Assestamenti

 

Nota: i personaggi non sono miei, non li ho inventati io e non mi appartengono (nondimeno, staccherò la testa a morsi a tutte/i quelle/i che oseranno contendermi lo splendido, divino, Ryo. RYO E' MIO, gli sono devota fin dalla primissima messa in onda dell'anime… REKKAAAHH!!).
I nomi sono quelli originali, ma il nome del padre di Ryo l'ho inventato di sana pianta.
La storia si svolge nel periodo immediatamente successivo agli eventi narrati in "Message".
Tra le parentesi [ ] sono riportati i dialoghi che si riferiscono alle comunicazioni telepatiche tra i Samurai, mentre i loro pensieri sono scritti in corsivo.

Altra nota: questa è la mia prima fanfic *o*. Potrà sembrare un plagio di "Una vita normale", di sanada81… Sembra soltanto. Davverodavverodavvero!

Altra altra nota: non è una storia yaoi.



Il capitolo della vita

di Reimi Ayanami


1.
I primi raggi del sole irruppero nella stanza attraverso le tende in parte scostate. Sul comodino accanto al letto, la sveglia cominciò a trillare a tutta forza e la sagoma rannicchiata sotto le coperte sobbalzò. Una mano sbucò piano piano da sotto il piumino appallottolato e maltrattato da un sonno inquieto, afferrò la sveglia e la trascinò a sé nel tepore e nell'accogliente oscurità sotto le coltri. Poco dopo, una massa di capelli nerissimi emerse alla luce rosa e oro dell'alba.
Ryo si alzò a sedere, stringendo il cuscino con un braccio. Sbadigliò, gettò la coperta di lato e si stiracchiò tutto, quindi buttò le lunghe gambe fuori dal letto. Seduto sul bordo, si passò una mano sul volto e tra i capelli, arruffandoli ancora di più. Era mezzo addormentato e aveva le guance arrossate dal sonno. La casacca del pigiama gli era leggermente scivolata di lato, sul collo. Gli stava un po' larga, come il resto: era dimagrito, ma con tutto quello che aveva dovuto subire negli ultimi nove mesi… Una gravidanza di disgrazie!
Il ragazzo si alzò, rivelando una statura piuttosto elevata, e stringendo in una mano il cuscino, trascinandolo come la copertina di Linus, uscì dalla stanza e si diresse verso il bagno. Nel corridoio silenzioso quasi si scontrò con Nasty, che stava uscendo dalla sua camera già vestita di tutto punto, benché fossero appena le sei.
"Eih!", lo salutò lei, allegra e piacevolmente sorpresa. "Era un bel po' che non ti alzavi così presto. Torni alle vecchie, buone, abitudini?"
Ryo si strofinò gli occhi con una mano e si dondolò sulle gambe. "Uh-uh… Oggi vado a scuola", disse con il tono di chi confessa di avere intenzione di compiere un omicidio plurimo.
Nasty sorrise e il ragazzo scorse sul suo viso una evidente espressione di sollievo mista a piacere.
Nei giorni passati, l'amica aveva tentato spesso di stabilire un contatto più profondo con lui: con discrezione, senza indulgere in stucchevoli carinerie, aveva cercato di farlo sentire veramente a casa sua e di indurlo così a vedere in lei una sorella alla quale potersi sostenere. Ma lui aveva frustrato ogni suo tentativo: non per cattiveria, ma a causa di un blocco emotivo che si sentiva dentro. Poteva perfino avvertirlo fisicamente: un enorme pezzo di ghiaccio stabilmente insediato al centro del suo petto.
Ryo rispose al sorriso di Nasty con un certo impaccio, consapevole di non meritare tanta dedizione, sicché gli venne fuori una specie di smorfia simile ad uno spasmo facciale. Sentì di doverle dire qualcosa che le facesse capire che le era grato e lottò contro il nodo che gli si era formato in gola. Mentre Nasty si voltava per scendere di sotto a preparare la colazione per entrambi riuscì a dirle un "Grazie" sottotono che lei ricambiò con una semplice scrollata di mano.
Dopo la morte di Eiji, nell'ottobre dell'anno precedente, Nasty gli aveva detto senza mezzi termini che, volente o nolente, poiché era rimasto solo, lei si sarebbe presa cura di lui. A tutt'oggi la cosa non gli dispiaceva ma, ancora come allora, non riusciva a vederne la necessità e lei capiva. Nonostante tutto, infatti, non si era opposta in alcun modo a che lui continuasse a vivere nella stanza che aveva affittato a Tokyo prima che suo padre stuzzicasse quel giaguaro di troppo che l'aveva affettato. Tuttavia, quando in preda al doloroso turbamento causato da Suzunagi, le aveva chiesto di poter tornare a casa sua per qualche tempo, Nasty lo aveva accolto a braccia aperte. In realtà, chiederle di stare da lei gli era sembrato, e gli sembrava ancora, un gesto mostruosamente infantile. In più, al disagio che provava per questa sua debolezza, a partire dai primi giorni di aprile si era venuto ad aggiungere un sentimento di funesta anticipazione che sapeva sarebbe esploso in fastidio se lei avesse cominciato a spronarlo affinché frequentasse le lezioni, dal momento che aveva già perso l'inizio dell'anno scolastico. Invece, smentendo i suoi presentimenti, lei non aveva mai detto nulla al riguardo. Non solo: con suo immenso sollievo non aveva nemmeno cercato di consolarlo trattandolo come fosse un suo pulcino. Tutto ciò a cui si limitava era qualche pacca al fondoschiena (gesto che, la prima volta, lo aveva un po' spiazzato perché denotava una familiarità che con Nasty non sentiva di aver raggiunto) e a disapprovarlo con lo sguardo quando lo vedeva cincischiare con il cibo invece di mangiare di buon appetito, com'era solito fare.
Ryo sospirò, si accorse di tenere ancora il cuscino per un angolo, fece dietrofront e lo lanciò sul letto. In bagno si spogliò del pigiama e si infilò sotto la doccia. Era ora di darsi una bella scrollata. Per gli incubi non poteva fare nulla, salvo sperare che sarebbero svaniti col tempo, quando, il terrore di perdere le persone che amava, avrebbe cominciato a scemare, riducendosi ad una delle tante paure che teneva sotto chiave in un angolo sperduto del suo cuore. Invece, con un po' di buona volontà, poteva togliere di mezzo il torpore che si era impadronito di lui.
E va bene, si disse. Sono orfano, ho di nuovo un'armatura e mi sento alla deriva, ma adesso devo smettere di piangermi addosso.
Aprì l'acqua calda e si lasciò bollire sotto il getto per una decina di minuti. L'ultima memorabile volta che aveva visto Seiji
Solo tre giorni fa…
l'amico gli aveva imposto col ricatto di cominciare ad andare a scuola. D'improvviso, nonostante il calore dell'acqua, Ryo sentì freddo. A dispetto dei suoi tentativi di mantenere una conversazione spensierata, Seiji si era dimostrato a tratti scostante e insofferente alla sua presenza. "Stammi bene, Ryo", lo aveva congedato di punto in bianco. Poi aveva aggiunto: "E vedi di andare a scuola, OK?". Nessun "ci vediamo" o "ci sentiamo". Questo lo aveva ferito ancor più del repentino taglio che aveva dato alla sua visita.
Siamo tutti sconvolti, lo so, ma…
In quel momento, nudo sotto l'acqua, Ryo si arrabbiò per la prima volta dopo settimane di apatia. Ma come!? Un attimo prima rideva delle sue buffonate e l'attimo successivo lo trattava come il fattorino di un albergo? E che dire della freddezza di Shin? E della nuova e inaspettata distanza che si era creata persino tra lui e Shu?
Io comprendo bene i vostri sentimenti, perché voi non riuscite a capire che da solo non ce la faccio!?
L'acqua che lavava il suo corpo cominciò ad evaporare. Ryo si trovò immerso in una improvvisa foschia che lo privò della vista. Colto di sorpresa, tornò al presente e uscì dal box della doccia, che ormai somigliava ad una sauna. Sgattaiolò in camera sua lesto e furtivo come un gatto (Nasty gli aveva un'altra volta cacciato chissà dove l'accappatoio) e mentre si infilava la divisa si soffermò a pensare alla scuola. Che diamine doveva aspettarsi? C'era già andato, ovvio: aveva fatto tutte le elementari e due anni delle medie, ma aveva frequentato un istituto di provincia, in un paese nelle vicinanze del luogo in cui era vissuto con Kaosu, ai tempi del suo addestramento. Dopo aveva sempre studiato da solo, persino in quell'anno che l'aveva visto impegnato nella lotta contro Arago. Touma, Shin e Seiji (e di tanto in tanto anche Shu) si erano uniti a lui, forse per ricostruire insieme l'illusione di essere normali adolescenti che, in un futuro di pace, avrebbero potuto scontare amaramente la colpa di aver trascurato gli studi. Adesso però si preparava ad affrontare l'ultimo anno delle superiori in un liceo di Tokyo. Aveva superato l'esame di ammissione ad un prestigioso istituto e anche la verifica di idoneità per accedere all'ultimo anno. Aveva sgobbato come un matto, per riuscirci. La sua tenacia e la sua capacità di applicazione avevano lasciato Touma senza parole, una volta tanto. Benché fosse cosciente che la sua preparazione restava comunque carente e che, pertanto, si sarebbe trovato in condizione di inferiorità rispetto ai suoi compagni, Ryo si sentiva sereno: era consapevole che la sua situazione non era affatto irrimediabile. E poi, Touma gli aveva promesso aiuto. Già nel precedente week-end avevano ripreso a studiare insieme. Quindi non era questo a preoccuparlo, ma l'orda di ragazzi della sua età che avrebbe dovuto affrontare.
Scommettiamo tre a uno che i passatempi dei comuni diciassettenni non contemplano la caccia al demone e le disperate battaglie per non arrendersi al dolore e alla paura di fallire?
Su quali interessi comuni avrebbe potuto contare, per riuscire a non sentirsi un emarginato? Sbuffò seccato e subito gli venne in mente una delle tante serate trascorse con Tou sul tetto della casa di Nasty, a parlare e a guardare le stelle. In quella occasione, l'amico se n'era venuto fuori con una analisi del suo carattere che lì per lì lo aveva offeso un po'. Salvo che, come al solito, a mente fredda era stato costretto a riconoscere che ci aveva azzeccato.
"Questa mattina riflettevo sui paradossi e ad un certo punto mi sei venuto in mente tu", gli aveva detto Tou, steso sulla schiena, con le mani dietro la testa e gli occhi fissi al cielo. Quindi, ignorando il suo brontolio, aveva proseguito: "Sai come ti vedo io? Come uno scoiattolo…"
"Eeeeehhh!?"
"… perché sei un tipo vivace e chiassoso - e, a proposito, consentimi una piccola digressione: se ti metti un'altra volta a fare casino all'alba, ti spacco le corna!"
"Se ti riferisci a questa mattina, non era l'alba: erano le dieci passate. E non stavo facendo casino: cantavo e basta."
Tou aveva ridacchiato. "Comunque, spiegami il perché di questa alternanza Jekyll-Hyde. Davvero: perché con noi sei così schietto e allegro, mentre quando si tratta di fare nuove conoscenze ti chiudi a palla e diventi persino scontroso? Hai l'argento vivo addosso, ma sei anche un antisociale. Com'è possibile, eh?"
A questo, aveva replicato col silenzio. L'unica risposta che gli era venuta in mente era stata un nome, Luna, ma aveva deciso saggiamente di tenerla per sé altrimenti Tou sarebbe corso da Seiji e tutti e due insieme gli avrebbero fatto una testa tanta sul fatto che essergli amico non significava tenere una punta metallica in mano durante un temporale. Non tutti quelli con cui avrebbe fatto conoscenza, al di fuori del loro gruppo, sarebbero morti.
Seduto sul pavimento, con le spalle al letto, Ryo si allacciò le immancabili scarpe da tennis (nuove, prese apposta per l'occasione) e guardò fuori dalla finestra. Tra gli alberi, lo spicchio di lago che vedeva dalla sua stanza brillava di un azzurro purissimo e sulle piccole onde che ne increspavano la superficie, la luce del sole si scomponeva in minuscoli luccichii ammiccanti. Sulla ringhiera del balcone, alcuni passerotti presero a cinguettare freneticamente tra loro. Un tremito nervoso afferrò Ryo all'improvviso, alla base del collo. Fare amicizia al di fuori del gruppo dei Samurai Troopers… ma se aveva quasi perso anche loro? Persino se stesso? La morte che tanto spesso, persino troppo!, avevano sfiorato nelle battaglie contro Arago e i suoi demoni, ma che nella sua mente era sempre rimasta una remota opzione cui pensare il meno possibile, quasi uno spettro o poco più, d'un tratto era balzata fuori dai suoi peggiori incubi e lo aveva colpito con violenza, prima togliendogli la persona che aveva amato di più al mondo e poi cercando di fare altrettanto con quelle che gli erano rimaste. Rabbrividendo balzò in piedi e si precipitò al piano di sotto. Saltò gli ultimi quattro gradini delle scale, dimentico di quanto a Nasty desse fastidio quel fatto, quanto quello dello sbattere le porte, e quando se ne rese conto si fermò in ascolto, pronto a subire un rimbrotto. Ma il richiamo che si aspettava non venne.
Nasty gli aveva preparato un pranzo invece che una normale colazione. Per un attimo appena, qualcosa dentro Ryo si incrinò e il ragazzo provò l'impulso di aprirsi con lei, rivelarle tutto ciò che lo tormentava.
"Fatti un po' vedere", gli disse Nasty, quando si voltò e lo vide fermo ai piedi delle scale.
Ryo si esibì in uno sfrontatissimo defilè che fece apparire sul volto della giovane donna un sorriso largo da un orecchio all'altro.
"Stai benissimo."
Il ragazzo si stupì nel cogliere, nella voce di Nasty, un lieve tremito. Tuttavia, lei aveva una tempra d'acciaio e nascose ben presto all'amico i segni della sua commozione.
"Spero che tu abbia fame", gli disse. Alla faccia del sorriso che le tendeva le labbra, la sua sembrava una minaccia bella e buona.
Ryo sentì ritornare al suo posto quella parte di sé che per un istante era scivolata nella vulnerabilità. Non avrebbe detto niente né a lei né agli altri. Non lo avrebbe fatto mai. Perché doveva essere forte, per tutti loro.
"Credo che mi convenga averne", rispose sedendosi a tavola, sollevando su Nasty due occhioni dall'espressione innocente che sembravano implorare "Avresti il coraggio di fare del male a questo angioletto che ti vuole tanto tanto bene?"
Nasty rise e Ryo si rilassò. Sviare il suo prossimo con qualche buffonata era la subdola tattica a cui ricorreva quando non voleva far trapelare il suo stato d'animo. Seiji, una volta, gli aveva detto che avrebbe dovuto fare l'attore. A quel punto doveva concludere d'esserlo diventato. Ma meglio così, pensò infilandosi in bocca mezzo tramezzino in un colpo solo, che angosciare amici che avevano sempre visto in lui una torre di forza a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà. Meglio così.

2.
"Beh, vado", disse Ryo, infilandosi il casco.
Ferma sulla porta di casa, con le caviglie e le braccia incrociate, Nasty storse la bocca. "Devi proprio andarci in moto?"
"Non vorrai mica accompagnarmi tu!?", le chiese lui scandalizzato.
Avviò il motore, le fece ciao-ciao con una mano e partì.
Nasty non condivideva per niente la sua passione per le due ruote e gli aveva fatto parecchie storie quando, un pomeriggio, si era presentato da lei in sella alla sua Yamaha WR 125. Quella era stata l'unica volta che lo aveva rimproverato apertamente, dopo la morte di suo padre. Certo, a vederla dal suo punto di vista, la sua preoccupazione era giustificata, dovette ammettere Ryo, perché quello stesso pomeriggio, infervorato com'era nel sostenere la sua causa, aveva deciso di darle dimostrazione della sua abilità nel padroneggiare la moto… ed era andato a schiantarsi contro un muro di casa, aprendo uno squarcio così nell'intonaco. Colpa di un sassolino che aveva fatto slittare la ruota posteriore, ma Nasty non l'aveva presa affatto in modo sportivo e non solo gli aveva urlato contro, ma gli aveva anche tenuto il broncio per quasi due giorni, resistendo a tutti i suoi tentativi di fare pace. Alla fine aveva ceduto per intercessione di Touma, dal quale era andata a sfogare il suo malcontento. Dopo di allora era caduto altre due volte (una prima volta per evitare un gatto e un'altra per evitare di finire sotto la station-wagon di un disgraziato che non aveva rispettato uno stop) e la seconda si era fatto male davvero, ma a Nasty non aveva detto una parola. Era successo tre giorni prima e del fatto era a conoscenza soltanto Seiji, che aveva guarito le sue abrasioni. Prima che le cose andassero alla malora, aveva fatto giurare a Biondo di tenere la bocca ben cucita. Nonostante tutto, Ryo sorrise al ricordo dell'espressione di Sei quando lo aveva visto spuntare nel suo appartamento cittadino con il braccio destro che sembrava una bistecca al sangue.
"Tu non sei normale!", lo aveva aggredito Biondo. O per lo meno ci aveva provato: era pallido e scuoteva piano la testa, con gli occhi sgranati, come a dire "Io non sto vedendo quello che sto vedendo!".
"Se mi facessi curare in ospedale, Nasty verrebbe a saperlo", aveva risposto lui a denti stretti per il dolore, ma in tono assolutamente ragionevole. Si era accorto che la meraviglia dell'amico ancora la vinceva sulla rabbia, ma presto o tardi Seiji si sarebbe ripreso e l'avrebbe consegnato alla giustizia di Nasty (una giustizia sommaria, aveva motivo di credere) e così, TADAAAHH!, tattica subdola back in action e Seiji si era calmato. Che fossero stati il sangue e la sua ferita, e il fatto di dover nuovamente ricorrere al suo potere taumaturgico, come aveva fatto tanto spesso in battaglia, a far gelare Seiji in quella occasione?
In ogni caso, era in debito con lui perché in cambio del suo silenzio quel ricattatore gli aveva estorto il giuramento di comportarsi in modo assennato e di cominciare a frequentare le lezioni. Anche per questo, si era infine deciso. C'era una cosa, però, che doveva fare prima di recarsi a scuola. Rispettare una piccola incombenza che si era preso qualche settimana prima, durante le sue vuote giornate passate a bighellonare per Tokyo. Doveva passare davanti al nuovo municipio (anche se la sola vista di quella costruzione gli faceva rivoltare le budella) e assicurarsi che lì fosse tutto a posto.

3.
Il cortile della scuola si stava riempiendo di formichine sgambettanti e vocianti, molte delle quali già sciamavano nelle aule. Nella sua non era ancora entrato nessuno e Reimi ne era felice: ogni mattina arrivava in classe molto prima dell'inizio delle lezioni proprio per evitare quel momento della giornata e se avesse potuto fare qualcosa per scantonare anche durante la pausa pranzo, sarebbe stata ancora più felice. Affacciata alla finestra, la ragazza osservava gli studenti sparire all'interno dell'edificio, riflettendo oziosamente su quanto le sarebbe piaciuto farli sparire veramente. Loro e la scuola.
Quella mattina il cielo era sgombro e brillante e un piacevole venticello rinfrescava l'aria. I ciliegi nel cortile stavano fiorendo e già si assisteva, qua e là, ai primi rituali di corteggiamento.
Primavera: la stagione degli amori, la stagione dei poeti.
Puah!, pensò Reimi. Negli armadietti di alcuni suoi compagni di classe facevano la loro comparsa le prime timide lettere d'amore. Nel suo proliferavano rane e stupidi scherzi. Non devo prendermela, si diceva. Nei corridoi non poteva quasi più farsi vedere, pena una raccolta di insulti che la irritavano più per la loro mediocrità che per la loro cattiveria: strega, ranocchio, sgorbietto… I bambini dell'asilo sapevano essere più crudeli e sorprendenti.
Non devo prendermela… A furia di pensare così si era accorta che, giorno dopo giorno, in lei era subentrata una sorta di indifferenza a sogni e speranze di qualsiasi genere. Da molto tempo, ormai, aveva smesso di credere in un futuro diverso dal presente che viveva.
Mentre rimuginava sullo scherzo bislacco che il destino le aveva giocato, sempre affacciata alla finestra, vide un certo movimento giù al cancello: alcuni ragazzi che fino a pochi secondi prima gironzolavano nei pressi, mani in tasca e spalle curve, come anime in pena, si ringalluzzirono come se avessero bevuto un litro di ricostituente altamente vitaminico e si assieparono intorno ad una minuta figura femminile. Da dove si trovava, Reimi riusciva solo a distinguere la gonna blu a fantasia scozzese, caratteristica della divisa delle ragazze del Seiran, e la sua lunga chioma nera che sapeva ornata di treccine sottili, ai lati del bel viso, vivacizzate da perline etniche che la ragazza aveva la pretesa di far passare per autentici monili africani. Con un guizzo di irritazione, Reimi riconobbe l'assediata, il primo dei suoi compagni ad arrivare quella mattina: Yazawa Sanae, un viso d'angelo che celava un'anima meschina e intrigante. Rei la osservò mentre attraversava il cortile come una regina, attorniata dai suoi spasimanti. Dietro si trascinava il solito codazzo di amiche, che le gironzolavano intorno sperando di poter accalappiare qualcuno dei suoi scarti. Tra questi scarti figurava anche Higuri.
"Ah, Shinji, Shinji… come sono contenta che tu mi abbia delusa amaramente!"
Reimi era al corrente delle voci che circolavano non solo sul suo conto (alle quali Shinji sembrava dare parecchio credito), ma anche sul fatto che le due ragazze più chiacchierate della scuola, la più amata e la più detestata, frequentassero la stessa sezione e lo stesso anno nonostante la più detestata non avesse che quindici anni. In realtà, per lei si trattava di una mera questione di necessità: nonostante la sua giovane età frequentava l'ultimo anno al prestigioso istituto Seiran perché il "salto" era l'unica soluzione che aveva escogitato per concludere alla svelta il capitolo scuola e che la signora Sato, l'assistente sociale, aveva accettato. Lei, invero, aveva chiesto di poter seguire le lezioni in videoconferenza confidando, con un eccesso di ingenuità, che la sua ottima condotta scolastica e personale le avrebbero garantito l'accesso a questo privilegio. Invece no! Quella piattola della Sato l'aveva ripresa con asprezza, paragonandola ad uno struzzo che per paura nasconde la testa sotto la sabbia. Era certa che quella zitellona non l'avesse spronata a camminare a testa alta in mezzo a chi la detestava solo pensando al suo bene. Secondo lei, la Sato traeva un truce piacere nell'osservarla mentre lei cercava di non farsi travolgere dall'antipatia
(Paura)
che praticamente era il sentimento che più di frequente suscitava.
Appoggiò una guancia alla mano e sbuffò. In quel momento, la porta alle sue spalle si aprì con un rullio di scorrimento su guide metalliche. Reimi resistette alla tentazione di voltarsi, tanto sarebbe stato inutile salutare Yazawa: lei non aveva mai ricambiato né lo avrebbe mai più fatto. Non valeva la pena di sprecare fiato.

4.
Ci siamo, pensò Ryo quando l'anziana professoressa Tsukino, che lo precedeva, si fermò davanti alla porta di un'aula. Il cartellino sulla sua testa diceva "Terzo anno, Sezione A". Dall'altro lato della porta veniva un brusio intenso, come se al di là si trovasse uno sciame di api giganti. La Tsukino afferrò la maniglia e Ryo deglutì, nervoso.
["Eih, Ryo!"]
Il giovane inspirò bruscamente, producendo un lieve sibilo.
"Stai tranquillo", gli disse la professoressa in tono bonario.
Ryo strinse le labbra, imbarazzato, e diede uno strattone allo spallaccio del suo zaino rosso, accomodandoselo meglio sulla spalla. La sera prima, spinto da chissà quale istinto perverso che nemmeno sospettava di possedere, vi aveva disegnato sopra lo stemma della Vampa. A lavoro ultimato aveva concluso che si trattava di una forma di accettazione: il suo inconscio lo aveva spinto ad imporre quel marchio anche su questo nuovo aspetto della sua esistenza perché stava assestandosi per adattarsi alla realtà enunciata da Suzunagi, come una sentenza: "Sarete Samurai Troopers fino alla morte!". Ne aveva parlato con Tou e gli era sembrato che l'amico restasse alquanto meravigliato dalla sua teoria. Il termine "assestamento" sembrava essergli piaciuto parecchio, perché l'aveva ripetuto un paio di volte, come per assaporarne il suono, prima di dichiararsi d'accordo con lui e augurargli buona fortuna per il giorno dopo.
["Shu, non ora per favore"]
Nella sua mente si diffuse il suono della risatina di Shu, ma aveva un che di stonato. Doveva essersela presa per il suo tono teso e sbrigativo.
["Maledetto cinese!"], lo insultò con calore, per farsi perdonare.
Shu rise forte, e questa volta con più spontaneità.
["Tou mi ha detto che questo è il tuo primo giorno di scuola. Amico, fuggi finché puoi. Salvati!"]
["Troppo tardi. Ma venderò cara la pelle, OK?"]
Silenzio.
Ma certo!, era per via delle battute che si erano appena scambiati. Dopo anni di combattimenti era così facile inciampare in un certo tipo di gergo persino nelle situazioni più banali.
["Grazie per il sostegno, Shu"], disse mestamente.
["Di niente. Beh, fatti sentire"], rispose l'altro nello stesso tono.
["Sicuro"]
Quando lo vorrai davvero, Shu, potrai sentire sempre la mia voce, amico.
La professoressa Tsukino aprì la porta dell'aula all'improvviso. Ryo la seguì in apnea.

5.
Yazawa, la capoclasse, si alzò non appena l'insegnante fece il suo ingresso. Aveva già intonato il consueto "In piedi!" ai compagni, quando la sua voce si smorzò in un fievole iiihhh. Il brusio cessò di colpo, sostituito da un silenzio che si ruppe all'improvviso con un sospiro collettivo, una specie di ooohhh! che sembrava il lamento di uno spirito e una delle ragazze, quasi sicuramente Kanzaki Misato, l'unica che avesse tanta faccia tosta, proruppe in un accidenti! perfettamente udibile.
Dietro alla professoressa Tsukino era entrato il tipo più straordinario che lei e gli altri avessero mai visto. Un ragazzo piuttosto alto e slanciato, con una massa di lucenti capelli neri e gli occhi blu. Occhi blu!
"Seduti", ordinò Sanae, senza il consueto piglio di superiorità.
Intanto la professoressa aveva voltato le spalle a tutti e sulla lavagna aveva cominciato a tracciare alcuni kanji: il nome del nuovo arrivato, che se ne stava impalato come una statua e guardava tutti con l'aria di uno che si aspetta di essere sbranato da un momento all'altro.
"Vi presento Sanada Ryo, un nuovo studente. Diamogli il benvenuto."
Coro di "benvenuto", con la voce delle ragazze levata in una specie di ovazione.
Ryo fece un mezzo sorriso. Il cinquanta per cento almeno dei suoi compagni sembrava averlo già accettato senza problemi. Forse non sarebbe stata un'impresa così ardua, riuscire ad integrarsi. Tuttavia, la relativa calma del ragazzo andò in frantumi un istante dopo, quando la professoressa Tsukino gli chiese a bruciapelo: "Vuoi dirci qualcosa di te, Ryo?"
"No!", gli scappò detto.
Dietro le lenti spesse degli occhiali cerchiati di nero, gli occhi della professoressa sbatterono due volte. Ryo spalancò i suoi e li girò, incredulo, sui ragazzi seduti ai banchi. Lo guardavano tutti!
Terra, accoglimi nelle tue viscere!
"Beh, molto spontaneo", commentò Kaede Tsukino.
Gli alunni scoppiarono a ridere e nella mente di Ryo sfilò una sequenza, come le strisce di fumetti super deformed che ogni tanto disegnava per divertire gli amici: vide se stesso ridursi fino ad assumere le dimensioni di un topolino e fuggire a razzo fuori dalla classe, mulinando due gambe che sembravano le pale di un elicottero in volo. Si sentì avvampare.
"Ci sono due banchi liberi", disse la professoressa, per trarlo d'imbarazzo. "Scegline uno e siediti. Siamo in ritardo per la lezione."

6.
Occhi blu puri e intensi come i cieli più remoti. Occhi immensi, dal taglio adamantino. Occhi di fuoco.
Chi è questo ragazzo?

7.
Ryo si concentrò sulla scelta del banco, ignorando il resto, ma ad un tratto fu travolto da ondate di pensieri inintelligibili, che si infransero contro la sua mente come onde sulla spiaggia. Bisbigli ed echi cortocircuitarono per un istante i suoi pensieri.
Chi sei?, chiese stupito, ma non allarmato, quando riuscì a riprendersi dall'intrusione.
Nessuna risposta. Aveva immaginato tutto, dunque? Forse era troppo teso. Prese un bel respiro e tornò ad ispezionare l'aula, cercando di stabilire quale dei due banchi indicatigli dalla professoressa Tsukino lo ispirava di più. Un luccichio di porpora, come il riflesso di un raggio di sole su una goccia di sangue, attrasse la sua attenzione. Un brivido lo sciabolò alla schiena, costringendolo a irrigidirsi. Ryo individuò la fonte di quella sensazione acuminata e si ritrovò ad osservare due occhi rossi che lo fissavano a loro volta da un viso bianco, calmo e terribilmente serio. Non c'era traccia di simpatia sul volto di quella ragazza. Lei, vedendo ricambiato il suo sguardo, abbassò la fronte. Uno dei banchi si trovava tra il suo e una delle finestre. Senza aver deciso consciamente, Ryo vi si diresse mancando completamente di registrare due reazioni: quella di sorpresa della classe e quella di fastidio di Yazawa. Il secondo banco libero era quello vicino al suo.

8.
Le ore di lezione prima della pausa pranzo non furono il calvario di noia e sonnolenza che Ryo si era aspettato. La professoressa Tsukino, che insegnava storia, si dimostrò ben disposta nei suoi confronti e gli fornì tutte le indicazioni necessarie per mettersi in pari con il programma. Chiese anche ad una delle sue compagne, proprio la sua vicina di banco, Ayanami Reimi, di aiutarlo prestandogli i suoi appunti. La professoressa Tsukino lo invitò a rivolgersi esplicitamente a lei per avere aiuto perché, a suo dire, Ayanami era l'allieva migliore della classe. Nell'intervallo tra la prima e la seconda ora, la ragazza gli passò il suo quaderno in silenzio, senza guardarlo, rispondendo solo con un freddo cenno della testa al suo "Grazie", che poi era stato anche un timido tentativo di avviare una conversazione.
Primo tentativo di fraternizzare… Fallito. Pazienza.
La seconda ora fu una sorpresa: Ryo scoprì che la chimica gli piaceva, benché non gli riuscisse proprio del tutto chiara. Se pensava ai sali dell'acido nitroso, i nitriti, doveva strozzarsi per non mettersi a ridere: gli venivano in mente i cavalli, non poteva farci niente. E a parte questo, quale era la formula dei nitriti?
La terza, matematica, fu la più sgradevole. Il professore Takeaki lo chiamò subito alla lavagna per risolvere un problema da emicrania. Ma dopo il primo, paralizzante, attimo di panico si era accorto di conoscere la soluzione: si trattava di una formula che Tou gli aveva spiegato in appendice durante la lezione sulla parabola. E pensare che gli aveva garantito che non avrebbe mai dovuto scontrarsi con la determinazione dei punti di intersezione tra parabola e circonferenza, non al liceo! Grazie a Tou aveva fatto una figura prodigiosa, ma Takeaki non ne era sembrato per nulla contento. Ryo suppose dipendesse dal fatto che, come il resto del corpo docenti, anche Takeaki era a conoscenza dei suoi studi condotti privatamente (che balla!, ma che altro avrebbe potuto dire?): probabilmente, dunque, si era convinto che il nuovo arrivato dovesse essere un somaro, il tipo giusto su cui sfogare il proprio malcontento quotidiano. Se così era, pensò Ryo, di nuovo al suo posto, c'era poco di cui stupirsi: con quell'aspetto rattrappito da gnomo, le orecchie a sventola e i capelli radi, il professore Takeaki dava l'impressione di essere più acido di un limone sott'aceto.
La quarta ora, inglese, fu una passeggiata. Non poteva essere diversamente: certi giorni, per capire quello che dicevano Shin e Touma o dovevi conoscere la lingua o dovevi girare con un traduttore istantaneo in mano. Lui aveva scelto di imparare.
L'ultima ora, esercitazione di biologia, fu una vera pacchia: pasticciare con i vetrini gli era piaciuto al punto che s'era quasi convinto ad iscriversi anche lui alla facoltà di biologia con Shin, l'anno seguente.
Il caso aveva voluto che Ayanami sedesse in coppia con lui: aveva sperato di riuscire a scambiare qualche parola con lei, ma la ragazza aveva sempre tenuto gli occhi bassi e le lebbra ben chiuse. Ryo l'aveva sbirciata, di tanto in tanto. Per quanto trovasse interessanti le lezioni, non riusciva proprio a fare a meno di distrarsi e più di una volta aveva dovuto lottare contro il desiderio di alzarsi e scappare dall'aula per andare a farsi un giretto. Il suo corpo soffriva terribilmente per la mancanza di movimento. Ayanami, invece, non si distraeva mai: dopo la prima inevitabile occhiata al suo ingresso non l'aveva guardato nemmeno una volta, a differenza delle altre sue compagne. E, a proposito, ne aveva individuata una che gli sarebbe piaciuto presentare a Shu, dal momento che viaggiava sulla sua stessa lunghezza d'onda di sfacciataggine. Si trattava di una certa Kanzaki (Misaki? Misato?, non ricordava) che, prima dell'arrivo del professore, contemplando il manichino con sembianze umane montato in un angolo dell'aula, aveva buttato lì, come per caso, un udibilissimo: "Se Sanada prendesse il suo posto, studierei il corpo umano più che volentieri". Al che lui era arrossito con violenza (lo aveva visto nel riflesso del suo viso su una provetta), perché il manichino rappresentava, ovviamente, un uomo nudo.
Infine, poco prima che suonasse la campanella per il pranzo, mentre usciva dal laboratorio con gli altri, uno dei suoi compagni gli si affiancò e gli diede una manata su una spalla.
"Che te ne pare di questo primo giorno, Sanada?"
Ryo avrebbe voluto rispondergli, innanzitutto, di levargli la mano di dosso e di evitare gesti tanto confidenziali, ma ricordò di aver promesso a Touma che avrebbe cercato di fare amicizia e rilassò l'espressione tesa del viso.
"Pensavo peggio." Non riuscì ad aggiungere altro. "Tu chi sei?", chiese dopo un attimo di silenzio.
Il ragazzò ridacchiò e fece schioccare due dita. "Scusa: me lo dicono tutti che l'educazione non è il mio forte. Mi chiamo Ishizaki Kento, ma puoi chiamarmi solo Ken. Sono seduto proprio dietro di te."
"Oh", rispose Ryo, tanto per dire qualcosa.
Ishizaki lo trattenne un po' per la spalla, in modo che gli altri li superassero. Nel passargli accanto, alcune delle sue compagne e altre ragazze della sezione con cui la sua era accoppiata per le esercitazioni si voltarono verso di lui sorridendogli o ridacchiando e Ryo si augurò che quel modo di fare non durasse in eterno. Abbassò gli occhi e per qualche tempo li tenne ostinatamente fissi sulle sue scarpe.
"Ascolta, Sanada. Voglio darti un consiglio, visto che sei nuovo e che mi sei simpatico."
Ryo alzò il viso e guardò Ishizaki con curiosità.
"Ho visto che hai adocchiato Ayanami. Beh, non farlo più."
Ryo rallentò il passo. "Scusa. Non sapevo che fosse la tua ragazza."
Ishizaki lo guardò con tanto d'occhi. "La mia… la mia ragazza?", scoppiò a ridere. Quasi si strozzava!
Ryo lo guardò confuso e lui gli diede tre vigorose manate sulla schiena.
"Guarda che non hai capito niente! Chi diavolo vorrebbe uno sgorbietto come quello quando il Seiran pullula di belle ragazze?"
Ishizaki si asciugò le lacrime con una manica, tirò due sospironi esagerati e, una volta ricompostosi, proseguì: "Ayanami non è molto amata. Circolano strane voci sul suo conto, è un po' lo scheletro nell'armadio del Seiran. E poi, dico, l'hai vista anche tu: non dice mai una parola, a meno che non venga interrogata, ed è sempre scostante con chiunque. E…", Ishizaki avvicinò la sua guancia a quella di Ryo, "sai, si dice che sia una strega. Per via dei suoi occhi rossi. Mettono i brividi, eh? Ho sentito dire che ha causato lei la morte dei suoi genitori."
Ryo si fermò. "Ma che vai blaterando!?", chiese in tono infastidito.
Ishizaki si strinse nelle spalle. "Volevo solo avvisarti, tutto qui. Evita Ayanami. Comunque, a lei non importa un accidente di nessuno, te ne accorgerai." Gli batté il quaderno sul braccio. "Ci vediamo in aula. Eih, pranziamo insieme. Ti presento qualche tipo tosto della nostra classe", aggiunse prima di voltarsi e inoltrarsi nel corridoio ormai quasi deserto, fischiettando.
Ryo scosse il capo. Se i tipi tosti che vuoi presentarmi sono come te, grazie tante ma preferisco affrontare non una ma mille streghe.
Mentre si avviava anche lui, si chiese come mai le parole di Ishizaki lo avessero urtato tanto. Non credeva affatto a tutte le fesserie che gli aveva detto, figurarsi! A parte gli occhi - davvero piuttosto strani - Ayanami gli era sembrata una ragazza come tante. In effetti l'aveva giudicata un tantino presuntuosa, ma adesso cominciava a credere che, forse, il suo distacco era un modo per difendersi dall'antipatia dei compagni. E, improvvisamente, Ryo capì perché l'atteggiamento di Ishizaki lo aveva infastidito.
Anche se tra tanti, Ayanami è sola. Come me.
Si chiese che cosa avrebbe detto "Kento il tosto" se avesse saputo che lui era uno sterminatore di demoni. Si mise le mani in tasca e ridacchiò: probabilmente avrebbe organizzato un incontro Sanada vs Ayanami e avrebbe raccolto le scommesse sul vincitore.
Una volta in classe, Ryo scoprì che dopo quello che gli aveva detto Ishizaki, evitare di sbirciare Ayanami era diventata una missione quasi impossibile. Lei se ne stava davvero sempre da sola, isolata da tutti. Nessuno le si avvicinava, nessuno le rivolgeva la parola: sembrava che tutti facessero a gara per passare il più possibile alla larga dal suo banco. Dal canto suo, Ayanami non faceva alcun tentativo per rimediare a quella situazione: non appena la campanella aveva suonato l'inizio dell'intervallo, aveva tirato fuori l'obento, un libro e un walkman.
Potrei di nuovo provare a parlarle, pensò Ryo, ma ebbe un attimo di indecisione e questo gli fu fatale. Gli si affiancarono Ishizaki e altri tre ragazzi, che a furia di gestacci ed espressioni triviali allontanarono alcune ragazze che si stavano avvicinando.
"Bene, amico", disse Ishizaki, acchiappando una sedia che non era sua e sedendovisi a cavalcioni. "Ti presento Kano Takeshi, Sengoku Ryota e Miura Shun."
Ryo li guardò uno a uno e si accorse che il suo sguardo li intimidiva.
Perfetto. Meglio che intuiscano. Con un po' di fortuna, allontaneranno Ishizaki da me.
"Piacere", disse a bassa voce. Miura si agitò a disagio.
"Da dove vieni, Sanada?", chiese Kano.
"Da Yamanashi."
"E che facevi, lì?", chiese Miura.
"Vivevo."
"Che c'è, amico, non ti va di parlare con noi?", chiese Ishizaki.
Ryo sospirò. "Sono solo un po' nervoso."
"Allora ti faccio vedere io qualcosa di divertente", disse Sengoku.
I fini capelli alla base del collo di Ryo si rizzarono. Il tono di Sengoku era carico di perfidia e sul suo viso deformato dall'adipe, lustro come una luna grassa, comparve un sorriso lungo ma stretto, come una specie di ferita. Ryo temeva uno scherzo ai suoi danni, invece Sengoku si voltò all'improvviso verso Ayanami e con una manata le fece volare dalle mani il libro che stava leggendo. Il volume, piuttosto grosso e dalla copertina consunta, piombò con un tonfo per terra, aprendosi in due. Ryo notò che non aveva titolo.
"Eih, strega!", urlò Sengoku. "Niente incantesimi a scuola!"
Alcuni ragazzi e ragazze risero. Il volto di Ayanami si congelò in una assoluta mancanza di espressione. Ryo scattò in piedi. Gli tremavano le mani, sembrava quasi che lo implorassero di spedirle a marcare a fuoco la faccia di Sengoku.
Ishizaki cercò di rabbonirlo. "Andiamo, Sanada, stai calmo, non è successo niente. Ayanami ci è abituata, vedi? Non se la prende."
E infatti, in silenzio, Ayanami si alzò e raccolse il suo libro. Miura ne approfittò per sottrarle l'obento.
"Bleah!, guardate qui!", esclamò, prelevando qualcosa di lungo e verde da uno degli scomparti. "Che roba è questa: coda di lucertola?"
Miura cominciò a sventolare un asparago sotto il naso di Ayanami, tra le sghignazzate sempre più consistenti dei compagni.
Perché non reagisce?, si chiese Ryo, sgomento. Perché lascia che la trattino così?
Intanto Miura, dopo aver gettato l'asparago sul banco, aveva cominciato a tirare fuori altre cose dalla scatola con il pranzo della ragazza. "Occhi di salamandra! E poi, che abbiamo qui? Ah, una fetta di cuore umano! E…"
E poi, alle sue spalle, risuonò una specie di ringhio. "Piantala!"
Miura si rattrappì all'istante quando la mano di Ryo gli calò con forza sul polso e glielo strinse.
Non è una mossa saggia, Ryo: stai per picchiare un tuo compagno di classe e proprio il primo giorno di lezione!
"Non è necessario."
Ryo trasecolò.
"Non è necessario", ripeté Ayanami con voce chiara ma atona. La ragazza si alzò lentamente, ma il suo schiaffo fu fulmineo. Miura non lo vide arrivare, ma lo sentì e ne portò l'impronta per il resto della giornata.
Con questa scena memorabile, la pausa pranzo si concluse. Il resto del pomeriggio trascorse in modo banale. La scena a cui assistito alimentò la curiosità che Ryo provava nei confronti di Ayanami, ma gli diede anche da pensare.
E' stata velocissima. Troppo, forse.
Infine, furono chiamati a riunirsi tutti in palestra per l'ultima ora, quella di educazione fisica.
Negli spogliatoi, mentre si infilava la tuta, il suo corpo perfetto e già ben sviluppato gli valse non solo parecchi commenti ammirati, alcuni dei quali grondanti tanta invidia da uccidere un orco, ma anche molte occhiate che rasentavano la perversione. Lui ignorò come meglio poté, vestendosi a velocità supersonica. Quanto alla palestra, quando finalmente vi mise piede vide che, benché molto grande, era piena come un uovo poiché erano due le classi che vi si esercitavano in quel momento. Lui, insieme ai ragazzi, si diresse da una parte, sotto lo sguardo di un tipo palestrato che mostrava una discreta somiglianza con Asakawa - il teen-idol più popolare del momento - che li fece sedere tutti sul parquet a gambe incrociate, come tanti pellerossa, mentre spiegava loro che cosa avrebbero dovuto fare. Le ragazze, nell'altra metà, avevano già cominciato ad esercitarsi con vari attrezzi. La loro insegnante, tanto giovane da sembrare ancora fresca di diploma, era parecchio impegnata a sbirciare il clone di Asakawa e così le sue alunne si sbizzarrivano come volevano in atteggiamenti ammiccanti che trovavano il massimo del favore tra i loro compagni.
Come tutti i ragazzi della sua età, anche Ryo si ritrovò a non poter fare a meno di sbirciare le gambe delle coetanee e anche ben altri panorami. Alcuni li trovò davvero notevoli, ma l'imbarazzo e l'innato rispetto che nutriva per il suo prossimo gli impedirono di unirsi ai commenti sboccati e lascivi degli altri.
Yazawa spiccava tra tutte le sue compagne. Ryo l'aveva notata già in aula: era una ragazza decisamente bella e il costume da ginnasta evidenziava il suo corpo armonioso. I suoi movimenti erano fluidi e lei eseguiva i suoi esercizi con la palla in modo ammirevole. Tuttavia… Tuttavia un'altra le contendeva il primato. Ayanami stava esercitandosi anche lei con la palla. Non era bella come Yazawa: alta ed esile, nel fisico mostrava ancora tutta l'immaturità dei suoi quindici anni. Forse la si sarebbe potuta considerare appena graziosa se l'espressione dei suoi strani occhi non fosse stata tale da raggelare le sue attrattive. Eppure, si muoveva con una leggerezza ed una scioltezza che catturarono l'attenzione di Ryo.
Il ragazzo ne fu incantato. Quando il professore Hideaki lo chiamò alla sbarra perché eseguisse i volteggi che chiedeva a tutti i suoi studenti, Ryo fu davvero tentato di esibirsi in qualcosa di spettacolare. Voleva che Ayanami lo guardasse e sentisse per lui la stessa ammirazione che lei gli aveva suscitato. Ma la vicinanza di Touma e Seiji, in oltre tre anni di amicizia, aveva operato in lui un consistente cambiamento (che Shu, il quale vedeva in lui il compagno ideale di imprese storte, si rifiutava caparbiamente di riconoscere e di ammettere): era diventato un po' più cauto e riflessivo, così eseguì buono buonino i suoi volteggi e atterrò senza clamore sul tappeto con un mezzo salto mortale.
Eppure, senza nemmeno rendersene conto, aveva ottenuto tutto quello che aveva desiderato e anche di più. Gli anni di addestramento e di combattimenti avevano fatto di Ryo, già notevolmente portato per ogni tipo di attività sportiva, un atleta eccezionale. Ciò che per lui era banale, per gli altri era incredibile. In più, all'agilità e alla potenza dei movimenti abbinava una grazia sconosciuta ai goffi adolescenti che lo circondavano. Ma di questo, Ryo non aveva la minima consapevolezza. Il ragazzo tornò a sedersi al suo posto in silenzio.

9.
"Eih, guardate! Il professore Hideaki ha chiamato Sanada!", disse Kanzaki, lasciando cadere per terra il cerchio che fino a poco prima si faceva roteare in vita come un hula-hop.
Immediatamente, tutte le ragazze lasciarono perdere i loro attrezzi e puntarono gli occhi sulla figura atletica del nuovo arrivato, che con passo elastico e misurato si stava dirigendo verso la sbarra. La professoressa Akagi cercò invano di riportarle all'ordine, ma quando una delle studentesse le spiegò il perché di tanto interesse, anche la giovane insegnante venne avanti e si fermò ad osservare.
"Ha un portamento davvero elegante", disse Samura Kanoe, la migliore amica di Yazawa.
"E' così carino", sospirò una delle ragazze.
"Carino!? Stai scherzando?", le rispose la vicina, assestandole una gomitata nelle costole. "E' uno schianto!"
Rei Ayanami, che nonostante l'annuncio di Kanzaki aveva deciso di fare orecchie da mercante e di continuare ad esercitarsi, non ne poté più. Assicuratasi che nessuno badasse a lei, afferrò la palla e non la rilanciò più, ma da sopra la spalla si mise a spiare anche lei l'esercizio di Sanada.
Quasi senza piegare le ginocchia, Ryo saltò e si appese alla sbarra, restando appeso ben dritto, con le braccia tese e le gambe allineate. Reimi, una volta, aveva visto uno spettacolo di statue viventi: ginnasti di una scuola russa che eseguivano esercizi di una plasticità sconvolgente, esibendo corpi perfetti sia nell'immobilità che nel movimento. Ryo le comunicò la stessa impressione.
Con un lieve spostamento all'indietro del bacino e una spinta delle gambe in avanti, Ryo diede inizio ad una stupefacente sequenza di volteggi. Le maniche della sua felpa erano tirate su per tre quarti e Reimi apprezzò i suoi avambracci torniti e la tensione dei suoi muscoli. Eppure, nonostante lo sforzo, Rei vide che l'espressione del ragazzo era quasi distaccata, come se non sentisse fatica. Infine, a conclusione dell'esercizio, Ryo rimase un istante sospeso sulle braccia, a perpendicolo sulla sbarra.
Non è un principiante, pensò Reimi. Lei sapeva quale sforzo richiedesse quella posizione: coinvolgeva ogni muscolo del corpo, quelli della braccia per il sostegno, quelli della schiena e dei glutei per il bilanciamento, quelli delle gambe per l'equilibrio. Eppure, le braccia di Sanada non tremavano, le sue gambe erano immobili e così la sua schiena.
Dove ha imparato? E come?
Ma oltre a questi interrogativi puramente tecnici, nella ragazza si fece strada un pensiero subdolo e, nello stesso tempo, inebriante.
E' splendido.

10.
Le sue imprese durante le ore di attività fisica e i suoi crescenti progressi negli studi fecero sì che Ryo diventasse, prima della fine del mese, il ragazzo più popolare della scuola. Il suo armadietto all'ingresso si trasformò in una inesauribile borsa di Mary Poppins da cui fuoriuscivano decine di piccoli doni e di lettere, a volte così profumate da farlo starnutire per mezza giornata, talvolta così esplicite da fare avvampare proprio lui, Rekka no Ryo. Trovava lettere persino nel suo armadietto in palestra e queste erano per lui una fonte di imbarazzo ben peggiore, dal momento che erano lettere di ragazzi. Touma lo prendeva spietatamente in giro per questo fatto, con quel suo modo sottilmente caustico, divertendosi molto più perché ormai sapeva che quando raggiungeva il massimo grado di disagio, lui non solo diventava così rosso da far sembrare il Fuji in eruzione niente più che una lampadina da notte, ma manifestava anche una certa tendenza all'incoerenza verbale e a farsi sfuggire grossi lacrimoni.
Quanto ai suoi sentimenti, beh: erano piuttosto confusi. Col tempo, l'interesse per Ayanami si era fatto più profondo. Tuttavia ancora non emergeva, anche perché lei continuava a tenerlo a distanza. D'altra parte si sentiva sempre più attratto da Yazawa, che invece non gli nascondeva affatto la simpatia che provava per lui. Per di più, Nasty aveva subodorato qualcosa dell'intera faccenda e talvolta, ma forse la sua era solo paranoia!, talvolta gli sembrava di sorprenderla a spiarlo da dietro le porte, come in attesa del momento giusto per tendergli un agguato, immobilizzarlo, legarlo ad una scrivania, puntargli un faro in faccia e cominciare ad interrogarlo finché non avesse sputato la verità. In mezzo a tutto questo, lui continuava a studiare con impegno (anche perché sotto sotto sperava così che Ayanami si accorgesse che non era solo un pupattolone), a dormire male, a sentire terribilmente la mancanza di amici che sembravano non sentire la sua e, in conseguenza di tutto ciò, a perdere appetito. All'inizio di maggio, però, un incidente di poco conto, ma che tenne accuratamente nascosto sia a Nasty che a Touma, lo liberò dall'interrogativo pseudoamletico che lo tormentava di continuo: "Ayanami o Yazawa? Yazawa o Ayanami? Questo sì che è un dilemma!".
Si era arrampicato sul tetto delle scale, fuori sul terrazzo, per sfuggire alla compagnia di Ishizaki. E mentre se ne stava lì su, a gambe larghe e mani in tasca, ad osservare il cielo che andava rapidamente annuvolandosi, era stato colto da una improvvisa vertigine. Si era accorto di barcollare violentemente e per evitare di finire lungo disteso, piano piano aveva cominciato ad abbassarsi su un ginocchio. Ma le cose erano peggiorate e sulla retina gli erano comparsi miliardi di moscerini che gli avevano oscurato la vista.
Avrei dovuto mangiare qualcosa, almeno a colazione, si rimproverò. Sentiva che stava per cadere.
"Appoggiati a me."
Due braccia esili lo sorressero passando sotto le sue, abbracciandolo, accompagnandolo finché non si ritrovò disteso per terra. Una mano sottile, calda e sicura, lo costrinse gentilmente ad alzare il viso, premendo con delicatezza sotto il suo mento. Quella stessa mano, poco dopo, gli allentò il colletto della giacca della divisa e poi slacciò i primi bottoni della camicia che portava sotto.
"Va meglio?"
"Un… un po', sì, grazie", balbettò Ryo.
Un velo scuro si agitava ancora davanti ai suoi occhi.
Una risatina leggera."Scusa, forse ti danno fastidio."
Ryo si accorse che la cortina nera erano capelli. La proprietaria li tirò indietro, rivelando il suo volto. Il ragazzo sobbalzò.
"Ayanami!", esclamò, cercando di mettersi a sedere.
Il viso di lei perse un poco di colore.
"E' meglio che tu vada in infermeria. Se vuoi, posso chiamare qualcuno che ti accompagni."
Ryo si stupì nel cogliere quella nota tagliente nella voce della ragazza che, fino ad un attimo prima, era stata così gentile. Ma subito comprese. Ayanami doveva aver scambiato la sua sorpresa e il suo imbarazzo per il solito rifiuto.
Lei gli si era inginocchiata accanto. Il suo volto, benché serio, rivelava ancora preoccupazione.
Un sospiro si fece largo nel petto di Ryo, mentre fissava quegli occhi rossi che gli avevano tolto il sonno. Il suo cuore, dopo aver perso un buon tre colpi, prese a battere con forza.
Il ragazzo voltò il capo al cielo, il corpo percorso da un lieve tremito.
"Restiamo qui ancora un po'", disse piano.
Un refolo di vento si portò via la risposta sussurrata di Ayanami, ma Ryo la udì ugualmente.
Sì.

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Benone, qui si conclude il primo capitolo di "Assestamenti". Spero di non avervi annoiati, Divini Lettori, anche perché mi sono accorta di averla tirata davvero per le lunghe. Che dire? Mi stavo divertendo…
Prima di chiudere, un'esortazione: fatemi sapere che cosa ne pensate, se vi va. E una supplica: se volete stroncare, fatelo pure, ma con garbo per favore!
Sayonara!