Captain Tsubasa

 

Il drago del cielo

 

 

Casa mia…
…palestra tua

 

Ken osservava i paesaggi distorti dal finestrino del treno. Sapeva che l’avrebbero escluso per un po’ di
partite per il suo comportamento, ma non poteva restare a Tokio, non dopo quella telefonata.
Sua madre era alquanto preoccupata per suo padre, non aveva capito bene ma in qualche modo centrava la
palestra e qualcuno che di cognome faceva Yukimura, e, lui aveva subito cercato di calmare la madre ormai
sull’orlo delle lacrime per telefono, ma ciò sembrava più una gelida frase di convenzione…Non c’era stato
modo tranne dirle che sarebbe partito al più presto.
Si morse nervosamente le labbra, odiava essere così protettivo verso la madre, ma non poteva farci nulla
se lei soffriva, soffriva anche lui.
Alzò lo sguardo verso il cielo, all’incontrario del giorno prima il sole splendeva e lasciava intravedere
le poche nuvole che si mescolavano insieme all’azzurro del firmamento.
Sorrise, adorava il sole. Non per il calore in se, ma per quei semplici raggi che sembravano ricolmi di
qualcosa, forse di forza. Per quello lo adorava, e quel giorno era uno dei pochi che ultimamente gli
regalava quello spettacolo.
Prese una delle tante sigarette che fumava da quando aveva iniziato la Toho, non gli piaceva nulla di
quegli oggetti, né la forma, né il contenuto, ma lui era diverso da tutti…non provava gusto, fumava solo
per fumare…che motivo doveva esserci nella stupida azione di espirare qualcosa di tossico? Nulla…
Cercò l’accendino che solitamente teneva nella tasca interna della giacca, il problema era che ne aveva
almeno cinque tasche e ricolme di tanti oggetti inutili.
Spazientito prese i fiammiferi, sui fedeli compagni fin dall’inizio delle medie, l’accese uno e lo portò
verso la sigaretta, boccheggiò almeno un paio di volte prima di dare una vera tirata.
Si rilassò sulla poltrona, dimenticando ogni suo problema: le partite, sua madre, la scuola e perfino
il treno.
“Scusi?” una ragazza si affacciò nella sua cabina, “Non vorrei disturbare, ma è occupato quel posto?”
chiese indicando con gli occhi azzurri, il sedile di fronte a lui, “No”.
La ragazza sorrise prima di sedersi ed accomodarsi sulla poltrona da lei tanto ambita da quando era
salita sul treno, poi prese il suo walkman e incominciò ad ascoltare una delle tante lezioni d’inglese.
Ken la osservò per qualche istante, giusto per notare i bianchi ciuffi che le cadevano da un berretto di
lana alla francese, e la sua posizione austera quasi provenisse da un mondo differente da quello dei giovani di cui lui faceva parte; poi tornò ad osservare il paesaggio.
Immense distese di riso e grano passarono davanti a loro facendo illuminare gli occhi dalla ragazza, “Che
bello!” esclamò appiccicando le mani sul vetro che ritirò subito sul suo grembo con uno sguardo tra il confuso e l’imbarazzato, sorrise staccandosi gli auricolari dalle orecchie per poi riporre l’oggetto nell’unica sacca che aveva.
“Scusami” disse poi ritornò con lo sguardo verso le meraviglie di quel posto, Wakashimazu le mandò un’occhiata confuso, lui non si sarebbe mai spostato dal finestrino e tanto meno avrebbe chiesto scusa a
una persona sconosciuta, erano solo fatti suoi, no?
Finì la sigaretta, aprì il finestrino per buttarla fuori e rimase in piedi a ricevere tutta l’aria sul viso, “Vieni anche tu!” propose alla ragazza che arrossì vistosamente, “Su, mica muori!” urlò sporgendosi di più dal finestrino, “Ma sei matto?”, ora anche lei si era alzata e tratteneva il braccio del ragazzo che si mise ridere.
“Ho detto forse qualcosa di buffo?” chiese la ragazza mordendosi le labbra, sperando solo di non aver fatto
qualche errore nella pronuncia, “No, no…solo che…” si bloccò per un millesimo di secondo “Ken Wakashimazu!”
si presentò stringendole la mano, “Andrea Schneider.”
Il ragazzo la guardò sbalordito, lo sguardo che vagava dal viso arrossato della ragazza al borsone posto nel
sedile vicino, “Non ci posso crede!” rise, un risolino quasi isterico, pieno di tensione, “Ti senti poco bene?” chiese la ragazza ancora visibilmente sconvolta per l’atteggiamento di poco prima.
“Oh, no scusami non volevo farti credere…” “Guarda che bello!” urlò lei distogliendo l’attenzione dal portiere, per adocchiare le piccole case poste in una larga fascia di verde, “Non ho mai visto abitazioni così meravigliose!” esclamò appoggiandosi al finestrino per osservarle meglio.
Ken le lanciò un’occhiata dubbiosa, “Giochi a calcio?”
chiese quando la ragazza ritornò a sedersi sulla poltrona più rossa di prima, “No, faccio karatè…mi hanno detto che qui c’è una palestra molto famosa…non ho capito un granché ma è vicino a delle terme” la ragazza alzò gli occhi verso il soffitto del treno, sperando di ricordarsi il nome del proprietario.
Wakashimazu s’irrigidì, “Vicino alle terme?” chiese sperando di aver sentito male, “Esatto! Solo che non
mi ricordo il nome del proprietario…Ah! Sono sempre stata una frana con i nomi!” e le sue labbra si curvarono in un dolce sorriso, “Ma non mi devo preoccupare! L’ho scritto in un block-notes!” concluse
allegra.
“Ah! Scusa, ma Wakashimazu non ti ricorda niente?” Andrea si portò una mano sul mento arrossendo
all’inverosimile, “Può darsi…Non so…Forse…” balbettò inchinando il viso, “Ehi!” Ken s’alzò dal posto per
inginocchiarsi davanti alla ragazza, “Scusami…Sono un imbranato, eh?” chiese accarezzandole il viso.

Koushiro Wakashimazu osservò l’uomo che gli stava davanti, grasso almeno quattro volte lui, il capo completamente pelato, vicino a lui un bastone che l’aiutava a camminare, “Allora, Yukimura, com’è?”
chiese sorseggiando il te che ormai osservava da almeno mezzora, “Abbia pazienza…non è molto puntuale
nemmeno nel telefonare…sarà qui a momenti” e il silenzio calò di nuovo nella stanza.
“Wakashimazu…Non disperare…è una gran fortuna per voi…” l’uomo annuì, “Anche se avrei voluto vedere tuo figlio seduto al tuo posto…Sono convinto che Andrea sarà all’altezza” concluse l’anziano.

Schneider appoggiò la fronte sul freddo vetro incrociando le braccia sperando di avere un po’ di calore, il ragazzo subito si alzò e chiuse una volta per tutte il finestrino, “Grazie.”
Ken ritornò a rilassarsi sulla poltrona, mentre i suoi occhi osservavano la figura della ragazza, alta più o meno quanto lui, il corpo coperto da un cappotto nero, gli occhi azzurri in quel momento chiusi che riflettevano l’immagine di una donna diversa…Bella.
No, non era bella, era qualcosa di più…qualcosa che non si poteva descrivere con una sola parola…
L’osservava e pensava…pensava al week-end che avrebbe passato con Andrea, pensava a lei nella palestra di suo padre a esercitarsi, a lei nuda nelle terme…
S’alzò, nervoso lanciò una lunga occhiata alla ragazza dormiente, poi prese il pacchetto delle sigarette e
uscì dalla cabina.
Incominciò a camminare avanti e indietro sperando di togliersi l’immagine della ragazza che nuotava in una
vasca d’acqua bollente. Espirò il fumo facendolo uscire dalle narici, ormai vistosamente agitato diede
un pugno alla prima porta che trovò, dalla quale arrivarono degli insulti.
Rientrò nella propria cabina solo quando il controllore non lo convinse a fargli vedere tutti i suoi documenti e il biglietto, “Le ho detto che non stavo facendo nulla!!!” la voce alterata di Ken giunse alle orecchie della ragazza, che senza far nessun rumore si ritrovò di fianco al portiere, “Tenga!”
disse porgendo all’uomo baffuto i loro biglietti, “Lei lo conosce?” la ragazza arrossì vistosamente prima di
abbassare lo sguardo e accarezzandosi il ventre sussurrò un si.
“Oh! Capisco…” timbrò i biglietti “Fate buon viaggio…signore, signora!” e il controllore uscì chiudendo la porta alle sue spalle.
Ken rimase un attimo in ascolto assicurandosi che l’uomo se ne fosse andato, prima di scoppiare a ridere, “Ma come ti è venuto in mente?” chiese con ormai le lacrime agli occhi, “Così” rispose lei ancora rossa ritornando al suo posto.
“Ehi! Come sapevi dov’era il mio biglietto?” Andrea sorrise, “Non lo so…questo doveva essere per un certo
Karl che ha preferito rimanere a giocare a calcio invece di accompagnare la sua sorellina…” abbassò lo
sguardo, “È da tanto che fai sport?” chiese quasi a se stessa che a lui, “E tu come fai a sapere che…” la
ragazza sorrise e indicò con lo sguardo il borsone da calcio, “Che stupido! Comunque si, fin da bambino…non so il perché, forse per distaccarmi da uno sport che la mia famiglia praticava da generazioni a
generazioni…” “Oddio!” la ragazza s’alzò in piedi, “Che scema! Tu sei il figlio del signor Koushiro!” si portò le mani sul viso ormai completamente andato in fiamme “Vorrei sprofondare!” decretò quasi sull’orlo delle lacrime.
“Dai non è nulla…infondo sei straniera è ovvio che per te i nostri cognomi siano tutti uguali!” la ragazza singhiozzò “Davvero?” “Ehi! Ti sembra una faccia che mente la mia?” Andrea alzò lo sguardo, sorrise, “Si!”
sul viso di Ken sparì il sorriso, “Guarda che così mi offendi!” disse più divertito che altro.

“Wakashimazu…” una donna anziana si avvicinò all’uomo, “È arrivata questa per voi” disse porgendogli una
piccola busta sul rosa, “Grazie…Imy porta altro the e dei dolci.”
Osservò la domestica uscire, e poggiò la lettera sul tavolino di vetro, “Non la leggi…Koushiro?” “Non ora
Akira è di mio figlio, probabilmente mi chiederà di andare a vedere la partita contro la Nankatsu…” l’uomo
grasso s’alzò dalla sua posizione per affacciarsi alla porta scorrevole dalla quale si aveva accesso a un meraviglioso giardino, “Non ci andrai neanche quest’anno?” chiese posando lo sguardo su un possente
albero, “Dovresti…se è il suo sogno, perché impedirglielo?” continuò non sentendo risposta dall’amico.
“Non è il momento di parlarne” “Qual è?” Koushiro affiancò Yukimura “Oggi no…forse domani” rispose
“Hm…Guarda che bello questo giardino…Ricordi quante volte ci abbiamo giocato io e te? Tu facevi il
portiere e io l’attaccante…” disse spostando lo sguardo su due pali da stenditoio “Ha preso tutto da te…e tu lo sai, non dovresti fare come tuo padre ha fatto con te” e il silenzio s’insinuò nella casa.

“Allora tu fai anche karatè!” esclamò entusiasta la ragazza, “Beh…non proprio…” “Che bello! Potremo
esercitarci insieme questo week-end!” Ken scosse divertito la testa, quella ragazza era davvero un fenomeno, sapeva cambiare umore da un seconda all’altro.
“Non mi hai ancora detto cosa vieni a fare a casa mia”
Andrea s’alzò in piedi e lanciò un paio di pugni al vuoto “Un’esercitazione…Yukimura non mi ha detto il
perché!”
Yukimura? Il ragazzo lanciò uno sguardo interrogativo alla ragazza che continuava a parlare, a parlare…a
parlare…Si tappò le orecchie sperando di non sentire più quel nome Yukimura… Yukimura…
“Ken?” Andrea aveva smesso di parlare ed ore preoccupata osservava l’amico, “Qualcosa non va?”
chiese sfiorandolo con la mano destra alla spalla, Wakashimazu alzò gli occhi incrociando quelli azzurri di lei, perdendosi in quel cielo limpido, perdendosi…in lei…rispondendo solo con un flebile no.“Mi hai fatto preoccupare, sai?” il sorriso che per l’ennesima si dipingeva sull’angelico viso della ragazza, il medio che dritto ondulava a destra e sinistra come per rimproverarlo o beffeggiarlo nel suo comportamento. “Scusami…” non finì la frase, il treno aveva frenato bruscamente facendo quasi cadere Andrea, “Oh! È la nostra fermata!” esclamò Ken afferrando il borsone e la mano della ragazza, incrociando le dita nelle sue, generando calore.
“Sei sicuro che sia questa?” “Certo! Ci ho vissuto io qui…credi forse che non riconosca niente del mio
paesino?” si calò il capello sugli occhi e respirò profondamente l’aria, “Andiamo?”

Schneider rise, era divertente per lei vedere un ragazzo svogliato come Ken farle da cicerone, indicando ad ogni metro le statue o i luoghi più importanti della città, mentre lei tra una risata e l’altra annuiva per dargli corda. Da canto suo Ken adorava sentirla ridare, non voleva che smettesse e faceva di tutto per sentire quel dolce suono uscire dalle sue labbra.
“Bene!” esclamò all’improvviso il ragazzo, “Siamo arrivati! Quella è casa mia!” e con il medio indicò una specie di villa stile giapponese antico affiancata da un’enorme giardino decorato con fiori e robusti alberi.
“È meraviglioso!” Andrea si fermò ad osservare ogni centimetro della fiancata che riusciva a vedere, “E
non hai ancora visto nulla! La palestra è circondata da fontane, e canne di bambù ed è posta dall’atra parte a circa un silometro da qui! Poi le terme sono…” “Ci sono le terme?!” Schneider si attaccò al braccio
del ragazzo per avvicinarsi di più a lui con uno sguardo raggiante, “Ma questo è un paradiso!” esultò
lasciando libero Ken dalla sua morsa, “Certo ci abbiamo messo ad arrivarci…ed è un po’ isolato…non
contando che tre autobus ci sono sfrecciati davanti al muso sia in città che in questa strada solitaria che
abbiamo appena percorso…ma è valsa la pena!” Balzò in avanti tenendo sempre il borsone sulla spalla sinistra, “Ma davvero tutto questo è tuo?” chiese girandosi verso di lui incominciando a camminare all’indietro, “Beh è di mio padre…” “Ma poi andrà a te, giusto?” “Credo di si” bugiardo! In realtà non sapeva se suo padre glielo avrebbe ceduto anche se avrebbe continuato a giocare a calcio, “Wow! Allora sarai pieno di pretendenti!”
Ken si sentì avvampare, “Ma come ti vengono certe cose in mente?!” alzò la mano chiusa in pugno per ricorrerle dietro, “Ho visto giusto a quanto pare!” urlò Andrea cercando di evitare di finire tra le braccia dell’amico.
“Eccola! Cosa ti dicevo?” la profonda voce di Yukimura arrivò ai due ragazzi che si bloccarono di colpo
vedendo i due uomini osservarli dalla porta del salotto, la ragazza arrossì mentre cercava di porgere delle scuse.
“Papà!” Ken alzò una mano sorridendo al padre che spostava i scuri occhi dal figlio alla ragazza, dalla
ragazza al figlio, “Vedo che avete già fatto conoscenza!” disse ritornando all’interno della casa “Su entrate, che il the è già pronto da un bel pezzo.”
“Signor Wakashimazu…Mi dispiace per il ritardo, ma…”
“Sono stato io a insistere nel venire a piedi, infondo è una bella giornata” l’uomo non si scompose, prese la
sua tazza e sorseggiò la calda bevanda, “Allora Andrea hai fatto buon viaggio?” la ragazza sorrise, “Oh, si
signor Yukimura…l’ho trovato molto divertente!” e il silenzio calò di nuovo.
Koushiro finì di bere, osservò l’amico che sorridente aspettava che lui parlasse, il figliò che lanciava occhiate interrogative alla madre che si era unita a loro solo qualche secondo prima, poi ad Andrea che osservava interessata la stanza.
“Schneider, mi hanno detto che sei campionessa europea di karatè” “Si signore, anche se ci sono altre ragazze
che si meritavano questo titolo” “Ma tu l’hai battute?” “Si, ma solo grazie alla tecnica, ma per quanto riguarda alla forza molte di loro potevano battermi facilmente…” “hm” rispose l’uomo incrociando le braccia al petto, mentre la ragazza arrossiva sperando di non aver compromesso qualcosa d’importante.
“I tuoi famigliari ti raggiungeranno?” Andrea scosse la testa, “Sono io il suo supervisore, e ho l’autorizzazione del padre…” incominciò Akira, “…Il resto dei suoi vestiti arriverà non appena darò la notizia…” “Scusate, ma non capisco…” la ragazza guardava stranita i due uomini, “…Perché dovrebbero arrivare i miei abiti qui? E il consenso di cosa…?”
deglutì, sperando che suo padre non l’avesse mandata lì per sempre.
Gli occhi scuri di Ken vedevano soltanto una ragazza tremante e spaventata, che cercava con tutte le sue
forze di non piangere, “Allora, cosa aspetti a risponderle?!” urlò, si aveva urlato…e i suoi occhi urlavano ancora contro quell’uomo che lui chiamava padre, “Venderò la palestra…e la venderò agli Schneider” fu la risposta che fece crollare le poche forze che frenavano le lacrime di Andrea.
‘Alzati! Alzati e corri!’ si urlava e così fece, si alzò e corse…corse fuori superando il giardino, corse sulla strada ghiacciata, corse scalza sulla neve…corse finché non inciampò sui propri piedi cadendo sul soffice manto bianco.
“Cosa?!” Ken si era alzato in piedi la mani che fremevano, aveva voglia di picchiarlo, “Vuoi vendere?!” il padre alzò gli occhi incrociando quelle carichi d’odio del figlio, “A chi potrei darlo in eredità se tu vuoi solo giocare a calcio?” ‘Stronzo!’ e con rabbia si diresse verso la propria stanza.


 

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