Ombre di cicatrici

 

 

CAPITOLO 6 – La scelta




Non appena aprì la porta, trovò la signorina Rama sorridente ad attenderla in piedi dietro la scrivania.

La donna si passò una mano sui corti capelli rossissimi e le fece cenno di sedersi. Eve si accomodò sulla poltroncina; da quando aveva ricevuto l’avviso di convocazione nel suo ufficio, si stava chiedendo cosa mai l’allenatrice volesse comunicarle, soprattutto sperando di non aver combinato qualche involontario guaio.

- Mi voleva parlare?- domandò, con aria interrogativa.

- Sì.- rispose quella, facendosi improvvisamente seria - È in ballo un affare importante.-

- Un affare importante?- ripeté la ragazza, aggrottando le sopracciglia.

Immaginò dovesse trattarsi di qualcosa di piuttosto rilevante, dal momento che la donna non le era mai sembrata così seria. Era severa, certo, ma non era mai stata così concentrata, perlomeno davanti a lei.

- Eve.- disse ad un tratto, muovendosi verso la parete tappezzata di medaglie e riconoscimenti. La giovane la seguì con lo sguardo. - Ti ritengo la velocista più valida di tutta la squadra.- asserì di lì a poco, portandosi le mani dietro la schiena.

La ragazza non ringraziò né parlò, rimase solo in attesa del seguito. Per quanto quella frase potesse averla colpita, sicuramente non era stata convocata per ricevere complimenti.

- A partire dal mese prossimo si terranno delle competizioni a livello agonistico, che riguarderanno tutto il Giappone. Vorrei che tu partecipassi. Che ne dici?- concluse l’allenatrice, sistemandosi il colletto della casacca marrone.

Competizioni a livello agonistico... tutto il Giappone... non ho combinato nessun guaio... oh, wow!

- Ma certo!- Eve scattò su dalla sedia, più entusiasta per il non aver ricevuto alcuna ramanzina che per l’inattesa notizia.

Nonostante il sollievo iniziale, l’idea di partecipare e magari anche vincere quelle gare cominciava ad entusiasmarla moltissimo.

- Calma, calma.- sorrise l’altra - Ovviamente dovrai allenarti il doppio, se non il triplo e soprattutto...- fece una pausa - Dovrai smettere di fumare.-

Eve rimase per qualche istante stranita, chiedendosi come quella donna l’avesse scoperto, ma non le ci volle molto. Probabilmente l’aveva vista fuori dalla scuola o magari mentre assisteva agli allenamenti della squadra di calcio. Tuttavia non se ne preoccupò, infondo non toccava una sigaretta da chissà quanto tempo.

Aveva deciso da sola di smettere, soprattutto dopo la sera in cui... beh, e poi aveva talmente tanti pensieri per la testa ed un trasporto crescente nel trovarsi in un ambiente amichevole e senza pretese, che non voleva nemmeno più sentir parlare di sigarette.

- Non so come tu abbia fatto, forse è stato l’allenamento costante in concomitanza con il vizio a far sì che il tuo corpo si abituasse, ma ora ti pregherei di non usare più sigarette.- riprese - Sai, a mio tempo ero anch’io una cosiddetta testa calda, ma un bel giorno ho scoperto che dovevo rinunciare a qualcosa per poter inseguire la mia passione.-

- Testa... calda?- ripeté di nuovo Eve, incerta se dovesse prenderla come un accostamento o un’accusa.

- Non fraintendermi, Springer, ma sai bene che il sistema scolastico è piuttosto rigido, senza contare che a lungo andare il tuo fisico ne risentirebbe moltissimo e metteresti a repentaglio la tua carriera.- la signorina Rama pareva davvero coinvolta nel discorso, addirittura sembrava aver già puntato su Eve una cospicua somma.

- La mia carriera?- domandò lei, stranita - Sta già parlando di carriera?-

- Certo!- la donna si sciolse in un sorriso, battendole una mano su una spalla - Diventerai una stella, te lo dico io! E, fidati, io so riconoscere il talento: se ti classificherai tra le prime quattro volerai fino in Europa per i mondiali!-

La bionda fu come fulminata.

Le parole Europa e mondiali erano decisamente più grandi di lei e l’udirle così a ciel sereno la stordì per un attimo.

Abbassò lo sguardo per un momento, non sapeva se viaggiare fino al cosiddetto vecchio continente fosse una così grande idea, ma dopotutto era così lontano che le pareva un fine quasi impossibile da realizzare.

Essendo sincera con sé stessa, dopotutto, ammise che non ci voleva nemmeno pensare, voleva dedicarsi solo alle gare nazionali e magari mettersi in vista in Giappone. Non era mancanza di fiducia in sé stessa, piuttosto si trattava di estremo impeto da parte dell’allenatrice, nonostante lei stessa si definisse un asso nel riconoscere i talenti.

- Non si preoccupi, non tocco una sigaretta da almeno un mese e poi avevo già deciso di darci un taglio!- sorrise, rassicurandola - Per quanto riguarda l’Europa, non è una decisione semplice da prendere, però posso darle l’immediata conferma sin d’ora che parteciperò alle gare nazionali.- concluse, sforzando di usare un tono più professionale possibile. Funzionò, dal momento che l’espressione dell’insegnante fu come illuminata.

Le comunicò che le competizioni giapponesi si sarebbero tenute entro un mese, tempo esiguo per prepararsi, ma se avrebbero lavorato con tenacia, di sicuro Eve sarebbe riuscita ad arrivare in alto.

Di nuovo parole fin troppo cariche di entusiasmo, ma questo alla ragazza parve non importare: era decisa a dare il meglio di sé in qualunque caso, la finalità le importava poco.


- Non mettermi le mani addosso, moccioso!-

- Non permetterti di chiamarmi così, bastardo!-

Takeshi corse a perdifiato giù per le scalinate, per incontrare la figura di Mizuki sostenere Aya per le spalle.

- Ma che succ...- s’interruppe, notando poi Kazuki che sferrava un pugno dritto nello stomaco del suo capitano e quest’ultimo che si piegava in due dal dolore.

Ayame era in lacrime, sconvolta, mentre dall’atra parte Eve cercava di farli smettere. Era sopraggiunta pochi minuti prima, sperando di poter essere in tempo per salutare la squadra al termine degli allenamenti, dopo il colloquio privato con la signorina Rama ed invece aveva trovato il campo già deserto, ad eccezione dei due ragazzi.

Kojiro scoppiò in un acuto colpo di tosse e, rialzandosi quasi fulmineamente, assestò un altro pugno dritto in faccia a Sorimachi. Il ragazzo cadde all’indietro e batté la testa sul terreno erboso, proprio in coincidenza della linea bianca di limite.

- Kojiro! Basta!- tuonò la bionda, muovendo un passo in avanti. Aveva malamente lasciato cadere giacca e cartella sulla bassa panca in legno dell’allenatore, non appena si era accorta di ciò che stava accadendo e, infastidita dal fatto che Mizu e Aya se ne stessero impalate senza fare nulla per fermarli, si era sforzata di accollarsi la parte.

Il cannoniere non disse nulla, si pulì la bocca sporca di sangue con il dorso della mano e guardò Kazuki con odio.

- Non osare mai più mettermi le mani addosso.- sibilò.

L’altro si rialzò barcollando, riavvicinandosi minaccioso.

- Ma certo, capitano!- calcò l’intonazione sull’ultima parola, prima di colpire di nuovo.

Eve sbuffò, stando attenta a non mettersi troppo in mezzo al campo d’azione del pugno e, nel farlo, il suo sguardo cadde su Takeshi, fermo giusto accanto a Mizuki ed Ayame.

- Sawada, non stare lì impalato! Dammi una mano, prima che arrivi qualcuno!!-

Il ragazzo lasciò scivolare la sua mano dalla spalla di Aya e raggiunse l’amica.

- Ma si può sapere che succede!?- domandò, irrequieto.

- A dopo le domande!- ribatté in fretta la bionda - Se arriva qualcuno e li trova così, rischiano di essere cacciati dalla squadra e sospesi da questa dannata scuola!-

Il sole del pomeriggio brillava nel cielo azzurro e i nembi andavano disperdendosi nell’aria fredda dell’inverno.

I nervi di Eve erano decisamente visibili a fior di pelle.

Takeshi non sapeva che Mizuki fosse in buoni rapporti con Aya, piuttosto credeva che tra le due non corresse buon sangue e che lei fosse addirittura infastidita da quest’ultima. Si rincuorò - nonostante la gravità della situazione - nel notare che, in realtà, Mizu potesse essere in grado mettere da parte le antipatie, a dispetto del suo atteggiamento superficiale da snob. L’aveva giudicata male e si sentì un po’ in colpa per questo.

- Su, basta litigare!- s’inserì tra i due compagni più grandi, mettendo le mani avanti.

- Stanne fuori!- gridò Kazuki, in preda alla collera e prima di cominciare a colpire l’altro sul petto.

Kojiro si trovò costretto tra l’orgoglio e la ragione, digrignò i denti. Non voleva farlo dal principio, ma a quel punto si decise ad usare le gambe.

- Maledizione! Se usa le gambe di sicuro gli spezzerà qualche osso!- gridò Takeshi, lanciando una decisa voce alla ragazza.

Eve corse incontro a Kazuki, nel tentativo di spingerlo via prima che il capitano potesse caricare il destro.

Si rese conto da sola che era troppo tardi: Hiyuga si preparava a sferrare uno dei suoi poderosi calci, prendendo la mira sul costato dell’avversario come se fosse un pallone fermo in area di rigore, quando avvertì alle proprie spalle una morsa talmente ferrea da immobilizzarlo.

La bionda si voltò appena in tempo per assistere alla scena, tirando un sospiro di sollievo.

- Mollami, Ken!- urlava Kojiro.

- Non avresti mai la meglio su di me, capitano.- replicò l’altro, con una calma glaciale.

Il compagno rimase bloccato ancora per qualche istante, con i muscoli rigidi e il cuore a mille per la fatica, la rabbia e le percosse ricevute.

Maledizione...

Per quanta forza potesse adoperare, quel diavolo d’un portiere aveva ragione: non poteva certo mettersi contro Ken! La frustrazione gli cresceva nel petto, non poteva fare nulla, così cercò rapidamente di ragionare. Se si fosse mosso o avesse tentato una qualsiasi mossa di resistenza, di sicuro Wakashimazu l’avrebbe atterrato... dannazione! Per quanto potesse sforzarsi di tenere a freno l’ira, una sgradevole sensazione gli avviluppava i sensi: si sentiva di nuovo come in gabbia.

La razionalità si fece strada difficilmente sino ai suoi occhi, così serrò le palpebre nel tentativo di rilassarsi - l’unica cosa saggia. Sospirò pesantemente, un sospiro tremante dalla collera, poi si guardò velocemente intorno: Kazuki ansimava ancora per terra, sotto lo sguardo di ghiaccio di Eve, Takeshi poco più in là con negli occhi una preoccupazione senza fine e Aya... le lacrime le bagnavano il soffice volto teso, i suoi occhi scuri lo imploravano silenziosamente di non andare oltre.

- Sono calmo. Lasciami pure.- sbuffò infine, permettendo al portiere di allentare la presa ed incrociare le braccia al petto.

Il capitano si avvicinò alle panchine, afferrò la propria cartella, caricandosela su una spalla, ed il borsone.

- Capitano...- soffiò Ayame, ma quello si voltò una sola volta, lanciandole un’occhiata tra il rassegnato e il malinconico. Era come se il suo sentimento per lei fosse destinato a non mettere radici da nessuna parte ed ora che quelle radici erano scoperte, parevano diventate mille volte più deboli e fragili.

Non aggiunse nient’altro, si limitò ad uscire dal cancello immerso nel silenzio più assoluto.

Sorimachi si rialzò a fatica, massaggiandosi la nuca.

- Kazuki, io...- stava per cominciare Aya, voltatasi verso di lui con aria allarmata.

- Taci! Non voglio mai più sentire la tua voce!- le urlò infuriato, i suoi occhi attraversati da una vena di cieco risentimento. Detto questo, raccolse anche lui le proprie cose fino ad allora buttate là senza badarci e corse via.

Per fortuna le lezioni erano terminate da un pezzo, la maggior parte degli alunni non girovagavano più tra chiacchiere e risa per i corridoi ed il cortile, mentre gli insegnanti dovevano ancora uscire; se avessero assistito ad una scena del genere, avrebbero preso dei provvedimenti piuttosto seri nei confronti dei due e del resto dei presenti - senza contare che la storia e le premesse sarebbero divenute di pubblico dominio.

Aya rimase in silenzio, stretta nel suo cappotto a dar sfogo alle ultime lacrime, respirando pesantemente. Era tutta colpa sua, si sentiva una ragazza orribile, incapace di fiducia e d’amore. Sciocca.

Takeshi sospirò.

- Ma che diavolo avevano quei due?-

Non gli arrivò nessuna risposta.

Eve chinò il capo all’indietro, trovandosi faccia a faccia col cielo; il suo fiato bianco si disperdeva nell’aria e le nuvole stavano lasciando spazio all’azzurro infinito, defilandosi verso angoli remoti dell’atmosfera.

Si mosse lentamente fino a raggiungere la propria cartella scura, per afferrarla e prendere la direzione del cancello, camminando verso casa. Non badò né a Mizu, né ad Ayame, troppo sconvolta per sentire ragioni e forse lei stessa troppo contrariata per essere una consolazione per l’amica.

Fu raggiunta in breve tempo da Ken e Takeshi.

- Ehi! Aspetta Eve!- gridava Sawada. La ragazza si voltò e s’infilò una mano nella tasca del giubbotto.

Avanzarono insieme lungo la strada semideserta.

- Tu sai che gli è preso?- domandò, rompendo il silenzio. Wakashimazu se ne stava dietro di loro, la sua figura imponente proiettava per terra una lunga ombra che la bionda fissava con la rassicurante sensazione di essere in presenza di una difesa senza ostentazioni.

- Qualunque cosa sia è una questione tra il capitano, Aya e Sorimachi, io mi sono già intromessa abbastanza. Non ne voglio più sapere.- gli rispose, mostrandogli un’espressione serena, che però tradiva una gran seccatura.

Inconcepibile, dovevano per forza venire alle mani per una cosa così stupida? Ed Ayame, invece di starsene lì impalata, perché non aveva fatto nulla?

Takeshi si fermò a breve con aria ancora un po’ stranita di fronte al proprio cancello, salutando entrambi e ripromettendosi di non cominciare a congetturare sulle varie possibili cause della lite dei compagni.

Ken ed Eve proseguirono l’uno di fianco all’altra.

- Sei davvero arrabbiata, stavolta.- affermò Wakashimazu, le mani dietro la nuca e la cartella ciondolante per la schiena.

- Risparmiati i commenti, portiere!- sbuffò lei, scuotendo il capo.

- Okay, okay...- il ragazzo tacque, chiudendo un occhio ed alzando il mento.

Il silenzio era di nuovo calato inesorabile ed il suono dei loro passi scandiva i pensieri di ognuno.

- Senti, scusami.- sospirò di nuovo la bionda, stavolta più distesa - Sono solo un po’ nervosa, stanno succedendo troppe cose nello stesso momento e...-

- Scuse accettate, non ti preoccupare.- sorrise lui, interrompendola, evidentemente non si era sentito né offeso né attaccato dall’intimazione ricevuta poco prima - Piuttosto, conosco un metodo infallibile per sbollire la rabbia...-


- Sei forte, complimenti!- le disse, annodandosi meglio la cintura color ebano.

Eve sorrise con gli occhi, mentre beveva a grandi sorsi l’acqua dalla piccola bottiglia. Immaginava che glielo stesse dicendo per cortesia, più che credendoci davvero: un esperto di arti marziali come lui ne doveva aver ben viste di persone veramente forti!

Ken si stiracchiò, sdraiandosi sul tatami con gambe e braccia aperte.

- Cerchi di ingraziarti qualche favore?- fece lei, appoggiando la bottiglia a terra.

- Che? No...- rispose il ragazzo, tra lo stranito e il divertito.

- E allora non fare l’adulatore, non ti si addice sai?- cacciò la lingua, abbandonandosi accanto a lui nella medesima posizione, sfinita. Si sentiva del tutto spossata, ma diecimila volte meglio.

Il metodo infallibile di Ken funzionava davvero.

- Non ti sto adulando, ricordi la nostra vecchia sfida?- Wakashimazu socchiuse gli occhi - Allora la parai, ma la palla aveva superato la linea della rete di un soffio. Ci hai messo una potenza incredibile, già allora avevo una buona ragione per definirti forte. Quella di oggi è una riprova, anche se è stato solo un allenamento generico e tu di karate sai meno di nulla.- le scompigliò i capelli con una mano, ridacchiando.

Eve avvertì un improvviso senso di compiacimento e morbida tenerezza nel petto. Era vero, la loro vecchia sfida... il compleanno di Ken... quel giorno che avevano trascorso insieme, durante la calda, interminabile estate.

Si sentì piccola e sperduta dentro il gigantesco karate-gi che le aveva fatto indossare, ma anche molto fiera di aver potuto saggiare per la prima volta l’arte marziale di cui Wakashimazu era indubbio maestro.

Non l’aveva mai ponderato prima, ma solo in quell’istante si era resa conto di quanto in realtà Ken doveva essere abile ed esperto - aveva visto soltanto la punta di quello che doveva essere un gigantesco iceberg: i suoi movimenti erano coordinati e decisi, il frusciare della pesante casacca lasciava intendere ad ogni atto una grande potenza e la stabilità del suo corpo anche nelle pose più improbabili era massima.

S’immaginò le meraviglie di cui doveva essere capace in un incontro serio ed agonistico e di quanta autorevolezza di spirito dovesse possedere.

- E poi, ehi, perché il ruolo dell’adulatore non farebbe per me?- soggiunse divertito, seguitando a punzecchiarla.

- Perché sembri freddo, menefreghista, a tratti strafottente.- rispose semplicemente lei con un’alzata di spalle, come fosse la cosa più naturale del mondo.

Ken si alzò sugli avambracci, un sorrisetto incredulo e un sopracciglio alzato.

- Ah, grazie tante!- rise di nuovo.

- No, dico sul serio.- Eve rotolò su sé stessa fino a raggiungere la posizione prona, poi piantò i gomiti sul tatami e il capo sulle mani, mentre alzò ed incrociò le gambe - E’ l’impressione che dai a chi non ti conosce, di uno con cui è meglio non avere a che fare, se no si rischia di finire k.o.-

Lui si lasciò cadere di nuovo, tenendosi la testa con entrambe le mani.

- Questa sì che è nuova! Dici sul serio?- ribatté, mantenendo la sua aria spensierata.

- Ah-ah.- la bionda annuì, lasciandosi trasportare dalla sua allegria.

- Beh, il fatto che tu mi dica ciò che pensi, l’apprezzo.- sorrise, voltando il capo verso di lei, ancora salda in posa infantile - Ma in realtà io sono buono!- scherzò, accompagnando la frase con un movimento delle dita sul proprio petto.

Eve rilassò il volto, appoggiando gli avambracci a terra ed il mento sul dorso delle mani.

Gli sorrise semplicemente, mentre lui si portava su un fianco.

- Lo so.- disse, distendendo le labbra e curvando il capo da un lato.

Ken rimase senza respiro. E fu sicuro di arrossire.

I raggi dell’ultimo sole penetravano tra imposte alte e semiaperte del dojo e si poggiavano trasversalmente sulle loro figure, indorando i capelli di grano di Eve ed illuminandole gli occhi celesti.

Era il sorriso più candido che qualcuno gli avesse mai rivolto. Da mozzare il fiato. Da fermare il cuore.

- Ti... senti meglio?- le chiese, schiarendosi la voce e tentando d’apparire deciso a riprendere.

- Mi sento a pezzi, Bruce Lee, dammi tregua!- rise lei, passandosi una mano sulla fronte sudata e tornando in posizione supina.

- Come? Per così poco? Avanti, tirati su!- Ken si rialzò con un balzo.

La ragazza si era coperta gli occhi con una mano, come a volersi comicamente riparare da una tortura, ma quando si aspettò di tornare a fissare il soffitto della palestra, ciò che si trovò dinnanzi fu un sorridente Wakashimazu che le tendeva la mano.

Restò quasi impalata senza essere capace di sbattere le palpebre per qualche lungo istante, a partire dal momento in cui il suo sguardo incontrò gli scolpiti pettorali attraverso lo scollo del karate-gi del compagno. Per un attimo fu tentata di afferrare la sua mano e tirarlo verso di sé, piuttosto che fare perno per rialzarsi, ma la razionalità e lo sfinimento di due ore di allenamento presero il sopravvento.

- No, sono a pezzi!- ripeté, tornando a coprirsi gli occhi per nascondere l’impaccio e l’inaspettato pensiero licenzioso. Ken incrociò di nuovo le braccia e tornò a sedersi accanto a lei.

- Non dovresti stancarti subito...- sorrise.

- Ehi! Le mie gambe reggono, ma il resto non lo sento più!- protestando, Eve si voltò un’ennesima volta verso di lui - Non sono come te, che puoi picchiare la gente per un giorno intero e uscirne indenne.- aggiunse, con un’espressione infantile.

L’altro si portò le braccia al petto, chiudendo gli occhi.

- Non che mi diverta a picchiare la gente, il karate è tutt’altra cosa. Sai, esistono venti concetti basilari conosciuti con il nome di Shoto Nijyukun che, oltre alle formalità, dettano dei veri e propri dogmi; primo tra tutti, bisogna sempre tenere presente che il karate non è mezzo di offesa o danno, ma rettitudine, riconoscenza. Il karate è capire sé stessi e capire gli altri.- la ragazza aveva leggermente lasciato dischiudere la propria bocca, in ascolto.

Wakashimazu pareva aver assunto l’aria di un saggio, giovane nume, mentre parlava illuminato dal sole carminio, i cui raggi obliqui si posavano leggeri sulle sue spalle e sul suo volto rilassato.

Per un attimo, in quel preciso istante, il cuore di Eve si riempì di meraviglia, nel rendersi conto che non aveva mai visto nulla di umano o inanimato di così idealmente bello.

Ken era... perfetto.

- Nel karate lo spirito viene prima dell’azione. E’ lealtà e spontaneità, il karate insegna che le avversità colpiscono quando c'è rinuncia, è regola per tutta la vita.- stava a mano a mano ripetendo i principi più importanti, come se un lungo elenco gli stesse transitando dinnanzi agli occhi serrati - Il karate non è vincere, ma l’idea di non perdere. Mani e piedi come spade. Come l’arco, il karateka deve avere contrazione, espansione, velocità ed analogamente in armonia, rilassamento, concentrazione, lentezza.-

Per una strana, remota ragione, la ragazza si sentì crescere un nodo in gola e gli occhi umidi. Era quasi come assistere ad un mantra di elevata grandezza spirituale, pendeva dalle sue labbra come se le stesse rivelando la ricetta per l’immortalità ed in mezzo a tutto quel silenzio celeste, la voce del compagno risuonava eminente e forte, tanto da parerle irraggiungibile, etereo.

- Lo spirito deve sempre tendere al livello più alto.- concluse Ken, tornando a rivolgere i suoi occhi neri alla realtà.

Eve deglutì ed emise un profondo ed impercettibile sospiro, tornando a respirare. Era come se la profondità dell’animo di lui le si fosse rivelata d’un tratto come una sfolgorante folgore, intensamente, dolorosamente - e lei non fosse pronta, non subito, non per tutta quella luce.

- Insomma, sei una pappamolle.- rise di nuovo il portiere, sciogliendo le braccia e poggiando le mani indietro, di nuovo a terra.

Lei fu grata di questo strappo improvviso, non era sicura di poter reggere oltre qualcosa di così intenso.

- Che cosa?!- si scosse, saltando su a sedere - Ripetilo se hai coraggio! Non saprò nulla di arti marziali, ma me la cavo bene con la lotta di strada, sai?!- esclamò, alzando il capo in segno d’indignazione.

- Ah, sì?- Wakashimazu seguitò a ridacchiare, decisamente poco convinto - Pappamolle.- ripeté, per nulla intimidito.

Eve strinse i pugni, abbandonando con un sorriso lo spirituale incontro verbale di poco prima e lasciandosi invadere da un caratteristico senso d’infantile immaturità.

- Ridi, ridi!- fece, minacciosa, lanciandosi su di lui e prendendo di mira i suoi fianchi tonici e compatti - Rimangiati quello che hai detto!-

- Mai!- insisteva Ken, ma ci volle poco perché scoppiasse a ridere come un bambino - No! Ti prego! Il solletico no! Mi arrendo! Mi arrendo!-

- Non ho ancora finito, così impari!- rise la bionda, non dando cenno di volersi fermare. La risata nitida e trasparente come acqua che il portiere lasciava giungere alle sue orecchie, la faceva sentire mille volte più motivata a continuare, se non fosse che d un tratto la porta scorrevole dell’entrata al dojo si spalancò e la signora Wakashimazu fece capolino sulla soglia, con un sorriso materno che voleva invitare entrambi a prendere il tè pomeridiano.

- E questo è karate?- domandò, sgranando gli occhi.

I due arrossirono all’istante, bloccandosi l’una sull’altro. Le mani della ragazza aderivano saldamente agli addominali di lui, sotto la sua casacca slacciata - la cintura nera slacciata sotto il suo corpo atletico - mentre le dita di Ken erano saldamente strette alle spalle di lei, tanto da poterne palpare i muscoli contratti.

- Credo si chiami... lotta libera...- azzardò Eve, sollevata dal fatto che la donna si lasciò immediatamente andare ad un riso divertito.

Dovevano sembrarle davvero ridicoli.


- Grazie tante, mi sento davvero bene ora.-

- Figurati.- Ken si portò una mano dietro al collo, annuendo in un sorriso.

La ragazza sospirò e tornò alla sua tazza di tè che, pur non essendo una grande intenditrice, reputava uno dei migliori che fino ad allora avesse bevuto.

Si guardò intorno, per avere l’ennesima riprova che Ken era pazzo per il calcio: foto e locandine dei più grandi portieri del mondo erano appese alle pareti ed alle ante dell’armadio, per non parlare delle varie medaglie su uno scaffale bene in vista.

- Quelle le hai vinte giocando a calcio?- le indicò.

- Alcune. Altre sono premi di partecipazione ed un buon numero le ho ricevute ai campionati di karate.- le rispose, fissando la sua stessa direzione.

- Sono due sport completamente differenti.- commentò lei, seguitando a fissare le immagini in fotografia.

Ken annuì di nuovo, questa volta più debolmente.

Poteva dirglielo? Doveva? Voleva?

Ma ancor prima di porsi la questione, si trovò già in bocca le parole necessarie a fornirle una spiegazione esauriente, che gli scivolarono naturalmente dalle labbra.

- Mio padre vuole che mi dedichi soltanto alle arti marziali.- cominciò - Sebbene qualche anno fa, vincendo il campionato con il Toho, mi avesse concesso di giocare unicamente a calcio, ogni volta che mi vede con un pallone, una rivista sul calcio o qualunque altra cosa che riguardi questo sport, diventa... freddo.- il suo sguardo si rabbuiò un poco - Più volte mi sono trovato a pensare che il suo atteggiamento di allora fosse soltanto una via transitoria, come fosse sicuro che, dandomi corda per un certo periodo, sarei tornato presto al dojo, ma così non è stato e probabilmente è frustrato per il fallimento di quella sua sorta di piano. So bene che lo infastidisce parecchio il fatto che io mi dedichi a migliorarmi come portiere, ma dopotutto è stato lui a propormi una scelta. Ed io ho deciso: il calcio.- accavallò largamente le gambe, rimanendo seduto sul bordo del letto - Anche se me la cavo bene anche con il karate, in fin dei conti lo pratico da quando sono nato, è ovvio che debba aver imparato qualcosa...-

Eve si specchiò nel suo sorriso... un po’ sereno, un po’ malinconico.

Ken aveva scelto, stava camminando per la sua strada... e lei? Distolse lo sguardo, tornando a guardarsi intorno. Non era una questione da porsi in quel momento.

- Interessante la tua stanza.- cambiò volutamente discorso.

Wakashimazu non aveva smesso di rivolgerle uno sguardo gentile, le sue labbra si curvarono in un dolce sorriso.

- Anche la tua è interessante.- rispose, rilassando l’espressione.

- Che? La... la mia?- Eve cadde dalle nuvole - Oh, già.- si affrettò ad aggiungere, realizzando che quella volta in cui l’aveva portata sulle spalle fino a casa, Ken aveva addirittura avuto occasione di dormirci, nella sua stanza!

- Hai talento, sai? Ho visto qualche tuo progetto e poi... mi piace come disegni la squadra.- aggiunse, notando la perplessità di lei.

- La squadra?- di nuovo una domanda ingenua.

- Il tuo disegno in cui ci siamo io, Kojiro e Takeshi che ci facciamo le boccacce.- rise di gusto, annuendo - E’ stato uno dei primi che ho notato, è spassosissimo!-

Eve arrossì. Beh, decisamente non poteva definirsi un’opera d’arte...

- Che? E’ solo uno sgorbio...- replicò, tra l’imbarazzato e il lusingato.

- Ah, grazie di nuovo! Mi riempi di complimenti, oggi!- fece ancora Ken, scuotendo il capo e seguitando nella sua serena risata.

- Oh, no! Non intendevo... dicevo che è uno scarabocchio, ne faccio a migliaia di quel genere nelle ore di inglese, devo averlo buttato...- buttò là la bionda, poggiando la tazza sulla scrivania accanto a quella di Wakashimazu.

- Davvero?- il compagno parve rammaricato - Peccato, mi piaceva.-

Eve lo guardò fisso, sgranando gli occhi.

- Non dire scemate!- esordì poi, voltandosi verso la poltroncina e prendendo di mira il cuscino che stava placidamente appoggiato ad uno dei braccioli.

- È la verità!- protestò lui, assottigliando lo sguardo.

- Non ci credo!- scherzò di nuovo la ragazza, afferrando rapidamente il guanciale e lanciandoglielo contro.

Inutile dire che Ken lo prese al volo.

- Nota da ricordare: mai lanciare niente contro un portiere!- disse poi a sé stessa, soffiandosi via un ciuffo dalla fronte.

- E mai mettersi contro un karateka.- aggiunse lui, le mani ai fianchi.

- Fantastico, sei intoccabile!- esclamò Eve sarcastica, lanciandogli uno sguardo prima seccato, poi illuminato.

- Oh no, non ci provare!- il ragazzo scattò in piedi.

- Oh, sì!- rise lei con un ghigno sul volto.

Ken indietreggiò finché non arrivò di nuovo a toccare con le gambe il bordo del letto dove poco prima era seduto. La bionda gli si avvicinava pericolosamente.

- Adesso riprendo la mia opera da dove l’ha interrotta tua madre...- disse sorridendo sprezzante, ma inaspettatamente il portiere si mise in posizione.

- Ricorda che posso parare anche te!- rese deciso, mentre Eve gli si faceva vicino più velocemente.

Quando avvertì le sue mani afferrarle i fianchi e sollevarla da terra, cominciò a ridere anche lei, sentendosi leggera come una piuma.

- No! No! Mettimi giù! Ma così non vale!- si lamentò giocosamente.

- Abbandona i tuoi piani, hai perso!- le disse, mentre lei si dimenava. Era esile ma molto ben definita, riusciva a sentire i contorni dei suoi fianchi femminili sotto la propria stretta.

- Non ancora!- affermò Eve, mentre prese a spaziare con le mani sul petto del compagno - Cosa fare adesso? Mi lasci andare o sopporti la tortura?-

Wakashimazu non poteva muovere le braccia, dal momento che erano occupate a sostenere Eve a mezz’aria ed il proprio viso sorridente si compiaceva della sua inabilità. La guardava dritto negli occhi chiari e divertiti, giusto qualche centimetro sopra la propria fronte... l’unica soluzione che fu condotto ad adottare fu il rafforzare la presa, cingendole completamente la vita, per poi lasciarsi cadere sul letto trascinandola sopra di sé.

Lei non disse nulla, semplicemente il contatto improvviso con il suo torace, il suo collo, il suo intero corpo l’aveva totalmente inebriata. Ora riusciva a cogliere il profumo di Ken direttamente dalla sua pelle... elettrizzante.

Restarono lì distesi senza muoversi, le mani di lui persistevano sui fianchi della ragazza che, muta, aveva chiuso gli occhi ed appoggiato la fronte nell’incavo del suo collo.

- Bella mossa, complimenti, non me la sarei mai aspettata!- rise, dopo qualche istante. Ma non accennò ad alzarsi, rendendosi conto che stava poggiando la bocca a qualche millimetro dal suo petto, al principio semiscoperto sulle clavicole dalla larga maglia. Continuava a percepire il suo profumo d’uomo con gli occhi ora semichiusi.

Il portiere tentò una prima volta di sollevare gli avambracci dai suoi fianchi, il cuore accelerato.

Ma... cosa mi prende? Non riesco a scostarmi da lei... è come se... non ce la faccio...

Poteva avvertire il seno di Eve premuto contro il proprio addome e le sue labbra di velluto che gli sfioravano il collo. Aveva ancora le gambe aperte ed avvertiva quelle di lei immobili nel mezzo, rasentare le proprie. Riconosceva in sé un desiderio trascinante di stringerla sempre più forte, di prolungare quel contatto all’infinito.

In quel momento la ragazza si chiese per quale motivo Ken la stesse abbracciando così... di nuovo. La invase quella sensazione di dolcezza e protezione che aveva provato quando lui si era addormentato con lei. Adorava il modo in cui le cingeva la vita, in una stretta forte e decisa, ma allo stesso tempo così delicata che si sentiva tutt’uno con lui, dimentica di ogni angoscia, di ogni pensiero razionale.

La cosa che la turbò maggiormente era che smaniava ardentemente di perdersi in lui, senza obblighi, oneri, né incombenze; mai aveva permesso a sé stessa di essere sull’orlo di perdere coscienza a quel modo...

Lo squillo repentino del telefono sul comodino la fece scattare a sedere, come se qualcosa fosse penetrato nel loro mondo e avesse rotto l’incantesimo dell’abbraccio.

Ken sembrava altrettanto scosso e preso alla sprovvista; rimasero a fissarsi per qualche istante. Nessuno dei due arrossiva, nessuno distoglieva lo sguardo, occhi negli occhi finché il suono del telefono non cominciò a farsi fastidioso.

Lui si voltò e alzò il ricevitore senza dire una parola, lasciò che fosse l’altro ad iniziare la conversazione.

- Sì.- si trovò a rispondere - Sì, sono io. Venerdì, chiaro.-

Eve si era portata una mano sulle ginocchia, mentre fissava la nuca del compagno e la sua voce risoluta scandire decise parole.

- Ci sarò. D’accordo, arrivederci.-

Wakashimazu riappese, per poi voltarsi di nuovo verso di lei e rivolgerle un inaspettato sguardo raggiante.

- La prossima settimana ci sarà la riunione per il nuovo torneo.- annunciò, negli occhi neri un bagliore d’entusiasmo.

L’altra si sciolse in un sorriso.

- Metticela tutta, titolare.- disse, entrambe le mani ai fianchi.

Il ragazzo annuì, ricambiando il sorriso con una punta d’imbarazzo, lusingato dalle parole della compagna.

- Chissà se Kazuki e Kojiro giocheranno?- si fece d’un tratto serio, soprappensiero - Credo che dopo ciò che è successo oggi la squadra abbia subito un bel crack.-

Eve rimase zitta. Ayame aveva combinato davvero un bel pasticcio, si trovò a pensare, e Ken ci aveva messo poco a fare due più due.

- Tu sai qualcosa, non è vero?- le chiese, infatti, alzando lo sguardo nei suoi occhi - Se è così, puoi dirmelo. Magari possiamo fare qualcosa.-

La bionda si stiracchiò, assumendo un’aria leggera.

Forse era davvero la cosa migliore, parlarne con qualcuno... e magari Ken aveva ragione, nella sua volontà di fare del bene alla squadra: avrebbero potuto inventarsi qualcosa. Insieme.

- È una storia lunga.- cominciò - Una sera, ad Onsensawa, Sorimachi ha chiesto ad Aya... beh, voleva che facessero l’amore. Lei non se l’è sentita...-.

- Tutto qui? Che c’entra Kojiro, allora?- Wakashimazu la interruppe, con un’espressione interrogativa. Eve cominciò a pensare che il due più due che aveva idealizzato poco prima fosse poco più di una supposizione...

- Non direi.- si limitò a passarci sopra, continuando il discorso - Ayame, in un attimo di panico, gli ha urlato in faccia che non lo ama più e che è innamorata di Kojiro.-

- Ah, ma sembra una telenovela!- sospirò lui, le mani dietro la nuca.

- Ma vuoi stare zitto?! Non ho finito!- stavolta lei fece un balzo in avanti, tappandogli la bocca con entrambe le mani - La mattina dopo il capitano è venuto nella nostra stanza a cercare te, credendo che ti fossi di nuovo nascosto nel mio letto.- gli lanciò un’occhiata vispa - Ma eravamo già tutti nella hall a litigare per il satellitare, ricordi? Mancava all’appello soltanto Aya, che sembrava stranamente giù di corda e si era attardata nel prepararsi.-

- A cercare me...?- fece l’altro, solleticandole il palmo di una mano con le labbra.

- Non è questo il punto.- Eve alzò gli occhi al cielo, non era proprio quella la risposta che si era aspettata da lui. Gli lanciò un altro sguardo, stavolta più eloquente, tentando di farsi intendere meglio.

- Cioè, mi stai dicendo che Kojiro è andato a letto con Akimoto?!- finalmente Wakashimazu tagliò il traguardo.

- Sei perspicace!- sospirò la compagna, tornando a poggiare le mani sulle proprie ginocchia, le gambe piegate sull’ampio e morbido materasso - Come se non bastasse, Kazuki ha ascoltato una loro conversazione dove sicuramente alludevano a quella sera. E’ questo il vero e proprio fatto scatenante. Sorimachi è un ragazzo calmo, o perlomeno è questa l’impressione che da; credo che abbia cercato di tenere per sé la cosa, stando alla larga da entrambi, Aya lo sapeva e non ha fatto nulla. Dopo un po’, però, credo che gli si siano spezzati i nervi e che abbia colto la prima occasione per dare addosso a Hiyuga.-

- E io che credevo che Kojiro di ragazze non ne volesse sentire nemmeno parlare...- sospirò il portiere - Però ora che ci penso, immagino fosse da un bel po’ che aveva messo gli occhi su Ayame. Adesso mi spiego le loro lunghe chiacchierate, mi chiedevo cos’avessero mai da dirsi due persone totalmente diverse come loro, e invece sembrava davvero che ogni argomento fosse buono per intavolare un discorso e cercare un contatto. E poi tutte le volte che tornavano o arrivavano a scuola insieme...-

Il ragazzo si concentrò di più, pareva che tutti i pezzi di un puzzle a cui non aveva badato poi molto in passato, stessero quadrando alla perfezione nella sua mente.

- Vuoi dire che tra quei due c’era già qualcosa?- Eve lo svegliò dal suo sogno ad occhi aperti.

- Beh, niente di fisico, se è questo che intendi.- Ken alzò le spalle, tornando ad appoggiarsi con gli avambracci all’indietro - Però Kojiro è sempre stato troppo gentile con lei, non hai mai notato? Ogni volta che Akimoto apre bocca, il capitano sembra cadere in trance. Immagino sappia mascherare bene le proprie emozioni, ma per me che lo conosco da quando eravamo alti la metà di adesso, è tutt’altra cosa.-

La bionda stette a guardarlo per qualche istante, complimentandosi mentalmente con lui per aver notato delle piccole cose a cui nessuno sembrava fare caso.

Un improvviso flash del primo giorno di scuola le balenò dinnanzi agli occhi e, doveva ammettere, Ken aveva pienamente ragione. In quell’occasione Kojiro pareva fuori di sé dalla rabbia ed era bastata una sola frase di Ayame - che non aveva spiccicato parola dall’inizio della punizione per il ritardo - per farlo tornare a respirare normalmente.

- E ora che ti ho detto quello che so, che si fa?- domandò, fissando i lunghi fili di capelli scuri che poggiavano sulle larghe spalle del compagno.

- Non ne ho idea.- disse lui, alzando naturalmente le mani, pur rimanendo puntato con i gomiti e mantenendo la posizione. Eve per poco non cadde dal letto.

- Ma come sarebbe!?- sbottò - Hai voluto che ti raccontassi!? E allora adesso inventati qualcosa!-

Il portiere la guardò con aria divertita e poco colpevole.

- Ehi, ehi! Non te la prendere con me!- rise. Eve era buffa quando saltava su a quel modo, c’era qualcosa di estremamente infantile nel suo volto che tante volte aveva visto pensoso, grave e fin troppo serio, che gli procurava un senso di gaudio e tenerezza nel cuore.

- Sì, come no, scusa.- mormorò lei, stringendosi nelle spalle, seppur poco convinta.

- Ascolta un po’...- cominciò Ken, inaspettatamente tirandosi su e facendosi più vicino a lei.

L’altra prese a fissare i suoi occhi neri che avevano assunto un non so che di losco e per nulla rassicurante e la sua espressione concentrata; lo stette a sentire attentamente.

- Venerdì ci saranno le convocazioni.- alluse alla notizia ricevuta poco prima - Kazuki e Kojiro non potranno mancare e allora...-

- E allora...?- ripeté lei, pendendo dalle sue labbra come una bambina che aspetta che le sia concessa un’ennesima, preziosissima caramella.

- Basta che tu porti Ayame ed io quei due nel ripostiglio della palestra, non sarà difficile con la squadra al completo crederanno di doversi occupare di qualcosa di ufficiale, poi li chiudiamo dentro e...-

- E il giorno dopo usciranno i giornali con la notizia di prima pagina: “Trovati tre ragazzi dissanguati nel ripostiglio della palestra dell’istituto Toho”!- la ragazza sbottò, interrompendo la folle spiegazione del compagno - Ma è ridicolo! Quelli si faranno fuori a vicenda!-

- Ma vuoi stare zitta?! Non ho finito!- Wakashimazu ripeté volutamente le medesime parole che Eve aveva pronunciato qualche minuto prima. Questa gli lanciò un’occhiataccia, ma lui proseguì senza badarci.

- Se capiranno di non poter uscire, se ne staranno buoni. Dopotutto hanno anche i loro cervelli, che spero funzionino. Sono grandi abbastanza per non ricadere nello stesso errore, fidati, e poi lì da soli con Ayame non potranno fare altro che chiarire.-

Lei sembrava poco convinta.

- Basta che alla fine non se la prendano con lei.- di nuovo un’alzata di spalle.

- Non credo tu ti debba preoccupare di questo: Kojiro non lo farebbe mai. Lo conosco abbastanza bene da potertelo giurare. E’ impulsivo, dispotico, ma quando si tratta di qualcosa che ama, sa tirare fuori una ponderatezza che è in grado di controllare molto bene.-

Eve alzò entrambe le sopracciglia, curvando la bocca da un lato.

- Già, infatti si è visto cos’è successo ad Onsensawa...- commentò, con un’espressione sospettosa. Il ragazzo le lanciò repentinamente il famoso cuscino sul viso.

- Che c’entra, Kojiro è pur sempre un uomo!- asserì.

Eve lo guardò di sottecchi per qualche istante, mentre lui rimase in attesa di una risposta. Non era sicura fosse la cosa giusta da fare, dopotutto non si era mai intromessa negli affari degli altri a quel modo - né aveva mai avuto interesse e ragione di farlo - ma Ken sembrava davvero sicuro di sé e di voler dare un efficace apporto per far sì che la squadra non cadesse in totale disfacimento, così si lasciò trasportare dall’entusiasmo.

- Te l’ha detto nessuno che sei proprio un genio?- cacciò la lingua, con un sorriso.

Wakashimazu distese l’espressione, rallegrandosi che la sua trovata fosse stata accolta positivamente. Dopotutto, se Kojiro e Kazuki avessero mantenuto le ostilità, di sicuro il loro team non avrebbe fatto una gran figura ai campionati, avrebbero rischiato grosso. E se la posta in gioco dipendeva dall’osare, tanto valeva farlo fino in fondo.

- Sì, sì, modestamente.- la ringraziò con un sorriso. Lei scattò di nuovo sulle ginocchia, il guanciale stretto tra le mani.

- Non darti tante arie! Anche se ti sei difeso dal solletico, nessuno mi impedisce di soffocarti!- esclamò, spingendolo indietro e premendogli il cuscino sulla faccia.

Ken si ritrovò di nuovo le braccia sui fianchi di lei, prendendo a dibattersi e a ridere di gusto.

- Che?! Sei impazzita? Eve... umhpf... Eeeeve!!-


- Ci sei?-

- Ci sono!-

- Perfetto! Ora!-

I ragazzi chiusero pesantemente la porta, che si bloccò con un tonfo sordo.

- Ehi!!- la voce di Kojiro suonava lontana, dall’altra parte delle pesanti imposte in metallo.

Ken e Eve si batterono un cinque, coordinazione perfetta.

- Mi odierà a morte!- fece Wakashimazu, con un sussurro, ma non senza trattenere un sorriso soddisfatto.

- Ma che dici, non eri tu a sostenere che appena avranno chiarito, tornerà tutto come prima?- lo incalzò la compagna, spingendolo lontano dal ripostiglio per gli attrezzi ginnici.

Correndo silenziosamente per il corridoio, ritornarono in palestra usando le scale.

L’orario scolastico anche per quel giorno era giunto al termine e le convocazioni straordinarie per il torneo in nazionale erano chiuse.

Gli esaminatori erano sempre stati dei professionisti molto seri e, come già in passato era accaduto, si erano impegnati al massimo per valutare le prestazioni di ognuno dei giocatori del Toho. Wakashimazu era caricato al massimo ed aveva dato il meglio di sé, così come Hyuga e Sorimachi, che per quel pomeriggio parevano aver messo via la rivalità. Una rivalità che sarebbe sicuramente scoppiata nuovamente alla prima occasione utile, era come una bomba caricata che sicuramente non avrebbe retto per l’intero campionato.

Eve e Ken addussero la scusa di voler rimanere in palestra ad allenarsi, mentre tutti gli altri lasciavano l’ala sportiva dell’istituto, di modo da lasciare ai due occasione di controllare la situazione.

- Sei pronto? Questo è il mio tiro più forte!- la bionda calciò la sfera con quanta forza aveva in corpo e lui si lanciò per accoglierla tra le braccia.

L’impatto fu più violento del solito: la palla batté forte contro il suo petto, ma il portiere la trattenne più che poté, cercando di non perdere l’equilibrio.

Furono attimi, istanti brevi e glaciali.

Ken tentava di non sbilanciarsi ulteriormente e fermarsi con la sfera tra le mani, ma il pallone era caricato a dovere e lo spinse ancora più indietro, finché non si decise, con uno sforzo dei bicipiti, a deviarlo.

Il tiro andò ad infrangersi rumorosamente e con energia sulle gradinate.

- Accidenti!!- imprecò, rialzandosi. Era convinto di poterla stoppare, ma era stato costretto a rigettarla con un deciso spasmo dei muscoli. Davvero di rado gli era capitato di assistere e vivere un così intenso rigore.

- Hai visto che le mie gambe sono più forti dei tuoi salti?- rise lei, soddisfatta. Sembrava poco crucciata del fatto che Wakashimazu fosse riuscito a non concederle il goal, piuttosto enormemente compiaciuta che il portiere non fosse riuscito a trattenere la sua potenza.

In effetti, Ken doveva riconoscerlo, quella ragazza possedeva una carica eccezionale nelle gambe, era senza dubbio molto portata per gli sforzi degli arti inferiori e non per nulla aveva scelto la squadra di atletica.

- Beh, se non altro ci stiamo allenando sul serio.- disse poi, oltrepassando la linea biancastra e recuperando il pallone, per poi rilanciarlo alla compagna.


L’aria si stava facendo pesante.

La finestrella era chiusa e si era bloccata dall’esterno.

Kojiro si massaggiava una spalla, che cominciava a fargli piuttosto male, dopo i mille tentativi di buttare giù la porta.

Regnava un silenzio insopportabile. Ayame si era portata una mano al petto e fissava il pavimento, preoccupata.

Ancora silenzio.

- Riproviamo!- esclamò tutt’un tratto Kazuki, dirigendosi verso la porta.

- Sarebbe inutile. Ci ho già provato infinite volte, come hai potuto notare, ma senza risultato.- gli disse l’altro, con una vena di sarcasmo.

- Ah sì? Solo perché non ci sei riuscito tu, superuomo, non vedo perché io non ci debba nemmeno provare!- il compagno lo rimbeccò con astio.

- Perché ti romperesti qualche osso ancora prima di toccare la porta!- fu la risposta che gli arrivò.

- Adesso basta!- gridò - Sono stato buono e professionale finché si trattava delle convocazioni, adesso non ti permetto di parlarmi così! Solo perché sei il mio capitano?! Non ne hai il diritto!-

- Finitela!- l’urlo della ragazza bloccò i due, che stavano per cominciare una nuova rissa, ma tornò subito dopo a guardare il suolo, arrossendo notevolmente e vergognandosi della propria uscita.

Non doveva intervenire, dopotutto la causa di ogni rancore era lei e parlando sapeva bene che avrebbe peggiorato ogni cosa.

- Senti, senti. Sei ancora capace di parlare, allora?- sibilò Kazuki, guardandola di sottecchi.

Aya si strinse un pugno alla maglia bianca, prendendo a singhiozzare. Non riusciva ad innalzare alcun tipo di barriera alle frecce avvelenate che da interminabili giorni Sorimachi le stava scagliando addosso.

- Oh, adesso ne ho abbastanza dei tuoi pianti!- sbuffò poi.

Prima ancora che Hyuga potesse muovere il primo passo ed alzare mani e voce per difenderla, la ragazza aggrottò le sopracciglia e fece proprio un coraggio che non le apparteneva, esplodendo in un urlo disperato e allo stesso tempo soffocato dai singhiozzi che tentava di reprimere.

- Ma che ti prende, Kazuki?!- la sua voce trasparente era carica di dolore - Da un po’ di tempo non sei più lo stesso! Sei diventato... cattivo! Io... quando ti dissi che non ti amo più non era per liberarmi della tua presenza e fare i miei comodi, cosa credi! Solo... fattene una ragione!!-

L’altro aveva spalancato gli occhi, non aveva mai visto Ayame difendere coi denti qualcosa. E gli si strinse il cuore nel rendersi conto che quel qualcosa, in quel momento, non era affatto il legame che era intercorso tra loro, ma ciò che la univa a Kojiro.

Prima ancora che potesse replicare, lei seguitò nel suo sfogo.

- Non mi importa se tu pensi che io sia una... specie di puttana! Non mi interessa!- si lasciò cadere in ginocchio, sul pavimento freddo e polveroso - Ho sbagliato, ho commesso un errore imperdonabile a non parlartene prima, ma... ma ti giuro, non volevo rovinare la vostra amicizia! Siete stati buoni compagni sin dai tempi delle elementari... e ora... ora per colpa mia... tutto è andato distrutto. Mi dispiace, mi faccio schifo... mi faccio schifo!!- terminò, con un grido d’odio.


- So che non ti servirà a molto e forse finirà a mio danno, ma quando calci, cerca di prendere la mira.- la voce di Ken le arrivò serena e distesa.

Eve scosse la testa.

- E come faccio, scusa?-

- E’ tutta questione di posizione.- rispose lui - Se riesci a ruotare il piede di modo da far prendere la rotta al pallone, hai già fatto metà del lavoro. I portieri esperti si accorgono immediatamente della direzione che assumerà il tiro dalla posizione della gamba di chi lo sferrerà, ma essendo un’atleta di corsa e non un calciatore, dovresti riuscire ad eludere facilmente il problema con la tecnica della partenza...-

- Ehi, ehi, time up! Apprezzo i consigli, ma ci vuole una doccia, mi hai fatto faticare con questo pallone!- replicò, sorridendo e lanciando la palla nel cesto insieme a tutte le altre, per poi dirigersi verso le docce.

- Buona idea.- lui la imitò e presero direzioni diverse, verso i rispettivi spogliatoi.


Era di nuovo silenzio.

Kazuki aveva preso a stringere i pugni, lottando con la propria razionalità. Per quanto si sentisse frustrato, tradito, assente... non ce la faceva, non riusciva ad odiarla.

Sapeva bene che quella che stava soffrendo maggiormente era Ayame: a causa del suo carattere sempre condiscendente e mai egoista, aveva portato agli eccessi una bontà che a lungo andare l’aveva danneggiata.

Non era riuscita ad essere meschina nemmeno per un attimo e durante la loro ultima lite era stata capace di confessargli la verità con negli occhi una disperazione che lasciava adito ai divoranti sensi di colpa.

Tuttavia, non si mosse di un passo.

- Ho... ho deciso.- sussurrò d’un tratto la ragazza, rialzandosi - Io mi faccio da parte. Sarei anche disposta ad andarmene da questa scuola... lo so che è difficile, ma... vi prego... potete almeno provare a tornare gli amici di tempo?-

Ora li stava fissando entrambi con occhi rossi e gonfi, carichi ed estenuati.

Le pulsavano le tempie e le girava la testa. Passò lo sguardo da Kojiro a Kazuki, entrambi silenti, con la bocca leggermente aperta.

Il capitano, che fino a quel momento non aveva aggiunto nulla, si avvicinò all’altro per afferrandogli la mano e stringergliela inaspettatamente. Così Aya voleva, così doveva andare.

Le aveva procurato fin troppo male, affrettando le cose e lasciandosi trasportare dagli istinti. D’ora in poi l’avrebbe solo protetta, aveva deciso che lei sarebbe stata la propria donna, la sua metà.

Kazuki si lasciò guidare da lui, poi i suoi muscoli si ripresero e rispose alla stretta del capitano.

Non parlava, si limitava a fissarlo in quegli occhi che mille volte si erano colmati di sdegno e collera, durante gli incontri con gli avversari, ma che ora erano attraversati da una luce che confermava ogni timore: Kojiro amava davvero la sua Ayame - anche se, oramai, non poteva più considerarla tale.

Si era sforzato di fingersi adulto, ma... infondo era ancora un ragazzino. In quel momento voleva tornare ad essere piccolo piccolo per sentirsi meno sciocco, ma era ben conscio di non poter tornare indietro.

Era stato lui stesso a metterle fretta: voleva che facessero l’amore a tutti i costi ed invece doveva tenere conto dei suoi sentimenti. Nell’occasione della loro definitiva separazione, aveva avvertito soltanto una voglia crescente di avvinghiarsi al suo corpo fragile ed unirsi a lei, nonostante conoscesse bene il carattere di colei a cui stava rivolgendo una richiesta - quasi un ordine - simile.

Semplice, non ne aveva tenuto conto. Che stupido era stato.

Ed ora ne stava pagando le conseguenze. Arrivò addirittura a pensare che forse gli stava proprio bene, che potesse essere una giusta punizione... e vedendo le sue lacrime sincere, l’animo innamorato di Kojiro... non poteva far altro che tirarsi indietro e ricominciare. Rinunciare da uomo.

- Era destino.- disse infine, rassegnato.

Aya sgranò gli occhi. Fu come se ogni cosa fosse mutata in un istante.

Il ragazzo abbassò lo sguardo e riprese a parlare.

- Forse... era destino che tu t’innamorassi di lui... e lui di te.- sospirò - Non ho mai pensato a te come a una specie di puttana, Ayame. E non lo farò mai perché ti rispetto. Ognuno ha i propri momenti di debolezza, mi rendo conto di non essere stato mai alla tua altezza, troppo impegnato nelle mie stupidaggini e troppo sicuro che tu saresti sempre stata là. Ho dato troppe cose per scontate, e questo è imperdonabile.-

Seguì una lunga pausa, durante la quale Sorimachi tentò di reprimere quel nodo che dallo stomaco gli stava lentamente salendo in gola ed incrinando la voce.

- Ma che non succeda con te, Kojiro!- alzò lo sguardo, come per rimproverarlo e scacciare le lacrime - Se la farai soffrire, dovrai vedertela di nuovo con me. E stavolta non ci saranno Eve e Ken a fermarci!-

L’altro riprese a respirare e non poté far altro che, incredulo, sorridergli da amico.

- Grazie... grazie...- intervenne Ayame, fissandolo ora con il suo classico sguardo materno e riconoscente.

- Ehi! E non pensare nemmeno di andartene da qui, chiaro?- aggiunse Kazuki, con un sorriso atto a dominare la debolezza - Tenterò di essere tuo amico... ci proverò.- aggiunse poi, annuendo sinceramente.

Gli costava parecchio ammettere che avrebbe dovuto investire di più su un rapporto e su una ragazza come Akimoto, che aveva sempre visto come spalla presente, ma che mai aveva seriamente considerato come fonte di passioni e tormenti. Era a causa sua se Aya non si sentiva adeguata, ma piuttosto trascurata e messa in ombra; a causa del suo essere troppo sicuro e forse del suo contare troppo poco su una persona in realtà così bisognosa di attenzioni come lei.

La ragazza, intanto, aveva preso a guardare i due con occhi diversi... avevano ancora le mani unite in una stretta fiduciosa ed in quel momento si sentì il cuore più leggero.

- Non piangere più, adesso.- le disse il capitano, in uno dei toni più dolci che gli avesse mai sentito usare. Quello che stava vedendo era un Kojiro che non aveva mai avuto modo di osservare... e sapere che la dolcezza che nascondeva, l’aveva riservata per lei, la fece sentire tutt’un tratto così paradossalmente al proprio posto nel mondo.


- Ah, mi ci voleva proprio!- sospirò Eve, ravviandosi i capelli appena asciugati. Si sistemò i pantaloni e la maglietta, poi indossò la felpa fin troppo larga per la sua taglia, così lasciò aperta la cerniera.

Ken la attendeva fuori dalla palestra con le chiavi in mano. Aveva ancora i capelli leggermente bagnati, i jeans blu e una maglietta che lasciava intravedere i lineamenti dei muscoli.

- Ma sei matto ad uscire così? Mettiti addosso qualcosa o ti prenderai un accidente!-

Il portiere le sorrise e, non badando all’apprensivo comando, fece tintinnare il mazzo di chiavi.

- Arrivo subito, vado a mettere queste nell’ufficio della Rama e torno!-

Dopodiché chiuse la palestra e corse dietro l’angolo. Eve rimase ad aspettarlo, seduta sul borsone.

Il sole del pomeriggio si faceva largo dietro i pini del cortile basso, di lì a poco avrebbe cominciato a calare dietro l’orizzonte. Una leggera brezza spirava da sud, dove il profilo squadrato dell’istituto Toho si stagliava imponente contro il cielo sereno.

Qualche minuto dopo Ken era di ritorno, proprio mentre la ragazza stava constatando sul proprio orologio che erano quasi le quattro.

- Devi tornare?- le chiese. Eve scosse la testa.

- Non ho orari. Mia madre non c’è per tutta la settimana. Meeting, convegni eee... che ne so.- rise, alzando le spalle.

- Ti faccio un po’ di compagnia se vuoi...- si offrì lui.

Gli sorrise. Un vero cavaliere.

Poi notò che era ancora in mezze maniche e mutò repentinamente espressione.

- Mi ascolti quando parlo?- sbuffò - Sei appena uscito dalla doccia e non ti sei nemmeno asciugato bene i capelli!-

- Non ti preoccupare, sto bene così!- Wakashimazu ruotò gli occhi.

- Già... beh, affari tuoi!- la bionda sbuffò di nuovo, accogliendo con poca benevolenza il gesto del portiere.

Ken, dal canto suo, sorrise di nuovo e fissò dritto davanti a sé, realizzando che questo era un altro di quei lati infantili di Eve che la rendevano irresistibilmente buffa - finché non avvertì qualcosa di morbido e caldo sulla propria testa.

Si accorse che la compagna gli aveva lanciato la propria felpa, con sguardo spazientito.

- Dovresti portartene una anche tu.- disse poi, risoluta.

L’altro la fissò, era decisamente grande per lei, di sicuro a lui sarebbe andata a pennello.

- Mettila.- continuò, le mani ai fianchi.

- Non fa niente, Eve, io...-

- Non era un consiglio!- proruppe lei, tra l’innervosito e l’ultima punta di condiscendenza.

Il ragazzo gliela rilanciò in testa con un sorrisetto.

- Ah sì? Se le cose stanno così...- Eve gli si avvicinò pericolosamente e gli afferrò le spalle, facendolo sedere sul suo stesso borsone, accomodandosi accanto a lui e finalmente riuscendo nel suo intento: portare l’indumento sportivo sulle spalle di entrambi.

- Scemo.- gli sussurrò, cacciando la lingua in un’espressione corrucciata.

Ken avvertì chiaramente il proprio volto mutare di temperatura. Eppure era quasi sempre uscito dagli allenamenti in quello stato; sì, certo gli avevano già detto cento volte di coprirsi bene, ma non ci aveva fatto mai molto caso, dopotutto possedeva un fisico molto resistente.

Solo in quell’occasione in cui si voltò e poté guardare Eve persa nei suoi pensieri con il viso tra le mani, seduta proprio accanto a lui... provò qualcosa che lo fece sospirare pesantemente.

- Allora, com’è andata la convocazione?- gli chiese tutt’un tratto.

- Eh...? Oh? Quale convoc... ah, sì! Certo! - dopo un iniziale impaccio, fu come destato da un sogno ad occhi aperti - Siamo andati tutti molto bene! Tra qualche perdita e qualche innovazione, anche quest’anno sono in nazionale. E tu, a proposito? A quando la prima gara?-

Il volto della bionda s’illuminò, all’udire la bella notizia che - nonostante tutto - quasi l’intero distretto dava per scontata.

- Tra un mese ci saranno le nazionali.- rispose poi, rispondendo alla domanda - Se mi piazzo tra le prime quattro andrò... in Europa.- aggiunse con tono più basso.

- Non mi sembri molto entusiasta.- commentò lui, un’espressione tra l’apprensivo ed il sorpreso. Eve, per contro, si limitò ad un’alzata di spalle.

- Mi piace questo sport, ma per ora voglio pensare solo ad impegnarmi per le nazionali.-

Ken si rammentava della loro prima conversazione veramente personale e, conoscendo le origini paterne della compagna, arrivò a pensare che l’Europa era dove stava l’altra metà della sua famiglia. Gli parve che lei non fosse tanto impaurita di non riuscire a piazzarsi tra le prime quattro, ma che fosse quasi infastidita dal fatto che se ci fosse riuscita sarebbe dovuta partire per l’occidente.

- Non vuoi rivedere tuo fratello...?- mormorò, come se avesse paura di farle del male, toccando un tasto troppo delicato. Ma lei non si arrabbiò, anzi sorrise.

- Non è così... anzi, mi farebbe piacere rivedere Dex.- ribatté, annuendo.

Wakashimazu non lasciò trascorrere nemmeno un secondo, prima di porle una questione che gli era balenata in mente già da parecchi istanti.

- E’... è per Nicholas?- un attimo, un soffio.

Si pentì quasi immediatamente di averlo detto: l’ultima volta che le aveva chiesto di lui, Eve gli aveva gridato contro. Si era ritrovato i suoi occhi taglienti dritti nel cervello ed alle proprie orecchie la sua voce era giunta straziata dalla furia.

In fin dei conti non sapeva nemmeno chi fosse questo Nicholas, magari era qualcuno di cui lei era innamorata... e forse l’aveva fatta soffrire parecchio. Poteva essere una delle ragioni di tanta agitazione interiore.

Per la prima volta, mentre sentiva pronunciare quel nome, Eve non fu invasa da quel caratteristico senso di rabbia e vuoto che l’aveva accompagnata durante gli ultimi lunghi anni... anzi, si sentiva quasi ingiustamente serena.

Perché? Perché si sentiva così bene, anche se stavano parlando di Nicholas...?

La ragazza si alzò e si stiracchiò senza aggiungere altro, andando ad appoggiarsi alla ringhiera di freddo metallo che circondava il campo di atletica.

Non rispose.

Ken rimase in silenzio; aveva abbassato la testa, gli occhi coperti dalla lunga frangia ribelle - non si aspettava una risposta. Stava per cambiare di nuovo discorso, magari vertendo su qualcosa di più leggero per evitare un ulteriore disagio, quando lei si voltò, appoggiandosi con la schiena alla stessa balaustrata grigia.

- Nicholas...- le sue labbra si schiusero, rivolgendo uno sguardo verso di lui ed attendendo che alzasse il capo per incontrare i suoi occhi.

Poi si voltò di nuovo e sospirò.

- A volte è meglio non conoscere ciò che le persone si portano dentro. Cambierebbero troppe cose...- disse, quasi rivolta a sé stessa.

Il portiere ora la stava guardando, il suo corpo snello era immobile a fissare il cielo terso. Era come se fosse dipinta. O il soggetto di una fotografia lontana. Si sentiva estraneo a quella scena, come a ciò che Eve teneva nello spirito... e questo gli provocava un acuto spasmo al cuore.

Per qualche pieno minuto non parlò.

Regnava un silenzio strano e pesante.

- Ricordi quando mi hai chiesto cosa si prova ad avere un fratello?- la voce di Eve tornò a sfiorare, malinconica e leggera, l’aria del pomeriggio - Beh, è meraviglioso. Andavamo d’accordo, altre volte litigavamo. Era bello.-

Gli occhi neri di Ken erano fissi sul suo profilo quasi in controluce. Il sole si rifletteva sui suoi corti capelli biondi e creava un intermittente luccichio riflettendosi sui due minuscoli orecchini ad anello che portava al lobo sinistro.

- E’ nato due minuti dopo di me.- di nuovo una frase breve e soffiata - Stessi occhi, stessi capelli, caratteri quasi simili... io e Nicholas... gemelli.-

Fece una pausa di silenzio, rimase muta come se qualcosa di stretto e doloroso in gola, proprio sotto il palato, le impedisse di parlare... quando Ken si alzò.

- E’ in Europa anche lui?- le domandò, lieve.

- Europa?- chiese Eve.

Nella sua voce Wakashimazu fu certo di avvertire una vena di cupa felicità che trovò corresponsione nella sua espressione: la compagna stava sorridendo tristemente.

Poi si voltò verso di lui, ancora... per l’ultima volta.

- Overdose.-

Quell’unica parola bastò a colmare il silenzio che aveva saturato l’atmosfera per interminabili attimi.

Il ragazzo vide i suoi occhi, la sua bocca sorridere... e poi lacrime amare rigarle il viso fino a morire sulle sue labbra ed abbandonare il suo viso, cadendo come petali di cristallo trasportati dal vento a terra e sulla maglietta candida.

Era la prima volta che la vedeva piangere. Sentì il proprio cuore lacerarsi nel petto, squarciarsi in mille pezzi e gemere gridando disperato. Una parola aveva distrutto un intero mondo, aveva creato un abisso.

- E’ patetico. Quante ne avrai sentite così, in tv.- continuò Eve, con lo stesso sorriso aspro, stringendosi il braccio laddove giaceva lo sfregio che aveva sempre tentato di nascondere - La cicatrice... sono stata io. Volevo morire con lui e... per un attimo, ci stavo riuscendo. Volevo colpirmi a morte. Avevo un coltello... ma non ce l’ho fatta. Nel momento in cui ero decisa a trafiggermi il cuore, le vene, qualcosa ha fatto sì che il colpo deciso mi ferisse soltanto il braccio. Credo... sono stata io a salvarmi da me stessa.-

Chiuse gli occhi, celandogli l’azzurro delle proprie iridi ed abbandonò quel sorriso, chinando il capo verso terra.

- Tutti si chiedevano perché l’avesse fatto... ma, sarà immorale, a me non importava, io lo sapevo già. Ero la sua gemella, eravamo due metà. Era solo un bambino, un ragazzino di quindici anni... tuttavia sapeva bene a cosa andava incontro. Lo sapeva bene, ha scelto. Era la sua scelta, malgrado tutti i più svariati professionisti chiamati in causa affermassero il contrario, che un ragazzo come lui non poteva rendersi conto di quanto devastante e pericoloso fosse il mondo in cui si era addentrato, che era stato incosciente. Sciocco. Vizioso e corrotto.- ad ogni frase un controllo del tono di voce le impediva che questa s’incrinasse - L’ho visto deperire, l’ho visto morire... ed il mio cruccio più grande, quello che secondo i più non dovrei mai riuscire a perdonarmi, è che nonostante Nicholas non avesse mai accettato il mio aiuto, io non ho nemmeno provato ad offrirglielo, facendo leva e contando sul suo rifiuto di venirne fuori.- seguì una lieve pausa, durante la quale Eve scosse lievemente il capo - Eppure non rappresenta un tormento, un rimorso... proprio perché Nicholas non voleva venirne fuori, non desiderava farlo. La colpa che mi è stata imputata mille volte è che, sapendo ogni cosa, non ho mosso un dito. E non si tratta più di rispetto per il libero arbitrio di mio fratello, per quanto negativo e distruttivo abbia potuto essere. Si tratta di follia. Di immoralità. Ho ritenuto legittima ed intoccabile la sua decisione di mettersi sulla strada della morte.-

Questa volta la voce della ragazza si fece più grave, mettendo a nudo la propria distorta negligenza.

- Da piccoli mi diceva che saremmo stati insieme per sempre, ma... nel mio cuore inesperto del mondo, sapevo che c’era qualcosa che avrebbe interrotto l’idillio, prima o poi. Chiamalo sesto senso, presunzione, oppure semplice terrore... ma sapevo che in qualche modo ci avrebbero separati. E così è stato.-

I suoi zigomi tondi erano freddi e distanti, rigati dalle lacrime.

- E poi, come una stupida... volevo seguirlo, ero in preda al dolore... ma, vedi, non sarebbe stato giusto. Che senso ha morire, per emulare le gesta di qualcuno che ha già compiuto la propria scelta? Per espiare qualcosa di cui non ero nemmeno totalmente padrone...? Nicholas è morto... ed io ero troppo terrorizzata all’idea di dover affrontare il mondo da sola. E così il mio suicidio non sarebbe stato un gesto d’amore, ma d’egoismo. Non aspiravo a scomparire con lui. Per quanto difficile possa essere stato... mi sono rialzata e ho tentato di vivere non più per il nostro tutt’uno che non c’è più, ma per me stessa.-

Tacque.

I sibili del vento interrompevano la linea di silenzio che correva tra i due. Una sottile linea di porpora vellutata che ondeggiava a suono di una musica invisibile e senza voce.

- Perdonami, Ken, se quando mi sono ubriacata ti ho chiesto di farmi del male, se sono riuscita a portare in superficie le tue preoccupazioni più nere e... se ti ho messo in una condizione di disagio e rabbia. Non voglio andare da Nicholas... voglio restare qui, finalmente ho trovato il mio mondo perfetto. Non voglio più cercare mio fratello... voglio solo... vivere.- mormorò, abbandonando le braccia lungo i fianchi.

Lui serrò pugni e mascella, aggrottando le sopracciglia. Le si avvicinò velocemente a grandi falcate, le afferrò violentemente le spalle, tanto da scuoterla, e la strinse al proprio torace con quanta forza aveva in corpo.

- Vivi.- le sussurrò con veemenza, una mano stretta alla sua nuca - tra le dita i capelli di grano - e l’altra attorno ai fianchi rotondi non più di ragazza, ma di donna.


 

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