Captain Tsubasa

 

Il drago del cielo

 

 

Il diario di bordo

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Tsubasa era sdraiato sul letto da tutta la mattina, aveva saltato gli allenamenti per la prima volta da quando era tornato dal Brasile, ma ormai il calcio non gli importava più, nella sua mente solo l’immagine di una ragazza .:
Occhi grigi come il cielo prima della tempesta, capelli corti e tinti di un rosso appariscente, che stringeva con forza il braccio di un uomo maturo, dai tratti orientali e vestito da marinaio…le mani abbronzate di lei che stringevano la divisa nera di suo padre…
“Papà ti voglio tanto bene!” era quello che aveva letto dietro a quella fotografia.
“Papà, ti voglio tanto bene!” parole che lo avevano ucciso, si sarebbe scavato da solo la tomba se con
quel gesto non avesse fatto soffrire sua madre.
“Papà…” riusciva perfino a sentire la voce di quella ragazza, probabilmente bella come quella della donna
che l’aveva partorita, probabilmente meravigliosa come quella che aveva stregato il cuore di suo padre.
Chiuse gli occhi, stupide e involontarie lacrime inumidivano le sue guance, mentre l’immagini di quel
giorno gli si presentavano davanti come un film fatto solo per farlo soffrire.
“Oggi, Tsubasa, ci sarà una festa sulla mia barca e voglio presentarti al mio equipaggio!” gli aveva detto la domenica mattina, dopo che era tornato dagli allenamenti e lui come un bambino aveva accettato entusiasta, ‘Finalmente…’ aveva pensato ‘Finalmente papà mi porterà con lui!’, ma dopo le presentazioni lui aveva insistito di andare a vedere la cabina di pilotaggio “Dai papà! Voglio vedere ciò che vedi tu!”
sembrava un bambino, ma suo padre lo aveva accontentato.
“Torno subito!” gli aveva detto quando un marinaio lo aveva avvertito della visita di sua moglie incinta, ed
era stato allora che quel diario…”…Siamo arrivati in Italia…” e quella fotografia… “Papà, ti voglio bene!”…era assurdo, del tutto pazzesco, aveva riso, un riso isterico che gli diede i brividi.
“Tsubasa!” “Chi è?” suo padre era rimasto in silenzio per lungo tempo “Eleonora Ozora” poi lui era
fuggito, scappato da quell’uomo che aveva amato con tutto se stesso, ma che ora odiava…odiava e odiava!
“Lei conosce…Eleonora?” aveva posto quella domanda alla madre di Takeshi, quando l’amico gliela aveva
presentata al supermercato, era bella anche lei, bionda, occhi grigi come le nubi, tremendamente uguale
alla ragazza.
La donna aveva incominciato a tremare poi con un sorriso amaro si appoggiò al figlio, “Andiamo” disse per sparire di nuovo dalla sua vita.

Il telefono suonò di nuovo, questa volta non rispose, aspettò che fosse sua madre a tirare su la cornetta
“Ah! Ciao Sanae! Tsubasa non sta bene ed ora sta dormendo…Certo glielo dirò!” sentì, poi più nulla.
Detestava mentirle, ma non poteva mica dirle: io non vado perché lui ti ha tradita! Riaprì gli occhi, ritrovandosi il viso di un giocatore sorridente che stava per lanciare una palla: Roberto Hongo, gli era passato per la testa che lui lo sapesse, che fosse un complice di suo padre, eppure non trovava il coraggio di chiederlo di digitare il suo numero sul cellulare e accusarlo…accusarlo d’infamia.
“Sei uno STRONZO Ozora!” Tsubasa si massaggiò la guancia dove il giorno prima aveva ricevuto un pugno
da parte di Takeshi, certo era strano vederlo così…ma in fondo era stato lui, il capitano della Nankatsu, a
volergli rovinare la vita.
Perché Sawada doveva vivere senza preoccupazioni, mentre lui doveva morire sotto il peso del tradimento
di quella fotografia? Perché? Se solo qualcuno gli avesse dato uno risposta plausibile, lui…lui non avrebbe mai posto quella domanda a quella donna…
“Dannazione!” urlò dando un pugno al letto,
“Dannazione!” urlò di nuovo lanciando la prima cosa che gli era arrivata fra le mani contro la porta di legno, “Fanculo a tutti! Fanculo!”, era proprio fuori di se, voleva solo distruggere tutto quello che gli ricordava suo padre, la sua ingenuità…la sua vista…il suo udito!
Voleva solo smettere di pensare a lei e a quella frase, voleva solo cancellare quel volto dalla sua vita…voleva solo piangere…ed era l’unica cosa che poteva fare…piangere…
S’inginocchiò per terra lasciando cadere la palla di cristallo presa a Parigi, la lasciò frantumarsi sul pavimento di legno mentre tutta la sua forza veniva meno…i suoi occhi diventare languidi e la sua voce diventare urla disumane.


 

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