Ombre di cicatrici

 

 

CAPITOLO 10 – La nazionale




- Ehi!- fu la prima, sorpresa esclamazione che le sfuggì dalle labbra, quando incontrò Ren seduta al tavolino della hall, intenta a sistemarsi il colletto di una camicetta scollata.

- Eve!- fece quella, di rimando, saltando su e correndole incontro - C’è poco da stare allegri, la Rama è nera di rabbia! Ma dove sei stata?! Senza dire nulla! Che cavolo...- fece poi, dando un occhio all’orologio ed afferrando la borsetta per poi sfrecciare fuori dall’ostello - Ti aspetta su...- aggiunse in tutta fretta, andando incontro ad un tizio dall’aria tutta tedesca a cui la compagna non badò molto, vista l’impossibilità di riconoscerne i lineamenti, data a sua volta dall’essere in controluce ed abbagliata dal riflesso della porta girevole che in quel momento catturava i raggi del sole e li direzionava giusto nei suoi occhi.

Bell’accoglienza dopotutto, si trovò a pensare, mentre saliva le scale e raggiunse la propria camera. L’allenatrice la aspettava - dopo la telefonata ricevuta appena atterrata all’aeroporto di Amburgo - camminando nervosamente per la stanza.

- Springer!- tuonò, non appena la vide - Sei giorni! Sei! Ma dove diavolo sei stata!? Cosa ti è saltato in mente!? Potevi almeno avvisare!! Dove diavolo sei andata a cacciarti!?- ripeté, decisamente più che nero, il suo volto aveva assunto una colorazione paonazza.

- In Olanda.- rispose semplicemente, stringendosi nelle spalle e non concedendo nient’altro all’allenatrice.

- Chi ti ha dato il permesso!? E a fare cosa?! Sei sotto la mia responsabilità, indipendentemente dal fatto che tu abbia superato o meno la maggiore età!!- sbraitò di nuovo la donna, i cui pendenti tintinnarono rabbiosamente e la bocca si apriva in maniera spropositata e quasi spaventosa agli occhi silenti di Eve.

- Lo so, mi scusi.- fece di nuovo la ragazza, con tono noncurante, quasi indifferente. Questa volta Mihoko Rama sentì i propri nervi spezzarsi, la faccia tosta di quella ragazzina era insopportabile, come poteva rimanere impassibile dopo la gravità dell’azione che aveva compiuto?!

- Non prendermi in giro, Springer! Sei fuori dalla squadra!- poche parole, il concetto era chiaro.

- Come vuole.- disse la bionda, alzando nuovamente le spalle. L’aveva bene messa in conto una conseguenza del genere, addirittura come uno dei mali minori che potevano venirne. La donna - infastidita e irritata più che mai - voltò i tacchi ed uscì dalla stanza, sbattendo la porta con un movimento repentino del braccio. Se fosse rimasta un minuto di più, probabilmente avrebbe finito per metterle le mani al collo!

- Scommettiamo che domani verrà ad implorarmi di ritornare?- fece Eve, con la medesima leggerezza nel tono, rivolta a sé stessa, più che ad un interlocutore invisibile che s’immaginava avesse assistito all’intera scenata.

Aveva fatto i suoi calcoli molto meglio dell’allenatrice, lucidamente ed alla luce di ogni variabile e, sebbene tutto fosse accaduto così rapidamente e quella donna fosse decisamente fuori di sé, di certo Eve aveva considerato il punto cardine dell’intera impresa che la Rama mirava a farle svolgere.


- Ed ecco perché ti chiedo di tornare a far parte della squadra.- concluse, trattenendo un moto di stizza e tentando di mantenere il controllo; dopo la sfuriata del giorno prima, l’aveva decisamente data vinta ad Eve, che dal canto suo se ne stava seduta in poltrona con le braccia incrociate, un sopracciglio alzato ed abbigliata ‘in borghese’ con una canotta nera a pieghe ed un paio di jeans chiari piuttosto larghi per la sua vita sottile.

- Ci avrei giurato!- fece la ragazza, non riuscendo a frenare un mentale complimentarsi con sé stessa per aver previsto tutto in modo esatto. Il mondo della Rama era incentrato sui nuovi talenti, non poteva privarsi di lei, sarebbe stato un terribile spreco di fama - ovviamente per sé stessa, non certo per l’atleta in questione.

- Attenta Eve!- fece quella con un pugno serrato sul tavolo, irritata dal fatto che oramai Eve pareva aver scoperto il gioco - O questa è l’ultima gara che correrai!-

- Lo so bene.- affermò la bionda, chiudendo gli occhi - Sarà l’ultima.-

Di certo l’allenatrice non si aspettava una replica del genere. Sapeva bene che quella ragazzina era difficile da smuovere, ma certamente non avrebbe mai confidato in una risposta così condiscendente.

- Come...?- si trovò senza parole, prendendo a fissarla in modo strano.

- Dopo questi mondiali non correrò più.- annunciò l’altra, confermando alla Rama di aver sentito bene.

- Ma sei impazzita!?- ci volle poco perché la donna saltasse su di nuovo, realizzando le intenzioni dell’atleta che sedeva di fronte a lei con sguardo distaccato e recependo finalmente il messaggio - Ti rendi conto o no delle possibilità che hai, diventando una velocista di prima classe!?- di nuovo un’esclamazione stralunata, accompagnata dal gesto nervoso di passarsi una mano tra i cortissimi capelli scarlatti.

- Rendersi conto non significa accettare l’opzione.- Eve incrociò le mani al petto, intrecciando le dita - E correre non è quello che desidero fare. Se voglio vivere veramente come dico io ed esserne felice, devo fare ciò che più mi piace.-

La Rama pareva non essere per nulla d’accordo, prese piuttosto a fissarla come avesse parlato arabo o in qualche idioma indecifrabile e perciò incomprensibile.

- Hai preso della droga, in Olanda?!- non si risparmiò una maligna allusione - Non parlarmi come se fossi Buddha, tu hai perso la testa!!- di nuovo una nota stridula nella voce spazientita.

A tratti Eve si cominciava a chiedere cosa mai avesse preso all’allenatrice. Sembrava un’indemoniata, non l’aveva mai sentita urlare in quel modo e decisamente stava rischiando di farle saltare i nervi - oltre che i timpani - per cui si decise a troncare la discussione.

- So benissimo che per lei e la sua carriera sono importante, per questo mi ha chiesto di ritornare nel gruppo.- i suoi occhi di ghiaccio percorsero il volto della donna con silente flemma - Ma non posso trattenermi oltre il mondiale. Ho lavorato sodo e vi parteciperò, ma la mia non è una passione.-

Si risparmiò dal dirle che aveva pensato e spiegato mille volte che la corsa era sempre stato un modo per allontanare i problemi e tenere occupata la mente. Non voleva farlo per tutta la vita, non voleva finirne divorata. Avrebbe conservato un piacevole ricordo, ma nulla più. E nulla di meno.

L’altra si zittì. Allora l’aveva capito? Che quella ragazzina avesse compreso ciò che la muoveva di certo non era lusingante, ed un attimo di reticenza le si fece largo nella mente.

Di certo non poteva costringerla, nemmeno offrendole sacchi d’oro. Poteva solo sperare che tutto fosse momentaneo e seguitare a tentare di convincerla con pazienza e pacatezza nelle settimane a venire.

- Fa un po’ come credi, Springer...- concluse poi semplicemente, lasciandosi cadere rassegnata sulla poltroncina dietro la scrivania, mentre Eve lasciava l’ufficio.


- Ehi, Karl Heinz!- Ren gli si avvicinò correndo, mentre lui le sorrise e le fece cenno con la mano.

Non appena l’ebbe raggiunto la ragazza gli stampò un bacio sulla guancia, per poi tornare a guardarlo negli occhi ed a sciogliersi sotto il suo sguardo da principe.

- Ciao...- ripeté poi, più pacata e timidamente.

- Sai dove posso trovare Eve? Dicevi che è tornata ieri.- le chiese poco dopo, mentre lei abbassò le mani dalle sue larghe spalle e gliele portò al petto.

- E’ in camera.- rispose, accompagnandolo fino al pianerottolo, poi lasciò che il bomber salisse e bussasse alla porta.

Eve gli aprì con aria indaffarata ed evidenti difficoltà a sistemarsi l’incrocio elastico del top da allenamento sulla schiena. I suoi occhi poco attenti in quell’istante non mancarono di avere un palpito di sorpresa, trovandosi di nuovo di fronte a Schneider.

- Ehi, che ci fai qui?- gli domandò, abbandonando la soglia e lasciando che lui entrasse, tornando dinnanzi allo specchio a figura intera e voltandogli le spalle per tentare di risolvere il problema.

- Allora ci sei! Dove ti eri cacciata?- le sorrise di rimando, chiudendo la porta dietro di sé.

- Mh... - finalmente l’incrocio pareva andare come doveva andare - Mi serviva una breve pausa.- fu la vaga replica della bionda, che repentinamente si sedette sul bordo del letto per allacciarsi le scarpe.

- Oh, a proposito!- scattò, associando il movimento alla figura del nuovo venuto - Mi hanno detto che sei stato tu a portarmi dentro al campo, quando sono svenuta... beh, grazie.- fece, lanciandogli un’occhiata riconoscente.

Karl arrossì di colpo al ricordo di cos’era accaduto poco dopo, così si voltò e, mantenendo la sua aria signorile, prese a fissare un punto imprecisato al di là della finestra.

- Di nulla.- ribatté, annuendo convinto.

- Qualcosa non va?- gli chiese preoccupata, facendosi vicino per afferrare il cappellino da baseball sulla scrivania. Era decisamente indaffarata e poco concentrata su di lui.

- No, no. Tutto okay.- le disse, voltandosi di nuovo e sorridendole. Questo doveva fargli intendere che Eve non ricordava... del bacio, perlomeno. Sicuramente dormiva, anche se quasi avrebbe preferito sperare fosse stata cosciente, accantonando l’incertezza ed andando dritto al punto.

- Tra poche ore sarà qui la nazionale giapponese.- fece poi, cambiando repentinamente discorso.

- Lo so!- fu l’esclamazione euforica di Eve - Non sai quanto ho aspettato questo momento!-

Schneider fu investito dalla vitalità della frase, lasciandosi andare ad un commento che subito dopo ritenne sciocco.

- Allora tiferai Giappone?-

Eve lo guardò di sottecchi, con aria sorniona.

- Beh, se vuoi alzerò una bandierina anche per voi!- sorrise, lo stava evidentemente prendendo in giro. Ma Karl sorrise di rimando, lasciandosi alle spalle l’ostacolo dei pensieri che avevano preceduto quelle parole.

- Anche se Wakabayashi sarà in porta?- le domandò a bruciapelo, tentando di punzecchiarla laddove sapeva essere un punto conosciuto e instabile. Forse l’unico punto conosciuto, ora che ci pensava bene... di Eve sapeva davvero così... estremamente poco.

- Oh, no. Quello lo escludo categoricamente! Sarà Wakashimazu il titolare!- fu come se al pronunciare il nome di Ken i suoi occhi celesti avessero assunto un tono mille volte più luminoso e fiducioso.

- Oh.- a Karl non venne in mente più nulla da dire al riguardo, se non una breve esclamazione intesa ad affermare che aveva capito - seppure quasi sorpreso da quel nuovo slancio da parte della ragazza.

- Scusa se non mi trattengo oltre, ma stavo andando a fare gli ultimi allenamenti della settimana. Pochi giorni e poi il grande incontro col resto del mondo.- sorrise, accompagnandolo sul pianerottolo e chiudendo la stanza a chiave, per poi infilarsela nella tasca della felpa grigia - Beh, ci si vede!-

Sparì giù dalle scale in un battibaleno, così velocemente che Schneider si chiese se mai si fosse realmente accorta della sua presenza; rimase in piedi a guardarla andare via dalla finestra del corridoio che dava sulla strada e considerando che, accidenti, si era preso proprio una bella cotta.

Forse l’insolita iniziativa che quella ragazza aveva preso con il voler sfidare Genzo, forse il suo essere sempre così elusiva... e forse proprio il fatto di non sapere proprio nulla di lei, se non le cose essenziali, avevano concorso a farlo sentire inevitabilmente affascinato dalla sua persona.

Ma... allora, si chiedeva, perché mentre Eve era via, aveva baciato Ren?

All’inizio aveva accettato di uscire con lei pensando si dovesse ambientare ed avesse bisogno di qualcuno della città per farlo... eppure era successo. Si era lasciato trascinare anche il giorno successivo in un incontro che non aveva più nulla del ritrovo, ma aveva preso la piega di un vero e proprio appuntamento.

Ren era carina, simpatica, una ragazza solare e decisamente disposta a mettere in gioco ogni cosa e fin dal primo istante. L’aveva compreso addirittura al termine del loro primo incontro, gli era bastato chiacchierare un po’ con lei perché gli venisse presentata l’intera vita, i gusti, le preferenze di quella ragazza che, nella timidezza, era risultata comunque molto appassionata.

E come in ogni finale che ci si aspetta perfettamente, era scappato il bacio. Anche se, considerando le cose, era stata forse un po’ lei ad essergli saltata addosso... certo non gliene faceva una colpa, dal momento che si era trovato a ricambiare il contatto con il medesimo trasporto.

Ed ora? Come fare per spiegare a Ren che era stato tutto un malinteso... e che prima che Eve partisse, aveva baciato lei, sebbene questa non potesse ricordarlo e, soprattutto, paresse tutta presa dalla nazionale nipponica. Inoltre cominciava a balenargli in mente il sospetto che fosse interessata ad un soggetto preciso degli undici; al solo nominare Wakashimazu Eve era scattata come una molla... ed ora che ci pensava bene, l’aveva nominato e difeso anche la prima volta che avevano avuto occasione di parlarsi...


- E così questa è la Germania...- Misugi scrutò il paesaggio con aria attenta e soddisfatta - Proprio come la ricordavo.-

Il sole si infrangeva leggero sulla sua fronte, rivolta al verde degli alberi del grande viale che costeggiava i campi. Era quasi un idillio - quasi, perché una presenza fin troppo vivace concorreva a turbare la quiete dell’arrivo.

- Dov’è Schneider?! Eh?! Lo incontriamo, vero??-

Una presenza che Takeshi riusciva a sopportare a stento anche nel vecchio continente.

- Piantala, Mizuki! Ma perché l’abbiamo portata!?- sbuffò, alzando gli occhi al cielo e sprofondando nel sedile del pullman, accanto al finestrino.

- Forse perché mio padre è stato incaricato di seguire la nazionale juniores in trasferta mondiale, te l’ho già detto che è il miglior reporter sportivo di tutto il Giappone?! Mi ha permesso di venire perché sono dolce, carina e di compagnia!- la ragazza si ravviò una ciocca di lunghi capelli ricci dalla fronte, poi si arrangiò la maglietta con la stampa ‘Bier? Hier!’ di modo che chi non l’avesse ancora vista, potesse saggiare del suo tocco di classe a tema.

- Ah, sì? Non ti ha portata perché l’hai pregato fino all’estremo?- il ragazzo roteò di nuovo gli occhi - E poi levati quella maglietta, sembri un’ubriacona!-

Mizu non la prese bene, gli rifilò un doloroso pizzicotto su un braccio, portandosi le mani ai fianchi.

- Punto primo, io non prego nessuno! Secondo, carino, guarda che la maglietta è di buon auspicio! Non mi piace per nulla la birra, se la vuoi sapere tutta, ma qui siamo nella patria del luppolo e voglio sembrare simpatica e gradevole! E poi se non ti va di stare in mia compagnia puoi anche girare al largo e non starmi appiccicato!!- esclamò infine, stizzita, potendo finalmente riprendere fiato.

- Ne avete ancora per molto, voi due?- questa volta fu Kazuki ad alzare gli occhi al cielo.

Uno spaesato Tsubasa si sporse dal sedile anteriore, rivolto ad un quasi irritato Kojiro.

- Sono così tutti i giorni?- rise.

- Tutti i giorni.- confermò Hyuga, portandosi una mano alla fronte e massaggiandosi le tempie. Quei due gli avrebbero fatto venire l’emicrania ancor prima di scendere dal bus.

Qualche minuto di viaggio ancora e la nazionale giapponese poté fare il suo ingresso nell’hotel in cui avrebbe dovuto alloggiare per il resto del soggiorno in città. In quella parte di Amburgo c’erano diversi alberghi e strutture sportive adibite per l’occasione del torneo internazionale di rugby, di calcio juniores e le olimpiadi giovanili di atletica.

Si trattava di eventi mondiali promossi in contemporanea per incentivare lo sport agonistico a livello giovanile e intercontinentale ed il tutto si sarebbe svolto durante quell’estate assolata nell’accogliente Germania.

Ken si stava giusto chiedendo quando Eve avrebbe disputato la prima gara, ma i suoi pensieri furono interrotti da un impeto di folla dell’intera squadra verso un punto preciso della hall.

Si avvicinò anche lui, richiamato da un altrettanto stranito Misaki per scoprire la fonte di tanto entusiasmo: Genzo Wakabayashi uscì dall’ascensore con il cappellino calcato sulla fronte. Ci volle un attimo perché alzasse la testa, si fermasse e sorridesse all’intero gruppo, ben conscio che tutti gli occhi erano canalizzati su di sé.

- Si è messo in posa. Si è messo in posa, da non credere.- Ken non seppe trattenere un’uscita a bassa voce tra l’ironico e lo stralunato - Potrebbero scritturarlo per uno di quei telefilm cult americani, quelli di nicchia, ma che presto diventano un fenomeno mondiale. Poi tutte le ragazzine comprerebbero le sue figurine, attaccherebbero il suo poster al muro e...- Kojiro gli tirò una salutare gomitata ad un fianco, frenando il suo sarcasmo e lasciando che i due portieri si fissassero, sorridendosi - ma non troppo - con aria di sfida.

E dopo l’ovazione, il festeggiamento, il giubilo per Wakabayashi - dovuto principalmente al fatto che non si faceva vedere da tre anni, oramai - Wakashimazu poté raggiungere finalmente la propria stanza.

- Che fai, Kojiro? Entri o pianti la tenda in corridoio?- disse, seccato. Il capitano gli lanciò un’eloquente occhiata delle sue, poi fece il suo ingresso in camera - luminosa e spaziosa, degna di personalità illustri, sebbene lui non si sentisse per nulla tale e né s’era mai posto la questione.

Ken buttò lo zaino per terra, che si fermò pesantemente sul pavimento. Le valigie sarebbero state scaricate e trasportate a tempo debito dagli addetti.

- Ehi, calmati o Genzo ti straccerà, se sei nervoso non concluderai niente.- Kojiro aveva poca voglia di discutere, sospirò e si distese sul letto, sprofondando nel materasso. Ken era andato così bene fino ad allora, perché avrebbe dovuto farsi venire la bile per la sola presenza di Wakabayashi...?


- Ci vediamo!- Eve si fece largo tra la folla di ragazzi che attendevano il loro turno per gli allenamenti della maratona ed uscì di nuovo dal campo, diretta negli spogliatoi.

- Sì... allora chi è!?- una voce femminile tutta eccitata la raggiunse, investendola in pieno non appena fece il suo ingresso nel piccolo ambiente illuminato dalla lampada rettangolare.

- Ehi! Ciao, che succede?- salutò la bionda con noncuranza, appoggiando il borsone alla panca e prendendo a rovistarvi all’interno alla ricerca di un asciugamano per la doccia.

- La nostra Ren ha una storiella con un campione, ma non ci vuole dire chi è!- disse la ragazza dai capelli corti che aveva appena parlato. Era la terza migliore del Giappone, si chiamava Eiko e veniva da Sendai, sul fiume Hirose. Portava le ciocche nere non troppo lunghe sempre raccolte in un codino ed al principio aveva mostrato un po’ di diffidenza nei confronti delle due del Toho, forse gelosa del fatto che fossero giunte insieme ad occupare le posizioni più alte della classifica nazionale... o forse per semplice iniziale snobismo, che si era col tempo placato per lasciare il posto ad un amichevole sorriso.

- Un campione? Allora, Ren, chi è?- sorrise Eve, togliendosi la maglia e prendendo ad armeggiare con le scarpe ed i calzoncini. La compagna si vedeva messa alle strette, da quando aveva confidato a Eiko dei suoi appuntamenti, la cosa pareva essere destinata a diventare di pubblico dominio.

- E va bene...- sospirò, rassegnata ma anche lusingata dal fatto di frequentare una così invidiata personalità - Si... si chiama Karl Heinz...- arrossì nel pronunciare il nome del ragazzo a cui aveva preso a pensare giorno e notte.

- Schneider!? Il bomber tedesco??- il grido di Suzue le colse di sorpresa. Lei si era classificata quarta alle nazionali, era soprannominata la gigantessa di Shizuoka per la sua considerevole altezza. I capelli castani le arrivavano giusto alle spalle ed i grandi occhi del medesimo colore erano sempre vigili ed attenti, pronti quasi a scattare come quelli di un gatto laddove percepiva il minimo cambiamento d’aria. Era una ragazza molto divertente, era piuttosto brava ad imitare i personaggi della tv, ma ancora di più quelli realmente esistenti... e quando aveva incontrato la Rama ed aveva preso a farle il verso, Eve e Ren ricordavano di essersi spanciate dal ridere per una giornata intera.

- Zitta!- Ren arrossì ancora di più e le tappò la bocca con la mano.

- Ehi, allora si dà da fare con le nuove arrivate, il biondino!- sogghignò Suzue, da dietro le sue dita - E poi perché nasconderlo? E’ una bella cosa, no?-

- S... sì...- mormorò l’altra, come una bambina timida.

Eve sorrise. Ah, ecco perché Schneider gironzolava così spesso per l’ostello e spesso le capitava di ritrovarselo in camera nei momenti più strani...

- A proposito di bei calciatori...- intervenne, con sguardo ammiccante - Lo sapete che i nostri sono qui?-

- Che!? La nazionale di calcio!? Di già!? Io sapevo che sarebbero arrivati la prossima settimana!- Eiko sgranò gli occhi, colta di sorpresa, mentre Eve riassumeva un’aria maliziosa.

- Sì, e io ho tutta l’intenzione di andarli a trovare oggi, al primo allenamento utile.-


Tatsuo Mikami assisteva agli allenamenti con piglio severo, al suo fianco Munemasa Katagiri, sigaretta alla bocca.

Avevano discusso a lungo sui probabili errori di formazione, cosicché potessero decidere per quella definitiva senza ulteriori intoppi. Ciò che era certo era che Misaki e Oozora sarebbero stati collocati a centrocampo, e con Kojiro in attacco avrebbero sfondato le difese avversarie con grande fermezza; la risolutezza del numero nove era conosciuta ben oltre gli schemi di gioco.

Il problema che ora si stavano ponendo era il decidere quali difensori schierare ed il portiere che sarebbe stato titolare. Wakashimazu era migliorato parecchio e Katagiri aveva aguzzato l’occhio ben prima del commissario tecnico, riconoscendo in Ken miglioramenti fin troppo evidenti. Ciò che si domandava in quel momento era se anche Mikami avesse notato il medesimo sviluppo delle doti dell’estremo difensore e lo stesse confrontando con Wakabayashi, il suo pupillo di sempre.

I nomi di Makoto Soda e Hiroshi Jito erano già stati annotati sul taccuino dell’allenatore, erano dei grandi difensori, fuori e dentro l’area di rigore erano capaci di creare un vero e proprio muro invalicabile ed era evidente li ritenesse molto validi.

- Un 5-4-1?- chiese Munemasa, a puro scopo informativo.

- Già...- rispose pensoso Tatsuo.

- Che c’è?- domandò ancora il primo, notando l’apprensione dell’allenatore.

Il responsabile stampa, il signor Awashida, ascoltava la conversazione tra i due, voltando di tanto in tanto la testa per dare un occhio alla giovane figlia che stava seduta sulle gradinate ad ammirare i bei ragazzi che le sfilavano dinnanzi in campo. Mizuki fece un cenno con la mano al padre, accompagnandolo con un sorriso a trentadue denti, poi tornò ad appoggiare la testa sul palmo della mano ed a mirare i giocatori con aria sognante. Una pacchia, decisamente.

- Hai notato Wakashimazu?- replicò Mikami, di rimando.

- Certo. Non passa di sicuro inosservato.- Katagiri aveva appena avuto la risposta alla domanda che si era posto qualche istante prima - Ha fatto progressi stupefacenti.- soggiunse poi, sistemandosi gli occhiali scuri.

- Esatto.- il sospiro del più anziano dei due era grave e apprensivo - Sto pensando seriamente di schierarlo sin dal primo incontro, nonostante la presenza garantita di Genzo.- fece, mantenendo lo sguardo fisso sul ragazzo che si apprestava a calciare una saetta verso Sano. Il talent scout rimase qualche istante soprappensiero.

- Che dirà Wakabayashi?- esordì qualche attimo dopo.

- Genzo è un gran portiere, la sua tecnica è stabile. Ed io lo conosco bene, fin troppo bene. Sia lui che Wakashimazu hanno fatto grandi progressi in questi ultimi anni, ma è come se il miglioramento di Genzo si eclissi in confronto a quello di Ken. Il nostro giovane karateka mi ha stupito... ed immagino abbia in serbo ancora molto per noi. Sarebbe da irriconoscenti, inoltre, non dargli un’immediata possibilità.-

Il suo interlocutore rimase pensieroso. Certo sarebbe stato un cambiamento, se davvero Ken fosse stato rivestito di tale carica sin dal principio. A dirla tutta non gli dispiaceva; aveva visto quel ragazzo ad ogni torneo crucciarsi per essere secondo, anno dopo anno... e se lo sarebbe meritato davvero, il posto.

- Non crede che, invece, sarebbe meglio tenerlo per le partite oltre gli ottavi?- sollevò invece una repentina questione tecnica, alla quale però, Mikami seppe tener testa con sguardo altero.

- Ogni partita è importante, non sottovalutare questo mondiale, Katagiri.- mormorò, il tono basso e quasi con una punta di rimprovero tra una pausa e l’altra, poi si portò le mani a megafono alla bocca.

- Basta così! Venti minuti di pausa e poi si ricomincia!- annunciò voltandosi, diretto nel suo ufficio.


- Ci siamo.- si disse Eve.

Ren camminava accanto a lei, pensierosa, stretto al petto il pass che attestava la loro appartenenza alla federazione sportiva, tanto da permettere di entrare negli impianti agonistici senza troppi problemi. Aveva insistito perché la compagna la portasse con sé, curiosa di vedere da vicino quelli che erano stati definiti stelle nascenti del calcio giapponese.

Le due avevano attraversato il lungo corridoio semi illuminato, per poi essere investite dalla brillante luce del sole, una volta sul campo erboso. Fecero per muovere i primi passi verso il gruppo di giocatori riunito poco lontano, quando una voce le sorprese alle spalle.

- Ehi, voi due! Chi siete?- era un tono categorico, ma conosciuto.

Eve si voltò lentamente, come se più che da quel richiamo perentorio, fosse stata attratta da una goccia di passato.

Ci vollero diversi secondi perché colui che aveva parlato si abituasse alla vista dei suoi occhi azzurri, di nuovo dopo tanto tempo. Il cannoniere spalancò le palpebre, non credendo ai propri occhi... anche se era controluce poteva distinguere il corpo snello ed i lineamenti del viso di quella ragazza - che oramai erano diversi mesi che non incontrava. Indossava un paio di jeans lunghi e risvoltati sulle scarpe dalle stringhe slacciate ed una canottiera bianca che le fasciava le forme sul petto, sugli avambracci delle polsiere dello stesso colore... e gli sorrideva.

- Eve!- esordì finalmente Kojiro, enfatizzando il tono con un sorriso. Accidenti, di certo non si aspettava di incontrarla come infiltrata, pensava ad un incontro un po’ più formale, ma tutto sommato era contento di rivedere quella peste -anche così inaspettatamente. Immaginò immediatamente la faccia che avrebbe fatto Ken, gli sarebbe preso un colpo... senza nessun preavviso!

Takeshi, al suo fianco insieme ad un altro ragazzo, curvò le labbra nello stesso stupito sorriso e le corse incontro insieme a Hyuga, che le aveva già stretto amichevolmente la mano e le domandava come fossero andate le cose fino ad allora. I tre presero a parlare fitto fitto per qualche istante, finché Sawada non si accorse di aver mollato asciugamani e bottiglie d’acqua al ragazzo che era rimasto indietro. Il povero Oozora, infatti, era rimasto in disparte con il carico tra le braccia ed un’espressione sorpresa sul volto... la stessa che contraddistingueva Ren nello stesso istante, poco lontano da Eve.

- Aemh... scusa... Eve, lui è il nostro capitano: Tsubasa Oozora.- soggiunse Takeshi, invitando il numero dieci a farsi avanti e riprendendo la propria parte dalle sue mani - E lei è Eve Springer, corre per il Giappone nei mondiali di atletica leggera e... beh, frequenta il Toho.-

I due si scambiarono uno sguardo sereno ed un lieve inchino.

- Piacere.- fece lei, notando solo allora la stranamente silenziosa compagna di squadra alle proprie spalle - Ah, e... lei è Ren Dairou, una mia compagna di squadra.-

Il ragazzo sorrise, forse un po’ più risollevato di sapere che le due ragazze erano amiche dei compagni del Toho, piuttosto che fan sfegatate a caccia di autografi... era già capitato una volta e, beh, non era stata una gran bella esperienza.

- Piacere mio.- rispose, cortese - Come mai avete fatto intrusione nel campo?- domandò, dopo che anche l’altra atleta ebbe compiuto il proprio gesto di presentazione.

- Devo fare una sorpresa ad un amico...- la bionda rimase sul vago, non nascondendo un sorrisetto impaziente - E Ren era curiosa di vedere la nazionale da vicino.- aggiunse, mentre l’amica annuiva convinta. Era davvero desiderosa di vedere i calciatori della juniores all’opera - in allenamento, ma almeno da vicino. L’incontro con Karl e gli sviluppi che aveva avuto l’avevano indotta ad interessarsi molto di più a quel mondo che fino ad allora aveva avuto occasione di vedere soltanto in tv. Non era nemmeno mai stata una tifosa della squadra dell’istituto, sebbene simpatizzasse.

- Ah, ed ovviamente per fare il tifo per voi!- soggiunse la bionda dopo un attimo, portandosi le mani ai fianchi.

- Oh... per quello avrai una sostenitrice.- sbuffò Kojiro, alzando gli occhi al cielo.

- Eh? Ti riferisci a lei?- Eve indicò Ren con un pollice, chiudendo la mano a pugno e mantenendo l’altra sull’anca sinistra. Il ragazzo assunse un’espressione paziente e remissiva, al ricordo di tutto ciò che il soggetto a cui in realtà si riferiva aveva combinato dal momento in cui avevano messo piede all’aeroporto di Tokio.

- Non mi riferisco a lei.- rispose, scuotendo il capo bruno.

- Come...?- chiese di nuovo la velocista, tra il pensoso e lo stranito, mentre Takeshi ricevette l’eloquente occhiata del compagno e sparì per un istante sul campo; quando tornò portava per un braccio una persona molto più che conosciuta...

- Piantala di tirare! Insomma si può sapere cosa c’è?? Guarda che se non è importante ti spacco le ossa! Mi hai fatto perdere tutti quei bellissimi superfusti in calzonc... Eveeee!!-

In un attimo Mizuki interruppe le maledizioni contro Sawada, accorgendosi della presenza dell’amica. Le fu subito al collo, festeggiandola come se fosse di ritorno dal giro del mondo. Il suo classico balsamo di frutta emanava lo stesso odore dolce di frutti tropicali, mentre scuoteva le vivaci trecce nere intervallate da lacci violetti come i riflessi dell’intera chioma.

- Ma sei impazzita a saltare fuori così?!- esclamava, mentre la stritolava nella morsa dell’abbraccio fin troppo entusiasta - Potevi avvisare, ti facevo trovare... un... qualche... beh, qualcosa avrei inventato! Aaah, Eve! Quanto tempo!-

La bionda ebbe qualche difficoltà a liberarsi da tutto quel trasporto, ma quando alla fine poté tornare a respirare si ritrovò sommersa da tutte le domande di rito e se non ci fosse stato il salvifico Takeshi, probabilmente Mizu avrebbe dato nell’occhio finché anche Ken, tra i pali della lontana porta, si fosse accorto che a bordo campo c’era un movimento anomalo... e addio sorpresa.

- Ci conviene muoverci però o Mikami ci farà la pelle!- sorrise appunto il ragazzo, mantenendosi sul diplomatico.

Tsubasa ci capiva meno di prima, certo aveva già conosciuto Mizuki Awashida, sapeva che era figlia del caporeporter, però tutte quelle conoscenze lo avevano lasciato stranito. Nonostante questo, si limitava a sorridere, trasportato dell’euforia dei suoi compagni e da quelle ragazze strampalate.

- Siete in intervallo?- chiese d’un tratto Ren, accortasi che il carico d’acqua e asciugamani che i tre ragazzi portavano, probabilmente proveniva dagli spogliatoi.

- Sì, ma ormai ci restano solo pochi minuti.- si trovò a realizzare il capitano, volgendo lo sguardo al cielo terso e prendendo a muovere i primi passi verso il terreno erboso.

Eve si sentì immediatamente trasportata nell’impazienza. E così si stavano dirigendo verso il reso della squadra... verso Ken. Accidenti, qualche passo ancora e l’avrebbe rivisto... avrebbe rivisto il suo portiere.

Serrò meccanicamente le palpebre e prese un grande, seppur discreto sospiro, si sistemò i capelli dietro le orecchie, ma qualche ciuffo ribelle della frangia rispuntò fuori a solleticarle la fronte ed il naso, poi si lisciò il viso con un tocco veloce di entrambe mani.

- Beh, se manca così poco è meglio che torniate in campo.- sorrise di nuovo, sistemandosi una delle due polsiere.

- Già, certo! Così tu puoi andare a salutare il tuo ragazzo!- rise Mizuki, tutta presa a sistemarle l’intreccio di finissimi fili di cotone che legavano alle spalle l’indumento bianco.

- Ken non è il mio ragazzo!- le fece la linguaccia, voltandosi di scatto ed interrompendo il premuroso lavoro dell’improvvisata costumista, mentre il sole si rispecchiò totalmente sui loro giovani volti, una volta sull’erba scoperta.

Eve si ritrovò del tutto spiazzata, alla luce di quel pensiero che mai una volta le aveva sfiorato la mente, seppur così ovvio: Ken, il suo ragazzo. Si sentì rimescolare lo stomaco.

Era strano ed al tempo stesso paurosamente piacevole, pensarlo suo.

Prima che potesse razionalizzare altro, si trovò a darsi l’ordine di mantenere la calma e sbrigarsi ad andare a salutarlo, dal momento che l’intervallo era già quasi terminato, altrimenti non avrebbe resistito. Già si vedeva saltare in testa ad un qualsiasi allenatore ed infrangere le poche regole che le erano rimaste da rispettare.

Ci volle uno sguardo solo perché si accorgesse che un gruppo di ragazzi era radunato nell’area di rigore alla sua sinistra, reclamando acqua ed asciugamani in direzione di Tsubasa. Poi, perplessi, si accorsero di due presenze estranee - lei e Ren - oltre all’immancabile Mizuki a cui avevano già fatto in tempo ad abituarsi, domandandosi chi mai potessero essere.

La bionda scansò senza badarci troppo, o forse senza accorgersene neppure, gli sguardi incuriositi di quella piccola rosa di calciatori; i suoi occhi si rivolsero immediatamente ad un’imponente figura voltata di spalle, i lunghi capelli scuri sciolti sulla schiena e l’attenzione canalizzata a sfilarsi i guanti da portiere.

Un nodo dritto alla gola dal momento in cui si accorse della sua presenza tanto a lungo ricercata tra volti sconosciuti. Dopo lunghi mesi, finalmente... attendeva soltanto che Wakashimazu si voltasse e rivolgesse a lei i suoi occhi neri.

Pochi passi e poi finalmente Ken si decise ad indirizzare lo sguardo laddove i suoi compagni erano già intenti a congetturare da qualche secondo.

Ci volle un attimo, un attimo soltanto. I guanti gli scivolarono di mano, atterrando con un tonfo leggero giusto sul dischetto bianco dell’area; le voci cessarono di esistere ed il volto serio di Eve, abbagliato dal sole estivo, gli fermò il cuore.

Era venuta. Era venuta davvero, addirittura il primo giorno di raduno. Si sentiva così ingenuamente impreparato, sebbene avesse quasi cominciato a contare i giorni che lo separavano dalla partenza. Ed ora lei era lì, era lì dinnanzi a lui ed era certo di non stare sognando. Si sentiva come se in un respiro stesse assimilando tutta l’aria del mondo, tanto da dargli alla testa, tanto da annebbiargli la vista.

Mosse i primi passi incontro al gruppo dal quale Eve si era distaccata di qualche buon metro, fino ad arrivare davanti ai suoi occhi, davanti alle sue labbra distese in quel classico, ambiguo ed enigmatico sorriso che da tempo non aveva più avuto occasione di vedere.

Si scambiarono uno sguardo silenzioso, prima che lei potesse protendere le braccia verso le larghe spalle di Ken e lui, quasi in contemporanea, cingerle i fianchi e sollevarla da terra per farla ricadere sul proprio petto e stringerla come già era accaduto in passato, con la medesima intensità, con lo stesso trasporto.

- Ehi, batti la fiacca, eh portiere?- rise la bionda, il volto tuffato tra il collo e la spalla del ragazzo, che dal canto suo la sosteneva per la vita e per la schiena con le braccia alternate. E d’un tratto fu di nuovo investita dal suo profumo, dalla sua stretta decisa, da tutto il suo essere... e quasi il resto del mondo non aveva ragion d’essere, ora erano solo loro due... dopo lungo tempo, di nuovo Ken ed Eve... di nuovo.

- Come stai, piccola Icaro?- le chiese, scompigliandole la testa con una mano e rendendosi conto che i suoi capelli di grano erano cresciuti molto, dall’ultima volta.

- Non vedevo l’ora di rivedervi!- seguitò a sorridere lei, ritoccando terra con le punte dei piedi ed avvertendo la costante presenza delle mani di Ken sulle proprie spalle - E tu, stai bene?-

- In formissima!- fu la risposta che le arrivò da un Wakashimazu ancora tra l’euforico e il colto di sorpresa; non credeva che rivederla potesse renderlo così profondamente contento. A parte i capelli, Eve non era cambiata di una virgola, ma i suoi occhi... fu allora che se ne accorse, era come se avessero acquisito una vena di blu più scuro che contrastava con ciò che fino ad allora era stato abituato ad osservare, riflettendo le proprie iridi d’ebano nello zaffiro più puro. Una vena di consapevolezza, di maturità forse fin troppo incombente.

Lei si discostò di qualche centimetro e si mise le braccia ai fianchi con aria di sfida.

- Bene! Voglio vedere se sei migliorato davvero, e quanto!- esclamò, assumendo un’espressione infantile e canzonatoria. Ma prima che lui potesse replicare, furono interrotti da una voce petulante alle spalle.

- Ehi, Wakashimazu! Perché non ci presenti la tua amica! E’ così cariiiina!-

- Piantala di sbavare, Ishizaki!- una ragazza dai capelli scuri si avvicinò al gruppetto, che intanto si era di nuovo riunito in area.

- Uffa, manager! Perché te la prendi sempre con me?!- si lamentò quello, distorcendo la bocca in una smorfia seccata. Lei non ci fece caso e si rivolse ad Eve con aria amichevole. Indossava una maglietta bianca ed un paio di pantaloni al ginocchio e pareva davvero compiaciuta di essere dove stava... forse anche più di Mizuki.

- Ciao, io sono Sanae Nakazawa: accompagnatrice ufficiale, nonché mascotte della squadra!- le tese la mano. Una presentazione piuttosto fiera ed ufficiale, la ragazza era evidentemente orgogliosa di essere stata insignita di tale ruolo, anche se alla bionda parve immediatamente che se ne fosse fregiata da sola.

- Oh... io mi chiamo Eve Springer: membro della federazione nazionale di atletica giovanile. Va bene così?- le rispose, sorridendo incerta e ricambiando la stretta. Sanae sorrise di rimando.

- Allora, com’è che conosci il nostro Wakashimazu?- esordì nuovamente, le mani incrociate al petto.

- Il... vostro Wakashimazu...?- la voce di Eve suonò tra il meravigliato e l’irritato - Beh... frequentiamo la stessa scuola, tutto qui.- si limitò a rispondere, mentre Mizuki le trotterellava al fianco, estremamente allegra.

Ma da dove spuntava quella tizia? Il loro Wakashimazu!? Ma figuriamoci, Ken era solo suo!

Ci volle poco perché Eve realizzasse che ciò che stava considerando aveva dell’omicida e forse conveniva abbassare un po’ i toni dei pensieri, dopotutto nessuno aveva detto nulla con malizia... giusto...?

- E come mai tutta questa confidenza?- domandò ancora la ragazza dai capelli scuri, con un sorrisetto sospettoso ed un intento oramai del tutto scoperto.

- E tu come mai non...- fece per sbottare l’altra, mandando all’aria ogni buon proposito.

- Ehi, ehi!- Mizu aveva previsto la mossa e salvato la situazione in corner - Che pettegola sei, Nakazawa!- arricciò il naso e si gettò una treccia dietro una spalla con fare altezzoso.

- Ma che dici? Era per fare conversazione!- si difese Sanae, sciogliendosi in un gentile sorriso e portandosi una mano dinnanzi alla bocca per coprire una risata.

Tsubasa era rimasto a guardarla senza dire nulla, quasi in disparte. Era davvero cambiata moltissimo, non era più il maschiaccio che aveva sempre voglia di litigare e nemmeno la ragazzina pacata e premurosa; oramai erano cresciuti... ed anche se Sanae non aveva certo perso il suo caratterino, non poteva certo tacere quel senso di vivace apprezzamento che nutriva costantemente per lei, per il suo essere diventata oramai donna.

Si scosse d’un tratto, per evitare di arrossire ed attirare l’attenzione, distratto dalla voce squillante di Sawada.

- Emh... sì, è vero. Eve fino a qualche mese fa frequentava l’istituto Toho... insieme a me, e a questa rompiscatole!- s’intromise con il puro obiettivo di calmare gli animi.

- E chi sarebbe la rompiscatole!?- esclamò Mizuki, afferrandolo per il collo.

- Che... vi dicevo...?- rise Takeshi, tra il già mezzo soffocato e l’in lotta per la vita. L’uscita del ragazzo contagiò anche gli altri presenti, che certo non mancarono di guardarli straniti, un attimo prima di scoppiare a ridere anche loro.


Si trovò a tirare le somme sull’allenamento a cui aveva avuto modo di assistere nel tardo pomeriggio: Ken era diventato un fenomeno.

Taro Misaki aveva tirato una cannonata da vicinissimo, appena dentro l’area e Wakashimazu si era tuffato con un’agilità superiore sulla sfera che sfrecciava verso di lui, stoppando il tiro con una facilità estrema.

Per non parlare del tiro di Oozora! Sembrava una saetta! Un fulmine che aveva attraversato il campo in un millesimo di secondo... in poche parole: imparabile. O perlomeno finché Ken non l’ebbe respinto, ovvio.

Era diventato uno scudo umano; la porta inviolata per tutti i sessanta minuti della partita di allenamento. Se avesse giocato così anche nelle gare ufficiali, sarebbe di sicuro divenuto il portiere migliore in circolazione. Altro che Hernandez o Wakabayashi!

E Wakabayashi... era in gamba, dannatamente in gamba anche lui. Di una freddezza quasi sovrumana, non lasciava trapelare nulla quando stava tra i pali... era quasi impensabile che divenisse un’altra persona, una volta fuori dal campo. Che strano tipo... chissà poi se aveva capito che il ragazzo che gli aveva segnato quel gol, mesi addietro, altri non era che lei stessa.

Eve se lo stava domandando da un po’, appoggiata alla cancellata alta dell’entrata esterna del campo.

Il vento caldo di quella sera era piuttosto forte, le scompigliava la frangia e le penetrava attraverso la chiusura della felpa larghissima, aperta sul petto.

Molto probabilmente no, figurarsi. Certo era che si considerava molto più carina vestita da ragazza!

Sorrise. Oddio, l’influenza di Mizu alla larga si stava facendo sentire! Scosse il capo ed alzò il capo verso il cielo all’imbrunire.

Chissà che faccia avrebbe fatto Genzo, se l’avesse saputo.

Stava attendendo Ken al campo, dopo il consueto allenamento; finalmente dopo qualche giorno di impossibilità, avevano trovato uno stralcio di tempo libero per tornare all’ostello assieme e trascorrere un po’ di ore in compagnia, in onore dei vecchi tempi avrebbero parlato di tutto e di più, si sarebbero rifatti dei cinque mesi in cui non si erano visti affatto.

Ad un tratto un’ombra le sfrecciò di fianco, rapidissima. I riflettori del campo erano ancora accesi, ma era quasi impossibile che laggiù ci fosse ancora qualcuno.

Eve si voltò di scatto e, stranita, prese a seguire le orme di chi l’aveva preceduta tanto velocemente. Probabilmente era stata solo una svista, uno scherzo del vento... e invece... Wakabayashi.

Scese fin sui gradini per vedere meglio. Non aveva preso una cantonata, anzi, era proprio lui. Se ne stava immobile a bordo campo come se stesse aspettando qualcuno, ma sul campo muto non era rimasto nessuno, se non un silenzioso pallone che era sfuggito ai raccattapalle, durante l’usuale manutenzione post esercizio.

Le palpebre serrate e le mani profondamente affondate nelle tasche dei pantaloni neri, Genzo respirava con ritmo cadenzato e sospeso, come stesse dormendo.

Ma che stava facendo? Vuoi vedere che era veramente squilibrato...?

Ad un tratto il ragazzo aprì gli occhi e si fece avanti in direzione della sfera solitaria, calciandola lontano, dove nessuno dei due poté più seguirla. Eve rimase a guardarlo, finché il portiere non si voltò e riprese il suo respirare placido, poi si avviò a raggiungere i compagni nello spogliatoio.


- Quest’anno avremo la migliore tifoseria!- rise Ishizaki.

- Che tifoseria?- intervenne Tsubasa, stranito.

- Ma dico sei cieco!? Non hai visto quante ragazze ci hanno portato i nostri del Toho!?- ribatté il difensore, le mani ai fianchi ed un sospiro. Possibile che nessuno avesse pensato alle ragazze, o tutti facevano i finti tonti??

Kojiro alzò un sopracciglio, gettando l’asciugamano sul proprio borsone.

- Guarda che noi non abbiamo portato nessuno, sono venute da sole.- disse, massaggiandosi una spalla e mantenendo un tono imparziale.

- Beh, fatto sta che sono veramente carine!- gongolò di nuovo Ryo, prendendo a mimare una scena d’amore con sé stesso. Matsuyama si infilò una maglietta pulita, poi si ravviò i capelli con una mano.

- Non ti agitare tanto, scommetto che sono già quasi accasate... vero Ken?- fece, strizzando l’occhio al portiere.

- Ehi, ehi, le parole ‘Yoshiko Fujisawa’ ti dicono niente?- ribatté Wakashimazu con una risata, tirandogli contro una borraccia vuota. Hikaru si trovò a sorridere di rimando tra sé ed alzare gli occhi con aria sognante... era proprio partito!

- Beh, d’accordo, d’accordo... se allora escludiamo quella Eve, restano le altre due.- Ishizaki pianificava alla perfezione uno schema di cui nemmeno lui conosceva bene l’utilità finale.

- Non starai parlando di Mizuki, vero!?- Takeshi sgranò gli occhi, frenando a mezz’aria l’intento di indossare la camicia - Ma se è una rompiscatole cronica! E poi non è mica questa gran bellezza...-

Hyuga si lasciò sfuggire un sorrisetto, mentre Kazuki, dall’altro lato della stanza, intervenne con sguardo sornione.

- Già, già, ma chi disprezza compra, non te l’ha mai detto nessuno?-

- Ehi! Che vuoi dire??- sbottò di nuovo il più giovane, aggrottando le sopracciglia.

- Avanti, Takeshi! Ce ne siamo accorti tutti, manchi solo tu!- rise di nuovo Sorimachi - Non credo tu rimanga indifferente quando Awashida sbatte i suoi occhioni neri sull’intera formazione!-

- Tsk! Ma figuriamoci!- Sawada si voltò dall’altra parte, abbottonandosi la camicia e nascondendo il volto ai compagni - E poi, comunque sono nocciola...- aggiunse, mormorando tra sé.

Kojiro e Ken si scambiarono uno sguardo d’intesa, proprio mentre Genzo Wakabayashi faceva la sua entrata nello spogliatoio, tra le risate e le esclamazioni allegre dei compagni.

- A proposito di affari di cuore, avete sentito di Schneider?- fece Jito, ammiccante - Pare abbia un’amichetta giapponese nella squadra di atletica!-

Gli occhi di Wakashimazu ebbero un fremito improvviso.

- Hiroshi, sembri proprio una suocera pettegola!- rise Taro, richiudendo la cerniera del proprio borsone e chinandosi per allacciarsi le scarpe. L’altro rise di rimando.

- E’ un vero scoop! E’ sulla bocca di tutti, giù alla federazione!- ribatté, portandosi una mano dietro la nuca.

Un’amichetta giapponese? Nella squadra di atletica...? Per un attimo il terreno sotto i piedi di Ken divenne sabbia.


- Eccomi!- esclamò, correndo verso la figura femminile che lo stava attendendo fuori dall’impianto agonistico.

- Ce ne hai messo di tempo!- sorrise Eve, passandosi sotto l’altro braccio la casacca che si era tolta da un po’, per rimanere a godere della brezza serale con indosso una canotta leggera che le lasciava scoperto il ventre e si chiudeva con due ganci in stile salopette poco sotto le clavicole.

- Perdonami, quando si è negli spogliatoi e si fa confusione il tempo vola.- replicò Ken, buttandosi l’ampia borsa sportiva dietro le spalle e sorreggendola con una sola mano appoggiata ad una di esse.

Eve rimase a guardarlo per qualche istante, il volto squadrato illuminato dalla lontana luce artificiale che ancora proveniva dal campo. Nonostante Wakashimazu fosse lo stesso di sempre, la ragazza si trovò a considerare nell’immediato che fosse davvero, estremamente carino... la lontananza doveva avere avuto uno strano effetto su entrambi.

L’hotel in cui alloggiava la nazionale era piuttosto vicino, così i giocatori potevano permettersi di farvi ritorno a piedi dopo l’allenamento, senza usufruire del servizio navetta gratuito che era stato loro proposto più volte.

Ken ed Eve presero a camminare l’uno accanto all’altra, nel silenzio caldo della sera.

- E così... hai conosciuto Schneider?- le chiese tutt’un tratto il portiere.

Doveva assolutamente levarsi quel dubbio dalla testa.

- Già.- si limitò a replicare lei, non intuendo minimamente la preoccupazione del ragazzo ed ancora ingenuamente beandosi della sua compagnia. Voleva raccontargli un sacco di cose ed altrettante voleva sentirsene dire dalla sua voce decisa ed accattivante che fin d’allora aveva cominciato a solleticarle i sensi.

- Che tipo è fuori dai campi di calcio?- domandò di nuovo Ken, cercando di risultare il più spontaneo possibile. La ragazza alzò lo sguardo ai suoi occhi, voltando il capo leggermente.

- Beh, un tipo normale... credo.-

A dire il vero era forse un po’ spettrale, quando se lo ritrovava a gironzolare per i corridoi dell’ostello così all’improvviso, ma per quale ragione Ken le stava facendo delle domande su Karl?

- Perché me lo chiedi?- aggiunse poi, sistemandosi la felpa in vita ed annodando saldamente le maniche tra loro.

- Emh... curiosità.- fu la risposta di lui.

Classico. Curiosità. E cosa se no?

Gli pareva di aver appena detto una stupidaggine, ma questo non gli impedì di proseguire nella già prevedibile caduta. Il dubbio era la sensazione peggiore del mondo e l’essere così tormentato dal fatto che potesse essere Eve la fiamma del tedesco gli confondeva ogni pensiero razionale.

- Ti trovi bene con lui?- soggiunse, con voce più grave. Eve alzò un sopracciglio.

- Ma che razza di domanda è...?- riuscì finalmente a ribattere, tra l’infastidito e lo spiazzato.

- Beh, se ci sarà da progettare un matrimonio, bisognerà saperne sempre di più!- rise Ken, scuotendo il capo tentando di far risultare la sua artefatta risata il più genuina possibile. Ma la bionda non lo seguì nell’ilarità, tutt’altro.

- Matrimonio!?- ripeté incredula, piantando i piedi per terra e sgranando gli occhi. Il senso di sconcerto si stava lentamente tramutando in rabbia.

- Tra lui e la sua amichetta giapponese.- annuì il compagno, scansando l’intenso bruciore che gli procurava il pronunciare quelle parole. Doveva capire, doveva sapere... se Eve era davvero diventata la ragazza di Schneider o meno, se la lontananza gliel’aveva portata via... se poteva ancora permettersi di stringerla a sé senza freni ed impedimenti, con tutto l’amore del mondo.

Se ne rese conto immediatamente, fin dall’inizio, che non esisteva un modo adatto per domandarglielo, per questo ci aveva girato attorno, arrivando alla conclusione più sciocca e facendole finalmente capire ciò che voleva dire.

- Wakashimazu sei un idiota!- fu l’esclamazione di Eve, tra l’indignato e il furioso.

Ken si voltò verso di lei, le sue parole risuonarono come un violento schiaffo sul proprio volto.

- Chiariamo un paio di punti.- la voce della ragazza era divenuta un sibilo - Uno: l’amichetta giapponese di Karl è Ren, hai presente?! La versione atletica ed impacciata di Mizuki! E due...- fece una breve pausa, poi alzò gli occhi ardenti sul suo volto e li imprigionò in quelli neri del portiere - Se credi che io sia l’infervorata di turno che va a gettarsi tra le braccia del primo prestante tedesco che mi capita sotto il naso, hai sbagliato di grosso! Sei stupido, oppure lo fai apposta?!-

Non ti accorgi che ho aspettato il giorno del tuo arrivo contando i secondi?! Come fai a parlare con così tanta leggerezza di una cosa del genere?! Mi prendi per una facile?!

Non mi vedi?! Maledizione, Ken, perché non riesci a vedermi...?

Gli ultimi pensieri le balenarono in mente senza che riuscisse a frenarli, ma appena in tempo perché non si tramutassero in parole. Cominciò a camminare velocemente sul marciapiede, quasi correndo e quando gli passò vicino, Ken fece in tempo ad afferrarla per un braccio.

Furono di nuovo occhi negli occhi per un brevissimo attimo.

Proprio di uno come te dovevo andare ad innamorarmi!?

- Torno da sola! Vattene pure con i tuoi compagni!- strattonò la presa e si liberò con forza.

- Eve, io...- fece per rincorrerla lui, ma la ragazza fu categorica.

- Prova a seguirmi e ti spezzo le gambe, partendo da...- lo squadrò senza trovare niente di più intelligente da dire - ...quei quadricipiti ipersviluppati che ti ritrovi!!- tagliò corto poi, voltandosi e sparendo velocemente dietro l’angolo.

Se non altro essere una velocista le avrebbe permesso di dileguarsi alla velocità della luce, nel caso la minaccia non avesse funzionato, mentre Ken poteva benissimo rimanere lì impalato dove stava, in compagnia del suo leggendario e celebre tatto, accidenti!


 

Torna all'Indice capitoli
Torna all'indice Fanfiction