veniva incontro.

Gli avversari lo osservarono impotenti spiccare un possente salto verso il cielo e colpire la palla in rovesciata. Prima ancora che la sfera si fosse insaccata in rete, il pubblico si alzò in piedi con un boato di meraviglia.

Il fischio dell'arbitro venne coperto dagli applausi, mentre Tsubasa già veniva portato in trionfo dai compagni.

La vittoria era definitivamente assicurata. Una vittoria facile. Del resto Santana non era neanche sceso in campo. Sembrava che l'allenatore volesse preservare il suo campione per scontri più importanti di un semplice campionato giovanile.

Amaya osservò Tsubasa complimentarsi con gli avversari, come un vero campione. Avevano vinto. Eppure, guardando il capitano del San Paolo, non poteva fare a meno di sentirsi triste.

+ + +

Tsubasa ritirò la coppa dalle mani del Presidente della Federazione, sorridendo e ringraziando educatamente. Gli sembrava di non fare altro da mesi. Sorrideva e ringraziava. Oh giocava, anche. E naturalmente vinceva.

Solo che non aveva l'impressione di vincere. Di certo non si sentiva un vincente. Non più. Ogni volta che stringeva tra le mani una nuova medaglia si voltava istintivamente verso le tribune, con l'assurda speranza di vederlo. Il suo sorriso. Quello che, silenzioso, aveva festeggiato ogni sua vittoria e consolato ogni sua sconfitta. Il sorriso di Sanae.

Ma quel sorriso era morto. Sanae era morta. Prima se lo metteva in testa e meglio sarebbe stato per tutti.

-Stasera si festeggia eh?-

Lo apostrofò Radunga scaricandogli una pesante pacca sulla spalla.

-Naturalmente-

Gli sorrise Tsubasa di rimando, prima di allontanarsi con la coppa tra le mani.

In un angolo della stanza Amaya e Roberto parlavano animatamente con il Presidente della squadra. Tsubasa li evitò accuratamente, infilandosi nel bagno degli uomini.

Non appena la porta si richiuse alle sue spalle smise di sorridere. Appoggiò la coppa sul piano di marmo grigio, di fronte alla lunga specchiera che qualcuno aveva rotto.

Tsubasa fissò la propria immagine riflessa, spezzata in centinaia di frammenti irregolari, e pensò che era esattamente così che si sentiva. A pezzi.

-Ho vinto il campionato, Sanae. Non è fantastico?-

Si accorse di non provare alcun dolore nel pronunciare quel nome. A dire il vero non provava alcuna emozione.

Sorrise debolmente al proprio riflesso, cercando di sentirsi soddisfatto del risultato raggiunto, ma lo specchio gli rimandò una smorfia distorta. Stupido specchio. Con uno scatto improvviso girò su se stesso, urtando la coppa di cristallo.

La vide cadere, quasi a rallentatore. Sulla superficie lucida e trasparente gli sembrò di intravedere il volto sorridente di Sanae. Si allungò verso la coppa, cercando di afferrarla, ma era già troppo tardi. Vide il volto della ragazza infrangersi in mille pezzi sul pavimento asettico del bagno. Il rumore dei vetri che si spargevano sulle piastrelle spezzò il silenzio circostante.

Gli sembrò che insieme a quella coppa si fossero infranti anche tutti i suoi sogni di gloria. O forse quelli si erano già infranti nel momento in cui Sanae non aveva più potuto condividerli.

Tsubasa osservò i resti del trofeo ai suoi piedi. Solo vetri. Nient'altro che stupidi vetri trasparenti.

Con un sospiro si chinò a raccogliere i pezzi. Al Presidente del San Paolo sarebbe venuto un colpo una volta scoperto che la sua preziosa coppa si era irrimediabilmente rotta. Il cristallo affilato gli lacerò la pelle. Tsubasa ritirò la mano, d'istinto, e rimase ad osservare il sangue che colava sul pavimento, una goccia dopo l'altra. Tornò a guardare i frammenti della coppa, sparsi di fronte a lui. Poi, sorridendo, scelse il più affilato e lo strinse tra le dita con tutta la forza che aveva in corpo.

+ + +

-Avete visto Tsubasa?-

La voce di Roberto Hongo si insinuò tra il brusio generale. Pepe fu l'unico a voltarsi nella sua direzione.

-Mi pare di averlo visto entrare in bagno, Coach-

Roberto assentì distrattamente. Il Presidente ci teneva a complimentarsi personalmente con la nuova stella del San Paolo. Anche se Carlos Santana non si era fatto vedere, erano comunque diventati i campioni del Brasile.

-Tsubasa? Ci sei?-

La porta era socchiusa. Le luci spente. Probabilmente era già tornato a casa.

Roberto aprì comunque la porta del bagno, una fastidiosa sensazione di disagio alla bocca dello stomaco.

Appena varcata la soglia le sue narici furono invase da uno strano odore metallico. Fece qualche passo in avanti in cerca dell'interruttore e sentì scricchiolare sotto le suole dei pezzi di vetro. Doveva essersi rotto qualcosa. E doveva esserci una perdita d'acqua perché oltre ai vetri c'era del liquido sparso sul pavimento.

Con un sospiro seccato accese la luce.

E un grido gli si fermò in gola.

+ + +

Amaya si diresse con decisione verso il bagno degli uomini. E poi si lamentavano delle donne! Forse impiegavano più tempo degli uomini a prepararsi. Sottolineato forse. Ma di certo non facevano le loro riunioni in un bagno pubblico...

La porta era semi aperta e un fascio di luce filtrava nel corridoio.

-Roberto? Tsubasa? Ci siete? Di là vi stanno aspettando per andare via...-

Stava quasi per aprire la porta quando Roberto le si parò davanti, il volto stravolto in un'espressione incredula.

-Ah, Roberto! Finalmente! Il Presidente continua a chiedere di Tsubasa e i ragazzi cominciano a essere stanchi del Party ufficiale. Gli ho detto che potevano andare a bere qualcosa al solito...Roberto? Ma che ti prende?-

L'uomo socchiuse gli occhi, come se non riuscisse a mettere a fuoco la sagoma della ragazza. Poi la prese per le spalle, stringendola dolorosamente.

-Chiama un'ambulanza, Amaya. Subito-

Amaya si liberò dalla stretta dell'uomo, il cuore che aveva improvvisamente accelerato i battiti e uno strano presentimento nella testa.

-Dov'è Tsubasa?-

Roberto indietreggiò verso la porta socchiusa del bagno.

-Chiama un'ambulanza, subito!-

Senza aspettare oltre Amaya si avventò contro l'allenatore del San Paolo, sostandolo da un lato. L'uomo quasi non oppose resistenza, lasciandosi scivolare contro la parete. Libera da ogni impedimento, Amaya spalancò la porta con violenza.

E poi fu come se il tempo si fosse improvvisamente fermato.

Il pavimento bianco era percorso da sottili rigagnoli di sangue che formavano una ragnatela irregolare. Su tutta la superficie erano sparsi pezzetti di vetro grandi e piccoli.

E in un angolo, contro la parete, c'era Tsubasa.

Se ne stava seduto a terra, i vestiti inzuppati di sangue, come se niente fosse, un sorriso strano sulle labbra. Nella mano destra stringeva un grosso pezzo di vetro tagliente e lo guardava con stupore, come un bambino perso nella contemplazione di un nuovo giocattolo.

All'improvviso sembrò accorgersi della presenza della ragazza, perché alzò il capo e si lasciò andare a una risata leggera.

-Non è incredibile? Continuo a non sentire...-

Amaya rabbrividì istintivamente, stringendosi le braccia attorno al corpo.

-Cosa hai fatto, Tsubasa...-

Il ragazzo la guardò come se non capisse, poi scosse la testa perplesso, tornando a guardare il pezzo di vetro.

-Credono che faccia male...sono convinti che si soffra...e invece...-

Tsubasa rialzò lo sguardo su Amaya, guardandola dritto negli occhi.

-La verità è che dopo un po' non si riesce più a sentire niente-

+ + +

Non era stato facile tenere i giornalisti lontani dal bagno dell'hotel dove si era svolta la premiazione. Come avvoltoi affamati avevano fiutato l'odore della preda morente e volavano in circolo sopra i suoi resti, avvicinandosi sempre di più.

Non c'era dubbio che l'episodio sarebbe finito sulle prime pagine di tutti i quotidiani brasiliani. E forse anche su quelle di qualche quotidiano nazionale.

Poteva già vedere i titoli.

"Il capitano del San Paolo festeggia la vittoria tentando il suicidio in un bagno pubblico".

C'era di che riempire almeno quattro colonne.

Roberto guardò il volto pallido di Tsubasa abbandonato tra i cuscini del letto d'ospedale. Respirava debolmente, ancora sotto l'effetto dei sedativi. Non gli era mai sembrato così piccolo e indifeso. Lo aveva sempre trattato come un uomo, fin da quando era bambino. Aveva sempre visto il fuoriclasse che si nascondeva in lui, mai il ragazzo troppo ansioso di compiacerlo per mostrare le sue paure. Eppure anche lui doveva averne avute. Anche per lui doveva essere stato difficile crescere, come lo era stato per tutti. Nessuno però se ne era mai preoccupato. Erano tutti troppo occupati a seguire le gesta del nuovo campione, ingannati dal suo sorriso aperto e disponibile dietro cui si nascondevano invece frustrazioni e debolezze.

Forse solo Sanae era riuscita a vedere il vero Tsubasa. Forse solo lei era riuscita ad amarlo davvero. Forse per questo, dopo che lei se ne era andata lui aveva perso ogni desiderio di vivere.

Roberto si alzò in piedi di scatto avvicinandosi alla finestra, soverchiato dal disperato bisogno di fuggire il più lontano possibile da quella stanza.

Natsuko sarebbe impazzita di dolore. E lo avrebbe odiato. Gli aveva affidato il suo unico figlio e lui lo aveva quasi ucciso con la sua superficialità. Eppure aveva creduto di averlo reso felice, portandolo in Brasile...realizzando uno a uno tutti i suoi sogni...

Ma quali erano davvero i suoi sogni? Se lo guardava adesso stentava a credere di avere ancora di fronte il bambino che lo aveva pregato di farlo diventare un campione...il bambino che diceva a tutti che il pallone era il suo migliore amico.

Quand'è che le cose erano cambiate così drammaticamente?

Cominciava a sospettare che la morte di Sanae fosse stata solo la goccia finale, caduta in un vaso già colmo.

Di certo l'equilibrio si era spezzato. Forse per sempre.

+ + +

Lo trovò che guardava fuori dalla finestra, immobile nel letto.

Erano passati quattro giorni e le sue condizioni erano ormai stabili, ma i vertici del San Paolo avevano deciso che l'ospedale era per il momento il luogo più sicuro per lui. Almeno lì i giornalisti non entravano.

Amaya si stampò un sorriso falso sulle labbra e depose i fiori nel vaso. Tsubasa non diede segno di percepire la sua presenza, ma lei sapeva perfettamente che l'aveva sentita entrare.

-Dicono che domani ti faranno uscire-

Nessuna reazione.

Amaya prese una sedia e la avvicinò al letto.

-Roberto sbrigherà tutte le pratiche, beato lui che ci capisce qualcosa in tutte quelle scartoffie scritte in burocratese-

La risata con cui accompagnò la battuta suonò falsa persino a lei. Si morse le labbra nervosamente.

-Scommetto che non vedi l'ora di andartene-

Tsubasa si voltò a guardarla, prendendola alla sprovvista. I suoi occhi non erano vacui, come si sarebbe aspettata. Sembravano solo infinitamente più vecchi dell'ultima volta che li aveva visti.

Le sorrise e, per una volta, le sembrò sincero.

-Con una scommessa così, giochi sul sicuro-

Amaya ricambiò il sorriso, incerta.

-Sì bè...non è che sia mai stata una grande giocatrice d'azzardo...non sono una che fa grandi pazzie...-

Ancora prima di aver terminato la frase si diede ripetutamente dell'idiota.

-Non volevo dire che tu invece...-

Tsubasa la interruppe pacatamente.

-Avresti tutte le ragioni per credere che io sia improvvisamente impazzito...quello che ho fatto, è stata un po' una pazzia, in effetti-

Amaya abbassò lo sguardo sulle mani che da qualche minuto continuava a contorcersi ostentatamente.

-E' solo che...ci hai preso un po' alla sprovvista...sembra sempre che le cose che succedono intorno a te non ti tocchino più di tanto...e quando uno ti chiede come stai tu scrolli le spalle e sorridi...è difficile capire che invece stai male e magari soffri...-

Tsubasa tornò a osservare il paesaggio che si stendeva fuori dalla finestra.

-Quello che succede non mi tocca per niente, se vuoi la verità. Non mi emoziona più...da molto tempo-

Quando tornò a guardarla aveva un sorriso stanco sul volto.

-Non sto male, ma non sto neanche bene. Vincere...perdere...mi è totalmente indifferente, dentro e fuori dal campo. Non è che volevo morire in quel bagno...volevo solo vedere se riuscivo ancora a provare qualcosa...qualunque cosa-

Amaya lo fissò dritto negli occhi, senza esitare.

-E ha funzionato? Sei riuscito a provare qualcosa?-

Tsubasa socchiuse gli occhi prima di rispondere.

-No-

Amaya scrollò le spalle senza mostrare la minima impressione.

-Allora significa che non era la strada giusta, ti pare?-

Tsubasa osservò la ragazza con più attenzione e per la prima volta non vide il volto di Sanae sovrapporsi al suo. Era come se per la prima volta stesse guardando Amaya. Semplicemente.

-Non ho mai conosciuto una come te...-

La ragazza gli sorrise apertamente.

-Era ora che te ne accorgessi-

E con quelle parole uscì dalla stanza.

+ + +

-Aveva mai tentato il suicidio, prima?-

La domanda del giornalista aleggiò nella sala stampa, provocando lo stesso effetto di una bomba atomica. Un infinito e interminabile silenzio. Era la domanda che avevano tutti desiderato fargli fin da quando era iniziata quella conferenza stampa, non aveva dubbi su questo.

Roberto fece per rispondere, ma Tsubasa gli fece segno di aspettare.

Si avvicinò al microfono con calma misurata, il suo classico sorriso rilassato stampato sulle labbra.

-Vorrei chiarire, prima di tutto, che l'incidente di qualche giorno fa non è assolutamente qualificabile come un tentativo di suicidio. Si è trattato di un semplice incidente. Fortunatamente il mio allenatore Roberto Hongo è arrivato in tempo. Gli devo la vita-

E bravo Tsubasa. Voce ferma e tranquilla. Nessun accenno di incertezza. Non fosse entrato in quel bagno prima di tutti gli altri, Roberto quasi gli avrebbe creduto.

-Ozora, non credi che definire quello che è successo un incidente sia quanto meno azzardato? I referti medici parlano di tagli in varie parti del corpo e di un ingente perdita di sangue...-

Tsubasa non si scompose di un millimetro.

-Immagino che lei sappia signor...-

-Juan Pablo Martìnez Calvo di El Mondeo-

-Immagino che lei sappia signor Calvo che le cartelle cliniche sono documenti riservati ed è illegale leggerle o divulgare le informazioni in esse contenute senza il permesso del diretto interessato-

Il giornalista rise nervosamente dalla sua poltrona in fondo alla sala.

-Ecco io...sono voci che girano...voci di corridoio...naturalmente non ho avuto accesso alle cartelle cliniche...-

Tsubasa sorrise soddisfatto all'indirizzo del giornalista.

-Esatto signor Calvo. Ha detto bene. Sono solo voci di corridoio. La verità è che la coppa del campionato mi è caduta e si è rotta, stupidamente ho cercato di raccogliere i pezzi e mi sono tagliato. Tutto qui. Davvero non c'è niente di cui parlare-

-Signor Ozora, non pretenderà davvero che crediamo a questa storia!-

Tsubasa sorrise, scrollando le spalle.

-Naturalmente non ho nessuna pretesa. Potete credere o inventare le storie che volete. La verità però è una sola e la conosciamo io e Roberto Hongo-

Roberto e Tsubasa si scambiarono uno sguardo eloquente.

In realtà la verità la conoscevano solo le tre persone che erano entrate in quel bagno. E non era quella che stavano raccontando durante quella conferenza stampa. Ma alla fine a chi importava la verità? Chi la voleva veramente? Non certo quei giornalisti che avevano probabilmente già scritto il loro pezzo sull'argomento prima ancora di entrare nella sala stampa. Non certo la federazione per cui quell'orribile "incidente" si era trasformato in un'altrettanto orribile perdita economica in termini di sponsor. E del resto quale casa commerciale avrebbe mai investito i suoi soldi su un potenziale suicida? Ecco perché bisognava spazzare il campo da ogni dubbio in merito. Il campione nazionale non aveva mai tentato il suicidio, né soffriva di crisi depressive. Era anzi un ragazzo sano e responsabile, rispettato dai suoi compagni e stimato dall'allenatore, forse un po' maldestro...ma questo non era certo un crimine...

-Però signor Ozora, gli inservienti che hanno ripulito la stanza hanno parlato di molto sangue...-

Intervenne un altro giornalista.

Tsubasa sorrise divertito.

-Lei si è mai tagliato una mano signore?-

Il giornalista si guardò intorno imbarazzato.

-Bè...sì naturalmente mi è capitato...-

-E immagino che nessuno sia venuto ad accusarla di suicidio-

-Sì ma...non vedo come questo giustifichi...-

Tsubasa rise sinceramente divertito.

-Non c'è niente da giustificare, infatti. Mi sono tagliato, tutto qui. E mi sono tagliato solo a una mano, come potete vedere dalla mia fasciatura. Potrei spogliarmi per mostrarvi che il resto del mio corpo è assolutamente integro, ma non vorrei scandalizzare le signore in sala...-

Un brusio generale e una serie di risate femminili accompagnarono la "proposta" del capitano del San Paolo.

Tsubasa ammiccò in direzione delle giornaliste sedute in prima fila prima di continuare.

-Davvero signori non vedo dove sia il problema...se dovesse succedere tutto questo casino ogni volta che mi taglio in cucina mentre tento di prepararmi da mangiare...bé saremmo qui un giorno sì e l'altro anche!-

Il brusio si trasformò in una risata generale. Uscendo dalla sala stampa i giornalisti concordavano nel dire che l'incidente forse era stato più grave di quanto la squadra del San Paolo non volesse far credere ma che di un incidente si era trattato. Tsubasa Ozora era apparso rilassato, perfino spiritoso, e certo non aveva l'aria del potenziale suicida. E poi non si poteva negare che il taglio fosse sulla mano e non ai polsi...

Roberto si accostò al suo pupillo, circondandogli le spalle con il braccio.

-E' andata Tsubasa. E meglio di quanto pensassi-

Il ragazzo gli sorrise di rimando.

-Dubitavi delle mie capacità interpretative? Strano. Proprio tu che mi hai visto recitare tutta la vita e non te ne sei mai accorto-

E con quelle parole lo lasciò, attonito, in mezzo alla sala stampa ormai vuota.

+ + +

-Sono convinto che sia la cosa migliore-

All'altro capo del telefono ci fu una lunga pausa.

-Mi affido al tuo giudizio, Roberto. Come sempre-

Roberto strinse tra le dita la cornetta, socchiudendo gli occhi.

-Natsuko, ti prego non...-

-No Roberto...va bene così, davvero. Non ti do la colpa di niente. Sarei dovuta rimanere vicina a Tsubasa...sarei dovuta partire con lui...o avrei dovuto ascoltare Sanae quando cercava di parlarmi di Tsubasa, delle sue fragilità...ma lui mi è sempre sembrato un bambino così tranquillo...così sereno...non mi ha mai dato preoccupazioni...-

-Comunque lo riporto in Giappone. Sono sicuro che tornando nel suo ambiente...con i suoi veri genitori...-

-Tu sei stato un padre per lui, Roberto. Non dubitare mai di questo. Sei stato molto più presente tu nella sua vita di quanto non lo sia mai stato Koudai-

-Per questo la colpa di quello che è successo è soprattutto mia...-

-Roberto...-

-Come hai detto tu, Natsuko. Va bene così. L'importante adesso è che Tsubasa si riprenda-

Natsuko si morse il labbro inferiore. Avrebbe voluto dire tante altre cose. Avrebbe voluto parlare di un rapporto finito ancor prima di cominciare, di un amore che la teneva sveglia la notte, del desiderio che la faceva fremere ogni volta che sentiva la sua voce...ma non era il momento. Non era mai stato il loro momento. E forse, con tutto quello che stava succedendo, quel momento non sarebbe venuto mai.

-Allora a presto, Roberto-

Già. A presto. Roberto abbassò la cornetta senza ricambiare il saluto. Aveva cercato di evitare quel momento per anni. Non era forse per questo che era partito...anzi era letteralmente fuggito in Brasile, senza neanche salutare? Non poteva sopportare di starle così vicino, pur rimanendo così lontano. E cos'altro avrebbe potuto fare? Non aveva certo messo in preventivo di innamorarsi di lei. Koudai gli aveva salvato la vita. Era il suo migliore amico. Non poteva tradirlo così. Ora meno che mai. Ora doveva pensare a Tsubasa, non certo alla sua insensata attrazione per la moglie del suo migliore amico.

+ + +

-Così te ne vai sul serio-

Tsubasa si voltò verso di lei, senza fingere un sorriso che non sentiva. Bè era già un inizio.

-Così sembra. Il mio allenatore pensa che il clima in Brasile si stia scaldando un po' troppo-

Amaya distolse lo sguardo, concentrandosi sul tramonto che infiammava il cielo della sera. Ricordava ancora il loro primo tramonto. Il loro primo bacio. In quello stesso stadio abbandonato. Su quelle stesse gradinate polverose. Sembravano passati secoli.

-I giornalisti hanno la mano pesante...non te la devi prendere...-

Tsubasa scrollò le spalle con noncuranza.

-E chi se la prende? E poi sono stanco anch'io del Brasile. Non ho trovato quello che cercavo e non c'è niente che mi trattenga...-

Amaya serrà le labbra sentendo un dolore sordo nella testa. "Non c'è niente che mi trattenga". Niente.

Poteva anche capirlo. Per lui il Brasile non era stato un Paese d'oro.

-Allora...la partenza è per domani-

Tsubasa assentì, riempiendosi gli occhi con l'ultimo sole brasiliano.

-Vedi di non fare tardi. L'aereo non aspetta certo noi-

Amaya sollevò lo sguardo su di lui, incerta.

-Come?-

Tsubasa si voltò verso di lei, un sorriso sulle labbra.

-Volo 657, domani alle nove. Abbiamo biglietti in buisness class, un gentile regalo di commiato da parte del Presidente del San Paolo-

Amaya scosse la testa incredula, ma Tsubasa non le diede il tempo di replicare.

-C'è un biglietto anche per te. Roberto ti vorrebbe come sua vice anche in Giappone. Naturalmente l'ultima parola rimane a te-

Mentre scendeva le gradinate per uscire dallo stadio Tsubasa lanciò dietro le spalle le sue ultime parole. Quasi un sussurro che suonò nelle orecchie di Amaya come un urlo.

-Io ci terrei che partissi con me-

Una richiesta di aiuto.

Gettata lì. Come un commento qualsiasi. Con leggerezza e un sorriso nella voce. In perfetto stile Tsubasa Ozora.

Amaya lo guardò allontanarsi, inghiottito dai colori della sera. E decise che non avrebbe perso quell'aereo per niente al mondo.

 

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