Ombre di cicatrici

 

 

CAPITOLO 7 – Un sentimento senza eguali



- Non voglio la tua pietà.- la voce di Eve si era mantenuta integra, non spezzata dai lamenti.

- Non è pietà, è coraggio.- replicò Ken, tra il contrariato e il categorico.

Eve serrò le palpebre per un attimo - un attimo solo - e sfregò il proprio volto sul torace del compagno. La stoffa leggera della maglietta aderì alla sua guancia, seguendola nei brevi movimenti.

Sorrise debolmente e gli gettò le braccia al collo, senza aggiungere una parola. Aveva bene inteso ciò che lui stava tentando di trasmetterle; le era arrivato tutto così improvvisamente e direttamente, come quell’abbraccio, che aveva raggiunto repentinamente il suo cuore.

Una sensazione di libertà le circolava nel sangue, come una brezza tra i capelli... e chiusa tra le braccia di Ken si sentiva felice, per la prima volta qualcuno le stava infondendo coraggio e non una patetica dimostrazione di carità o un dispiacere che in breve tempo sarebbe stato facilmente dimenticato.

Era quasi sicura che se Nicholas l’avesse vista in quel momento, sarebbe stato fiero di lei. Avrebbe sorriso ed insieme le avrebbe rivolto un leggero sguardo di rimprovero, come a dirle che era stata sciocca a pensare di non essere in grado di vivere senza di lui e di aver trascorso lunghi anni soffrendo spasmi intensi ad ogni attimo che le era capitato di pensarlo.

Comprese tutto quanto in un lampo, come se l’abbraccio di Ken fosse un tramite, un ponte per un ipotetico ed ideale paradiso.

Ricambiò la stretta con altrettanta veemenza, aggrappandosi all’ampia schiena del portiere e spingendo il proprio volto nell’incavo del suo collo, dove già più volte aveva avvertito l’intenso e rassicurante profumo della sua pelle.

Wakashimazu si scostò lievemente, per prenderle il viso tra le mani, asciugandole le lacrime e sorridendole dolcemente.

- Tu sei Eve, soltanto Eve.- sussurrò, poggiando le labbra sulla sua fronte - E non hai bisogno di nulla per essere completa. Sei Eve e basta.-

Eve.

Soltanto Eve.

Eve e basta.

- Eve e basta...- ripeté lei, dando voce ai propri pensieri.

Si sentiva una, una solamente, indipendente, rassicurata e sostenuta... e finalmente poteva abbandonare ogni proposito di ferire le persone che tentavano d’avvicinarla per timore che potessero penetrare nel proprio cuore... proprio com’era successo con lo stesso Ken, quel giorno in cui aveva malignamente alluso a Wakabayashi.

Quella volta si era sentita immediatamente meschina, non le era mai accaduto, quel portiere aveva dato una bella scossa alla sua vita interiore... ed era successo così naturalmente che si era stupita e spaventata: non poteva credersi così fortunata, dopo tanto dolore.

Rimase a guardarlo per qualche istante, poi si lasciò cadere di nuovo sul suo petto, sicura di venire accolta, questa volta in una stretta più morbida e serena. Poggiò entrambe le mani sui bicipiti scoperti del ragazzo, lasciandosi sostenere placidamente.

- Portiere?- fece d’un tratto, discostandosi dal suo torace.

- Che c’è...?- le domandò Ken, percependo la sua inquietudine.

Eve lasciò scivolare le proprie dita sugli avambracci del compagno.

- Quei tre sono ancora nel ripostiglio...- sussurrò, realizzando che era trascorso più tempo del previsto. Molto più tempo del previsto.

Wakashimazu non poté fare a meno di scoppiare a ridere: ciò che Eve aveva appena detto lo aveva lasciato sconcertato, perché in confronto alla storia che gli aveva confidato, quella era una vera e propria stupidaggine! Ed era contento di aver contribuito a sollevare il cuore della compagna e a farla sorridere di silente riconoscenza, almeno per un attimo.

- E non ridere!- esclamò Eve, sbuffando. Era tornata quella di sempre, come se fosse uscita dall’incantesimo del vento ed ora che se ne stava lì dinnanzi a lui, mettendo un broncio poco convinto, Ken non poté fare a meno che definirla stupenda, nella propria mente. L’aveva vista piangere e sorridere allo stesso tempo, come fosse dipinta ad acquerelli su uno sfondo di solo cielo.

- Vado a riprendere le chiavi nell’ufficio, me n’ero completamente dimenticato!- si batté una mano sulla fronte, scuotendo il capo - Vieni!- aggiunse poi, attendendola.

- Resto qui. Ti aspetto.- rispose lei, portandosi le braccia dietro la schiena.

Ken, invece di correre verso la sala, scosse di nuovo la testa e si sporse per afferrarle un polso.

- Oh, no, tu vieni con me, ho detto!- intimò, categorico.

Eve spalancò gli occhi, sentendosi trascinata dalla forza mascolina del portiere.

- Da sola combini già fin troppi pasticci, non ti lascio, sai?- affermò, tirandola per il braccio, mentre muoveva i primi passi verso l’entrata laterale.

- Che?!- protestò la bionda - Ma quali pasticci, senti chi parla!-

Pronunciò le ultime parole di ribellione con il tono infantile di chi non fa sul serio, lasciandosi condurre da Ken e rivolgendogli ancora una volta, dal profondo del cuore, un silenzioso grazie per la sua volontà di non lasciarla sola.


- Allora Ken ed Eve erano d’accordo!- Ayame sgranò gli occhi, mentre sul volto di Kojiro balenò una smorfia contrariata.

- Quei due insieme sono pericolosi.- commentò, annuendo.

- Avranno anche intenzione di ritornare a prenderci o vorranno lasciarci qui per sempre?- sospirò l’altro, chinando la testa verso il proprio petto.

Stavano giusto per riprendere a lamentarsi ed a pensare ad un eventuale piano di fuga, quando la porta si aprì pesantemente ed un sorridente Ken fece capolino dalla soglia.

- Wakashimazu!- scattò Kojiro, saltando su a sedere dai materassini impilati. Il portiere lasciò del tutto l’uscio ed incrociò le braccia al petto.

- Ehilà, chi si vede! Hiyuga!- fece, alzando il mento rivolto al capitano.

- Piantala di fare lo scemo! Ma ti rendi conto di quello che avete fatto!?- continuò il bomber, furioso.

- Beh, se ci mettiamo d’impegno potremmo anche pensare di farci pagare per fare i consulenti.- sorrise Eve, accanto a lui.

- Springer!- il cannoniere si avvicinava con aria assassina, riprendendoli entrambi con aria e tono fin troppo formale; accadeva soltanto quando si arrabbiava veramente e, beh, quello pareva proprio essere uno di quei casi.

- E... non avete concluso nulla?- proseguì la ragazza, con un sorrisetto abbozzato, notando le tre facce poco bendisposte.

- Oh, sì! Abbiamo risolto!... però abbiamo anche avuto il tempo di meditare vendetta!- Kojiro ora sorrideva... alquanto pericolosamente.

Eve e Ken si scambiarono uno sguardo repentino e preoccupato.

- Ma che bella notizia!- ridacchiò il portiere, attendendosi di essere afferrato per il bavero dal proprio capitano.

- Tanto non fanno mai sul serio.- Kazuki rivolse un sorriso paziente alla bionda, che si era portata a debita distanza - Hiyuga è solo un po’ risentito per non essere riuscito a gestire completamente la cosa, ma nulla di più...-

Ora Sorimachi sembrava parlare placidamente e privo di rabbia, tanto da lasciare intendere alla ragazza che il suo animo furente doveva essersi - almeno in parte - placato.

- Eve... - poi si voltò, richiamata da Ayame, giusto al proprio fianco. Capì che aveva pianto molto dal rossore degli occhi e dal pallore accentuato del suo volto. Doveva esserci stata una quasi battaglia, lì dentro... ma in quel momento sembrava che anche Aya avesse ritrovato la pace - o perlomeno ci stesse provando.

- Volevo... ringraziarti.- mormorò, mentre l’altra si voltava completamente verso di lei - Per oggi, per quella volta che mi hai dato quello schiaffo... per tutto. Si va avanti... si cerca di farlo. “Rischieresti d’essere felice”... parole tue.-

Lei non rispose, non avrebbe saputo cosa dirle e, soprattutto un “di niente” o un “figurati!” le sembravano piuttosto inutili e scontati. Si limitò a sorriderle ed a portarle una mano sulla fronte per ravviarle due ciocche di capelli ribelli ed ormai totalmente ingestibili.

Ayame avvertì nel tocco di Eve qualcosa di materno e comprensivo, come se lei stessa capisse quanto prezioso potesse essere l’avere la certezza di godere della protezione di qualcuno...

- Perché Wakashimazu non si oppone?- le sorse spontaneo chiedere, dopo che lui e Kojiro erano finiti quasi a ridosso delle porte metalliche con un tonfo. Non facevano evidentemente sul serio, Hiyuga non gli stava facendo male realmente, più che per sua propria scelta, perché il portiere si limitava con leggerezza a ridere ed a parare i colpi che gli giungevano veloci dall’altro.

- Di sicuro, se lo facesse, gli spaccherebbe qualche osso!- rise Kazuki - Mi sarebbero utilissime le sue tecniche!-


- Ciao ragazzi, a domani!- Kazuki li salutò e voltò l’angolo, scomparendo di corsa. Era già abbastanza in ritardo ed oramai il sole era quasi tramontato.

- Portiere?- Ken fu distratto dalla voce di Eve, quasi giunta sulla porta di casa.

- Nh?- si fermò a guardarla.

Cominciava a fare caldo anche quella sera e sulla strada verso casa erano rimasti soltanto loro, Kojiro ed Ayame un poco più indietro.

- Noi due siamo amici?- gli chiese fermamente. Non credeva di riuscire a ripetere una seconda volta quella domanda.

Ma lui rivolse uno sguardo al cielo prossimo all’imbrunire e sorrise dolcemente.

- Scusami se te l’ho chiesto ma... io... non ho...- ricominciò la bionda, rendendosi conto di dover essergli sembrata piuttosto stupida, con quell’uscita.

Ci volle poco perché avvertisse una leggera pressione sulla propria nuca e perché, alzando gli occhi, incontrasse quelli scuri e rassicuranti del compagno.

- Ne dubiti per caso?- la spiazzò.

Eve rimase per un istante tra il compiaciuta e l’imbarazzata; per evitare che lui la vedesse arrossire, prese a fissare lo scuro asfalto finché non si scosse.

- Sì, però non te la prendere sempre con i miei capelli!- protestò, mettendo di nuovo un broncio infantile.

- Che? Ma se è la prima volta!- ribatté Ken, le mani ai fianchi.

- La prima?!- Eve aveva ripreso il suo animo battagliero e ricominciarono a discutere come bambini, finché Kojiro non li raggiunse ed Aya li salutò da lontano, per poi voltarsi ed incamminarsi anch’essa verso casa.

Eve convenne che avrebbe fatto meglio a fare la stessa cosa: dopo una giornata del genere cominciava a sentire gli effetti del duro allenamento che aveva sostenuto nel primo pomeriggio e non vedeva l’ora di tuffarsi in una vasca d’acqua bollente.

Quando lasciò i due, portiere e capitano si rivolsero uno sguardo silenzioso, prima di riprendere a camminare l’uno di fianco all’altro. La quiete della sera, le rare automobili che transitavano ed i raggi del sole oramai orizzontali concorrevano a rendere il loro quartiere un luogo piuttosto tranquillo, a quell’ora.

- Questa me la paghi, Wakashimazu.- esordì d’un tratto Hiyuga, bloccando a metà uno sbadiglio del compagno.

- Me l’hai già detto ventisette volte.- rispose quello, sfregandosi un occhio.

- Beh, questa è la ventottesima!- furono le uniche parole che Kojiro riuscì ad usare per controbattere, incrociando le braccia al petto.

L’altro non pareva impensierito, il volto disteso e tranquillo. Lasciava che la cartella gli penzolasse contro una scapola, tenendola con una sola mano appoggiata con il dorso sulla spalla, mentre con l’altra reggeva il borsone blu scuro da calcio.

- Mi dispiace essermi fatto gli affari tuoi, capitano.- asserì d’un tratto, voltando lievemente il capo verso l’amico - Ed anche Eve. Per quanto sia fuori di testa, posso garantire per lei.- rise.

Al pensiero di quanto la ragazza si fosse preoccupata per la buona realizzazione di un piano così campato in aria, una sensazione di tenerezza si fece sentire nel suo io.

- Se non aveste dovuto chiarire, non riesco ad immaginare quanto sarebbero potute precipitare le cose.- riprese poi, facendosi serio - Ammetto che abbiamo corso un gran rischio.-

Kojiro prese un gran sospiro.

Già.

Eppure non riusciva a non provare una grande gratitudine nei confronti di quei due, nonostante si sentisse quasi in obbligo di celarla dietro il proprio, classico atteggiamento scorbutico.

- Tu sei lo specialista dei rischi.- scosse il capo, arrendendosi.

All’udire quelle parole, Wakashimazu non trattenne un ennesimo sorriso.

- Ah, credevo che quello fossi tu!- esclamò, arrestando l’avanzata sul marciapiede, all’ombra delle fronde degli alberi alti.

Hiyuga si era fermato giusto dinnanzi a lui, prendendo a fissarlo con aria giocosa e irriverente.

- Ti cedo volentieri il ruolo.- fece - E sei anche il re dei masochisti, se proprio te la devo dire tutta; giocare con una spalla rotta, parare con una mano già sanguinante... ne avrei mille da raccontare su di te.-

- Oh, lusingato!- rise il portiere, da un lato realmente compiaciuto che Kojiro gli stesse ricordando frammenti di passato, nascondendo la lode nell’umorismo.

Dietro le sue spalle, il sole lasciava il posto alla volta rossa, rendendo cremisi ed arancio il fluente telone che faceva da tetto naturale all’atmosfera e che di lì a qualche ora sarebbe stato gremito di brillanti spettatori.

In quell’attimo Wakashimazu gli apparve in tutta la sua semplicità, i capelli gli ricadevano sulle ampie spalle e gli occhi neri gli sembravano quasi totalmente diversi da quelli del ragazzino solitario che aveva incontrato così tanto tempo addietro.

Non poté fare a meno di rivolgergli quel sorriso fraterno e riconoscente che sentiva già distendersi sulle proprie labbra, ancor prima di aver formulato il pensiero.

- Sei un ottimo uomo. E un ottimo amico, Ken.-


Non si aspettava una reazione del genere da parte di Ken.

Quando l’aveva rivelato a Mizuki, per rabbia e smarrimento, gli occhi dell’amica avevano cominciato a riempirsi di lacrime... versate per compassione, incredulità, forse fin troppa partecipazione. E nulla aveva cambiato lo stato delle cose: Eve aveva seguitato a sentirsi chiusa in una dama di ferro, sola ed inadeguata, furiosa e terrorizzata.

Ma a lui... a lui l’aveva raccontato perché aveva letto in quegli occhi neri e placidi una sconfinata profondità ed aveva sperato che in quell’abisso potesse accogliere anche lei, con tutto il proprio dolore, senza rifiutarla, senza che potesse cambiare opinione e considerazione sul suo conto. E così era stato: l’aveva stretta e le aveva fatto sentire il suo coraggio. Tanto da infonderle nel cuore una speranza di vita alla quale si era immediatamente e disperatamente legata, dalla quale mai più nessuno l’avrebbe strappata via.

Serenità... ecco cosa provava. Da tempo aveva tentato di non pensare più a Nicholas come un ricordo doloroso e fonte di abbandono, ma ora ci stava riuscendo realmente. E finalmente.

Si sentiva come libera dal peso intossicante della morte, che per tanto, troppo tempo le aveva attanagliato le vene.

Sussurrò un grazie, prima di cadere addormentata tra le coperte soffici e calde.


Overdose.

Overdose.

Overdose... aveva quindici anni.

Eve aveva sofferto un’angoscia tremenda, aveva convissuto per lungo tempo con un segreto deturpante.

Ken si richiuse la porta della propria stanza alle spalle.

Forte di ciò che gli aveva rivelato, ora poteva comprendere ogni singola allusione ed atteggiamento che la compagna si era vista costretta ad assumere, per proteggere sé stessa. Ma il suo animo era stato in grado di reagire.

E di nuovo le lacrime di cristallo di Eve gli comparvero dinnanzi agli occhi, come se stesse rivivendo la medesima scena: il suo sorriso accennato e malinconico e la sua pelle eburnea che rifletteva i raggi del sole pomeridiano.

Essere venuto a conoscenza del suo passato lo faceva sentire quasi... speciale. Aveva confidato qualcosa di così intimo e tormentoso proprio a lui, si sentiva... al di sopra degli altri, per Eve, per una persona di cui ammirava la forza d’animo e la tenacia, il coraggio di non essersi distrutta, di aver resistito al baratro.

Aveva letto nei suoi occhi la speranza che ciò di cui sarebbe venuto a conoscenza non avrebbe cambiato le cose - né in bene, né in male - che avrebbe seguitato a vederla come la ragazza cui aveva stretto la mano, durante un caldo giorno di agosto dell’anno ch’era trascorso.

Ed era stato così. Ciò che ora sapeva, non aveva fatto altro che legare il proprio cuore al suo, serrato, stretto come in uno degli abbracci che già aveva avuto occasione di regalarle.

Si distese sul letto e chiuse gli occhi. Non era cambiato assolutamente nulla, ciò che provava, continuava a sentirlo ben chiaro nel suo cuore.

- Ti amo...- sussurrò.


- Perfetto! Corri, Eve!... un nuovo record!!- gridò la signorina Rama, stoppando il cronometro.

Eve respirò a pieni polmoni, proseguendo di qualche passo al di là del traguardo e seguita delle sue compagne esultanti.

- Di questo passo, altro che quarto posto! L’oro sarà tuo!- le gridò Ren, afferrandole un braccio.

Per contro la bionda si limitò a sorridere e si sistemò la maglietta bianca.

- Non esagerare, adesso.- fece, cercando di modulare il fiato.

- Per oggi basta, andate a cambiarvi. Ehi, Springer...- l’allenatrice la fermò prima che potesse entrare in spogliatoio - Stai andando forte! Ricordati però di non sforzarti troppo, tra una settimana le nazionali.-

Il suo entusiasmo era palpabile nell’aria, pareva entusiasta come se avesse dovuto partecipare alle gare di persona.

Eve distese le labbra in un altro muto sorriso, che mascherò al meglio per non farlo risultare di circostanza.

- Lo so, stia tranquilla. Cercherò di guadagnarmi qualche primato!- l’ironico segno di vittoria con le dita ed entrò in spogliatoio, dove fu accolta dalle compagne con un’ovazione.

- Fantastico, Eve!- di nuovo Ren ad appoggiarsi alla sua spalla.

- Non ho mai visto nessuno correre così veloce!- le fece eco un’altra.

- Non sarà il sangue europeo a darti una marcia in più?- di nuovo un breve applauso, accompagnato da delle occhiate scherzose, ma sicure.

- Ehi! Ehi!- si difese lei, tentando di togliersi le compagne di dosso - Ma siete matte??-

Le altre sorrisero, poi presero a sistemare le proprie cose nei rispettivi borsoni, dopo la debita doccia. Dopodiché finirono irrimediabilmente per rimanere nello spogliatoio, perse in chiacchiere eccitate a causa della competizione oramai alle porte.

Pochi passi nel corridoio, poi l’allenatrice entrò dopo aver bussato, una cartelletta rossa tra le mani. Ogni ragazza sapeva cosa significava.

- Ragazze, aspettate ad uscire. Devo darvi i nomi di quelle che sicuramente parteciperanno alla nazionale.- fece una pausa, alzando gli occhi neri in quelli delle interessate - Sono Springer e Dairou.-

Ren ed Eve si guardarono, poi la prima tese la mano alla seconda, che strinse in un sorriso entusiasta - nonostante dalle tabelle dei cronometri e dalle convocazioni della Rama, sapevano già di essere qualificate.

- Fate del vostro meglio.- aggiunse la donna - Ah! Quelle che non si sono classificate nei tempi non si disperino: darò domani i nomi per le provinciali, avrete modo di rifarvi daccapo. Allora, buona serata e non faticate troppo!- strizzò l’occhio, uscendo dallo spogliatoio ed accompagnando la porta dietro di sé.

Le ragazze scoppiarono in un gridolino di gioia collettivo, che le accompagnò fino alla loro uscita dall’istituto.


- Mizuki...?- Eve sembrò sorpresa di vederla fuori da scuola.

- Ah, sei uscita finalmente!- disse lei, voltandosi di scatto e facendo visibilmente sventolare le pieghe della gonna della divisa. La bionda si portò il borsone su una spalla, riprendendo la marcia.

- Che ci fai qui a quest’ora?- le domandò, facendosi al suo fianco.

- Ti aspettavo.- rispose l’altra, come fosse la cosa più naturale del mondo - Andiamo insieme?-

Così le due presero a camminare verso casa, si era fatta sera un’altra volta.

Mizu si sistemava meticolosamente le due mollettine viola ai lati del capo, che tenevano a bada una chioma riccia e ribelle. Si era evidentemente rifatta la permanente da poco, optando anche per un cambio di tinta: da blu i riflessi sui suoi capelli neri erano divenuti color malva.

- Allora andrai a Hokkaido?- le domandò, a lavoro concluso.

- Ci puoi giurare!- replicò Eve, ridendo - Tra sette giorni sarò là.-

- Ah! Che bello!- Mizuki le saltò al collo, più entusiasta della Rama - Farò il tifo per te! Mi porterò anche la squadra di calcio! Sarà un successone!-

- Ehi! Calmati! Perché dovresti portare anche il Toho?- l’altra si scostò per evitare di finire strangolata dall’energica stretta dell’amica. Questa le rivolse uno sguardo malizioso, sbattendo più volte le lunghe ciglia incurvate.

- Oh... ecco perché!- Eve sbuffò in un sorriso. Mizu non si sarebbe smentita mai.

- Eheh...- ridacchiò, dedicando un’affettuosa gomitata alle costole della bionda - Il mio piano non si è concluso!-

- Ma dai!- questa volta la compagna non trattenne uno scoppio d’incredulità - Ma se avevi detto che... ehi! Sbaglio o non hai combinato niente con Kojiro e Ken ad Onsensawa?-

L’altra scosse energicamente la testa, emanando un dolciastro profumo di frutta esotica.

- Purtroppo no, ma...- fece per cominciare.

- Se è così, pare che tu mi debba un favore.- la interruppe Eve, restituendole la gomitata.

- Ma il piano non è finito!- si lamentò l’amica, mettendo un broncio ribelle.

La luminosità del sole pomeridiano si rifletteva sul volto della compagna, che aveva assunto l’aria di chi la sa lunga, seguitando a camminare lungo la strada lastricata di mattonelle grigie.

Intorno a loro diversi studenti che rincasavano dopo le attività dei club o delle ripetizioni del doposcuola; proseguivano chi in una direzione, chi nell’altra, immersi in chiacchiere amichevoli od in silenziosi pensieri.

- Niente ma. La scommessa riguardava solo la gita.- replicò Eve - E poi non ti sei dilungata in quel discorso sibillino sul fatto che stai cominciando a pensare ad un ragazzo soltanto, eccetera, eccetera?-

Mizuki si arrese, messa con le spalle al muro dall’ultima affermazione della bionda.

- E va bene...- sospirò, chiudendo gli occhi ed inarcando le sopracciglia - Cosa vuoi?-

Eve si giocò bene la sua carta, lasciandosi guidare da quel qualcosa che le frullava in testa dal giorno in cui Mizu si era offerta di restare in stanza a badare ad un Wakashimazu post-sbornia.

- Tu pensi ancora a Ken e a Kojiro in quel modo?- fece, intavolando la discussione per fare in modo di ottenere la risposta desiderata.

- In che modo?- domandò di rimando l’altra, incrociando le braccia al petto sul nastro porporino della divisa scolastica.

- Andiamo, in quel modo!- la bionda sospirò, spazientita - Corpi nudi e umidi, spogliarelli, macchine del sesso, hai presente? Il tuo genere di pensieri.- aggiunse con scioltezza.

La ragazza dai capelli ricci arrossì di colpo ed altrettanto repentinamente abbassò il capo, prendendo a marciare un po’ macchinalmente e con le membra rigide.

Ma che genere di immagini le stava facendo venire il mente, Eve?! Senza preavviso, poi! Perlomeno doveva prepararsi psicologicamente, per evitare il fumo dalle orecchie!

- Beh...- si schiarì la voce, tentando di mandare via il rossore agitandosi entrambe le mani davanti al volto in un tintinnare di bracciali e ninnoli - Ora, è vero, penso ad un ragazzo solo, ma... beh, non posso evitare l’abitudine di una vita, nel vederli a quel modo nei miei filmini mentali!- sorrise, in una strana espressione tra il malizioso e l’impicciato. Eve non comprese se Mizuki fosse imbarazzata per la natura delle visioni evocate, oppure per l’avere finalmente ammesso di essersi seriamente interessata a qualcuno.

- Allora ecco il favore che devi farmi.- asserì, decisa e soddisfatta dalla risposta ottenuta.

Mizu la guardò di sottecchi, un po’ titubante ed un po’ timorosa di vedersi chiedere ogni cosa a proposito di quel fantomatico unico ragazzo sul quale aveva canalizzato le proprie attenzioni affettive.

- Ti chiedo di non pensare più a Ken in quel modo.- formulò infine la bionda, sistemandosi il collo bianco della casacca.

Ci mancò poco che l’amica non inciampasse nei suoi stessi piedi.

- Cooooosa??- gli occhi di Mizuki si spalancarono, increduli.

- Hai sentito benissimo.- replicò Eve, mantenendo uno sguardo più altero e fiero possibile, la testa alta per non finire preda delle domande incessanti della compagna.

- Ma... Ken... cioè, io... impossibile che tu mi abbia chiesto una cosa simile!- riuscì finalmente ad articolare, battendosi una mano nel palmo dell’altra - Vuoi dire che Wakashimazu ti piace! Che...- fece uno strano sorriso -... comincerai a pensarlo tu in quel modo?-

- Può darsi.- fu la replica che le arrivò, accompagnata da un’espressione enigmatica.

- Come sarebbe a dire “può darsi”?!- sbottò Mizuki - Tu sei cotta di Ken!-

Eve si ritrovò a tapparle la bocca con uno scatto improvviso.

- Urlalo più forte, già che ci sei! A Hokkaido non ti hanno sentita! - esclamò, premendo le mani sulla bocca dell’altra.

Mizuki tentò di tenere a freno il batticuore causato da una così improvvisa scoperta, fulmine a ciel sereno.

- Allora è così?- sussurrò, poi curvando gli occhi verso la bionda, con sguardo sornione.

- Può darsi.- fu la risposta ripetuta che si vide arrivare.


- Allora buona fortuna!- Takeshi le strizzò l’occhio con aria disponibile.

L’intera squadra di atletica in divisa era riunita nel cortile posteriore dell’istituto, accompagnata anche da un gran numero di studenti regolari che, rimasti dopo le lezioni, si era fermato apposta per salutare Eve e Ren ed augurare loro buon viaggio ed in bocca al lupo per le gare di Hokkaido.

- Ehi, non parto mica per dei mesi! Stiamo via solo cinque giorni!- la bionda ricevette l’ennesimo “buona fortuna” da Ayame che, portatasi le mani al petto, la guardava con occhi luminosi.

- Beh, vorrei che al tuo ritorno fossi vincitrice!- dichiarò Mizuki, scansando in malo modo il compagno più giovane - Forse ci vedremo per le finali!-

L’amica si sistemò la cerniera della tuta blu, portandosi poi le mani ai fianchi.

- Anche se non venite, non è che ci rimango male!- fece, con un sorriso tuttavia lusingato - Anche se vi conosco e so che pur di saltare qualche giorno di scuola, sareste disposti a venire fino a Hokkaido!-

- Il sostegno innanzi tutto!- riprese Sawada, restituendo a Mizu lo spintone, seppur mantenendo un’aria intellettuale.

Inevitabilmente il gruppo scoppiò in una risata divertita, a parte la ragazza dai capelli ricci, che con tenacia stava per rifarsi sotto, mirando giusto al collo di Takeshi.

Eve si sentì richiamare dall’allenatrice con tono impaziente, poco più in là; il tempo scarseggiava e la partenza era imminente. Così, dopo aver salutato i compagni, si avviò verso il piccolo pullman che le avrebbe condotte all’aeroporto.

Ken la trattenne all’ultimo momento - dopo che si fu distanziata dal gruppo di qualche buon metro - afferrandole un braccio ed avvicinando repentinamente il suo volto al proprio.

- Non pensare di vincere solo per te stessa o non ce la farai.- le sussurrò giusto pochi centimetri dalle labbra, con un sospiro carico - Consiglio di un professionista.- aggiunse poi, distendendo l’espressione e la presa, lasciandola andare.

Ad Eve ci vollero diversi istanti per realizzare cosa le avesse detto e captare il messaggio, rapita com’era dai suoi occhi neri a causa dell’inaspettata azione del portiere.

- Cercherò di vincere anche per voi, contento?- riuscì a mormorare infine, con una punta di sarcasmo. Era il meglio che fu in grado di elaborare, tornando ad articolare pensieri razionali.

Wakashimazu annuì, mantenendo il suo sorriso disponibile e poi passò a salutarla definitivamente, aspettando insieme all’intero gruppo di amici e compagni che il minibus partisse.

- Dunque, ho preventivamente controllato tutti gli orari dei traghetti e dei treni a basso costo!- Mizuki scattò come una molla, attaccando a parlare a macchinetta - Ovviamente sarà un viaggio lungo, quindi ai deboli consiglio di ritirarsi! Ah, e ovviamente, paga il nostro capitano Hiyuga, vero?-

- Che?!- il diretto interessato saltò su, tra lo stralunato e il contrariato.

- Ma sì, insomma, sei l’unico tra noi che lavora!- la ragazza alzò le spalle, ravviandosi la chioma riccia e prendendo a camminare insieme agli altri verso il cancello.

- Certo, ma questo non significa che debba fare da tour operator!- ribatté Kojiro, non cogliendo l’ironia della compagna e risultando ancora una volta affettuosamente comico agli occhi della pacifica Ayame.


Erano atterrate a Chotose senza eccessivi problemi, il viaggio sino a Sapporo si era svolto senza stress alcuno e là l’ambiente appariva piuttosto ordinato e formale. Aveva altresì avuto occasione di confrontarsi con ragazze che provenivano da tutto il Giappone e, nonostante la sua natura solitaria, si era sentita inaspettatamente a proprio agio.

Le piste erano ampie e professionistiche, gli scrutatori accademici ed a tratti dottorali, mentre lo stadio sempre gremito di spettatori con i rispettivi cartelloni e slogan per le atlete che erano venuti a sostenere.

Inoltre lei e Ren si erano classificata nei tempi senza troppa difficoltà; avevano superato addirittura le ragazze della squadra di casa, ma stranamente era l’ultima cosa a cui Eve dava inconsciamente importanza.

In quel momento si trovava silenziosamente a scrutare fuori dalla finestra della stanza d’albergo ed a realizzare che l’indomani sarebbe stato il giorno decisivo per le competizioni, ma soprattutto cominciava a sentire una certa mancanza, come se il correre per le strade di prima mattina, perché in ritardo a causa della sveglia, fosse qualcosa di essenziale.

Ed alla fine del percorso, trovare ad accoglierla l’intero gruppo di amici.

Amici? Strana parola.

Non aveva mai avuto il tempo, né l’occasione di riflettere sullo stato e sul significato di essa, eppure... eppure sentiva tutti così inevitabilmente vicini; la dolce Ayame, l’esuberante Mizuki, il serio e determinato Kojiro, il vivace Takeshi, il gentile Kazuki e... Ken.

Quale aggettivo poteva accostare al nome di Wakashimazu?

Incrociò le braccia al petto. Capace, abile, valente? Atletico, robusto, affidabile? Affascinante? Irresistibile?

No, stava decisamente andando oltre. Lo stava descrivendo come l’uomo perfetto - il che era forse un po’ eccessivo, dal momento che l’uomo perfetto non esiste e lei stessa si riteneva ben lungi dall’essere tale.

- Eve, guarda qui!- Ren aveva acceso la tv e richiamava a gran voce l’attenzione della compagna.

La bionda lasciò i suoi pensieri al davanzale della fredda finestra, avvicinandosi al video, dove un uomo dai capelli bruni ed occhiali scuri parlava con decisione al microfono di un inviato speciale; sotto, in sovrimpressione, la scritta: “Munemasa Katagiri - osservatore Nazionale - Talent scout Federazione Nipponica”.

- Credo che la nazionale si dovrà impegnare molto quest’estate! I ragazzi sono dei fuoriclasse ma anche i vecchi rivali sono migliorati molto. Li aspetterà un campionato mondiale molto duro, ma se la loro grinta avrà la meglio sull’ansia da prestazione, avranno buone probabilità di vincere. Anche se oramai hanno partecipato a più di un torneo, ricordo che sono pur sempre dei ragazzi e che l’emozione di scendere in campo è sempre veramente forte.-

Pareva davvero sapere il fatto suo.

- Un nuovo campionato mondiale!- Ren batté le mani dall’eccitazione - Pensa, ci saranno ancora sicuramente le nostre quattro stelle!-

Si riferiva evidentemente ai quattro migliori giocatori del Toho, ma Eve cadde dalle nuvole.

- Davvero? Oh, già. Così presto?- si rammentava bene che Ken le aveva parlato delle selezioni, e di averle passate egregiamente. Ma non immaginava che da allora fosse trascorso così tanto tempo... sembrava ieri.

- Già.- la compagna annuì, stringendo il telecomando nella mano destra ed indicando Katagiri alla tv - Quest’estate si giocherà in Germania. Non l’ho seguito dall’inizio, però questo tipo carino dice che ci saranno grandi sorprese!-

Si lisciò i capelli neri a caschetto e si sistemò la molletta verde che portava sulla destra della fronte.

Eve si portò una mano all’orecchio destro, carezzando meccanicamente la coppia di minuscoli orecchini d’argento ad anello.

In Germania?

Già, che sciocca, era stata da poco ufficializzata la notizia che per quell’estate Amburgo avrebbe aperto le sue porte alle giovanili sportive di ogni nazione. Uno di quei progetti a livello mondiale atti a promuovere iniziative di rilievo sociale e agonistico... una bella trovata, dopotutto.

Ad un tratto la loro allenatrice bussò alla porta, interrompendo la loro chiacchierata.

- Ragazze, siete ancora sveglie? Vi ricordo, signorine, che domani mattina alle sette dovete essere sveglie e pimpanti al campo! Per cui basta pettegolezzi da salone di acconciature e dritte a nanna!- i passi della signorina Rama si fecero più attutiti sulla moquette del corridoio, poi anche Ren si decise a sedare l’euforia e spense la televisione, riappoggiando il telecomando accanto allo schermo.

- Allora ‘notte, Eve!- disse, stiracchiandosi e massaggiando il guanciale.

- ‘Notte.- rispose l’altra, sistemandosi la larga felpa grigia che le faceva da pigiama e buttandosi letteralmente sul letto.

Si accoccolò sotto le coperte, seguitando a pensare a ciò che la loro tirannica preparatrice atletica aveva interrotto con il suo intervento.

Quell’estate, un nuovo torneo mondiale.

Kojiro, Kazuki, Takeshi e... Ken.

Inevitabilmente il nome del portiere andò a stimolare la sua fantasia in fatto di aggettivi.

Grammatica e retorica a parte, si sarebbero dovuti scontrare con dei veri campioni provenienti da tutto il mondo. Come diceva l’osservatore della nazionale, avrebbero dovuto superare nuove, difficili prove e... ad un tratto un flash.

La voce ardente, eppur consapevole e rassegnata di Wakashimazu.

“Io sono il numero due! Il dannato numero due! E nonostante tutto quello che ho fatto e che faccio, non sono in grado di... di migliorare.”

Wakabayashi! Ma certo, se ci fosse stato anche lui?

Oh, che domande si stava ponendo... certo che ci sarebbe stato anche lui!

Per Ken tutto questo avrebbe rappresentato un ulteriore, doloroso test da vincere. E sicuramente, malgrado quella sua aria indifferente ed a tratti arrogante, avrebbe sicuramente sofferto molto per l’eventuale presenza di Genzo davanti a lui.


Sbadigliò.

Accidenti, si era addormentata tardi la sera prima, seguitando a pensare alle sorti di Wakashimazu... ed ora, per tutto il tragitto sino allo stadio, non era riuscita a tenere a freno nemmeno uno sbadiglio.

- Ehi, non sei agitata?- le disse Ren, mentre fremeva sulla sua corsia.

- Nh...?- Eve le rivolse un’occhiata stranita - No.- rispose tra lo smarrito ed il sospettoso, cominciando ad acquisire la consapevolezza che forse avrebbe dovuto esserlo, dal momento che mancavano pochi minuti al via. Eppure, fu come se tutto quello a cui stava partecipando, di cui era parte integrante, non fosse altro che una scena vissuta in terza persona... si sentì quasi estraniata ed un po’ contrariata.

Il silenzio sopraggiunse inesorabile, dopo il categorico monito del direttore di gara. In uno spazio così esageratamente grande, un’assenza di rumori impressionante si era fatta largo tra le persone e le cose; solo dopo poco il brusio degli spettatori si rifece sentire, irrequieto.

Quando il sovrintendente alzò la pistola, le atlete si abbassarono.

Nessuno sparo, le giovani si slanciarono in avanti una dietro l’altra, per fermarsi qualche metro più avanti.

= Dairou. Quarta batteria. Falsa partenza. =

L’altoparlante annunciò con tono solenne ed impersonale l’errore di Ren, la quale picchiò violentemente un piede per terra, i pugni serrati. Il pubblico ebbe un fremito che si chetò quasi immediatamente.

Eve si era mossa solo di qualche passo, sicura di non aver udito il segnale di partenza, ed ora fissava la compagna di squadra tornare indietro con il volto contrito.

Si sistemò gli shorts azzurri, il numero sedici sulla coscia destra, poi si riavviò una ciocca di capelli biondi dietro un orecchio. Anche le altre tornarono alle batterie di partenza, accanto alle atlete che si erano mosse di poco o non si erano mosse affatto.

Avrebbe dovuto dirle qualcosa?

Forse.

- Non riesco a vedere il traguardo.- sospirò Ren, tremante.

- Il traguardo non si vede.- le rispose Eve, serena.

L’altra alzò il capo, abbassandosi di nuovo in posizione.

- Per questo, se ti aiuta, devi usare qualche trucchetto psicologico.- proseguì, portandosi una mano al ventre scoperto - Fa’ finta che laggiù ci sia chi di più importante hai al mondo.- concluse, indicando con gli occhi la linea di arrivo.

Lei aveva sempre pensato a Nicholas, anche quando lui non c’era più. Soprattutto da quando lui non c’era più.

Ed era stato quel pensiero fisso, quell’ossessione, a darle il massimo impulso per migliorare. Ogni volta aveva corso per raggiungerlo, disperatamente, affannosamente... eppure all’arrivo la attendeva sempre il vuoto. Un vuoto momentaneo, perché sperava, illudendosi che alla prossima gara, se fosse riuscita a fare meglio, sarebbe arrivata ad afferrare almeno l’ombra della sagoma del fratello, prima che potesse svanire, volare via in un filo invisibile.

Ma quel giorno c’era qualcosa di diverso... e forse era per questa ragione che si sentiva così leggera e senza pietre nel cuore.

Avrebbe pensato a qualcun altro: ai suoi amici. A tutti i suoi amici, coloro che erano riusciti a farla sorridere sin dalla prima stretta di mano.

Di nuovo in posizione, il direttore sollevò la pistola e questa volta lo sparo si fece sentire forte e chiaro, rimbombando per alcuni secondi nell’arena.

Le atlete si scagliarono in avanti, prendendo immediatamente una velocità impressionante.

Eve avvertiva la terra sotto di sé tremare, nella sua mente una cantilena ipnotica.

Quadricipite. Sartorio. Vasto. Gluteo. Adduttore. Retto. Polpaccio. Gemelli.

Avanzamento. Come una macchina. Più veloce.

La finale. Doveva avere l’oro.

Ora!

Scattò in avanti con quanta potenza aveva in corpo, contrasse ogni singolo muscolo e mosse le braccia ritmicamente più veloce, per stare al passo con le gambe e bilanciare l’andatura.

Sto arrivando, Ken! Non scomparire!

Se lo immaginò al di là della linea di arrivo, con il dolce sorriso che riservava solamente a lei... e la faceva sentire speciale, tra le nuvole...

Strinse i denti, serrando la mascella ed inspirando a pieni polmoni, mentre le gambe la portavano a tagliare il traguardo.

L’urlo del pubblico divenne un boato, Eve ruotò il corpo di 360 gradi ed ai suoi occhi ora spalancati si presentò uno spettacolo straordinario: l’immensa folla, la marea di persone che strillava e festeggiava per la sua vittoria si confondeva con i coriandoli lanciati sullo sfondo... e tutti sembravano così piccoli ed estatici. Era certa di non conoscere nessuno tra la moltitudine, tuttavia festeggiavano lei, proprio lei, che per prima aveva tagliato la linea d’arrivo.

Era stato tutto così semplice, che ora le pareva il mondo vorticasse forte intorno a lei, mentre gridava dalla felicità. Non aveva mai provato una sensazione di simile compiacimento; non ne aveva mai avuta l’occasione, né lo spirito per esserne in grado, mentre ora... ora che stava vivendo, viveva di gioia.

Un attimo brillante, assordante, stordente.

- Eveeeee! Eeeeeeve!!- la bionda levò il capo ancora ridendo, convinta che una voce così vicina la stesse acclamando ed invece... qualcuno la stava chiamando: Mizuki si sbracciava dalle gradinate, urlando il suo nome con le mani portate alla bocca.

Ayame si era stretta esultante ad un braccio di Kojiro, che l’aveva accolta con altrettanto giubilo. Kazuki e Takeshi battevano forte le mani sopra le proprie teste, urlando con le loro energiche voci maschili ed anche Ken era là... se ne stava in piedi accanto a Mizu, dall’alto della sua imponente statura, con un sorriso disteso sulle labbra e gli occhi luminosi di esultanza.

Allora erano venuti... c’erano tutti!


Fino a quel momento non aveva pensato di poter lavorare seriamente per qualcosa di così impegnativo, ma ora si era fatto tutto quanto più reale.

Dall’inizio era stato quasi come un gioco, o meglio, un’ulteriore futile e superflua competizione che non le avrebbe portato nulla, dal momento che non poteva riottenere in nessun modo la presenza di Nicholas accanto a sé, ma mentre stringeva la medaglia d’oro tra le mani, tutto quanto pareva essere invaso da una luce sfolgorante.

La alzò verso il cielo ed un’ovazione si levò dalle file dello stadio. Mille voci, mille colori, mille e più anime unite in un’unica esultanza. Scontato dirlo, ma era meraviglioso udire urla di gioia solo per lei, soltanto per Eve come singolo individuo e non più come metà complementare di qualcosa di lontano e perduto.

La sera stessa, dopo le interviste di rito, i brindisi ed i festeggiamenti, decise che avrebbe fatto ritorno a casa insieme al gruppo di amici che con così tanta premura si erano messi in viaggio fino ad Hokkaido. Aveva ottenuto il permesso dalla responsabile e, seppur con qualche smorfia di disappunto da parte sua, era riuscita ad eludere telefonate, biglietti e giornalisti - che avrebbe ritrovato in ogni caso al suo ritorno - e fuggire via.

Ora il suo capo poggiava lieve sulla spalla di Ayame, addormentata come lei. L’auto di Kazuki sfrecciava veloce per le strade buie ed avvolte nell’atmosfera notturna, mentre i lampioni rischiaravano il percorso con intensa luminosità.

- Allora il nostro Icaro andrà in Europa?- chiese Kojiro, seduto accanto al portiere con un gomito appoggiato al finestrino. Il suo volto scuro semi illuminato dall’intermittente passaggio accanto alle sorgenti di luce era sereno e disteso.

- Icaro...?- rise Kazuki, il freno abbassato mentre si fermava ad un semaforo - Non potevi scegliere un soprannome più appropriato, credo.-

- Non lo so.- rispose Ken, assumendo un’espressione ambigua e prendendo a fissare distrattamente fuori dal finestrino dettagli che le tenebre gli impedivano di cogliere appieno.

Kojiro riuscì a cogliere nei suoi occhi una vena d’inquietudine, ma tacque mentre Mizuki, accanto e quasi prepotentemente addossata a Takeshi, si stiracchiava, rubandogli sempre più spazio vitale.

- Davvero carina la tua monovolume!- sorrise, rivolta al guidatore.

- Magari avessi una monovolume tutta mia!- rispose Sorimachi, ricambiando il sorriso dallo specchietto retrovisore - E’ di mio padre e, beh, gli dovrò un sacco pieno di yen visto quanto abbiamo consumato in benzina!-

La ragazza rise, mentre Sawada si faceva valere, respingendola per la schiena.

- Non eravamo d’accordo di dividerci la spesa?- affermò poco dopo, vincendo la battaglia contro il compagno più giovane.

Quando arrivarono a destinazione erano trascorse diverse ore e si era fatto piuttosto tardi.

Eve scese stancamente dall’auto, trascinandosi dietro il borsone. Kojiro si offrì di darle una mano, ma lei rifiutò sostenendo che era fin troppo tardi e che avrebbero fatto meglio tutti quanti a tornare a casa, prima di perdere le poche ore di sonno che erano rimaste a loro disposizione per riprendersi dal viaggio.

Sorrise, ringraziandoli ancora una volta di cuore per l’inaspettata e magnifica sorpresa, li abbracciò uno per uno e fece cenno finché l’auto di Kazuki non si fu allontanata dalla sua vista.

Quando entrò in casa si aspettò di poter finalmente entrare in letargo, ma improvvisamente e piacevolmente si imbatté in sua madre, che si era svegliata a causa delle luci e del suono del motore dell’automobile in sosta di fronte a all’appartamento.

Eve dovette rassicurarla e spiegarle che, nonostante la donna si aspettasse il suo ritorno solamente per il giorno dopo, tutto era filato liscio ed era rientrata insieme al gruppo di amici. Le mostrò la medaglia guadagnata nella gara finale che, purtroppo, non aveva fatto in tempo a seguire a causa del turno di lavoro. Ma si dimostrò molto entusiasta e la trattenne per diverso tempo prima di accorgersi che la figlia era molto stanca e che avrebbe fatto meglio a rimandare le chiacchiere al giorno dopo, permettendole di godersi un meritato riposo.

Così Eve poté raggiungere la propria stanza, lasciar cadere il borsone a terra e gettarsi ancora vestita sul materasso. Non fece in tempo a razionalizzare nulla, che cadde immediatamente in un sonno profondo e tormentato da pensieri e figure segrete, seguitando a stringere la medaglia in una mano.

Fino a un anno prima era depressa. Una malattia orribile per una donna così giovane, per sua madre.

Era caduta nel baratro della depressione qualche mese dopo la separazione dal padre e diverso tempo dopo la scomparsa di Nicholas. Eve non era riuscita ad andarsene, a lasciarla sola e partire con il lui per l’Olanda.

Aveva visto allontanarsi inesorabilmente anche l’unico fratello che le era rimasto, desiderando ardentemente cambiare ambiente, seguirli e volare via per stabilirsi in una nuova nazione, lontano da quella che aveva visto la fine della sua metà speculare.

Eppure era rimasta.

Forse per il desiderio di non abbandonare sola a sé stessa la propria madre.

Forse per codardia, per l’incapacità e la mancanza di spirito per ricostruire altrove qualcosa di totalmente diverso e lasciare che le cose cadessero laddove si trovavano, senza mediazione e mutamento alcuno.

Forse per rimanere inesorabilmente e disperatamente attaccata al ricordo, ed a quel dolore che, per quanto distruttivo fosse, era l’unica cosa che poteva ricondurla ancora a Nicholas.

Poi sua madre aveva risollevato il volto al sole, al mondo. Aveva stretto i denti e, come una sorella, si era appoggiata a lei per risalire in superficie e non finire mangiata, logorata da sé stessa.

La morte di qualcosa ch’era nato e cresciuto nei suoi lombi le aveva segnato l’anima con una cicatrice indelebile che avrebbe portato dentro in eterno con la volontà di tenerla stretta, di non lasciarla andare né volerla cancellare, in quanto ricordo di ciò che di più prezioso una donna può possedere al mondo.

L’esigua differenza d’età che intercorreva tra lei ed Eve aveva concorso a permetterle di vedere la figlia come un saldo punto di riferimento ed essere a sua volta qualcosa di più che una madre. A volte pensava che se non fosse stato per questo, probabilmente non sarebbe mai riuscita a comprenderla ed a farsi comprendere e la stessa Eve era grata a qualsiasi tipo di fatalità per averle concesso una persona così unica ed esclusiva alla quale guardare come àncora e non sentirsi irreparabilmente sola.

Sebbene le loro giornate si articolavano in modo differente, era certa che, quando rientrava, quella casa apparteneva ad entrambe. Ed ogni cosa che attestava la proprietà e la presenza della madre - dalle cose più apparentemente sciocche come le riviste a cui era abbonata sul tavolo della cucina, i guanti ed i foulard lasciati nell’inguaribile confusione sul corrimano della scala, i fiori curati nei vasi del salotto e le pantofole al pian terreno - concorreva a riscaldarle il cuore con quell’inconfondibile tepore famigliare e far sentire forte e chiara la sua presenza, anche se invisibile.

Che fare ora?

Europa. Era certa di aver udito Hiyuga parlare di Europa, ad un certo punto del viaggio.

Ed a quello stesso punto del tragitto aveva deciso che ci sarebbe andata, che avrebbe abbandonato la paura, che sarebbe diventata adulta e che, per una volta, avrebbe fatto la cosa giusta: sarebbe andata a fare visita a suo padre.

Non occorreva che rispondesse alla lettera di Dex; tra un indicativo mese avrebbe avuto l’occasione di ripartire.

Secondo le rosee previsioni ed ufficiali comunicazioni della sua preparatrice atletica, se fosse riuscita a piazzarsi bene ai campionati di Hokkaido, avrebbe avuto l’occasione di andare a studiare in Germania e ad allenarsi in campi e strutture molto meglio organizzati in vista dei veri campionati del mondo di atletica juniores.

Aveva avuto l’oro, per cui non le restava altro da fare se non attendere che le venisse rivolta la proposta ufficiale ed accettarla.

I suoi occhi si socchiusero per un attimo, ritornando nel dormiveglia.

Chissà come avrebbe trovato suo padre, in Olanda...

Forse era troppo tardi?

Chissà cos’era successo in quei mesi...

Chissà...


- Te ne vai?!- l’esclamazione di Takeshi si fece largo per il corridoio gremito di studenti.

- Ma come...?- Aya, invece, sembrava spaesata e smarrita.

- Non puoi!!- la categorica Mizuki si era portata le mani ai fianchi, i bracciali tintinnarono rumorosamente tra loro.

- Perché?- la voce di Kojiro sembrava autorevole e pacata come sempre, sebbene avesse lasciato trasparire una vena di sorpresa ed impreparazione alla notizia che Eve aveva appena comunicato loro.

Ken non disse nulla, si limitò a tentare di trattenere un’espressione stordita e rammaricata, mascherandola dietro un volto di ghiaccio, mentre la bionda sorrise semplicemente, stringendosi nelle spalle.

La pausa pranzo era iniziata da un po’ ed i ragazzi erano appena riusciti a riunirsi, così Eve aveva colto l’occasione per comunicare loro ciò che pochi giorni addietro le era stato ufficialmente proposto e confermato dalla signorina Rama: l’Europa era solo questione di tempo.

- Già.- rispose, mantenendo un tono candido - Vado a studiare in Germania, così avrò modo di allenarmi con la squadra agonistica. Mi è stato prospettato ancora prima che partissi per Hokkaido: qualora mi fossi piazzata in una buona posizione avrei dovuto considerare seriamente l’ipotesi. A dire il vero non ci avevo mai nemmeno pensato, ma... è come se adesso tutto quanto mi fosse più vicino, quasi tangibile. Ho la possibilità di lavorare per qualcosa di più e... beh, non vedo perché non farlo.- poi notò l’espressione imbronciata di Mizuki - Ehi, ehi, tornerò!- aggiunse, ridendo.

- Sì, certo, tra sette mesi!- esclamò quella, per niente d’accordo.

- Ma... ci terremo in contatto, vero?!- Ayame aveva curvato le labbra in un’espressione di tenera supplica.

- Certo!- la bionda seguitava a sorridere per non lasciar trapelare il sottile dispiacere che ad ogni modo provava, per aver preso la decisione di partire e lasciare un ambiente così caldo e famigliare.

Ma dopotutto aveva scelto ed infondo sarebbe tornata in Giappone dopo i mondiali.

Il portiere continuava a non parlare, immobile con le mani infilate nelle tasche della divisa scura.

- Però se non torni con l’oro, ti conviene rimanere qui!- sbuffò di nuovo Mizuki, sforzandosi di abituarsi all’idea.

- Beh, su questo ci devo lavorare!- fu la risposta di Eve, che le rivolse un’occhiata scherzosa.


- E così vai via.- Ken scagliò un bolide contro la traversa; la palla rimbalzò e gli tornò violentemente tra le braccia.

Come poteva starle lontano per sette mesi? Sette lunghi mesi, poteva morirne.

Aveva cominciato a sentire il bisogno pressante di dirle tante cose, di urlare, di stringerla finché gli fossero mancate le forze e finché il proprio io non fosse stato saturato dal suo profumo, prima che lei partisse.

- Caspita, saresti un ottimo bomber!- ad un tratto la sua voce, calda ed entusiasta.

Wakashimazu non si voltò, abbandonò cadere il pallone sul campo di ghiaia, lasciando che rotolasse qualche centimetro più avanti.

- Perché sei andato via così?- ora il tono di Eve si era fatto più sereno, quasi malinconico. Il portiere si voltò ed incontrò inaspettatamente i suoi pugnali blu.

Distolse lo sguardo, fissando distrattamente i pentagoni neri della sfera, poco più in là.

- Ehi! Non sarai mica triste per me?- rise d’un tratto la compagna, decidendosi a sbloccare una scena quasi ghiacciata.

- E’ tanto strano?- le rispose lui, in un soffio, sempre seguitando a fissare terra. La ragazza avvertì un tuffo di stupore e tenerezza al cuore nell’udire quelle parole, poi si sciolse in un nuovo, gentile sorriso.

- Non hai i mondiali quest’estate?- gli domandò, facendosi più vicino con aria fiduciosa. Ken si ritrovò a fissarla dritto negli occhi, spalancando i propri.

- Ci vedremo sicuramente, prima del mio rientro in Giappone.- continuò, dicendogli qualcosa che probabilmente anche lui avrebbe fatto bene a tenere presente, prima di gettarsi nell’istrionico sconforto di un moccioso - E non credere di liberarti di me, verrò a trovarti ovunque tu sia in Germania!- aggiunse con una nuova risata contenuta, spalancando le braccia ed offrendogli un contatto che Ken non rifiutò.

Le affondò una mano tra i capelli ed un braccio a cingerle le spalle, mentre lei si trovò ancora una volta a pensare che adorava avvertire le sue dita sul capo e poggiarlo a quell’ampio petto d’uomo.

Si strinsero forte, come fosse l’ultima volta.

Non andare, Eve... resta qui. E’ tutto così perfetto... non mi lasciare adesso. Come faccio a dirti che senza di te le strade la mattina, ogni singolo momento in cui ho occasione di incontrarti e le giornate intere... sarebbero vuote?

Ti amo, Eve, ti amo, ti amo, ti amo...

Per quanto i suoi pensieri fossero saturati di quelle due semplici parole, non riuscì a pronunciare nulla, come se qualcosa bloccasse la sua estrema sicurezza, forse il timore di rovinare tutto quanto e causare l’irreparabile, prima che lei se ne andasse e quindi rischiare di perdere le ultime settimane che gli rimanevano a disposizione da trascorrere insieme.


Un mese passò in fretta - un lampo - più velocemente di quanto potessero supporre.

Sua madre l’aveva salutata da poco, si erano lasciate la sera prima ed ora Eve aveva appena riattaccato il telefono cellulare, dopo averle rivolto gli ultimi arrivederci. Erano rimaste assieme quasi tutta la notte a preparare le ultime valigie ed a farsi compagnia prima della partenza; aveva molto apprezzato il suo sforzo di conciliare gli impegni di lavoro con i propri programmi, addirittura da sacrificare preziose ore di sonno notturno.

Ora il suo volto si rifletteva silenzioso sull’immensa vetrata, ritagliando un esiguo spazio solo per i suoi occhi azzurri.

Sospirò, scuotendo il capo come per levarsi di dosso quella sensazione di ipocondria che cominciava ad aleggiare attorno alla sua persona. Era piuttosto infastidita da questo, non aveva dopotutto deciso? Ed allora per quale ragione si sentiva così sradicare da un luogo che in realtà non avrebbe mai voluto lasciare...?

Centinaia di diverse voci e suoni si alternavano e sovrapponevano nella grande sala partenze internazionali, mentre Ren e la Rama, sedevano l’una assonnata e l’altra impaziente sui sedili in metallo chiaro poco lontano da lei.

Le gigantesche ma discrete luci artificiali riflettevano sui monitor e sugli enormi tabelloni che, gradualmente, scalavano l’ordine dei voli.

L’allenatrice si lisciò i cortissimi capelli rossi e si sistemò il leggero bagaglio a mano su una spalla, stando ben attenta a non sgualcire l’elegante giacca nera; poi si alzò in piedi e richiamò l’attenzione delle sue due atlete, facendo segno di seguirla per il terminal.

Eve si stropicciò gli occhi e rivolse un ultimo sguardo agli aerei sulla pista al di fuori della vetrata, poi si portò la borsetta su una spalla e si voltò per andare dietro a quelle che sarebbero state le sue compagne di viaggio fino a Amburgo.

I suoi occhi si spalancarono all’istante, credendo di sognare, mentre nella sua mente prese a chiedersi se il ragazzo dai lunghi capelli scuri che stava in piedi a qualche metro da lei non fosse tutta un’illusione data dalla sua fin troppo incalzante e precoce nostalgia.

- Ken!- esclamò, correndogli incontro.

Il portiere le prese immediatamente le mani tra le proprie, segno tangibile che non poteva essere un sogno. Lui era là, era là davvero... e non attendeva altro che lei si voltasse e si accorgesse della sua presenza.

- Ti avevo già salutato ieri... perché sei qui?- gli chiese tristemente, realizzando che, nonostante la contentezza di riaverlo dinnanzi, ora sarebbe stato più difficile separarsi.

- Volevo rivederti un’ultima volta ancora.- rispose Wakashimazu, con un placido sorriso.

- Ehi, non essere tragico, ci vedremo quest’estate!- Eve si lasciò prendere dall’ilarità, specchiandosi nel volto perfetto del compagno, che dal canto suo scosse il capo.

- Sì, ma per cinque mesi non...-

- Shh...- la bionda gli portò due dita alla bocca, sfiorando lievemente le sue labbra lisce ed armoniose - Penserò intensamente al mio istruttore personale di Kung-fu!- rise, mantenendo gli occhi fissi nei suoi - Gli scriverò, lo chiamerò e... -

- Ti voglio bene, Eve.-

Gli occhi della ragazza mutarono da sereni a meravigliati, bloccando l’intera frase a mezz’aria.

L’intero mondo attorno a loro ghiacciò, carico di tensione come fosse stato appena pronunciato qualcosa che avrebbe cambiato le sorti dell’intera sua vita.

Ci volle poco perché Eve riuscisse ad interiorizzare ciò che Ken aveva appena espresso, dopotutto nulla di così apocalittico, nulla di così spiazzante... o forse sì...?

Ed ecco di nuovo quella sensazione tremenda di non volersi allontanare da lui, di lasciar cadere tutto e stringersi alle sue spalle, sicura che l’avrebbe sorretta, che l’avrebbe stretta, che non l’avrebbe lasciata cadere.

Avrebbe dato tutto ciò che aveva per un ultimo abbraccio da Ken, ed invece...

- Io devo...- sbatté più volte le palpebre, scivolando via dalle sue mani - Io devo andare!- e si voltò, correndo via.


Sawada procedeva speditamente per il cortile, diretto verso gli spogliatoi.

Quel giorno il tempo non era molto sereno, anzi, le prime gocce di pioggia battevano leggere sulla tettoia del parcheggio per le biciclette, che attraversò velocemente per arrivare a destinazione.

Incrociò il capitano, già in divisa, che attendeva il resto della squadra in compagnia di coloro che, come lui, erano arrivati in anticipo alla sessione d’allenamento pomeridiana. Lo oltrepassò, rivolgendogli un sereno cenno di saluto con la mano, ricambiato da una pacca sulla spalla.

Quando raggiunse finalmente gli spogliatoi vide venirsi incontro un Wakashimazu piuttosto soprappensiero, che per poco non lo notò neppure, se non l’avesse richiamato ad alta voce.

Il portiere gli indirizzò un leggero segno del capo, proseguendo lungo il corridoio grigio e semi illuminato.

A Takeshi parve che il suo volto già piuttosto ombroso avesse acquisito una piega ancor più seriamente impensierita, ma si limitò a passare oltre con insicurezza; quando Ken assumeva quell’aria scura aveva quasi timore ad avvicinarglisi.

Una volta che il compagno ebbe chiuso dietro di sé la porta dello spogliatoio, l’altro si fermò, chiudendo gli occhi per un istante e rimanendo immerso nel silenzio e nella solitudine.

Si era allontanata, era quasi scappata.

Ora che avrebbe fatto? Che avrebbe potuto fare, lui, dal lontano Giappone? Si trovava dall’altra parte del mondo.

Il pensiero di aver definitivamente perso Eve lo faceva sentire vuoto ed impotente e, si sa, quando la fantasia inizia a lavorare, ciò che congettura può essere mille volte più dannoso della realtà.

Gli pareva di non averle detto nulla di male, anzi, era quasi sicuro di fare la cosa giusta dando voce ai propri sentimenti, di modo da trasmetterle l’appartenenza ad un legame stabile che sarebbe sopravvissuto alla lontananza.

Eppure... l’idea che Eve potesse tornare cambiata, che le cose al suo rientro in Giappone sarebbero divenute totalmente fredde ed impersonali, l’idea che potesse trovare qualcuno e che per questa ragione od un’altra non potesse tornare affatto gli prendeva lo stomaco come una raffica di violenti pugni. E faceva male.


Quel giorno lei e Ren uscirono dall’ostello molto presto, si erano ambientate con inaspettata facilità ed i responsabili erano stati molto disponibili con tutte le nuove arrivate.

La signorina Rama aveva affittato un appartamento poco lontano - raggiungibile con qualche fermata di bus - e si era premunita di riempirle di note con numeri di telefono, indirizzi, orari di ritrovo per gli allenamenti ed addirittura recapiti di alcune boutiques che aveva avuto modo di scoprire di persona, tempo addietro. Era senza dubbio una donna di mondo, super organizzata e iperattiva, ed a tratti la cosa spaventava un po’ le sue due pupille.

Ren ed Eve si trovavano per la prima volta ad affrontare un ulteriore primo giorno di scuola in un istituto straniero. Avrebbero seguito i cosiddetti corsi light per conciliare una preparazione atletica a livello mondiale, ma non tralasciare in maniera assoluta lo studio. Quando sarebbero tornate in patria, si sarebbe trattato di recuperare il tempo perduto sui libri, ma l’evento pareva ancora così lontano da non impensierirle.

Le ragazze giunsero davanti all’edificio prima che suonasse la campanella. C’era già una miriade di gente, nessuno indossava divise ed ognuno portava sulle spalle uno zaino diverso e colorato, tanto che Eve si trovò a realizzare che Mizuki sarebbe andata a nozze con il sistema estetico dei paesi occidentali.

- Mi sento un po’ in soggezione...- sospirò Ren, sistemandosi nervosamente le forcine colorate che le pinzavano le ciocche di capelli ai lati del volto.

Eve si lasciò seguire all’interno dell’edificio rosso cupo ed insieme cercarono la loro classe; dopo qualche difficoltà la trovarono e si prepararono definitivamente per una nuova vita scolastica.

Se c’era una cosa che le era subito mancata era l’essere destata la mattina da un’immancabile sveglia in ritardo ed indossare la sua divisa. Era piuttosto strano vestirsi normalmente anche per andare a scuola, sebbene non fosse affatto male.

In quei giorni si impegnò a fondo nell’allenamento, pose ben chiaro dinnanzi a sé il detto chi ben comincia è a metà dell’opera, soprattutto per evitare di rimanere indietro rispetto alle giovani africane che, dopo il primo incontro, le avevano trasmesso con il loro talento innato una voglia di dar fondo a tutte le forze. Contro di loro ci sarebbe stato parecchio da faticare, erano veramente fenomenali!

La piega iniziale che aveva preso la sua avventura europea la indusse anche a riflettere su ciò che aveva lasciato ed a occuparsi di mantenere la promessa fatta ad Ayame, ovvero quella di scrivere e mantenersi in contatto con gli amici e, soprattutto, di risolvere il pasticcio che aveva combinato con Ken, l’ultima volta che si erano visti.

Si era sentita una sciocca per ciò che aveva fatto... lui le aveva detto di volerle bene e in tutta risposta lei si era voltata ed era scappata, letteralmente fuggita via. Doveva esserle sembrata una stupida... dopotutto, non era quello che voleva sentirsi dire? Non era certo una dichiarazione d’amore, era un semplice ti voglio bene, eppure era riuscita a comportarsi in maniera idiota anche in quell’occasione.

Sospirò. La prima cosa che avrebbe fatto, appena messe in ordine le idee, sarebbe stata una telefonata a Wakashimazu, mentre ora si sarebbe occupata di scrivergli una lettera che, nonostante la lentezza del trasporto postale, gli avrebbe sicuramente fatto piacere ricevere - insieme al disegno che il ragazzo aveva tanto elogiato, nonostante Eve si fosse affrettata ad affermare di averlo gettato via.

Non era stato affatto così, l’aveva tenuto e l’aveva portato con sé. Ora l’avrebbe incluso alla lettera, sperando di poter realizzare una gradita sorpresa.


 

Torna all'Indice capitoli
Torna all'indice Fanfiction