Ombre di cicatrici

 

 

CAPITOLO 2 – Una festa per il capitano



- Wakashimazu?-

Il ragazzo si voltò di scatto e incontrò di nuovo i suoi occhi.

- Ah, ciao! Cominciavo a preoccuparmi.- rispose, sollevato. Cominciava a pensare che Eve non sarebbe più venuta, che avesse accettato l’invito con la ferma intenzione di non presentarsi. E, beh, vederla dinnanzi a sé gli fece salire un gran senso di colpa per aver pensato male di una persona che non conosceva neppure.

- Scusa il ritardo... è uno dei miei difetti peggiori!- disse lei riprendendo fiato.

- Tranquilla, sono solo le otto e un quarto.- sorrise lui, dando un occhio all’orologio.

La ragazza gli lanciò uno sguardo indagatore. Sembrava sereno, un tipo solare.

Gli occhi scuri sorridevano e i capelli gli accarezzavano le larghe spalle. Aveva indossato una maglia bianca e sopra un gilet di jeans senza maniche che teneva slacciato, lasciando intravedere i muscoli del petto, oltre a quelli ben visibili sulle braccia nude.

Fisico da atleta, senza dubbio.

Si portò una mano nella tasca dei jeans neri e le sorrise di nuovo.

- Allora, andiamo. Non è lontano.-

La ragazza lasciò che Ken le facesse strada, seguendolo lungo la strada silenziosa. Era una bella giornata, la fine dell’estate era quasi malinconica, poche persone per la via, vento caldo, quasi pesante, e tanta monotonia.

Nonostante questo, a lei piaceva un mondo. Era come se per poco tempo la città si trasformasse in un luogo tremendamente lontano e diverso.

- Di’ un po’, come hai detto che si chiama il festeggiato?- fece ad un tratto, le mani dietro la nuca.

- Hiyuga.- rispose Ken, considerando che non le aveva detto il suo nome e forse avrebbe dovuto farlo prima.

- Hiyuga, Kojiro Hiyuga?- gli domandò stupita, slacciando la presa delle dita da dietro la testa bionda.

- Esatto.- annuì l’altro - Lo conosci?- gli venne spontaneo di chiedere. Eve alzò le spalle.

- No, cioè... di fama. Ne ho sentito parlare quasi quanto di te.-

- Non credevo di essere così famoso!- rise - Kojiro è un ragazzo molto serio, ma vedrai che lo troverai simpatico.-

Le labbra di Eve si curvarono in un’espressione pensosa. Pareva che avesse già perso l’interesse di parlare del capitano, dopo aver risvegliato di nuovo in Ken quella strana sensazione di sentirsi celebre quando in realtà non si considerava affatto tale.

- E tu quando compi gli anni?- fece poi, lanciandogli un’occhiata.

- Tra due settimane, giorno più giorno meno.- fu la risposta che le arrivò.

La ragazza alzò di nuovo le spalle, noncurante.

- Siete tutti più giovani di me, allora.-

Ken sbatté più volte le palpebre all’udire quelle parole, cercando di indovinare l’età della ragazza che stava camminando al suo fianco.

Media statura, capelli corti di un biondo scuro, le labbra piegate in uno strano sorriso. Indossava una camicetta bianca a maniche corte legata in vita, sotto la quale portava un top rosso, pantaloni corti e un paio si scarpe da ginnastica. Aveva ancora quella fasciatura stretta al braccio sinistro e... no, stava decisamente andando oltre... occorreva analizzare anche il modo di vestire per capirne l’età?

- Giovani? E sentiamo, quanti anni avresti?- asserì alla fine, arrendendosi.

Eve sorrise ancora.

- Unh. Su per giù venticinque.- ribatté, alzando il mento al cielo.

- Stai scherzando, non è vero?- le chiese lui, allibito. Decisamente un numero piuttosto astronomico.

La ragazza chiuse gli occhi per un attimo, poi lo fissò.

- Ti sembra che io possa avere più di vent’anni?- scoppiò in una risata muta, non sguaiata, non rumorosa, quasi classica, riservata - Ne ho diciotto, proprio come te tra qualche giorno.- riprese poi, ammettendo lo scherzo.

Ken trasse un sospiro di sollievo. Non sapeva come, né per quale motivo, ma il fatto che Eve potesse essere tanto più adulta di lui lo metteva in soggezione.

- Okay, okay. Ci sono cascato.- sorrise, con un cenno del capo, poi continuò - Allora quando la scuola riprenderà, sarai nel corso superiore, immagino.-

- Corso superiore?- si domandò la ragazza, portandosi un dito sulle labbra - Non credo che avere quattro mesi più di te sia un motivo valido per farmi frequentare un corso superiore, anche se lo ammetto, non pochi mi definiscono un genio.- scherzando di nuovo, ricondusse le mani dietro alla nuca, questa volta appoggiandole al collo.

Quattro mesi?

Erano nati lo stesso anno.

- Non ridere, genio. Tanto tra due settimane ti raggiungo.- la provocò.

I due si guardarono con aria seria.

- Vuoi una sfida, eh portiere?- esordì lei, gli occhi si erano fatti decisi.

- Perché no?- replicò lui, guardandosi intorno - Lo vedi quell’edificio di mattoni in fondo alla strada? È lì che abita Takeshi. E... ci arriverò prima io!-

- Credi che proporre una gara di corsa ad una ragazza sia un metodo sicuro per vincere?- sogghignò Eve - Ed invece ho deciso di darti qualche metro di vantaggio. Comincia a correre!-

- Che? Qualche metro di vantaggio?!- esclamò lui contrariato - Ti ricordo che io sono un calciatore esperto e sono ben allenato nella corsa.-

- Come vuoi, ma poi non dirmi che non ti avevo avvertito.- di nuovo un’alzata di spalle - Andiamo allora!-

Eve mosse i primi passi decisi sul marciapiede scuro, cominciando a correre, seguita a ruota da Ken che sembrava non fare sul serio.

Okay, te la sei voluta. Guarda cosa so fare!

La ragazza contrasse i quadricipiti e scattò in avanti e lasciando l’avversario a dir poco allibito. Era sfrecciata via come una saetta, in modo così intensamente silenzioso, oltretutto, che lì per lì non se n’era nemmeno accorto.

Per quanto potesse sforzarsi, Ken non riuscì a raggiungerla, neppure quando lei si fermò davanti alla porta di casa Sawada, suonando come se niente fosse al campanello, lui era ancora là che correva.

Le aprì un ragazzino bruno che la guardò attentamente, sforzandosi di riconoscerla.

- Ciao! Sei Takeshi, vero?- gli chiese, un’espressione spensierata sul volto.

- S... sì. - rispose lui, del tutto intento nella sua opera di riconoscimento - Scusa ma...-

Le stava per chiedere chi fosse, quando scorse Ken raggiungere la ragazza sulla soglia.

- Accidenti!- ansimò, cercando di prendere fiato - Ma come... sei un androide, per caso?!-

- Sono un’atleta, caro il mio portiere!- la voce di Eve gli giunse fiera e con una punta d’orgoglio, ovviamente si addiceva perfettamente al suo volto soddisfatto.

Ken sgranò gli occhi, ancora piegato sulle gambe, non riusciva a capacitarsi.

In quel momento un ragazzo dai capelli neri raggiunse Takeshi alla porta.

- Takeshi ma dove... Wakashimazu!- s’interruppe, notando il compagno - Ci stavamo giusto chiedendo dove fossi.-

Poi passò lo sguardo dall’amico alla figura femminile, ferma sulla soglia proprio al suo fianco.

- Ah, certo. Ora capisco.- sorrise, assumendo un’aria maliziosa.

Kojiro era davvero di buonumore. Sembrava che avesse capito che compiere diciotto anni capitava una sola volta nella vita e le cose dovevano andargli anche particolarmente bene in quel periodo.

Aveva abbandonato la sua aria quasi lugubre, almeno per un giorno dell’anno e di questo i suoi compagni non potevano che essere sollevati, un po’ meravigliati, ma senza dubbio contenti.

- Non ci presenti la tua ragazza?- gli chiese il più giovane.

- Lei è un’amica. Si chiama Eve.- precisò Ken, dopo aver ristabilito aria nei polmoni.

Amica? Ci conosciamo da così poco. E’ un tipo strano, l’avevo detto, io.

Una strana sensazione.

- Certo, certo... beh, io sono Takeshi Sawada e lui è Kojiro Hiyuga, il nostro nuovo diciottenne. Entrate, su!- la presentazione del più giovane non faceva una piega, oltretutto pareva essere diventato un perfetto organizzatore. Si era calato perfettamente nella parte e, senza dubbio, gli riusciva anche piuttosto bene.

Dopo aver stretto la mano ad entrambi, Eve li seguì all’interno e prese a guardarsi intorno, tentando d’ambientarsi.

La stanza si presentava accogliente e spaziosa, era stata addobbata con semplici ma efficienti decorazioni, davvero ad effetto, come la musica: alta al punto giusto.

Si udivano anche le chiacchiere allegre dei presenti e le loro espressioni divertite; la serata si prospettava per tutti molto piacevole.

Kojiro non amava le feste in grande stile, piuttosto preferiva starsene per conto suo, ma vista l’insistenza degli amici e la situazione, aveva accettato di buon grado il fatto che Takeshi avesse organizzato una festa per lui e - anche se non l’avrebbe mai ammesso - si era sentito anche piuttosto lusingato.

- Vieni, ti presento gli altri!- il portiere prese Eve per un braccio e la portò a conoscere il resto della squadra, il tono tradiva l’impazienza dell’iniziativa.


- Come va?- le chiese, facendosi vicino e distraendola dal ripetere le parole della canzone che passava giusto in quell’istante.

- Tutto okay!- rispose Eve, con un semplice sorriso.

Eh, già, si stava divertendo in loro compagna

- Non occorre che tu mi stia dietro. Va’ un po’ con i tuoi amici, mi farò un giro.- aggiunse poi, portandosi una mano al fianco.

- Per me non è un problema se...- fece per iniziare lui.

- Ehi, portiere!- la voce della ragazza assunse un tono intimidatorio ed insieme scherzoso - Sono maggiorenne e vaccinata, me la cavo bene anche da sola. Non voglio che poi i tuoi amici mi prendano come bersaglio per le freccette, per averti tenuto lontano da loro tutta la sera.-

Ken scosse il capo con un sorriso e, scherzando, finì per dichiarare:

- Come vuoi, attenta però, perché ti tengo d’occhio!-

Poi si allontanò, con espressione risoluta.

Eve gli fece il saluto militare, poi si voltò ed il suo sguardo cadde su una ragazza seduta stancamente su una sedia imbottita, non proprio in un angolo - anche se ci mancava poco - della sala. Incuriosita, le si avvicinò.

- Ehi! Ci si annoia?- esordì, chinandosi lievemente su di lei ed attirando la sua attenzione.

Quella si scosse ed alzò il volto, incontrando gli occhi azzurri di Eve.

- Un po’... mi sento un pochino a disagio...- confessò, un po’ tentennante.

L’altra si guardò intorno, poi notò un’altra sedia libera e la trascinò fino a lei, sedendosi accanto.

- Di sicuro conosci tutti meglio di me!- esclamò, una volta inforcata a cavalcioni.

La ragazza dai lunghi capelli castani le sorrise.

- Dovrei...- staccò lo sguardo dal pavimento e le tese la mano - Io mi chiamo Aya. Ayame Akimoto.-

- Eve Springer.- fece l’altra, stringendole la mano - Accidenti, ho detto il mio nome a talmente tante persone oggi che mi sembra la milionesima volta che lo ripeto!-

Il tentativo di farla sorridere sinceramente pareva aver funzionato.

- Non sei giapponese.- era un’affermazione, più che una domanda, quella di Aya, ancora sorridente.

- Ah, si nota così tanto?- fu la risposta di Eve, mentre si passava una mano tra i capelli biondi. L’altra si appoggiò con un gomito su un ginocchio ed il capo sulla mano.

- Sei... la ragazza di qualcuno di loro?- chiese poi, facendo distrattamente cenno con gli occhi alle persone nella sala.

- No. In verità è stato quel tipo strano a portarmi qui.- indicò Ken con lo sguardo, con espressione bambinesca - E tu? Non sembri divertirti molto.-

- Io...- Ayame arrossì - Dovrei essere la ragazza di Kazuki. Però il signor Sorimachi non sembra volermi fare molta compagnia.-

- Beh, un punto in più alla teoria che gli uomini vivono in un mondo tutto loro!- rise Eve appoggiandosi con gli avambracci allo schienale della sedia.

- Già...- rispose Aya - il fatto è che io e lui ci conosciamo da una vita. Dovrebbe aver capito come sono fatta...-

- Oh, non farti di questi problemi! Pensa che io conosco Ken da molto meno... - Eve alzò le spalle - E già dice che sono sua amica!- di nuovo quell’espressione sorniona sul viso - Immagino che tu debba pensare solo a goderti la fine dell’estate, tutto qua, per ora.-

Le due andarono avanti a chiacchierare ancora per un po’, poi un ragazzo di media altezza e con i capelli castani le raggiunse.

- Scusate ragazze. Aya, posso parlarti?- era Kazuki.

Ayame gli sorrise. Eve le fece l’occhiolino e poi si alzò anche lei, dirigendosi nella direzione opposta a quella dei due. Prese un bicchiere di aperitivo dal tavolo imbandito e si diede un’ennesima occhiata in giro, alla ricerca di qualcuno con cui perdere tempo. Ken si stava intrattenendo con un paio di suoi amici e Kojiro era stato appena lasciato da un altro tizio. Lo raggiunse.

- Benvenuto nel mondo dei diciottenni, allora.- sorrise.

- Grazie.- rispose scrutando nei suoi occhi azzurri, poi una domanda gli sorse spontanea - Scusa ma... Ken non mi ha mai parlato di te.-

- Ha poco di cui parlare a dire il vero. Ci conosciamo da pochi giorni.- gli rispose, del tutto naturalmente.

- Beh, bene...- fece Kojiro, non sapendo che altro ribattere. Gli era parso strano che Ken non gli avesse descritto il loro incontro ed ora si spiegava tutto. Un po’ insolito, però, anche per Wakashimazu.

- C’è di buono che comincerò a frequentare il Toho quest’anno. E se non altro grazie a lui un po’ di persone le conosco già.- riprese Eve, notando il suo interlocutore in difficoltà.

- Anche tu all’istituto Toho. Anche se non mi sembri una che fatica a comunicare con gli altri.- ribatté lui, le mani ai fianchi - Scommetto che diventerai una delle più grandi tifose della nostra squadra!- scherzò, stavolta con espressione giustamente compiaciuta.

- Mh... e chi può dirlo?- sul volto di Eve balenò di nuovo quell’aria sibillina e un po’ maliziosa che Ken aveva già molte volte avuto modo di ritenere particolare.


La raggiunse fuori dalla cancellata. Eve tirò dalla sigaretta.

Una scia di fumo grigio si alzò verso il cielo, disperdendosi nel nero della tarda serata. Si era fatta notte un'altra volta.

Il portiere si sedette sul muro senza dire nulla. Lei sentì la sua presenza e alzò la testa, riuscendo a guardarlo negli occhi, anche nel buio della sera.

Mezzanotte e mezza. Quasi tutti se ne erano andati, Eve era uscita da qualche minuto e Ken non aveva tardato a raggiungerla.

- Ti sei divertita?- le chiese dopo un po’.

La ragazza annuì, inspirando tabacco.

- Non credevo di potermi divertire così. Grazie.- sussurrò, temendo di destare il fastidio di qualcuno.

- Grazie? E di che? Sai, avevo paura che avessi difficoltà ad ambientarti, invece è stato tutto perfetto, dico bene?- sorrise lui.

- Ora ci sarà il tuo di compleanno.- affermò lei, apparentemente non badando all’affermazione del ragazzo.

- Già. Avevo pensato ad una cosa in grande, magari sulla spiaggia... è bello essere nati in estate. Che ne pensi dell’idea?-

- Perché lo chiedi a me?...- gli domandò Eve, stringendosi nelle spalle.

- Mi interessa il tuo parere.- replicò fermo Ken, il volto deciso rivolto alla notte.

Eve fissò dritto davanti a sé, senza concedere al tempo di riprendere a scorrere con un battito di palpebre.

- Non male. Pensi davvero di farlo?- rispose infine, sospirando.

- Certo, perché no? Se partiamo tutti di mattina, faremo una bella festa sulla spiaggia e magari anche il bagno di mezzanotte!-

La ragazza rise, trasportata dalla sua euforia. Le piaceva, dopotutto, quel programmare ed andare avanti con la mente ad episodi che ancora non erano avvenuti.

- Poi ti farò sapere, in qualche modo. Ora che sai dove abito potresti farti viva e...- azzardò lui.

- Vuoi veramente che io venga, portiere?- lo interruppe Eve, fissandolo.

- Mi farebbe piacere. Sì.- rispose lui, non perdendo il suo sorriso entusiasta.

- Perché?- la domanda suonò fredda.

Ed in quel momento Ken si fece serio.

- Credo che non ci sia niente di male nell’invitare ad una festa una persona cui trovo piacevole la compagnia.-

Eve sorrise di nuovo, ma le sue labbra non riuscirono a tenere un sorriso spontaneo... si fece cupa. Il suo viso bianco divenne malinconico, tanto da farla voltare di nuovo verso la notte.

Nel buio Ken non fu sicuro di vederlo bene, ma gli sembrò strano com’era cambiata l’espressione sul volto di lei. Sotto la debole luce dei lampioni in lontananza vedeva solo i suoi corti capelli e una parte del suo profilo silenzioso.

Scese dal muretto senza sforzo, infilandosi le mani nelle tasche posteriori dei jeans.

- Il mondo è strano.- cominciò - Pensi di conoscere una persona a fondo, da lungo tempo e poi questo assume degli atteggiamenti o dice delle cose che mai ti saresti aspettato. E poi esistono le persone conosciute da poco, che però pare di conoscerle da sempre... e si sente di potersi fidare...-

- Non dire assurdità. Non fidarti mai della gente. La gente è stupida, stupida e cattiva.- disse Eve, semplicemente.

Ken socchiuse gli occhi. Parole già sentite, parole di persone ferite.

- Ma se non si ha nessuno su cui contare, si rimane soli... e vuoti.-

- Si vive ugualmente.- la ragazza alzò le sopracciglia, in un’espressione consapevole, quasi altezzosa.

Wakashimazu non amava essere negativo, o perlomeno non sulle questioni capitali.

- Però si potrebbe dire che senza nessuno al fianco, l’esistenza perde di significato. L’interagire con il mondo fa in modo che tu possa dare senso a quello che fai.-

- Ah, sì? Allora dimmi: qual è il significato della tua vita?- la voce di Eve era di nuovo tornata vuota.

I due continuavano a parlarsi fissando dinnanzi a sé e quasi mormorando, ma le parole giungevano chiare alle orecchie di entrambi. Ken chiuse gli occhi e ripensò al suo sogno. Si sentì riempire di energia.

- Voglio diventare il migliore portiere del mondo.- asserì poi, con il vigore della convinzione.

- E Wakabayashi?- fece lei espirando l’ultimo tiro, a bruciapelo.

Gli occhi di lui si spalancarono, irrimediabilmente, al solo udire quel nome, all’avvertire quella presenza, quell’ombra, quella spina nel cuore, quello scoglio che mai era riuscito a superare.

Fu come una pugnalata in pieno stomaco. Quasi si sentì male, era come se la lama affilata di un coltello stesse penetrando dritta fin dentro al suo cuore, lacerandogli la carne e le speranze.

Il suo sguardo era sempre fisso verso un punto scuro ed indeterminato della notte e non voleva voltarsi a guardarla. Sapeva che avrebbe incontrato il suo sguardo e che i suoi occhi azzurri gli sarebbero penetrati nel cervello come una scarica elettrica, segno della verità che nascondeva l’insinuazione, una dolorosa verità: Wakabayashi.

Aggrottò le sopracciglia.

- Si è fatto tardi, andiamo a salutare gli altri. Ti riaccompagno.-


Aveva visto i suoi occhi spalancarsi.

Aveva visto la sua espressione a metà tra il deluso e l’irritato.

E si era sentita in colpa.

Perché, maledizione!? Perché si sentiva in colpa per ciò che aveva detto?

Non l’aveva sempre pensata così, forse? E allora per quale ragione vedere quel ragazzo smettere di sorridere era stato tanto traumatico?

Aveva sentito parlare di Wakabayashi come del miglior portiere in circolazione, nelle regionali, persino nelle nazionali.

Aveva anche letto su una rivista sportiva che deteneva il posto da titolare della lega juniores e questo automaticamente escludeva Wakashimazu dalla carica.

Forse doveva scusarsi.

Ma che stava pensando?! Non si era mai scusata per inezie del genere e mai l’avrebbe fatto. Con nessuno.

Figurarsi con uno conosciuto il giorno prima!

Si rigirò nel letto, ma non prese sonno fino alla mattina.


- No, Takeshi. Non ti preoccupare.-

- Sicuro?-

- Certo che sì! Ti passerà la mania dell’organizzatore!- scherzò.

- Beh, allora ti auguro un buon compleanno da parte di tutti!-

- Grazie. Ci vediamo.-

- Ciao Ken!-

Il ragazzino si allontanò a passi lenti, girandosi qualche volta per salutarlo di nuovo.

Wakashimazu aveva deciso di rimanere per conto suo. La sua euforia pareva essersi spenta dall’ultimo colloquio con Eve.

Sarebbe andato al mare come aveva ipotizzato qualche giorno prima, certo... ma per un pomeriggio soltanto, e da solo.

Aveva voglia di pensare, di rimanere con sé stesso e magari allenarsi anche un po’. Era questo che aveva detto a Takeshi, pochi minuti prima.

Poteva benissimo festeggiare un altro giorno insieme alla squadra, quando si sarebbe sentito meglio, infondo era solamente un giorno. Anche se gli non sembrava giusto non festeggiare come gli altri e deludere la mania organizzativa di Sawada, che ci poteva fare? Non se la sentiva per niente e di tenere il muso alla sua festa, non aveva nessunissima voglia.

Si era sforzato di sorridere anche con i genitori, la madre appena lo aveva subito accolto festosamente non appena si era svegliato. Il padre si era limitato ad abbozzare un gesto con la mano e concedergli un mezzo sorriso. Ma a lui era bastato, si era sentito contento.

Non voleva impensierire sua madre, per questo le aveva riferito che ci sarebbe andato con gli amici. Takeshi era andato a fargli visita nel primo pomeriggio, sperando di convincerlo a combinare qualcosa almeno all’ultimo momento, dopo aver insistito sin dall’inizio della settimana, ma non c’era stato verso.

Ken ora l’avrebbe aspettato il suo pomeriggio al mare. Avrebbe rimuginato a lungo.

Afferrò il portafogli e se lo infilò in tasca. Non avrebbe portato altro con sé.

- Io vado! A stasera!- annunciò a gran voce, scendendo le scale.

- Sicuro di non voler prendere qualcos’altro?-

- Sicuro!-

- D’accordo, allora a stasera!- la madre lo salutò dalla finestra, prima di richiuderla dolcemente e tornare in casa.

Ken mosse il primo passo verso la via.

- Tua madre è una donna molto dolce.- disse una voce alle sue spalle.

Il ragazzo non si voltò. Riconobbe bene il tono, lo ricondusse immediatamente ad un volto.

Lei fissò le sue spalle coperte da una maglia verde, facendo scorrere lo sguardo sull’intero giovane e atletico corpo.

Wakashimazu mosse leggermente la testa.

- Che ci fai qui?-

- Mi avevi detto di farmi viva, ma forse è tardi.-

Eve incrociò le braccia al petto e attese una risposta.

- Forse. Sì è tardi.-

Le parole gli scivolarono fuori dalle labbra, mentre la ragazza mosse due passi verso di lui e gli piantò gli occhi dritti nei suoi.

- Ti va una partita, portiere?- sorrise, come se non avesse minimamente udito cosa Ken aveva appena detto. Wakashimazu si voltò verso di lei e la guardò: aveva stoppato un pallone con il piede destro e lo stava ancora fissando, ma lui rimase in piedi e le rivolgeva uno sguardo vuoto.

- Ehi, ti lascerò in pace se mi dirai di no!- Eve non smetteva di sorridere come nulla fosse, ingenuamente, e Ken scrutava nei suoi occhi, cercando una risposta... una risposta alla domanda che si era posto qualche sera prima: ma chi diavolo era quella ragazza? Era stata in grado di disturbare profondamente le sue emozioni in modo tale da farlo passare da un solare buon umore ad una profonda irritazione.

Mentre la fissava in quello strano silenzio, riempito solo dal infantile suo sorriso, le si avvicinò.

- Cosa scommettiamo?- fu l’inattesa risposta del ragazzo.

Eve alzò le spalle, per nulla meravigliata dall’apparente repentino cambiamento d’avviso.

- Ci penseremo.-

- Come vuoi.- ora anche Ken stava sorridendo.


Possibile che il mio umore dipenda dal suo atteggiamento? Perché mi comporto così? Ci conosciamo da due settimane ma è come se fosse così da una vita.

- Stavolta è dentro!!-

Ken fu distratto dai suoi pensieri e scattò a destra, stoppando un bolide che sfrecciava a tutta velocità verso la rete, prima di finire tra le sue mani.

- Accipicchia! Sei veramente un gatto!- sbuffò Eve, portandosi stizzita e divertita le mani ai fianchi. Ken si massaggiò una mano, dopo averle rilanciato il pallone.

- Puoi fare quanti tiri vuoi, ma non riuscirai a fare rete!- la prese in giro lui, ridendo.

- Sta a vedere!- ribatté lei, con aria determinata.

La ragazza prese la rincorsa e calciò la sfera con tutta la forza che possedeva. La palla prese il volo, dritto verso lo specchio della porta. Ken rimase immobile, il pallone era diretto al centro della rete, l’aveva intuito bene dal primo movimento della gamba di Eve.

Veloce. Velocissimo.

Il tiro lo colpì in pieno stomaco, nonostante avesse portato le mani a scudo per accoglierla, ma la palla era caricata con una forza straordinaria.

Fu un attimo.

Una scheggia, una saetta.

- Dentro! Rete!! Yahoooo!!-

Mentre lei esultava, Ken si rialzò con la palla tra le braccia.

La guardò, sgranò gli occhi, non gli pareva reale: era divenuta quasi ovale. Vuol dire che... quella volta in cui l’aveva incontrata fuori dal campo, era stata lei a conficcare la sfera tra i pali della ringhiera degli spalti bassi. E chi se no? C’era solo Eve in quel momento e lui non andava al campo dalla sera prima.

Incredibile.

- Allora che ne dici, ridi ancora, gattino?- Eve gli si avvicinò ridacchiando con aria appagata.

- Ma dove la prendi quella forza?- le chiese Ken, piuttosto stupito. Furono le prime parole che gli balenarono in mente e che gli erano nate spontanee nel momento in cui la sfera l’aveva urtato violentemente.

La ragazza si appoggiò con la schiena alla rete e si lasciò cadere, sorretta dall’intreccio di corda.

- Da qui!- sorrise battendo le mani sulle gambe. Ovvia risposta.

- Beh, complimenti. Con un po’ di allenamento potresti sfidare Kojiro!- Ken ricambiò il sorriso, sostenendosi con un braccio al palo.

Una ventata calda soffiò sulle guance di Eve, che chiuse gli occhi, lasciandosi andare, sedendosi sull’erba. Quando li riaprì incontrò il biancore della rete intorno e dietro di sé, il campo dinnanzi e la figura statuaria di Ken, poco più avanti.

- Questa è un po’ come la tua casa...- sembrava una bambina da come si guardava intorno, dal candore della rete al verde intenso dell’erba del prato. Wakashimazu si voltò per guardarla, scostandosi dal palo per raggiungerla e sedersi accanto a lei.

- Già. Si sta bene, vero?- annuì.

- Bene.- confermò Eve. Si passò una mano sul collo e sospirò in un sorriso - Si sta davvero bene.-

Il sole brillava come splende d’estate, il vento leggero poi era un toccasana per sentirsi come si deve! Era da tempo che non stava così bene con sé stessa e con ciò che la circondava.

Da quanto?

Chi se lo ricordava, ormai. Non aveva nemmeno voglia di richiamare alla mente alcun momento passato.

- Dimmi qualcosa di te.- Ken la riportò alla realtà.

- Qualcosa... di me?- ripeté Eve.

- Sì, ormai tu conosci alcuni dei miei amici, sai dove abito, insomma sai molto di me... io invece so solo che ti chiami Eve Springer, che adori disegnare e che hai una potenza incredibile nelle gambe! - il portiere le rivolse un ennesimo, dolce sorriso.

La ragazza non rispose, cercò soltanto di riordinare i pensieri e poi parlò.

- Io... io... non sono giapponese. Mia madre lo è. Almeno per metà.- disse dopo un po’ - Mio padre invece viene dall’Europa. E... per una serie di motivi i miei non stanno più insieme. Io sono rimasta qui con mia madre, mentre mio padre e mio fratello dovrebbero essere in Italia... o in Francia, forse.-

Perché? Perché gli stai parlando di questo? Maledizione, Eve, cosa ti prende?!

- Com’è avere un fratello?- lui la riportò alla realtà, sciogliendo il nodo che le si era fatto in gola.

Ken aveva sempre visto Kojiro e i suoi fratellini, ridere, scherzare, prendersi cura l’uno dell’altro. Si era sempre chiesto come poteva essere, ben conscio che dal pensare all’avere c’è una bella differenza.

- Non lo so.- disse lei in un soffio - Io e Dex non ci sentiamo più.-

- Scusa.- Eve lo guardò.

Scusa? E perché?

- Non parlarne più se non vuoi.-

Eve tornò a guardare l’erba, giocando con i fili verdi accanto alle sue gambe.

Silenzio. Di nuovo.

- Non volevo obbligarti a trascorrere il compleanno in questo modo. Mi dispiace averti detto quelle cose, l’altra sera.- sussurrò lei, nascondendo il viso con una ciocca di corti capelli.

Ken serrò lievemente le palpebre ed alzò il mento al cielo, per poi riaprirle con un nuovo, diverso sorriso rivolto verso di lei.

- Sai che faccio quando sono triste? Vengo qui a pensare. Come hai detto poco fa, mi sento un po’ come a casa. Ormai conosco ogni metro quadrato di questo campo come le mie tasche.- si portò le braccia dietro la nuca - Pensa che oggi avevo programmato di andarmene al mare da solo a riflettere, che poi è la versione verde di deprimermi!- rise tra sé, poi si fece quasi serio, pur mantenendo un alone di serenità sul volto - Grazie di stare qui con me. Non voglio andare da nessun’altra parte.-

Per Eve fu come ricevere un colpo alla testa.

Alzò di scatto lo sguardo sul suo squadrato viso d’uomo.

La stava ringraziando perché era lì con lui...? Ken...


 

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