Ombre di cicatrici

 

 

CAPITOLO 5 – Tanti segreti



Si accomodò fuori dall’albergo, nell’ampio e silenzioso giardino, poi si strinse nel giaccone e rimase ad aspettare. La sera si era appena illuminata di stelle, che occhieggiavano del cielo nero.

Eve sospirò. Il suo fiato bianco pareva fumo, ma nonostante questo non sentiva molto freddo.

- Volevi parlarmi?- disse una voce piacevolmente conosciuta alle sue spalle. La ragazza non aprì bocca ed attese che lui le si sedette accanto, sulle gradinate.

- Volevo scusarmi. - Eve fece una pausa - Per quello che è successo.-

Ken annuì. In realtà non era mai stato arrabbiato con lei, aveva provato solo un vasto ed incontrollato senso di perdita quando l’aveva vista così stordita, sulla strada di notte.

- È tutto okay.- fece lui, con un sorriso. Gli istanti in cui lei gli urlava di lasciare la propria stanza con ira gli parevano immensamente lontani.

La ragazza proseguì.

- E... e poi vorrei che mi dicessi quello che è accaduto. E’ piuttosto imbarazzante ammetterlo, ma non ricordo niente.-

Lui alzò il viso al cielo e socchiuse gli occhi scuri. Eve sembrava essere totalmente rinsavita; la preoccupazione legittima gli fece sospirare di distensione, prima che potesse farlo lui stesso, era stata la compagna a cercarlo per chiarire ogni cosa.

- Ti ho incontrata vicino al campo, ti ho fatta sedere alla fermata dell’autobus e tu hai cominciato a gridare una vecchia canzone.- spiegò, raccogliendo i dettagli - A chiedere al cielo di darti la neve e... - s’interruppe - ...poi ti ho riportata a casa. Sono rimasto a dormire accanto a te, nel tuo letto finché non ti sei svegliata. Spero non ti abbia infastidito questo, piuttosto.-

Eve rimase a guardarlo.

Non poteva scorgere il suo volto ed i suoi occhi, dal momento che erano celati dai lunghi capelli. Si era chinato ed aveva appoggiato i gomiti sulle gambe, incrociando le mani davanti a sé.

Silenzio. Lei si sentì più sollevata, rimase in tranquillità a fissare le stelle per qualche minuto.

Ken si morse piano il labbro inferiore, incapace di trattenere oltre la domanda.

- Eve, chi è Nicholas?-

La serenità che la circondava si ruppe, come uno classico specchio che va in frantumi.

Eve sgranò gli occhi al solo sentire pronunciare quel nome. Si voltò lentamente verso di lui, che stava ancora fissando chissà dove - lei non poteva vederlo bene, i lunghi capelli scuri si frapponevano fra i loro sguardi.

Fu la ragazza ad alzarsi in piedi per prima, assumendo un tono freddo ma confuso.

- Tu... cosa... che sai di Nicholas?-

- Non conosco niente, se non il suo nome. L’hai ripetuto più volte quella sera, mentre...-

Eve si sentiva bruciare, tradire.

- Mentre...?- riprese la frase da dove lui l’aveva interrotta.

- Mentre mi dicevi che volevi andare da lui. M’imploravi che ti facessi del male.- lo disse in un sospiro.

Lei non aggiunse altro, non subito perlomeno.

Avvertì una dolorosa fitta al cuore, si trovò d’un tratto sul punto di piangere come una stupida e questa sensazione sgradevole sfociò inevitabilmente nel desiderio di sfogarsi su qualcosa. Di tirare calci e pugni ad un corpo inerte finché non le fossero mancate le forze.

- Perché... non me l’hai detto prima?- gli chiese, infine.

- Non volevo dirtelo. Non volevo che piangessi.-

- Ho... ho pianto?- la bionda ora sussurrava, quasi temendo una risposta positiva.

- No.- fece invece Ken - Ma avevi gli occhi pieni di lacrime. Non voglio che tu pianga ora e scusa se ti ho chiesto di lui...-

Eve scoppiò in un grido violento.

- Cosa credi che me ne faccia delle tue scuse?! Maledizione, sono stanca di sentirti chiedermi scusa!! E non piangerò! - una pausa, poi più a bassa voce -...non piangerò ancora.-

Gli voltò repentinamente le spalle per sparire di corsa su per le scale, passando davanti a Mizuki, rimasta senza nulla d’interessante da fare nella hall.

- Maledizione! Maledizione!! Maledizione!!- imprecava, mentre sbatteva la porta dietro di sé e si buttava senza attenzione sul letto, per soffocare le grida nel cuscino. Stringeva con violenza i pugni sul materasso e tentava di frenare le lacrime di rabbia e sdegno che le sgorgavano dagli occhi senza che riuscisse ad impedire che nascessero.

Ad un tratto un lieve colpo alla porta.

- Eve, sono io...- si annunciò Mizuki, alquanto timidamente.

- Lasciami in pace!!- gridò l’altra, lasciando che per un attimo il suo volto si sollevasse dalla stoffa ruvida del guanciale. L’amica scostò la mano dalla maniglia e si voltò dando le spalle alla porta, appoggiandovisi con la schiena e sospirando con aria mortificata e preoccupata. Era così strano l’effetto che Eve riusciva ad avere su di lei...

Nel frattempo Ken non si era mosso, rimasto immobile per qualche istante, come se le urla della compagna avessero rappresentato il finale di una commedia di cui già conosceva l’epilogo.

Rimase seduto sui gradini di pietra fredda con gli occhi serrati per qualche minuto ancora, poi si alzò e, in luogo di fare ritorno all’hotel, sparì nella notte.


Non riuscì a chiudere occhio.

Era trascorsa qualche ora e la sua testa aveva smesso di pulsare, sebbene i suoi occhi dovevano essere ancora gonfi e lividi. Eve fissava i volti sereni delle sue compagne di stanza, che dormivano nei rispettivi letti.

Mizuki stringeva un piccolo coniglio rosa con mille nastri e brillanti, mentre Ayame si limitava a respirare placida con un’espressione dolce ed elegante, da principessa.

Si stiracchiò, sfregandosi gli occhi con delicatezza, poi si rivestì velocemente e scese a passi impercettibili le scale, uscendo sulla strada. Era tutto deserto.

Si sentiva costretta e piuttosto sciocca a guardare il soffitto di una stanza mentre tutto il resto del mondo intorno a lei dormiva, così decise di fare la prima cosa che le era saltata in mente, ovvero tornare in cortile a fissare qualcosa che non fossero pareti in penombra.

Si mosse sul largo marciapiede e sospirò. Se l’era presa con Ken... non c’entrava proprio nulla, lui. Doveva sfogare la propria rabbia e l’unica cosa che era riuscita a fare era allontanarlo. Di nuovo.

Non le importava più di Nicholas, del fatto che non gliene avesse parlato prima, di aver gridato e di essersi comportata da irresponsabile. Le importava solo di lui. Di Ken. E di cosa avesse potuto pensare, ora che per l’ennesima volta si era permessa di urlargli in faccia.

Che avrebbe dovuto fare? Come si sarebbe dovuta comportare con quel ragazzo, dopo averlo trattato da schifo per la seconda volta, senza che in realtà lui avesse fatto nulla per meritarselo?

Le passò davanti agli occhi tutto il periodo che avevano trascorso insieme: durante la calda e lontana estate, in quel negozio si erano rivolti il primo sguardo... e poi, quando si erano rivisti e lui le aveva chiesto di accompagnarlo alla festa di Kojiro, le era sembrato così semplice e genuino da stordirla. In seguito a quell’occasione, però, aveva avuto modo di notare quel suo sguardo triste e sdegnato, al nominare Wakabayashi.

Sapeva qualcosa riguardo a Wakabayashi. Si diceva fosse un vero e proprio fenomeno.

Eppure aveva guardato giocare delle partite a Ken e non era riuscita a capire fino in fondo perché preferissero la freddezza di Genzo alle acrobazie di Wakashimazu. Lui era da sempre ferito da questo stupido, ma bruciante fatto; non voleva ammettere nemmeno a sé stesso di essere una riserva. Certo, come portiere era molto più dotato quel Wakabayashi ma in quanto a potenza e stile Genzo non superava di certo Ken! Wakashimazu era più portato per l’attacco - sebbene il ruolo da estremo difensore - i suoi tiri erano violenti, quasi disperatamente furiosi e, combinati con le mosse di karate, divenivano micidiali.

Eve voltò casualmente la testa verso il cancello color sabbia, ancora immersa nei suoi pensieri e seguendo le linee degli alberi che conducevano sino ad una radice più ampia e ben attecchita al terreno. Ciò che vide, oltre l’inferriata chiara, ma silenziosa sotto la luce tenue della luna, le fece spalancare gli occhi e chiudere la gola in un solo istante.

- Ken...- sussurrò, realizzando che la figura barcollante che si aggrappava alla cancellata, altri non era che il portiere del Toho.

Il ragazzo cercava di entrare dal giardino, anziché dall’entrata canonica, probabilmente dalla stessa uscita che aveva varcato andandosene; si appoggiò all’ingresso principale e questo difatti si aprì senza opporre resistenza, tanto da farlo cadere in ginocchio. Eve sussultò ed aggrottò le sopracciglia, chiedendosi cosa ci facesse Ken fuori dall’hotel a quell’ora. Da solo, per giunta. E perché non si rialzava? Doveva essergli sicuramente successo qualcosa.

La ragazza gli si avvicinò lentamente poi, a mano a mano che i suoi occhi trasmettevano la realtà al cervello, la sua andatura si faceva sempre più veloce. Si arrestò alle sue spalle, facendolo voltare e costringendolo a guardarla.

Incontrò i suoi occhi neri, spenti, tanto che dalle labbra di Eve sgorgò un sospiro di stupore talmente pesante da farla rimanere immobile a fissarlo per qualche lungo istante.

- Ma... ma sei impazzito?!- esordì, afferrandolo per la giacca.

- Eve...- sussurrò lui, la bocca semichiusa.

La ragazza lo fece rialzare velocemente e Ken si appoggiò a lei senza parlare. Anche Eve non emetteva alcun suono, in bilico tra il confusa e l’irrequieta. E ora dove avrebbe dovuto portarlo?

Si sedettero sui gradini, esattamente come qualche ora prima.

- Sei agitata?- le chiese. Eve sollevò lo sguardo verso di lui, scuotendo il capo.

- E tu sei ubriaco, portiere!-

- Portiere...- il sussurro di Ken la trasportò lontano, su quel muretto vicino a casa di Takeshi, in una notte con tante stelle, proprio come quella che li stava fissando dall’alto in quel momento.

- Io non sono un portiere. Sono solo un ragazzino stupido.- si strinse nelle spalle, gli occhi lucidi dall’alcool riflettevano liquidi il chiarore artificiale dell’unica fiaccola giapponese sopra la sua testa.

Accanto a lui, Eve si trovò a realizzare quanto assurda fosse stata la sua azione stessa, qualche settimana addietro... entrambi avevano agito allo stesso modo per nascondere o forse portare alla luce e distruggere una volta per tutte un problema, un cruccio, una sordida pena che nella vita quotidiana avevano sempre tentato di dissimulare, mascherandola e gettandola in un dimenticatoio che, nonostante gli sforzi, più volte si era aperto a loro insaputa e tutto era tornato a galla più feroce che mai.

- Tu pensi che sia un bravo portiere?- le domandò, a bruciapelo. Si era voltato verso di lei, il volto appoggiato alle braccia, a loro volta puntate sulle ginocchia.

Eve socchiuse gli occhi, rimase a guardarlo come se non fosse realmente lì. Le veniva quasi da piangere, mentre fissava il suo bel viso triste. In quell’istante si sentì infantile e colpevole per aver causato la caduta di Ken in un abisso che già lo guardava dal suo cuore, in attesa come una bestia famelica.

Invece di tendergli la mano, l’aveva spinto. E questo le faceva bruciare la gola come una ferita mortale, incapace di reprimere una sensazione di sconfinata inadeguatezza.

Era riuscita ancora una volta a fare del male a qualcuno di meraviglioso.

- Il migliore.- rispose, con un sorriso mesto.

Il grido del ragazzo la scosse.

- No!- si lasciò cadere giù dal gradino per sferrare un energico pugno al freddo ed ostile cemento - Io sono il numero due! Il dannato numero due! E nonostante tutto quello che ho fatto e che faccio, non sono in grado di...- la sua voce si calmò, quasi consapevole, quasi rassegnata -... di migliorare.-

Eve lottò contro sé stessa, contro il suo colpevolizzarsi, tentando di superare l’assurda necessità di redimersi, ma agendo solo per il bene del ragazzo che le stava accanto. Gli si avvicinò e gli prese la mano.

- Basta dire idiozie, adesso!- lo scosse - Guarda qui, volevi spaccarti qualche osso, eh? E poi come faresti a giocare?-

Non le importava più di quello che aveva pensato qualche ora, qualche minuto, qualche istante addietro: Ken aveva la mano destra che sanguinava, tremava ed il freddo dell’inverno gli gelava i pensieri e l’unica cosa che Eve sapeva di voler fare, in quell’attimo, era stare vicino a lui.

Un fiocco candido si posò sulla sua guancia e poi un altro, sui suoi capelli. Wakashimazu rimase immobile, alzò solo il capo per incontrare per l’ennesima volta gli occhi azzurri e penetranti della compagna.

- Lasciami solo.- disse, faticando ad articolare le parole.

Eve rimase muta, ma non si allontanò, anzi si inginocchiò accanto a lui, togliendosi prima uno, poi l’altro guanto di tiepida lana e prendendogli il viso tra le mani nude. Avvertì la pelle fredda e tesa del ragazzo sotto le sue dita, gli scostò i lunghi capelli dal viso, avvicinandolo al suo petto e lasciando che si appoggiasse dolcemente alla sommità del seno.

- Oh, dai. Quella burbera e psicolabile sono io, lasciami il mio ruolo.- sussurrò, mentre Ken spalancava gli occhi, accompagnato dal sorriso materno della ragazza, il cui tocco sulla propria guancia lo fece rabbrividire. Era così calda e morbida...

Fu sicuro di arrossire, mentre nella sua confusa mente giunsero chiare le ultime parole di lei.

- E’ tutto così soggettivo. Sì, sei il numero due, tuttavia in nazionale sei ritenuto comunque un grande portiere. Ma sei anche il numero uno, sai? Per Ayame, Kojiro, Takeshi, Kazuki... i tuoi amici.- lo strinse con forza, entrambe le mani sul suo volto attonito e imbarazzato - E per me.-


Aprì piano la porta, evitando di accendere la luce, quando Mizuki la precedette e fece chiaro, chiudendo piano l’uscio e sussurrando:

- Ma dove diavolo sei st...- poi si accorse della presenza di Ken e tacque, incredula.

- Dov’è Ayame?- chiese Eve, non notando la terza compagna nel suo letto.

- È... lei e Kazuki sono usciti poco fa. Mi ha svegliata e ho notato che tu non c’eri così mi sono preoccupata... Eve... ma lui è...-

La ragazza annuì.

- Sì, è piuttosto ubriaco... è una lunga storia. Aiutami a metterlo a letto.-

L’odore di alcool era piuttosto forte, tanto da aver impregnato i vestiti su cui probabilmente Ken aveva rovesciata - per distrazione e mal coordinazione di una mente già confusa - una buona quantità e, di sicuro, se i professori fossero andati a chiamarli per l’escursione la mattina seguente, avrebbero scoperto che il portiere aveva bevuto e senza dubbio gli avrebbero affibbiato anche una bella sospensione. Così Eve fu costretta a togliergli la felpa ed i pantaloni, sotto gli occhi estasiati di Mizuki.

Mentre la bionda sfiorava con le dita la pelle tonica del ragazzo, riusciva ad avvertire i suoi sviluppati muscoli ora assopiti. Si accorse dello sguardo sognante dell’altra.

- Piantala Mizuki! Prendi questi piuttosto!- le lanciò gli indumenti, che la ragazza si affrettò a portare nel bagno, strofinandoseli debitamente al petto, prima.

Eve scosse il capo, spazientita e quasi stretta allo stomaco da una strana sensazione di fastidio, mentre Mizuki lo guardava smaniosa, desiderando ardentemente d’essere la sua biancheria.

Ken si era addormentato profondamente, disteso su un fianco nel suo letto e la ragazza si preoccupò di coprirlo con una coperta pesante appena presa dall’armadio. Gliela distese sulle spalle e lungo l’intero corpo per evitare di fargli prendere ulteriore freddo, dal momento che stava riposando con addosso solo i boxer e una maglietta a maniche corte.

Mizuki spense la luce per lasciare riposare meglio Ken e si sedette sul proprio letto. Eve fece lo stesso, ora non sapeva più cosa pensare... si era sfogata, non sentiva più quella sensazione di rabbia, anche se avrebbe dovuto, vedendo come Wakashimazu si era conciato, ma tutto svaniva lentamente, forte del fatto che lui doveva aver provato la medesima rabbia soccorrendola quando si trovava nella stessa situazione e che dopo averlo stretto tra le braccia, le pareva che il resto del mondo non avesse più alcuna importanza.

- Mi puoi raccontare...?- le chiese nell’ombra l’amica.

Eve fu come scossa da un sogno ad occhi aperti, ma cominciò ugualmente a parlare come per allontanare uno spauracchio, cominciando dalla lettera di Dex.

Sapeva di poterle raccontale tutto: Mizuki era a conoscenza anche di Nicholas.

Era appena andata via da Okinawa, quando si era trasferita nella parte meridionale della città aveva subito fatto la conoscenza per caso di quella strana tipa, che le aveva subito rivolto un sorriso interessato, sin dal giorno in cui si erano incontrate in un negozio specializzato in grafica. Eve aveva bisogno di un gran numero di retini per i suoi disegni, mentre Mizu gironzolava, guardando interessata i vari aerografi.

Quest’ultima doveva fare un regalo ad un amico e le mancavano pochi centesimi, persi o dimenticati chissà dove - era piuttosto sbadata. Eve glieli prestò e da lì, per sdebitarsi, Mizuki le offrì qualcosa da bere, il giorno subito dopo.

Fu così che cominciarono a frequentarsi; Eve era fredda, ma non le dispiaceva vedersi con qualcuno che sorrideva sempre e che parlava di moda e prenotazioni dall’estetista come se si trattasse di ragioni di vita. Aveva subito trovato Mizu piuttosto bizzarra e poi... voleva anche lei disperatamente riprendersi il suo sorriso, pur sapendo benissimo di non poter essere in grado di farlo, finché un giorno - per pressione o per voglia di levarsi un gran peso dallo stomaco - non le raccontò tutto di Nicholas. Già, lo raccontò ad una ragazza dal carattere diametralmente opposto al suo, che viveva in un mondo diverso, incomprensibile e leggero.

Da quel giorno Mizuki comprese che la ragazza dallo sguardo di ghiaccio da cui era stata subito attratta, nascondeva un abisso. E per qualche strano motivo si sentiva tremendamente e profondamente legata a lei, da una sorta di silenzioso riguardo ed ossequiosa amicizia. Era fiera di camminare al suo fianco, di aver contribuito a ridare il sorriso alla compagna che ormai considerava l’amica più grande. Le diceva spesso che le voleva bene ed anche se Eve non aveva mai ricambiato a parole, era certa che sotto sotto anche per lei era così.

Ad un tratto le labbra di Ken si schiusero in un gemito e poi un sussurro che giunse chiaro ad entrambe le ragazze.

- Mh... Eve...-

La diretta interessata avvertì uno strano ed imprevisto calore sulle sue guance, era sicura di essere arrossita parecchio: Ken aveva pronunciato il suo nome... magari la stava sognando.

Si portò le mani gli zigomi per palpare quello strano tepore che le aveva invaso il volto. Meno male che la stanza era immersa nel chiarore della luna e non si potevano distinguere i colori, sarebbe stato ancor più imbarazzante.

- Senti, senti!... che gli hai fatto, Eve?- disse Mizuki, sogghignando sorniona.

- Eh? Che vuoi che gli abbia fatto?! Assolutamente niente!- ribatté la bionda, impettita - A proposito. Di certo domani non potrà partecipare alle visite... dobbiamo pensare a qualcosa...-

- E se diciamo ai professori che non si sente bene? Lo chiudiamo in bagno e una di noi rimane qui con lui... beh, lo devo coprire in qualche modo... se scoprissero che è sbronzo saranno guai!-

- E perché tu devi coprirlo?- intervenne Eve, le mani ai fianchi - Resto io, tu và ad accalappiarti Kojiro, avrai via libera! Kazuki e Ayame staranno per i fatti loro e non ti sarà difficile cacciare vie le ragazzine.-

L’altra si arrotolò una ciocca di capelli ricci dalle sfumature bluastre attorno ad un dito, facendo maliziosamente spallucce.

- Che c’è?- sussurrò - Non sarai mica gelosa? E poi, a dire il vero... Kojiro non mi interessa più di tanto.-

- Possibile che tutto ciò che pensi debba avere dei risvolti del genere?- la bionda cacciò la lingua - Mi sento responsabile del suo stato, tutto qua. Infondo, se non gli avessi detto quelle parole, sarebbe andato tutto bene e lui non avrebbe... fatto quello che ha fatto. Quindi rilassati, a lui ci penso io.- fece per terminare, poi aggiunse di sottecchi - Hai per caso deciso di dedicarti solo a Ken?-

Mizu scosse la testa e sospirò, sistemandosi il colletto del pigiama rosa porcellana.

- Beh, devo ammettere che sono davvero due bei ragazzi! Ken e Kojiro, intendo. Però non posso continuare a pensare a tutti e due contemporaneamente, voglio dire, verrebbe fuori una cosa strana, no? Diciamo che mi sto interessando ad uno in particolare.-

- Uno chi?- domandò Eve, alzando un sopracciglio e sperando ardentemente che Mizuki non ripetesse la parola Ken.

- Se te lo dicessi non mi crederesti, ma mi colpisce tanto il suo modo di fare, il suo modo di essere... però non ti posso dire più nulla per ora!- fece segno di no col dito, la sagoma ben visibile in contrasto con la finestra.

- Ah sì? E come mai?- continuò l’altra, con il suo sorrisetto animoso.

- Perché voglio essere sicura che mi piaccia...- inaspettatamente l’amica arrossì, poi se ne accorse e si limitò a sciogliersi di nuovo in un sorriso - Però non farti illusioni! Le scommesse sono scommesse e Kojiro e Ken saranno miei!- si alzò in piedi, in posa da Wonder Woman.

- Ma se hai appena detto che hai occhi solo per uno soltanto!- la rimbeccò Eve.

- Ho detto anche che le scommesse sono scommesse e non voglio perdere!- Mizuki prese a dondolarsi come una bambina - E poi non dispiacerebbero a nessuno quei due, vuoi mettere? Alti e belli, piglio deciso, muscoli tonici... aww!-

- Come vuoi, come vuoi...- la compagna scosse il capo, sospirando - Farò di tutto per farti perdere, allora, mia cara! Se le scommesse sono scommesse, non ti lascerò vincere tanto facilmente.- ridacchiò poi, convinta.


- Sì, non si sentono molto bene.- asserì Mizuki, uscendo dalla stanza.

- Ma che ci fa Wakashimazu qui?- domandò il signor Nishimura, tra il preoccupato e il terrorizzato che qualcosa potesse essergli sfuggito di mano.

Eve strascicò in vestaglia fino in bagno, dove Ken si stava bagnando la testa con l’acqua gelida per svegliarsi dal torpore e per far riprendere alla realtà i contorni che le spettavano.

- Ieri sera eravamo sul portico e non mi sono sentita bene, così Wakashimazu mi ha riaccompagnata nella mia stanza e, visto che lui non stava meglio di me, ha deciso di rimanere qui. Sa com’è, non è piacevole vomitare per i corridoi.- disse Eve fingendo di avere l’emicrania - Dev’essere qualcosa che abbiamo mangiato.-

- Oh... capisco... anche un paio di ragazzi della sezione F si sentono poco bene questa mattina; hanno il vostro stesso colorito pallido. E’ meglio che resti con voi in albergo.- dichiarò l’insegnante, assumendo un’aria professionale.

- Come vuole, noi oggi andremo a visitare un altro tempio Sengoku nella parte alta della città. Forse le converrebbe venire, è molto interessante!- esclamò Mizu, con occhioni imploranti contornati da un allegro mascara blu.

- Già ma... forse farei meglio a rimanere. Quattro studenti, insomma...-

- Tenga presente che siamo entrambi maggiorenni, io e Springer, perlomeno.- vociò Ken dal bagno, aprendo la porta e scoprendo un paio di occhi stravolti.

Aveva addosso l’accappatoio legato in vita disordinatamente. Il professore, guardandolo, si convinse che non stava decisamente bene, ma non era troppo sicuro della responsabilità che avrebbe avuto se avesse lasciato soli i ragazzi e Mizuki lo accompagnò fuori dalla stanza, mentre Eve ricacciava Ken in bagno.

- Rimarrò ugualmente. Ora cercate di dormire, io sono nella mia stanza se avete bisogno. Avanti Awashida, sbrigati o farai tardi.- fece poi, con un sorriso.

- Ah, sì... adesso arrivo, prendo lo zaino!- Mizuki tornò in camera ed afferrò la sacca di Hello Kitty, caricandosela sulla spalla e strizzando l’occhio ad Eve.

- Ce l’abbiamo fatta! Ora non ti resta che chiarire col portierino che, beninteso, ti lascio per gentile concessione! Mi sto giocando una grandissima occasione, per te!- la salutò un una mano, sciogliendosi in un nuovo sorriso - Buona fortuna! Ciao-ciao!-

Nishimura era già andato avanti e Mizu si affrettò a raggiungerlo, trotterellando lungo il corridoio.

Eve richiuse lentamente la porta e sospirò togliendosi la vestaglia, lasciando scoprire la maglietta e i jeans che portava sotto. Ken uscì di nuovo dal bagno. I due rimasero a fissarsi per qualche attimo, ma poi distolsero lo sguardo quasi contemporaneamente.

- Sei matto ad uscire così? Nishimura poteva scoprire tutto e sospenderti! Per fortuna non è incline ad insinuazioni e fin troppo ingenuo, altrimenti!- la bionda si era portata le braccia al petto, indispettita per coprire l’imbarazzo.

- Eh... in che senso?- le domandò lui, candidamente.

- Nel senso che non ha minimamente pensato che un ragazzo e una ragazza, nella stessa stanza... oh, insomma! Siamo stati fortunati che io sia pallida di mio e che quei due della sezione F siano davvero malaticci, stamattina! E adesso muoviti, rientra in quel bagno, non lo vedi che sei in mutande? Fatti una doccia e riprenditi!- parlò concitatamente, liberandosi magistralmente dall’impaccio.

Ken arrossì, sentendosi alla stregua di un sempliciotto per non aver pensato ad un’eventualità simile ed essersi comportato da superuomo davanti all’inesperto docente, ma soprattutto per non essersi accorto che l’accappatoio gli si era inavvertitamente slacciato, scoprendo i boxer neri a cui Eve alludeva con tanto di indicazione della mano.


Udì lo scroscio dell’acqua della doccia e si sdraiò sul suo letto, lo stesso in cui aveva dormito Ken. Poteva dirlo con certezza, dal momento che riusciva a sentire il suo intenso profumo.

Chiuse gli occhi e strinse a sé il cuscino, finché non cadde tra le braccia del Sonno, ben consapevole di non aver riposato granché quella notte.

Aprì gli occhi. Dinnanzi a sé un grande specchio ed alle sue spalle una presenza mite e familiare.

- Ti voglio bene.- una serena e placida voce maschile.

- Anche io ti voglio bene.- rispose lei.

- Staremo insieme per sempre?- sorrise la medesima nota che aveva esordito per prima.

- Sì, per sempre.- fu la sua replica, mentre lui le sfiorava con una spazzola d’argento lunghi capelli di grano.

Nicholas sorrise di nuovo, lasciando che i suoi limpidi occhi azzurri si riflettessero sulla superficie lucida ed incontrassero così quelli della ragazza che gli sedeva dinnanzi.

Nicholas.

Eve.

Nicholas ed Eve.


Ken uscì dal bagno con un asciugamano scompostamente disteso sui capelli ed una mano a massaggiare piano la testa, quando la vide: dormiva. Si era addormentata profondamente sullo stesso letto che lui aveva lasciato qualche ora prima.

Sul suo viso nacque un sorriso spontaneo e placido. Ormai la leggera sbornia che si era preso gli era passata, poteva ben affermare che a parte il mal di testa andava tutto okay. S’infilò la maglietta nera che gli aveva portato Mizuki - insistendo per fare irruzione in camera sua e fargli recapitare tutto l’indispensabile - e si strofinò il collo con le dita.

Rimase quei pochi istanti a guardare Eve dormire profondamente, il petto di donna alzarsi ed abbassarsi ritmicamente, poi si sedette accanto a lei, appoggiandosi al capezzale.

Ma cosa diavolo gli era saltato in mente di fare? Si sentiva alquanto stupido, in quel momento più che mai.

La sera prima, dopo le parole che la compagna gli aveva rivolto, dopo l’ennesimo rifiuto d’aiuto e l’astio, non ci aveva visto più: era tranquillamente uscito senza incontrare anima viva proprio con l’intento di bere fino ad annebbiare i propri sensi, esattamente come aveva fatto lei, quella sera di poche settimane addietro. Forse voleva dimostrarle quanto era stato straziante vederla in quello stato, o forse semplicemente tentare di affogare i propri problemi in qualcosa di distruttivo, senza troppi fronzoli, senza troppa cavalleria. Provarci, perlomeno.

Le portò una mano sui capelli e, senza distogliere lo sguardo, lasciò che le cortissime ciocche gli si insinuassero tra le dita, solleticandogli l’incavo.

Era giunto alla conclusione che probabilmente Eve nascondeva qualcosa di più grande di lei, vista la reazione esagerata della sera prima e nonostante il pacifico, lieve sorriso che aveva mentre dormiva.

Le si avvicinò ancora di più, quasi distendendosi; circondò il suo corpo con le braccia, come fosse un’azione meccanica che era abituato a compiere da quando aveva memoria.

Finì per abbracciarla intensamente, tirandola addirittura a sé e lasciando che il suo capo si appoggiasse al proprio petto, poi chiuse il cerchio spaziando con le braccia sulla sua schiena ed inspirando profondamente il suo stuzzicante profumo.

Eve socchiuse lievemente le palpebre, a contatto con la pelle e con il calore avvolgente che la circondava. E in un attimo la sua mente si scordò del sogno che aveva appena lasciato, del volto di Nicholas e della spazzola d’argento; riuscì a vincere il dormiveglia per un solo, brevissimo istante, nel quale i suoi occhi si trovarono a contatto ravvicinato col il viso pulito ed immobile di Ken.

La stava abbracciando. La propria fronte sul suo collo, il petto contro il suo addome, le mani stabili sul suo torace ed i fianchi e la schiena catturati da un intimo calore.

Avrebbe potuto ordinare alla sua mente di svegliarsi, ma rimase inerme e ricadde nel sonno, troppo incredibile perché potesse essere reale, troppo prezioso per desiderarne il termine.


Kojiro spalancò di scatto la porta, impaziente di comunicare la bella notizia, ma si frenò di scatto, trovandosi dinnanzi una scena inaspettata. Il suo viso da stupito assunse subito una vena serena e sulle sue labbra si disegnò un sorriso divertito.

Guarda un po’ Ken, allora non era solo una mia impressione...

Richiuse la porta, decidendo che forse non era il caso di disturbare.

Da un po’ si stava comportando come un ragazzino: faceva caso alle cose più insignificanti, prendeva in giro Takeshi come un fratello maggiore e - soprattutto - curava modo di fare ed aspetto in funzione dell’impressione che avrebbe potuto fare ad una persona in particolare... ma, accidenti, lui era Kojiro Hiyuga! Da quando in qua aveva preso a badare a certe superficialità?

Sospirò. Quella ragazza gli faceva uno strano effetto... eppure per quanto si sforzasse di reagire, di mantenersi saldo, non poteva resisterle, soprattutto trovandosi ogni giorno davanti a quei suoi silenziosi occhi scuri, a quei suoi capelli di seta fluida e a quel suo sorriso di miele, si sentiva come in estasi.

Era sciocco e forse decisamente imprevisto che proprio una ragazza del genere, del tutto diversa da lui, appartenente ad un mondo di cui non conosceva le radici, avesse risvegliato un interesse così grande.

Non riusciva ad ammettere nemmeno a sé stesso che si era maledettamente innamorato di lei e che la Tigre si stava lasciando trasportare da un sentimento del tutto nuovo. Era come se ogni giorno cominciasse un nuovo ciclo in cui si riproponeva di piantarla con quelle scemenze da principessa e tutto pareva andare per il verso giusto, finché lei non faceva la sua comparsa. Fosse stato così facile, fosse bastato il semplice non vederla per levarsela dalla testa, ma addirittura quando non gli capitava di incontrarla le sue difese cadevano: cominciava infatti a sentire una mancanza incredibile della sua presenza quieta ma sostanziale accanto a lui.

Sospirò di nuovo, notando finalmente gli occhi di Ayame che lo fissavano. Il suo volto assunse tutt’un tratto una colorazione violacea: arrossì come se lei gli avesse letto nel pensiero.

- Hai dato la buona notizia?- chiese timidamente.

- Emh... no, veramente non credo dovremmo entrare.-

Aya gli rivolse uno strano sguardo.

- Che?-

Kojiro sprofondò ancora di più, affermando immediatamente d’essersi espresso male con un insolito gesticolare, così per non andare oltre aprì leggermente la porta e fece dare un’occhiata anche alla ragazza.

- Oh!- sorrise lei, portandosi una mano alla bocca e sciogliendosi in un’esclamazione di tenerezza.

Kojiro fece per richiudere la porta, quando una spinta lo colse alle spalle e un’euforica Mizuki urlante come una groupie fece la sua comparsa.

- Nevicaaaaaaaaaa!!-

Eve aprì di scatto gli occhi, svegliata di soprassalto da tutto quel trambusto e si trovò davanti una scena a tratti inquietante: Kojiro a terra con il volto di Ayame a pochi millimetri dalla sua bocca e Mizuki saltellante e totalmente incurante che mimava una cheerleader in atto di trionfo.

Poco dopo si accorse che anche Ken stava aprendo gli occhi e che ciò che le era parso di sognare, in realtà era vero... aveva dormito abbracciata a lui.

Nonostante la crescente sensazione mista d’imbarazzo e dolcezza, si discostò bruscamente e si mise in piedi con le mani ai fianchi.

- Mi avete fatto prendere un colpo!- li rimproverò.

- Volevi rimanere col principe azzurro tutta la giornata?- sorrise Kazuki, spuntato proprio in quel momento dalla porta. Il centrocampista si ritrovò ben presto un cuscino sul naso.

- Ehi! Mi hai fatto male!- si lamentò massaggiandosi il viso.

- La prossima volta impari a tenere chiusa la boccaccia!- sogghignò Eve, soddisfatta del lancio da maestro. Aya si alzò ricomponendosi alla meglio e lisciandosi la lunga treccia castana, mentre Mizuki - che non aveva smesso un attimo si saltellare - ripeté ciò che aveva da dire.

- Ragazzi, nevica finalmente! E domani, niente escursioni!-

Ken si massaggiò gli occhi, tornando alla realtà a poco a poco e solo in quell’istante.

- Nh...? Eh?-

- Sveglia, portiere! A quanto pare domani niente camminate!- rise Eve, sorridendo sollevata, mentre lui si sfregava gli occhi con i pugni e sbadigliava lentamente.

- Ma guardatelo! Sembra un orsacchiotto!- ridacchiò Mizu, stavolta imitando l’immobilità di un tenero peluche.

- Io odio gli orsacchiotti.- Ken cacciò la lingua con espressione scherzosa, dall’altra parte Kojiro teneva ancora Aya per un fianco da quando si erano rialzati.

Nel momento in cui la ragazza se ne rese conto, tentò di non dare nell’occhio, per quanto fosse diventata paonazza; si accomodò al bordo del proprio letto, quando Kazuki le si fece vicino.

Giusto in quel mentre li raggiunse un’occhiata involontaria e distratta di Eve, alla quale parve che l’espressione della ragazza fosse piuttosto infastidita, tanto da farla rialzare immediatamente.

- Scusate, vado un attimo a rinfrescarmi la faccia...- disse in un soffio, scivolando veloce nella stanza da bagno.

- Allora, che si fa?- canticchiò Mizuki, mentre Aya si chiudeva la porta alle spalle - Ehi, a proposito! Peccato quel vostro amico sia più piccolo di noi...-

- Eh?... che amico?- chiese Kazuki, aggrottando un sopracciglio.

- Ma sì, il vostro bersaglio, Sawada!- rispose la ragazza, raccogliendosi i lunghi capelli ricci in una coda e fissandola con un fermaglio arancione - Ci potevamo divertire a tirargli le palle di neve!- aggiunse gustando un’immaginaria, ipotetica battaglia.

Intanto lo sguardo di Ken si era soffermato sul volto rilassato di Eve, sembrava serena e questo lo sollevò. Perlomeno non era arrabbiata, seccata o contrariata per quanto era accaduto la sera prima. Il sonno che li aveva colti era davvero stato ristoratore.

- Già,- intervenne Kojiro, alzando le spalle - ma non gli farà male studiare un po’.-

- Takeshi studiare? Capitano, sei ubriaco?- la voce di Ayame fece di nuovo il suo ingresso nella stanza, mentre la ragazza apriva la porta del bagno con un sorriso: pareva tornata sé stessa.

All’udire l’ultima parola, gli sguardi di Eve e Ken s’incrociarono di nuovo, quasi calamitati, per poi allontanarsi repentinamente, accompagnati da un leggero impaccio dato da una coincidenza fin troppo delicata.


Aya sistemò il maglione blu sulla poltroncina, rimanendo in maniche corte.

Estrasse da un cassetto una gonna grigia, che s’infilò silenziosamente, poi con la spazzola si lisciò i capelli su una spalla, davanti allo specchio.

Più si guardava, più si sentiva costretta ed inadeguata. Aveva appena discusso per l’ennesima volta con Kazuki e tutto era finito in modo inaspettato. In modo orribile.

Gli aveva detto ciò che pensava non avrebbe mai potuto dirgli per mancanza di coraggio, eppure... era accaduto tutto così in fretta, tutto così velocemente e... scioccamente.

Considerava da tempo che forse era il caso di parlare chiaro con sé stessa e con le persone che meritavano chiarezza, ma non credeva potesse succedere in modo repentino e del tutto fuori controllo.

Aveva desiderato mille volte sfogarsi con qualcuno, prima, Eve forse... ma ogni volta che ci pensava, si trovava a scuotere il capo con decisione, quasi impaurita. Chissà cos’avrebbe potuto pensare di lei, se avesse vuotato il sacco!

Sospirò. Non riusciva a capacitarsi e questo la rendeva ancora più scoraggiata.

Avrebbe fatto meglio a prepararsi alla svelta; da quando il giorno prima Mizuki aveva annunciato che con la nevicata le uscite sarebbero state impossibili da realizzare, tutti si erano organizzati la giornata a modo loro.

D’un tratto un deciso battere alla porta.

- Arrivo, arrivo!- esclamò la ragazza, convinta che fosse una delle due compagne che, impazienti, la stavano attendendo da un pezzo.

- Akimoto!- uno stupito Kojiro fece il suo ingresso nella stanza, evidentemente non si aspettava di vedere proprio lei.

- Oh, capitano!- fece lei, sobbalzando.

- Scusa, emh, cercavo Ken.- fu la risposta frettolosa che le arrivò - Pensavo che si fosse di nuovo infilato nella stanza di Eve... cioè, nella vostra stanza.-

Lei poggiò la spazzola accanto allo specchio.

- Oh, no, no.- replicò - Sono scesi qualche minuto fa, credo abbiano già cominciato a litigare per il telecomando della tv satellitare!- aggiunse con un sorriso, incrociando meglio che poté le mani al petto e tentando di assumere un’espressione disinvolta.

Si aspettava che Kojiro si voltasse e, con un saluto, le dicesse che li avrebbe raggiunti e che si attendeva presto avesse fatto lo stesso anche lei, invece... invece il ragazzo era rimasto sulla porta senza aggiungere nient’altro, immobile.

I suoi occhi scuri e sempre troppo spesso contratti dalla rabbia, dalla decisione e dalla determinazione ora la stavano fissando con lo stesso piglio così sicuro e caratteristico, in silenzio, quasi con una punta di indecisione e disperazione. Aya non l’aveva mai visto così, o perlomeno, non aveva mai visto nessuno guardarla in quel modo.

Hiyuga si soffermò sul volto candido e fresco della compagna, incorniciato da ciocche scomposte e morbide di capelli castani. Le piccole mani appoggiate dolcemente alle altrettanto esili e nivee braccia scoperte sembravano volergli dire che stavano lottando con tutta la loro forza per vincere l’imbarazzo.

Fu questione di un attimo.

Kojiro richiuse la porta alle sue spalle, entrando definitivamente nella stanza. Mosse due rapidi passi verso di lei, tanto da arrivare ad afferrarle un polso e trarla a sé con una mossa repentina.

- Aya...- soffiò il suo nome sulle sue labbra di nuvola, stringendo la presa e facendola scivolare sulla propria bocca, per scoppiare in un bacio.

La ragazza si sentì mozzare il fiato, stringere un braccio e lentamente anche un fianco. Sbatté più volte le palpebre, non riuscendo a credere che ciò che stava accadendo fosse reale e, incredibilmente, si trovò aggrappata alle sue spalle a ricambiare il bacio con tutto il trasporto di cui era capace.

Erano così vicini, poteva sentire il battito del cuore di tigre riflettersi sul proprio petto, stretto al suo. Kojiro, senza alcuna fatica, la sollevò da terra per farla sedere sulla specchiera. Con la mano che le stringeva il polso passò a cingerle una gamba, strappandole un intenso sospiro, che ruppe il contatto delle loro bocche.

- Capitano...- ansimò lei, il fiato corto ed il viso arrossato - Kojiro...- aggiunse poi, lasciando che il ragazzo la fissasse da pochi millimetri di distanza, fronte contro fronte.

Ayame gli portò una mano non più incerta, né tremante sul volto, sfiorandolo con una grazia di cui solo lei era capace, una dolcezza che Hiyuga aveva solamente sognato sino a quel momento.

Gli bastò per farsi largo tra le sue braccia e lasciare che l’abbracciasse, l’avvolgesse completamente, consegnandosi interamente al suo tocco caloroso ed energico.


Eve stava giusto considerando che oramai era da molto che non si divertiva a quel modo: aveva riso talmente tanto in quel breve periodo, che non si ricordava nemmeno più della lettera - forte anche della consapevolezza inconscia di non volersene ricordare affatto.

Oramai era giunta la sera che avrebbe preceduto la partenza per il ritorno a casa. Una buona notte riposante per tutti e poi di nuovo pronti al viaggio.

Si trovava da sola nella hall; tutti i suoi compagni si erano precipitati nelle rispettive stanze per preparare frettolosamente le ultime cose. Tra l’altro, Kazuki, Ayame e Kojiro parevano scomparsi nel nulla, Ken aveva annunciato un’imminente doccia e Mizu l’aveva repentinamente seguito con la vana speranza di poter sbirciare qualcosa.

Finì per pensare che era anche diverso tempo che non toccava più una sigaretta, dalla sera in cui Ken era rimasto a vegliare su di lei. Beh, senza dubbio stava facendo progressi, anche se del tutto involontari.

Voltò lo sguardo, attirata da uno scalpiccio sommesso e fu quasi investita da una sconvolta Ayame, che le passò vicino di corsa, tenendosi le mani sugli occhi e correndo verso la propria stanza.

- Ehi! Ayame?- la inseguì per le scale, riuscendo ad infilarsi nella camera prima che la compagna le richiudesse sonoramente la porta in faccia..

- Eve...- disse lei tra i singhiozzi, saltandole al collo e scoppiando in un pianto a dir poco disperato. Non si aspettava di vederla, ma chiunque fosse stata la prima persona che le fosse capitato di incontrare, l’avrebbe gettata ancora di più nel panico. Che fosse la sua compagna di stanza ad esserle comparsa davanti agli occhi era forse ciò che non sperava, ma la fortuna aveva voluto concederle.

- Ayame, che hai?- le chiese l’altra, piuttosto stranita.

- E’... è successa una cosa orrenda! Oh, sono così stupida!- le rispose con voce incrinata dal pianto e scuotendo la testa sulla spalla di Eve, la quale la afferrò per le spalle e la fece sedere sul letto, asciugandole le lacrime con la mano.

- Basta piangere.- fece, con dolce ingiunzione. Aya singhiozzò ancora qualche istante, poi la guardò con occhi imploranti di aiuto ed poco a poco si calmò.

- Allora, puoi dirmi che è successo?- domandò Eve, passandosi la mano sui capelli corti. L’altra fece per cominciare, ma un gemito fu lì lì per gettarla di nuovo nel pianto; solo quando la bionda le posò di nuovo una mano sulla spalla, riuscì a tenere a freno le lacrime.

- E’... io... lo sai che le cose con Kazuki non andavano da tempo...- riuscì ad esprimersi, tra gli spasmi - Qualche sera fa sono andata in camera sua e... e lui mi hai chiesto... lui voleva che facessimo l’amore.- tirò su col naso, strizzando gli occhi come per scacciare una visione spaventosa - Gli ho detto di no, che non volevo mentirgli... non volevo farlo per la prima volta con chi mi considerava solo al momento di una necessità del genere...-

Fece una pausa, mentre Eve seguitava a fissarla in attesa.

- Mi ha presa per una mano, non voleva lasciarmi andare... mi ha chiesto per quale motivo e io... io gli ho detto tutto quanto! Tutto quanto!- il suo grido sconfortato accompagnò una violenta scossa del capo - Gli ho detto che non poteva pensare agli affari suoi per tutto il tempo e poi, solo quando sentiva i suoi bisogni da uomo, ricordarsi che esisto anch’io! Gli ho detto che non lo amo più e che... oh, potevo fermarmi, potevo fermarmi!- si tormentò, battendosi le mani alla testa - Ma alla fine gli ho urlato in faccia che doveva lasciarmi stare, che sono innamorata di Kojiro... io sono una sciocca!-

Scoppiò di nuovo a piangere, questa volta senza provare a frenarsi.

Eve non si sorprese. Lo sapeva, l’aveva intuito guardandoli che tra lei e Hiyuga c’era un legame diverso dagli ordinari, lo aveva inteso dalla prima volta che Aya aveva tifato per il capitano e non per Kazuki. Si ricordò di tutte le volte che, all’uscita della scuola, aveva spinto la coppia ad avviarsi sola sulla strada, dicendo di non preoccuparsi e di cominciare a dirigersi verso casa, che lei avrebbe aspettato Wakashimazu... ma evidentemente Aya e Sorimachi non riuscivano più a comunicare da tempo.

- Non è finita, vero?- le chiese. Ayame si asciugò le lacrime, altre scesero lentamente dai suoi occhi e presero il posto di quelle. Scosse la testa.

- Kazuki... lui mi ha lasciata andare, mi ha lasciata uscire dalla stanza senza dire più niente. E io... come una stupida... credevo che tutto fosse finito, o perlomeno credevo che le cose non potessero andare peggio di così, invece... io... Kojiro... lui è venuto a cercare Ken... noi abbiamo...-

Non arrivò più a proseguire, non riusciva più a parlare, i singhiozzi le impedivano di andare avanti ed Eve la guardò. Stava per parlare, quando Ayame riprese parola con frenesia e disagio.

- Kazuki lo sa... io e il capitano abbiamo parlato questa sera... e... e... lui era lì, l’ho visto! L’ho visto solo io, Kojiro... lui non se n’è accorto. Kazuki... ha ascoltato tutto... io non so più cosa fare... non so più che cosa pensare... non so nemmeno quello che pensa di me in questo momento... di sicuro è arrabbiato... è furioso, mi odierà immensamente... voglio morire...-

Eve si alzò di scatto, inaspettatamente scoccandole un’occhiata rabbiosa.

- Che cosa?- sibilò.

- Voglio morire!- Ayame lo ripeté urlando, convinta, mettendoci l’anima.

E fu un attimo. Sentì le dita di Eve e il palmo della sua mano forte sulla sua guancia. Per poco non cadde dal letto.

- Non dirlo mai più! Per questa sciocchezza tu vorresti morire!?- glielo gridò in faccia, senza minimamente badare alla sua aria sconvolta.

- Ma... ma cosa ne sai tu!?- l’altra si teneva uno zigomo, aveva assunto un’espressione sfiduciata e combattiva - Io... tu non sai quello che provo!- un disperato tentativo di ribellione.

Gli occhi della bionda la fulminarono in un istante, tanto che Aya si sentì rabbrividire.

- Ho provato mille volte il dolore che stai provando tu in questo momento; ti potresti nascondere, ma morire mai.- fece, tra i denti - C’è gente che muore, ma meriterebbe di vivere!-

- Ma che...- la compagna non riuscì a comprendere, né a proseguire, mentre guardava quelle iridi di cielo furibonde desiderava ardentemente nascondersi sotto terra. Non poteva tenere ancora a lungo il suo sguardo fisso sulle lame blu con cui Eve le stava trafiggendo il cervello.

Questa si abbassò senza smettere di fissarla, ora i loro occhi erano di nuovo alla stessa altezza.

- Vorresti correre via, vero?- le disse, questa volta in tono materno.

Ayame non rispose, annuì appena con ancora la mano sulla guancia dolorante, lo sguardo mesto e la consapevolezza di essersi comportata per l’ennesima volta da stupida.

- Sai, ci sono tempi, ci sono giorni in cui ci sembra di non poter sopportare la realtà ed allora non si desidera altro che fuggire via, in un posto dove nessuno potrà mai raggiungerci.- le stava parlando come se di fronte agli occhi avesse uno specchio e la propria immagine muta le si riflettesse nella mente - Ci sono pensieri, ci sono momenti in cui la vita ci pare una maledizione più che un dono, ed allora si aspira unicamente a nascondere la coscienza in quel sogno eterno, dove le cose possono muoversi solo secondo follia.-

Aya aveva smesso di respirare. Era come se a pronunciare quelle parole fosse la persona che aveva sempre tentato di comprendere, ma che Eve aveva sempre tenuta nascosta.

- Per non soffrire più, per non essere giudicata di nuovo?-

L’altra annuì e lentamente abbassò la mano dal proprio volto.

- Scegliere è difficile.- asserì la compagna - E quello in cui ti sei cacciata è un problema che puoi risolvere con le tue forze, ma se non hai fiducia in te stessa non potrai mai arrivare ad una conclusione.-

L’altra aveva distolto lo sguardo ed ora sgranato gli occhi nell’ascoltare la voce dell’amica... una voce che mai prima d’allora le era parsa così avvolgente.

- Io... io non so se riuscirò a...- replicò appena, sconfortata e fragile come un fiore.

- Non vorresti tentare?- la interruppe Eve, alzando di poco il mento.

- Ho paura.- ammise Ayame, finalmente scoprendo il suo intimo timore.

La bionda le portò una mano sul volto che poco prima aveva colpito, depositandovi un pizzicotto affettuoso.

Poi si alzò e fece per uscire, voltandosi solo un’ultima volta, prima di richiudersi l’uscio alle spalle.

- Fai attenzione, sai, rischieresti d’essere felice.-


- Ehi!-

La ragazza si voltò e non poté fare a meno di sorridere, incontrando quel viso allegro.

- Ciao, portiere!-

Ken si sedette di fronte a lei, al tavolo. Gli ultimi preparativi stavano per essere ultimati, una gran quantità di valigie e borsoni erano sistemati nella stanza adibita ai bagagli, mentre un viavai di studenti sfilava dinnanzi ai loro occhi.

Alcuni erano già pronti alla partenza ed attendevano accomodati sugli ampi divani della sala, ai tavoli, oppure fuori, nel grande cortile tutto coperto di bianco.

- Allora, che c’è di nuovo?- esordì lui, ancora sorridendo. Un tentativo d’approccio che Eve adorava.

- Mh... niente di nuovo.- replicò lei, con un’alzata di spalle. Il ragazzo si portò le mani dietro alla nuca.

- Non ti ho ancora detto grazie... per l’altra sera.- disse.

Eve si sentì tutt’un tratto strana, ricordando quel tenero abbraccio; fu certa di essersi dimenticata che l’uno doveva delle scuse all’altro, come se l’aver dormito tra le sue braccia avesse cancellato ogni cosa.

- Figurati, dopotutto anche tu l’hai fatto per me. Era il minimo.- fece una pausa durante la quale il suo sorriso si affievolì.

Abbassò gli occhi sulla mano fasciata del ragazzo, e di nuovo il ricordo del suo volto sofferente le si parò dinnanzi agli occhi, così come la sua mano sanguinante, ferita di proposito.

- Perché l’hai fatto, Ken?- usò il suo nome, in un sospiro.

Wakashimazu rimase zitto, volse verso il basso entrambe le mani come a nascondere la fonte della questione e ritornò a fissare i suoi occhi.

- Non lo so con precisione.- si trovò a rispondere - Suppongo che volessi uscire un po’ dalle regole...-

Lei mantenne i propri occhi fissi nei suoi, con uno strano sorriso. Poi serrò lentamente le palpebre; sapeva riconoscere bene una bugia.

- E poi... - la voce di Ken proseguì, riprendendo il discorso forse parso troppo sciocco da lasciar cadere a quel modo - Mi sono sentito male quando ti ho vista in quello stato, quando ti sei ubriacata.- confessò - Non l’ho fatto perché tu hai compiuto la medesima azione, settimane fa, è solo che... provavo rabbia. Ma dal momento che avevi tentato di scacciare i fantasmi in quel modo, e nonostante sia un grosso ossimoro dal momento che vederti così mi ha fatto provare risentimento, volevo azzardare anche io... a ubriacarmi, intendo, per distruggere il dolore ed i problemi.-

Cristallino.

Eve si sentì tremendamente in colpa.

Tutt’un tratto le parole di Ken riguardo Wakabayashi, riguardo al fatto che essere il secondo portiere gli lacerava lo stomaco e che non riusciva a migliorare malgrado gli sforzi la investirono.

Poteva sembrare un ragazzo come tanti ma, proprio come Ayame, ognuno nascondeva i propri drammi.

- Non ci si riesce, vero?- sussurrò, riaprendo gli occhi.

- No.- rispose immediatamente lui, con il medesimo tono di voce ed una punta di amarezza.


Aya evitava a tutti i costi lo sguardo di Kazuki e di Kojiro. Si sentiva terribilmente colpevole e sporca e l’essere costretta in uno spazio così angusto come un pullman in presenza di entrambi le faceva tremare le ginocchia.

Il cannoniere se ne stava seduto immobile con lo sguardo fisso fuori dal finestrino, rivolgendo distrattamente la propria attenzione ai veloci paesaggi che gli passavano di fianco. Non riusciva ad essere spensierato: gli occhi di Sorimachi parlavano chiaro, era come se sapesse ogni cosa e lo sguardo implorante di Ayame lo tratteneva dall’avvicinare ciascuno dei due.

Mizuki batteva il tempo con le mani alternatamene sulle proprie ginocchia e su quelle di Eve, ascoltando una canzone, Ken dormiva profondamente immerso nel suo sedile e la bionda giocherellava con delle caramelle di zucchero, prima di portarsele alle labbra e lasciare che emanassero un dolce profumo di frutta.

Kazuki sospirò e chiuse gli occhi. Ciò che aveva udito dalla propria ragazza, durante la conversazione con Hiyuga, non lasciava spazio a dubbi. Era confuso, più che furioso... poteva ancora considerarla sua, Aya?

Eve approfittò di una distrazione della compagna - che aveva preso a frugare nella sua sacca di Hello Kitty alla ricerca di qualche strano affare - per alzarsi e sgranchirsi le gambe.

Si voltò e si mise a sedere sul sedile vuoto accanto al portiere, fissandolo nel sonno.

Era stato bellissimo sentire la sua presenza davanti a sé, quel calore che gli faceva venire i brividi lungo la schiena. Pensava, immerso nelle proprie idee... pensava a lei, a quanto l’aveva affascinato dalla prima volta che l’aveva vista, che aveva incontrato i suoi occhi profondi.

Non pensava che addirittura conoscendola meglio, si sarebbe presto sentito preso da lei con tutto sé stesso. E non era questione fisica, come spesso gli capitava. Perlomeno non solo; rispetto alle altre ragazze Eve era come... gli piaceva pensarla come la sua dea.

Per quanto si sforzasse di non pensarci e di non rischiare di innamorarsi di lei per non desiderare altre tensioni - non voleva soffrire e non voleva farla soffrire: aveva ben inteso che Eve non era una persona semplice, né nascondeva un passato di rose e fiori - dopo quelle sere, dopo tutto.

Ma ormai era già consapevole di essere sulla buona strada e, nonostante tutto fosse contrario alle proprie previsioni, non riusciva, addirittura non voleva tornare indietro.

Ad un tratto la ragazza avvertì una mano picchiare leggermente sulla sua testa: Ken si era svegliato e aveva alzato un braccio.

- Ehi! Allora non dormivi!- esclamò, sorridendo.

- Non riesco mai ad addormentarmi quando viaggio.- si stiracchiò - Nonostante sembri un infaticabile pigro.- aggiunse, ridendo. Eve si lasciò trasportare dalla serena risata del portiere e gli lanciò a tradimento l’ultimo confetto colorato, sicura di coglierlo alla sprovvista.

Invece Ken lo afferrò al volo e se lo mise in bocca con aria infantile. Adorava le caramelle di zucchero.

- Bella presa!- fece lei, stupita.

- Dopotutto, sono il migliore!- fu la risposta che le giunse, accompagnata da un sorriso.

All’udire quelle parole Eve si sentì strana, come se le si stesse sciogliendo il cuore. Non erano accompagnate da una vena d’amarezza, come se fosse consapevole di star affermando una falsa verità, anzi... il volto del compagno era trasparente e brillante.

Ma che pensava quel ragazzo? Sere prima si disperava perché Wakabayashi era su questa terra e poi... un momento, forse stava parlando in virtù di quello che lei stessa gli aveva detto nella medesima occasione, ovvero che per lei era il migliore in assoluto.

- Già...- arrossì, lusingata all’idea.

Ken piegò il capo da un lato, rimanendo a guardarla mentre tornava a rivolgergli un’occhiata amichevole.

- Come mai sono tutti e tre così giù?- le chiese poi, indicando con lo sguardo il capitano, Aya e Kazuki.

Eve scosse il capo, assumendo un’espressione poco convinta.

- Non so.- mentì.

 

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