Una vita di bugie

-Se sarò costretta porterò via Sanae anche da qui. Sono abituata a non affezionarmi ai luoghi...o alle persone con cui entro in contatto-

Candance si bloccò sulla porta. La madre di Sanae discuteva con il Dottor Lindemann...e non sembrava avere buone intenzioni. Forse quella giornata stava inaspettatamente risolvendosi a suo favore.

-E a Sanae ha pensato? Possibile che non si sia accorta di quanto sia legata a suo cugino Karl e ai pazienti dell'ospedale?-

Candance trattenne il fiato. Karl...il cugino di Sanae? Allora forse....

-Come crede che reagirebbe se la strappasse dall'unica famiglia che le è rimasta?!-

La voce del dottor Lindemann vibrò d'ira nella stanza asettica dell'ospedale.

Candance sentì dei passi risuonare sul pavimento. Tacchi. La signora Shwartz doveva essersi spostata verso la finestra.

-Sono io l'unica famglia rimasta a Sanae. Il resto è solo una menzogna-

-Cosa vuole dire?-

I passi nervosi attraversarono di nuovo la stanza. Candance immaginò che la donna si fosse spostata per fronteggiare il medico.

-Voglio dire che gli Schneider non hanno alcun legame con Sanae. Mia figlia è di puro sangue giapponese-

Il cuore di Candance mancò un battito. Nessuna parentela, niente che impedisse a Sanae di ricambiare i sentimenti di Karl.

-Ma che sta dicendo? Suo marito, il padre di Sanae...non è un parente...-

-Sì. Il fratello di Maria Schneider. Ma non il padre di Sanae-

Qualcuno si era lasciato cadere su una sedia. Forse il dottor Lindemann.

-Non capisco...-

-Ero molto giovane...ero...poco più grande di Sanae...-

La voce della signora Schwartz era intrisa di dolcezza e rancore.

-A quell'età si è ancora convinti che l'amore sia una favola eterna. E naturalmente io ero sicura di aver incontrato la mia anima gemella e che nulla avrebbe mai potuto separarci. Tutto sarebbe andato bene e noi saremmo vissuti felici e contenti fino alla fine dei nostri giorni-

Un respiro di frustrazione ruppe l'aria immobile della stanza e Candance non avrebbe saputo dire a chi appartenesse. Forse era solo un riflesso del suo stato d'animo.

-Giocava a calcio ed era bello e luminoso come un mattino di sole. Era l'idolo della scuola e io semplicemente non riuscivo a credere che avesse scelto proprio me. Una ragazzina così comune. Eppure ero certa che nessun'altra avrebbe mai potuto amarlo quanto lo amavo io. Gli diedi tutta me stessa...per anni-

I passi della signora Schwartz tornarono vicino alla finestra.

-Poi rimasi incinta-

Candance sentì il dottor Lindeman trattenere una risposta...o forse una domanda.

-Da principio credetti che quello fosse un dono del cielo, che quella creatura nata dal nostro amore ci avrebbe uniti come mai prima-

La risata della donna riecheggiò fredda e metallica nella stanza.

-Ero solo una ragazzina accecata da un sogno troppo luminoso. Non appena venute a conoscenza del mio stato le nostre famiglie tentarono in ogni modo di separarci. I suoi genitori non volevano certo che la stella del calcio abbandonasse una promettente carriera per dedicarsi a una sgualdrina di bassa levatura. Mi insultarono quando parlai loro dei nostri progetti futuri. Oh lui mi difese naturalmente. Giurò che avrebbe dato la sua vita per me e che niente avrebbe potuto impedirgli di starmi accanto. E all'inizio lo fece. Rinunciò al calcio e cominciò a lavorare in una fabbrica per mantenerci. Mio padre lo odiò dal primo istante. Perché mi aveva destinato a una vita di stenti e senza futuro-

Il silenzio fu così lungo che Candance pensò che la storia non sarebbe mai proseguita. E poi come se nulla fosse la voce modulata della signora Schartz riprese a parlare.

-Eppure nonostante tutto, quelli furono i nove mesi più felici della mia vita. Dentro di me cresceva il nostro amore e il nostro futuro. Credevo di portare in grembo un angelo. E invece stavo nutrendo ciò che ci avrebbe distrutto-

-Ma cosa...-

La donna doveva aver chiesto il silenzio, perché la voce del dottor Lindeman si interruppe bruscamente lasciando il posto alla fine di quella storia di amore e perdizione.

-Erano due. Una cosa che non ci saremmo mai aspettati. Due gemelle. La gioia che provai quando le strinsi tra le braccia...quando vidi l'orgoglio negli occhi dell'uomo che amavo. E' qualcosa di indescrivibile. Due stupidi sognatori. Ecco cosa eravamo. Due persone con un minimo di razionalità e lungimiranza avrebbero capito all'istante che quello era l'inizio della fine-

Candance si morse il labbro inferiore, cercando di resistere all'impulso di entrare nella stanza e pretendere che la donna concludesse la sua storia.

-Due bambine che chiedevano costante attenzione, tempo...e denaro. Denaro che naturalmente non avevamo. Ci indebitammo ipotecando anche quel poco che era stato nostro. Ma anche così era impossibile far fronte alla situazione. Cominciammo a litigare sempre più spesso per le cose più stupide. A volte spariva e non lo vedevo per settimane. E io rimanevo lì a sentire le urla rabbiose di quelle creature affamate, senza poter fare niente per farle smettere-

-Ma le vostre famiglie...i suoi genitori...sono sicuro che...-

-Che cosa? Che se glielo avessimo chiesto ci avrebbero aiutati? Voi occidentali non riuscirete mai a capire il senso dell'onore del nostro popolo. Ne cresciamo intrisi fin nel profondo della nostra anima. Una volta disonorata la propria famiglia non c'è più modo di tornare indietro. La società non lo permetterebbe-

-Ma quale disonore? Voi vi amavate è questo il disonore? Io non capisco...-

-Non ci siamo mai sposati. Siamo andati contro il volere delle nostre famiglie. Abbiamo messo noi stessi prima del bene della società. Non c'è perdono possibile-

La donna riprese a passeggiare nervosamente per la stanza.

-Credevamo di essere più forti di tutto, ma eravamo solo degli illusi. Lui andò perfino a parlare con mio padre, la nostra ultima risorsa. Non so cosa si dissero, ma quando tornò aveva l'aria di qualcuno che avesse preso una decisione definitiva. Se solo l'avessi guardato meglio quella sera...se solo...ma ero troppo occupata a commiserarmi. Il mattino dopo se ne era andato, portando con sé una delle bambine-

Candance sentì il dottor Lindemann spostarsi nella stanza, forse per raggiungere la donna.

-Chiamai mio padre disperata. Mi disse che era tutto a posto...tutto stabilito...che non avevo bisogno di quell'uomo per crescere mia figlia e che avrebbe pensato lui ad ogni cosa-

-E naturalmente accettò...-

La voce del dottore sembrava stanca e rassegnata.

Candance sentì la risata della donna spargersi per la stanza.

-Naturalmente rifiutai. Era una questione di onore. Avevo perso una figlia e a nessuno sembrava interessare. Decisi di ricominciare daccapo e mi trasferii a Fujisawa cominciando a lavorare come fisioterapista-

-E così conobbe suo marito...il dottor Shwartz-

-Già-

La voce della donna sembrava spossata. Rivangare quel passato scomodo e lontano non doveva essere stato facile, né indolore.

Candance sentì i passi avvicinarsi alla porta e si allontanò velocemente verso il corridoio. La storia era finita. Peccato. Stava quasi prendendoci gusto, in fondo le erano sempre piaciute le soap opera.

Karl era stato ingannato da quella donna e da sua figlia. Senza dubbio stava vicino a Sanae perché la considerava parte della famiglia...non sapeva di quali bassezze e ambiguità fosse capace quella ragazzina. Lei però l'aveva vista...l'aveva vista fingere di amare Karl e poi gettarsi tra le braccia del suo antico rivale. Doveva fare qualcosa. Forse se Karl avesse saputo la verità sarebbe rinsavito e avrebbe allontanato da sé quell'approfittatrice...e allora forse si sarebbe accorto di lei.

* * *

-Non mi interessa-

Candance lo guardò come se fosse impazzito. Aveva impiegato giorni per prepararsi quel discorso e ora lui semplicemente le diceva di non essere interessato? No. Neppure il Kaiser poteva essere così freddo. L'aria intorno a lei sembrò vibrare della sua stessa collera. I fiocchi di neve cadevano lenti e inesorabili sui loro corpi.

-Karl hai capito quello che ti ho detto? Sanae non è affatto tua cugina! Il suo vero nome è Sanae Nakazawa e non ha nessun legame di sangue con te o con la tua famiglia. Sua madre stessa l'ha confessato-

Karl si voltò a guardare la ragazza squadrandola con i suoi occhi freddi e privi di emozioni.

-Non mi interessa qual'è il vero cognome di Sanae o quale sangue scorre nelle sue vene. Mio zio l'ha cresciuta, è comunque parte della nostra famiglia e niente potrà cambiare questa cosa. E comunque Sanae non sa niente di tutte queste sciochezze-

Candance sospirò esasperata.

-Non capisci che si stanno approfittando di voi? Non vedi che vi stanno ingannando nel modo più subdolo e crudele? Credi che lei sia innamorata di te? Ti sta solo usando Karl. Io l'ho vista con Genzo Wakabayashi e ti assicuro che qualunque rapporto ci sia tra loro, di certo non si tratta di una semplice amicizia-

Karl prese tra le mani una manciata di neve guardandola sciogliersi lentamente a contatto con il proprio calore corporeo. Sembrava che le parole della ragazza gli scivolassero addosso come acqua, senza produrre il minimo effetto.

-Non mi interessa quello che credi di aver visto o quello che credi di aver sentito. In verità non mi interesserebbe neanche se le cose che mi hai detto fossero vere. Sanae non sa niente delle macchinazioni di sua madre...o delle tue. Tutto quello che sa è che io sono parte della sua famiglia e che può contare sulla mia presenza e il mio appoggio. C'è un legame tra me e Sanae che tu non puoi neanche lontanamente arrivare a comprendere. Sei troppo superficiale e meschina per questo-

Candance sentì una rabbia sorda ribollirle nelle vene. Stupido presuntuoso. Come osava giudicarla? Lei aveva solo cercato di aiutarlo e questo era il ringraziamento?

-Se sei così sicuro del vostro legame perché non vediamo come reagisce Sanae alle buone notizie? In fondo dovrebbe essere contenta di sapere qualcosa di più del suo passato. Tanto non cambierà nulla no? L'hai detto tu che non importa quale sangue scorra nelle sue vene tanto lei sarà sempre parte della tua famiglia...e tu Karl? Tu sarai parte della sua famiglia anche dopo che avrà scoperto che la sua vita è solo una menzogna?-

Karl strinse tra le mani la neve e fissò Candance negli occhi. poi con assoluta calma lanciò quello che ne era rimansto in faccia alla ragazza.

Candance non ebbe il tempo di reagire. Quando riaprì gli occhi, il liquido freddo che le colava lungo le guance, riuscì a vedere solo la sagoma di Karl che si allontanava tra le raffiche di neve e vento.

Cosa ho fatto?

Candance rabbrividì. All'improvviso l'aria nel parco dell'ospedale si era fatta gelata. O forse era lei ad essere gelata dentro. Era come se tutto le scivolasse tra le dita, non aveva più alcun controllo su se stessa o sugli altri e questo la terrorizzava.

Stringendosi nel maglione di lana si diresse verso l'uscita dell'ospedale. Forse fare due chiacchiere con una certa Sanae Nakazawa le avrebbe risollevato il morale.

Genzo guardò la ragazza allontanarsi prima di uscire dall'ombra protettiva della sala di fisioterapia. All'inizio era rimasto nascosto per evitare di dover incontrare Karl, lo aveva visto fermarsi a parlare con quella ragazza proprio vicino all'ingresso. Ora rimpiangeva di non essersi fatto vedere prima. Non avrebbe mai dovuto ascoltare quel discorso. Ora era costretto a scegliere. Tutti i sospetti che aveva messo a tacere in quei mesi, tutte le sensazioni fin troppo conosciute che lo invadevano ogni volta che parlava con Sanae...Sanae. Come aveva potuto chiudere gli occhi così a lungo? Di fronte a quel nome, di fronte a tutte quelle evidenze...

Si avviò stancamente verso l'edificio principale. Doveva parlare con Sanae prima che lo facesse quella ragazzina. E poi tutto sarebbe finito.

* * *

-Non sei stanca? Posso accompagnarti a casa se vuoi-

Candance si bloccò di fronte alla porta dell'ufficio del dottor Lindemann. E così l'aveva preceduta, avrebbe dovuto aspettarselo.

-Devo ancora vedere la signora Mayer. Le avevo promesso che avremmo fatto una seduta speciale di terapia stasera, sai la sua artrite è peggiorata con questo tempo-

La voce della ragazza era senza dubbio stremata, eppure si rifiutava di tornare a casa perché aveva fatto una promessa a una vecchia che con ogni probabilità neanche si ricordava il suo nome. Lavorando come volontaria Candance aveva imparato che molti pazienti erano in uno stato degenerativo troppo avanzato perché si potesse pretendere di essere ricordati da loro. La signora Mayer era uno di questi pazienti. Ogni giorno doveva presentarsi di nuovo come se fosse la prima volta che si vedevano. alla lunga risultava piuttosto estenuante. Anche Sanae lavorava in quell'ospedale da diverso tempo, doveva conoscere bene le condizioni di quella paziente, eppure rimaneva. All'improvviso Candance provò un moto di simpatia per la sua rivale, ma lo ricacciò prontamente indietro.

-Sanny non puoi farti carico dei problemi di tutti i pazienti di questo ospedale, prima o poi crollerai. Letteralmente-

Sentì la risata cristallina della ragazza. Come si poteva essere così sereni nella sua situazione? Era cieca, priva di qualsiasi ricordo del suo passato e, aggiungeva senza esitazioni candance, con una madre dispotica e frustrata.

-Sono loro che impediscono di crollare, Karl. Se non avessi avuto loro io non so come...ognuno di loro mi da una ragione di svegliarmi ogni mattina, pur con la consapevolezza che sarà un altro giorno nel buio-

Candance sentì i passi della ragazza nella stanza e Karl trattenere un respiro.

-Quando ti ho incontrato....in un certo senso sono loro che ti hanno portato da me...per salvarmi dal buio della mia mente. a volte era come se quel buio stesse per inghiottirmi...credevo che prima o poi mi sarei persa in tutto quel buio. Mi ero quasi arresa sai? Mi ero quasi abituata all'idea di non essere nessuno...di non appartenere a nessuno. E poi sei arrivato tu e mi hai riconosciuta...mi hai regalato un frammento dell'identità che cercavo...e mi hai salvata-

Karl rise piano.

-Sei tu che mi hai salvato. Da me stesso-

-Allora diciamo che siamo pari-

Si stavano abbracciando, Candance non poteva vederli ma ne era certa. Sentiva il calore di quell'abbraccio dentro il suo stesso corpo. All'improvviso l'ultima cosa che voleva fare era parlare con Sanae Nakazawa. All'improvviso il legame di cui Karl le aveva parlato brillava chiaro di fronte ai suoi occhi. Serrò i pugni preparandosi ad andarsene, ma prima che potesse fare un solo passo la porta si spalancò di fronte a lei.

Karl la guardò con i suoi occhi gelidi e l'unica cosa a cui Candance riuscì a pensare era che avrebbe voluto vedere di nuovo il sorriso che gli illuminava il volto ogni volta che parlava con Sanae. L'unica cosa che riuscì a pensare fu che un giorno o l'altro avrebbe dovuto ringraziare Sanae per aver riportato alla luce quel sorriso.

-Prego-

Karl si fece da parte facendole segno di entrare, sfidandola. Candance lanciò un'ultima occhiata a Sanae prima di voltarsi e dirigersi verso l'uscita dell'ospedale.

-C'è qualcuno?-

Sanae si avvicinò al ragazzo stringendogli il braccio.

-No. Mi sono sbagliato-

Con un moto improvviso Karl si girò verso di lei e la prese per le spalle.

-Senti Sanae, se sei sicura di non avere bisogno di me...io mi sono ricordato di avere un impegno-

La ragazza gli rispose con un sorriso sincero.

-Vai pure. Dopo la seduta con la signora Mayer voglio riposarmi un pò...e poi c'è mia madre in ospedale oggi. Mi riaccompagnerà lei-

Senza un'altra parola Karl corse verso l'uscita dell'ospedale.

* * *

Candance seppe che era lui ancora prima di girarsi a guardarlo. Da quando aveva imparato a riconoscere i suoi passi?

-Perché non hai detto niente?-

Candance gli voltò le spalle di nuovo. Già perché? Forse perché dopo aver sentito parlare quella ragazza si era sentita tremendamente sbagliata. Totalmente sconfitta. E Candance non amava le battaglie perse.

-A volte l'unico modo di vincere...è non giocare affatto-

Karl guardò le spalle minute di Candance. Fremiti leggeri la scuotevano e il ragazzo sentì che il suo stesso corpo stava rabbrividendo...per il freddo o forse per...

In tutta la sua vita Karl non aveva mai lasciato che il suo istinto prendesse il sopravvento. Sapeva come misurare le sue forze, come analizzare le situazioni e scegliere sempre la strada più razionale. Era la sua freddezza che lo aveva portato così in alto. Sul tetto del mondo.

Eppure, mentre i freddi fiocchi di neve bagnavano i suoi capelli biondi, per la prima volta Karl lasciò che fosse solo il suo istinto a guidarlo.

Si avvicinò alla ragazza e la strinse al suo petto. La strinse come se avesse paura che potesse sfuggirgli da un momento all'altro.

Candance sentì il calore del corpo del ragazzo contro la sua schiena. Ebbe la precisa sensazione che il suo cuore avesse smesso di battere, per un istante.

I due ragazzi rimasero immobili, l'una tra le braccia dell'altro mentre la neve continuava a cadere. Come se nulla fosse accaduto.

Candance sentiva il respiro del ragazzo tra i suoi capelli. Avrebbe voluto girarsi verso di lui e stringerlo a sua volta, avrebbe voluto parlargli, confessargli quanto aveva desiderato essergli così vicina, avrebbe voluto...avrebbe voluto...ma non fece nulla. Terrorizzata che qualsiasi suo gesto avrebbe potuto spezzare l'incanto.

Karl allentò leggermente la sua stretta. Cosa stava facendo? Non riusciva a capire cosa lo avesse spinto a mettersi in gioco fino a quel punto. E con lei poi....

Lentamente la lasciò, indietreggiando di qualche passo.

Candance si voltò altrettanto lentamente. Le sembrava di essere imprigionata in un sogno dove tutto si muoveva a rallentatore. Sentiva il volto bruciare, nonostante tutto intorno il freddo avesse congelato ogni cosa.

Karl guardò la ragazza per un tempo interminabile. Le guance arrossate, il respiro accelerato, i capelli scarmigliati. Non l'aveva mai vista più bella. All'improvviso capì cosa voleva dire Strauss quando diceva che era speciale. Con noncuranza si incamminò lungo il vialetto, le mani nelle tasche.

Candance rimase immobile per un attimo, quasi stordita. Poi lo vide voltarsi verso di lei e nei suoi occhi intravide l'ombra di un sorriso.

-Ho lasciato a casa l'ombrello. Mi dai un passaggio con la moto?-

Candance sorrise a sua volta. Non doveva essere il primo giorno che l'aveva notata all'ospedale se sapeva che ci arrivava in moto.

-Ti fidi?-

Karl le girò le spalle proseguendo verso il parcheggio.

-Può darsi-

* * *

Doveva dirglielo. Non c'era altra soluzione. Aveva visto quella ragazza andarsene prima ancora di entrare nella stanza. Sanae era ancora all'oscuro di tutto. Forse avrebbe semplicemente potuto tacere, come se non avesse mai scoperto nulla. No. Non poteva farle questo. Se davvero l'amava...perché era così vero? Era questo che provava per lei. Non riconoscenza, non amicizia...amore. Conosceva la differenza.

Dopo un'ultima esitazione entrò nella stanza.

Sanae era distesa sul lettino dell'infermeria, gli occhi chiusi e il respiro regolare. doveva essersi addormentata. Quanto tempo aveva esitato di fronte a quella porta?

Si avvicinò lentamente fino a che non si trovò a pochi centimentri da lei. Per l'ultima volta. Per l'unica e ultima volta si sarebbe illuso che non esistessero altro che loro al mondo. Le prese il viso tra le mani avvicinando il volto al suo. Che ironia. Il loro primo bacio sarebbe stato un bacio di addio.

Rimase a fissarla ancora qualche istante, come ipnotizzato. Sanae. Il destino li aveva portato un dono così grande per poi strapparglielo con tanta violenza.

Vide le labbra della ragazza piegarsi in un sorriso.

-Genzo?-

Il ragazzo sorrise a sua volta allontanandosi. L'incanto era spezzato.

-Sì-

Sanae si stiracchiò come un gattino pronto a fare le fusa.

-Che ore sono? Mi sono addormentata senza accorgermene...e poi stavo facendo un sogno così bello-

-Cosa sognavi?-

Genzo si sedette accanto a lei, consapevole del fatto che stava solo rimandando l'inevitabile. Avrebbe avuto qualche reazione sentendo il nome di Tsubasa? La sua mente si sarebbe aperta all'improvviso illuminata da quell'amore che un tempo aveva osservato solo da lontano?

-Ero in un campo deserto. C'era così tanto silenzio che riuscivo a sentire i miei stessi respiri. Ma non ero sola...aspettavo qualcuno. Solo che non riuscivo a ricordare chi. Continuavo ad aspettare e aspettare, ma non arrivava nessuno. Era come se la persona che aspettavo stesse aspettando che mi ricordassi il suo nome o il suo volto, prima di entrare nel campo. Ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a ricordare niente. All'improvviso mi sono sentita così disperata...ma poi ho visto un ragazzo in lontananza...camminava verso di me lentamente e credo che mi sorridesse anche...stavo quasi per riuscire a riconoscerlo quando mi sono svegliata...ma non importa perché tanto so chi era-

La ragazza gli sorrise e Genzo sentì il suo cuore mancare un battito. Possibile che...

-E chi era?-

Sanae si alzò con un movimento fluido dal lettino.

-Naturalmente eri tu!-

-Ma se hai detto che non l'hai mai visto come...-

Questa volta la ragazza rise di gusto.

-Che sciocco sei! Non ho mai visto neanche te, ma ho riconosciuto le emozioni che provo quando sto con te-

Un fremito di sorpresa attraversò il corpo del ragazzo.

-E cosa provi?-

Sanae si voltò verso di lui, il volto ancora illuminato dal suo primo sorriso.

-Quello che provi anche tu-

Lentamente si diresse verso la porta fermandosi qualche secondo sulla soglia.

-E poi Genzo, indossava una divisa da calcio con delle cifre giapponesi e aveva un pallone tra le mani...chi altro volevi che fosse?-

Con un'ultima risata Sanae uscì dalla stanza lasciando Genzo solo e attonito.

Già chi altro poteva essere quel ragazzo sorridente che stringeva un pallone tra le mani, se non Tsubasa Ozora?

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