Assestamenti

 

Nota: i personaggi non sono miei, non li ho inventati io e non mi appartengono.
I nomi sono quelli originali. I soprannomi di Ryo (Little Fire) e di Touma (Little Star) li ho presi in prestito, ma non ricordo da quali FF( poffarre e poffarbacco!). Chiedo scusa alle "derubate". I soprannomi di Seiji (Bright Boy), Shin (Still Water) e Shu (Live Wire) sono "miei": questi non li ho fregati, giuro!
La storia si svolge nel periodo immediatamente successivo agli avvenimenti narrati in "Message".
Tra le parentesi [ ] sono riportati i dialoghi che si riferiscono alle comunicazioni telepatiche tra i Samurai, mentre i loro pensieri sono scritti tra le parentesi { }. I tre asterischi (***) introducono le parti "scritte" dai protagonisti di questo racconto nei loro diari.

Altranota: preparatevi psicologicamente, Divini Lettori, perché per leggere questo secondo capitolo si farà notte! E poiché sono una 'bastarda dentro', ho anche usato un carattere più piccolo.



Il capitolo dei sentimenti

di Reimi Ayanami



1.
"Ciao, Touma! Sono felice di rivederti."
Il viso di Nasty si aprì in un larghissimo sorriso pieno di calore, non appena aprì la porta e si vide davanti l'esile ragazzo dalla spettinata zazzera blu.
"Nasty", rispose lui, prima di protendersi goffamente in avanti per darle un rapido abbraccio. "Ci si vede sempre meno ultimamente, eh?"
La ragazza esibì un sorrisetto scaltro. "Io abito sempre qui, lo sai, per cui…", disse, stringendosi nelle spalle.
Touma si grattò il collo e tossicchiò. "Allora, mi fai entrare?"
Nasty si fece da parte.
"Che cos'è questa storia che Ryo non sta bene?", chiese il giovane mentre entrambi si recavano verso la sala da pranzo. "L'ho sentito due giorni fa e mi è sembrato in forma, come sempre. Solo un po' preoccupato per qualcosa di cui non ha voluto parlarmi in quel momento. "
"Si, è vero: anche a me era sembrato un po' sulle spine, negli ultimi giorni. Ma mi aveva garantito che non era di niente di grave." Nasty si interruppe un attimo e ridacchiò. "Credo di aver capito che cosa lo aveva messo tanto in agitazione. "
Touma inarcò un sopracciglio, rispondendo d'istinto al sorriso di Nasty. "E cioè? "
"Una ragazza."
Il giovane scoppiò a ridere. "Cosa te lo fa pensare?"
"Il modo in cui è arrossito e la rapidità con cui è fuggito in camera sua per evitare che gli facessi altre domande, quando ieri ho sollevato l'argomento."
Piano piano il sorriso di Touma si affievolì. "E poi che è successo?"
"Proprio questa mattina, mentre ero qui ad apparecchiare per la colazione, ho sentito un gran tonfo provenire da sopra", Nasty alzò gli occhi al soffitto, "dalla stanza di Ryo. Sai com'è lui: è una cavalletta, non sta fermo un attimo… Ho pensato che fosse caduto e l'ho chiamato per sapere se si fosse fatto male ma non mi ha risposto, così sono salita su e quando ho aperto la porta l'ho trovato steso per terra, pallido come non l'avevo mai visto. Era a dir poco gelido e sembrava come stordito. L'ho infilato di nuovo sotto le coperte e lì è rimasto praticamente per tutto il giorno, a sonnecchiare. Non ha mangiato e non vuole parlarne." Nasty sospirò. "Non con me, almeno", aggiunse.
Touma, che nel frattempo aveva scostato dal tavolo una delle sedie e si era seduto, allungò una mano verso la spalla dell'amica e le diede un buffetto. "Non prendertela, il suo non vuol certo essere uno sgarbo nei tuoi confronti."
"Lo so. Ma da quando è tornato a stare qui ho cercato in tutti i modi di parlargli, di indurlo a sfogarsi un po'. E lui niente: comunicatività zero. Per cui, sono contenta che almeno tu venga a trovarlo. Sono sicura che soffre molto per la lontananza che si è venuta a creare tra tutti voi."
Touma assentì, pensieroso. "Non si tratta che di una piccola pausa. Abbiamo tutti bisogno di… assestarci, come dice Ryo. Comunque, ci sentiamo abbastanza di frequente… Telepatia."
Nasty ridacchiò. "Usare il telefono è troppo scontato, per voi?"
Touma raccolse lo scherzo con allegria. "La telepatia è una forma di comunicazione più conveniente: è gratis. E poi ti permette di rompere le scatole al prescelto in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Proprio in qualsiasi momento e proprio in qualsiasi luogo! Il telefono non arriva a tanta perversione."
Entrambi i giovani risero insieme. Nasty strinse brevemente la mano del ragazzo e lui ricambiò.
"Tuttavia", riprese Touma poco dopo, "posso capire che Little Fire senta la nostra mancanza più acutamente di quanto non la sentiamo noi: in pratica, siamo diventati a tutti gli effetti l'unica famiglia che ha… Beh, sarà meglio che vada di sopra."

2.
Acciambellato sotto le coperte, Ryo stava tentando un nuovo approccio analitico a quanto gli era successo quella mattina. Superato il primo shock - e accantonando per il momento l'umiliazione di essere caduto a terra come un piombo - aveva cominciato a sviscerare il problema cercando di capire che cosa gli fosse realmente successo, ma era tutto inutile. Ricordava solo quel lampo oscuro e la sensazione che un coltello affilato gli penetrasse nella testa, tagliandola di netto in due. E quel suono cupo, montante, come il boato di un terremoto. Aveva intravisto immagini in quella specie di folgore che gli era esplosa davanti agli occhi e nella mente, ma se cercava di evocarle riusciva a portare a galla solo il terribile dolore provato. Si sentiva ancora frastornato e il senso di nausea che aveva preso possesso del suo stomaco non accennava minimamente a togliere il campo. Il ragazzo sospirò, massaggiandosi una tempia.
Tre lievi tocchi alla porta, poi qualcuno entrò in camera.
{Nasty}
Una pacca violenta lo centrò in pieno posteriore.
"Che ne dici di stanarti da lì sotto?"
"Tou!", esclamò Ryo con voce soffocata dal suo nido di coperte. Fece capolino dal bordo del piumino e occhieggiò l'amico in malomodo. "Tieni le mani a posto, sporcaccione!"
Immediatamente, Touma prese a strofinarsi con vigore la mano su una gamba dei jeans. "Non credere: tu non hai nessuna attrattiva, per me!" Si sedette sul bordo del letto e fissò Ryo in viso. "Nasty mi ha detto del tuo malore."
Ryo prese a strisciare di nuovo sotto le coltri, così Touma scelse di attaccare in un altro modo.
"Mi ha anche detto di averti messo a letto… Che vuol dire che 'ti ha messo a letto', eh, Ryo?"
Il ragazzo ridacchiò. "Niente."
"Dì un po', non ti avrà mica spogliato, vero?"
Ryo aprì uno spiraglio nella palla di coperte che si era stretto intorno. I suoi occhi, brillantissimi, si appuntarono su Touma con una tale espressione malandrina che il ragazzo non poté fare a meno di sorridere.
"Bene, visto che non rispondi, mi costringi a verificare da me!", minacciò Touma e un attimo dopo si lanciò sull'amico e prese a massacrarlo di pugni e spinte.
"Sono vestitissimo", confessò Ryo dopo una lotta selvaggia di un paio di minuti. "E dire che Nasty mi ha messo a letto non è corretto: sono troppo pesante per lei, non sarebbe riuscita a sollevarmi se non fossi stato cosciente. Dunque, dal momento che ero lucido, non le ho permesso di sfilarmi nemmeno un calzino, stai tranquillo."
A quel punto, finalmente, Ryo gettò di lato le coperte rivelando parte della divisa scolastica, tutta spiegazzata, e una chioma in piena ribellione. "Contento?"
"Hai i capelli sparati in tutte le direzioni", osservò Touma, cercando di appiattirglieli.
"Non posso farci niente", si lamentò Ryo. "E' da questa mattina che non ne vogliono sapere di stare a posto. Ho provato con il pettine, con le mani, anche con spazzola e phon…"
"Che ne dici di darci un bel taglio?", suggerì l'amico.
Ryo incrociò le mani davanti al volto. "Mai!"
"Se non fai qualcosa, prima o poi ti ci siederai sopra", sospirò Touma.
"Li ho accorciati, prima di cominciare ad andare a scuola… Senti, Tou…"
"Mmmm?"
Ryo sollevò sul viso di Touma uno sguardo perplesso e vagamente colpevole. "Ti dà fastidio che io stia qui da Nasty? Preferisci che me ne torni a casa?"
"Nessun fastidio", rispose l'altro quasi subito. "E se Nasty non ti butta fuori a calci, non vedo ragione per cui debba essere io ad importi di sloggiare."
Ryo sospirò. "Devo chiederti scusa, sai, per essere stato un tale imbecille del tutto privo di tatto. Adesso capisco come devi esserti sentito, quando ti ho detto che sono stato innamorato di lei."
Touma sembrò accusare leggermente il colpo. Poi si protese per dare un pugno scherzoso sulla spalla di Ryo che, però, rimase a occhi bassi per qualche altro istante. Questo diede modo a Touma di riflettere. La rivelazione cui Ryo aveva accennato era arrivata circa un anno e mezzo prima, quando quella testa di pietra si era finalmente sfogato con lui, piangendo la morte di Luna e liberandosi del senso di colpa che aveva covato per mesi, per via del fatto che era stato proprio lui ad acconsentire affinché Luna li accompagnasse a Little Tokyo. Naturalmente, Ryo si era subito affrettato a precisare che la sua era stata la cotta di un quattordicenne per una ragazza che, ai suoi occhi, aveva ben quattro attrattive: era bella, intelligente, coraggiosa e più grande.
"Pietra sopra", aveva risposto allora, con il cuore che gli martellava furiosamente proprio al centro della gola.
Sì, si era accorto che Ryo aveva avuto un debole per Nasty. Si era accorto che anche Seiji aveva una cotta per lei e che questa, forse, non si era ancora esaurita. Stando così le cose, si sentiva impedito nel dichiararsi. Una parte di lui voleva dare soddisfazione ai propri sentimenti, l'altra non voleva compromettere l'amicizia che univa i Samurai Troopers. Almeno, sapere di non dover competere anche con Ryo per l'affetto della ragazza era un bel sollievo: era sicuro che se quel giorno Ryo gli avesse detto che voleva bene a Nasty, lui si sarebbe fatto da parte. Amava Ryo come un fratello. Talvolta lo vedeva come un fratello maggiore, ma più spesso come un fratello minore di cui prendersi cura ad ogni costo. Aveva una fiducia illimitata in lui, nella sua forza, nel suo coraggio, eppure sapeva che non doveva assolutamente perderlo d'occhio. Ammirava la sua spontanea bontà, ma certe volte sentiva l'irresistibile impulso di scuoterlo per bene e fargli entrare in quella sua testaccia dura (magari spaccandogliela) che anche loro potevano essere un sostegno per lui. In quel preciso momento, per esempio, aveva una gran voglia di prenderlo per il colletto e sbatacchiarlo un pochino, per costringerlo una volta per tutte a liberarsi del peso che stava accumulandosi dentro. Ma sapeva che non sarebbe riuscito a fare niente di tutto ciò: Ryo avrebbe potuto guardarlo con occhi pieni di sconcerto e affamati di affetto o avrebbe potuto distogliere lo sguardo per nascondere le lacrime che - lo vedeva bene - si sforzava di trattenere e lui… beh, a quel punto si sarebbe sentito crollare di dosso ogni intento bellicoso (a fin di bene, è ovvio) e avrebbe finito per parlargli in tono ragionevole: situazione che Ryo aveva sempre travolto con estrema facilità. Che cosa ci voleva, con quel benedetto ragazzo? La mano ferma che invocavano Seiji e Shu (che talvolta, per l'esasperazione, proponeva di prenderlo a schiaffi) o la tenerezza che consigliava Shin? Lui proprio non lo sapeva, ma era sicuro che non avrebbe retto alle sue lacrime e sarebbe finita che o Ryo stesso o gli altri avrebbero dovuto consolare lui. Quattro anni non erano ancora stati sufficienti per aiutarlo a destreggiarsi con la ingarbugliata situazione emotiva di Ryo.
"Ascolta", disse Touma, ritornando al presente. "Non prendertela anche per questo, ok?"
{Ci risiamo: sto tentando un approccio ragionevole}
"Sono curioso: come mai dici di comprendermi?", chiese.
Un fenomeno sorprendente si verificò, allora, sotto gli occhi esterrefatti del giovane. Le orecchie di Ryo cominciarono ad imporporarsi e il rossore prese a diffondersi sulle guance, sul collo e persino sulla fronte, come in una cartina di tornasole. Nel suo viso pallido, i suoi occhi spiccavano come fari luminosi, azzurrissimi più che mai. Touma avvertì l'aumento della temperatura che tutto quello scombussolamento stava causando nel corpo dell'amico: l'aria intorno a Ryo stava scaldandosi.
{Mayday! Mayday! Tempesta ormonale in corso!}
"Era di questo che volevo parlarti", balbettò Ryo.
"Donne?"
Ryo sorrise. "Non esagerare. Una sola."
Touma sollevò le gambe sul letto e si accomodò meglio. Con quella sua espressione concentrata e le braccia incrociate sul torace sembrava Toro Seduto.
Ryo giocherellò per qualche secondo con il ciuffo che gli copriva parte della fronte, cercando le parole e un punto da cui iniziare a spiegare; quindi si diede uno strattone ai capelli e cominciò: "Vedi, qualche giorno fa io…"

3.
Allo Yagami Nagawa, un istituto di accoglienza per ragazze senza famiglia, che in tempi meno riguardosi della sensibilità sociale sarebbe stato definito semplicemente 'orfanotrofio', Reimi Ayanami occupava da sola una piccola mansarda. Ci si era trasferita da qualche mese per intercessione della direttrice, a causa delle continue liti che coinvolgevano lei e le altre ragazze con cui divideva stanza e piano. Le altre ospiti non la volevano e per dimostrarglielo le facevano letteralmente i chiodi. Adesso andava un po' meglio: non le dispiaceva affatto vivere in soffitta, anche se ingombra di ciarpame, perché questa era tutta sua e qui nessuno veniva ad angariarla. Da quando le altre ragazze non erano più costrette a vederla tutto il giorno, tutti i giorni, la lasciavano in pace. Riusciva persino a dedicarsi con molto più successo allo studio: se continuava così, all'esame di fine trimestre sarebbe riuscita a guadagnarsi il primo posto. Così facendo, contava di vincere un assegno per pagarsi gli studi all'Università di Tokyo; diversamente, l'unica prospettiva decente che le si presentava era un lavoro da guardiana di notte in un cimitero. Quanto allo studio, però, c'era un problema: Ryo Sanada. Smentendo l'antico pregiudizio secondo cui il cervello diserta l'avvenenza, quel ragazzo si stava rivelando una minaccia ai suoi progetti.
Reimi alzò gli occhi dal libro che stava studiando. Le piaceva molto guardare Sanada: aveva una bellezza solare che riusciva a metterla di buon umore. D'altra parte, serio, tranquillo e diligente com'era, era riuscito in poco tempo a portarsi ad un livello culturale di poco inferiore al suo. Ormai riusciva a 'batterlo' soltanto in chimica e in matematica, mentre perdeva nettamente in inglese. Considerato che, dopotutto, non le dispiaceva, poteva anche accettare che tra loro si stabilisse una parità. Ma non di più. Ecco perché, da una settimana a quella parte, aveva raddoppiato i suoi sforzi. Non poteva permettersi di perdere la borsa di studio. Tuttavia, l'impegno scolastico non era la sua unica preoccupazione.
Reimi riportò la sua attenzione sul libro aperto sul tavolo. Era quello stesso volume grosso e senza titolo che Ryo aveva notato fin dal primo giorno di scuola. Era scritto in un giapponese che definire arcaico equivaleva ad usare un eufemismo; eppure i primi scritti risalivano alla seconda metà del Periodo Muromachi, a ridosso dell'era Sengoku, l'Era del Paese in Guerra. Era stato redatto volutamente in un linguaggio poco accessibile, reso ancor più incomprensibile dall'uso di acrostici, di neologismi e di haiku che celavano indovinelli da risolvere.
"E' un rompicapo."
Reimi era esasperata, ma nello stesso tempo affrontava con grinta la sfida che quel libro importantissimo le poneva. Se voleva scoprire il segreto delle sue origini, doveva tradurlo. Fino a quel momento, in due anni di tentativi, aveva scoperto che a scrivere erano state diverse donne. Innanzitutto, la capostipite della sua famiglia, una sacerdotessa di nome Minami. A sua volta, questa famiglia si era rivelata composta da altre sacerdotesse, ognuna delle quali aveva lasciato qualcosa di scritto nel Libro delle Origini. Fino ad un certo punto, tutte queste donne erano state accomunate da un unico scopo: custodire e proteggere lo Specchio del Sole. Cosa fosse questo specchio, non lo sapeva: ne parlavano tutte come di un segreto che doveva essere già noto alle discendenti. Nel corso delle generazioni, però, si era verificato uno scisma all'interno della sua stirpe e ciò si era verificato con la venuta al mondo di due gemelle, Mai e Reiko, che avevano tenuto due condotte estremamente differenti. La prima si era mantenuta fedele allo scopo. La seconda, invece… Beh, la storia qui si faceva un tantino ingarbugliata. Aveva finito di tradurre da qualche giorno il diario di Akiko, nipote di Reiko, la cui linea aveva preso in custodia il Libro delle Origini. Akiko iniziava la sua narrazione con un lungo excursus in un'epoca lontanissima, cominciando dall'Era Mitologica. L'antenata si era soffermata soprattutto su un periodo che, stando ai suoi calcoli, Reimi aveva potuto collocare all'incirca intorno all'anno 990. La ragazza diede un'occhiata al foglio scribacchiato che teneva accanto al suo gomito destro. Era una cronologia, un sunto di tutto quello che Akiko aveva scritto:
ERA MITOLOGICA: compare l'Armatura dell'Imperatore Splendente (?)
III Sec.: compaiono i Tre Tesori Celesti (Gioiello della vita - ?, Spada Inflessibile - ?, A.dell'I.S.).
900: compare un demone di nome Arago.
990: il monaco Kaosu (tipo misterioso!) sconfigge Arago. Compaiono 9 armature.
1185: i Tre Tesori vengono perduti in mare.
1439: Minami entra in possesso dello Specchio del Sole.
1518: Mai e Reiko si separano.
1520: perse tracce dello Specchio del Sole.
1523: il 'ramo cadetto' della stirpe di Minami si dedica alla Missione dei Sigilli (?)
Da quel che Reimi poteva capire, il nodo centrale era la comparsa di quelle nove armature. Erano state loro a causare l'insanabile divergenza tra le due sorelle. Ma perché? Cosa significavano quelle corazze? E che ne era stato del 'ramo primario', quello discendente da Mai? Forse, venendo meno lo Specchio del Sole, quel ramo si era estinto. Reimi iniziò a mordicchiare la matita. Adesso stava dedicandosi alle memorie di un'antenata che si chiamava come lei!, e che prometteva di svelarle il mistero, o almeno una parte: le prime pagine già erano promettenti. Se non altro, adesso sapeva che cos'era questa 'Missione dei Sigilli': consisteva nel cercare quelle nove armature e sigillarle, affinché nessuno potesse mai più indossarle e usarle.
{Certo}, pensò Reimi stancamente, {neanche io avrei mai voluto che qualcuno indossasse armature create dal corpo di un demone come Arago. Capisco perché Reiko avesse deciso di sigillarle. Ma cosa ha a che vedere, tutto questo, con la custodia dello Specchio del Sole?}
Reimi guardò fuori dal lucernaio e si accorse che la sera stava ormai calando sulla città. Aveva gli occhi pesti e gonfi come uova sode, eppure le sue fatiche non erano finite. Con un sospiro, la ragazza accantonò controvoglia il Libro e prese quelli di scuola.
{Inglese}, gemette tra sé.
"Al diavolo!"

4.
*** Qui ad Hagi, la primavera è un sogno. Il ciliegio che ho piantato l'anno in cui papà è morto ha dato fiori meravigliosi. Ryusuke va sentenziando pieno di rammarico che darà frutti ancora più buoni e Sayoko lo rimprovera ricordandogli che quei frutti, secondo il voto che tutta la famiglia (lui compreso) ha fatto, andranno al tempio, affinché i sacerdoti preghino con maggior fervore per la purificazione dell'anima di nostro padre. Ormai sono qui da un mese e credo che non vi sia più motivo per trattenermi oltre. Ero tornato perché Sayoko era preoccupata per la salute di nostra madre e con le sue chiacchiere aveva fatto preoccupare anche me, ma una volta a casa ho potuto constatare che la mamma non ha niente che non va, non più del solito per lo meno. La verità è tutt'altra: erano - anzi, no: sono - sia lei che mia sorella quelle preoccupate e lo sono per me: nonostante tutto, ancora non smettono di sbirciarmi e di spettegolare tra loro. Mamma si lamenta spesso di trovarmi più pallido e sciupato dell'ultima volta che sono tornato a casa. Sayoko mi rimpinza come un porcello all'ingrasso. Ryusuke, invece, non si fa intenerire dal mio pallore e non si fa sfuggire occasione per ribadirmi che devo scervellarmi di meno e fare di più. So cosa intende: non si è mai fatto scrupolo, fin dal nostro primo incontro, di farmi sapere che secondo lui sarei disposto a farmi carico di mille tormenti piuttosto che prendere il coraggio a due mani e andare avanti per la mia strada…***
Shin depose la penna e rilesse le ultime righe che aveva scritto. Il giudizio di suo cognato gli bruciava da morire e il risentimento che provava per lui era reso ancora più vergognoso dal fatto che il giovane sapeva che Ryusuke aveva ragione. Si appoggiò allo schienale della sedia e prese a guardare fuori dalla finestra, tamburellando le dita sul piano della scrivania. Quanto fortemente aveva desiderato, durante la guerra contro Arago, un potere in grado di distruggere l'Impero del Male una volta per tutte? E con quanta determinazione, in seguito, aveva desiderato che quello stesso potere venisse a sua volta annientato? Perché una volta che si inoltrava in una direzione non era capace di percorrere fino in fondo il sentiero che aveva imboccato? Certo, sulla strada delle armature ci era stato spinto da Kaosu, ma lui aveva rifiutato la possibilità di chiamarsene fuori il giorno in cui, pur sapendo a cosa sarebbe andato incontro, aveva indossato comunque Suiko. E non poteva negare che l'essere stato scelto per combattere il male, in virtù del suo cuore giusto, lo avesse riempito di orgoglio. Almeno per un po'. Già, perché quando la situazione si era fatta insostenibile per lui, aveva iniziato a desiderare più forza, per porvi rimedio, e poi di poter mettere un punto definitivo a tutta la faccenda. E questo era successo di recente, quando si era accorto che, proprio perché depositari di un potere più elevato, il suo destino, e quello degli altri, era stato come marchiato a fuoco.
'Non mi sta più bene, quindi non deve essere': ecco come si potevano riassumere i suoi pensieri. Quanto poco aveva considerato i sentimenti dei suoi compagni! Fino al giorno in cui le Armature, avendo deciso di combattere per loro stesse, si erano quasi prese le vite di coloro che si erano rifiutati di sottomettersi… le vite dei suoi amici.
Shin ebbe una risatina colma di amarezza. Sebbene il suo cuore lo avesse portato ad intuire ciò che l'Imperatore Splendente aveva in serbo per tutti loro, il suo agire aveva riflettuto appieno la sua filosofia del 'non mi va, non voglio'.
{Mi sono caricato di mille tormenti piuttosto che armarmi del coraggio di agire e di seguire gli altri}
Vero. Ma lì per lì, scoprire che per lui - per loro - non esisteva più libero arbitrio, lo aveva sconvolto. Forse era scorretto, da parte sua, pensare in questi termini: Kaosu aveva offerto loro la possibilità di rifiutare la lotta. Ma andiamo!, non si poteva proprio dire che la loro scelta non fosse fortemente condizionata: se avessero deciso di rifiutare il combattimento, cosa ne sarebbe stato del mondo? E quindi, in definitiva, loro cinque erano forse gli unici esseri umani al mondo ad avere un destino già determinato.
{Noi, noi cinque…}
Anche se non passava giorno senza che la sua mente tornasse a loro, si era accorto di essersi lanciato in una crociata per scacciarli dai suoi pensieri.
Il giorno si avviava ormai alla sua conclusione. I primi soffi della brezza di mare già gli portavano, attraverso la finestra aperta, l'odore salmastro e intenso dell'oceano e gli stridi degli ultimi gabbiani che ancora si attardavano in cerca di cibo. I pensieri tristi presero il volo sulle ali di quel dolce vento. Shin si alzò e si diresse al comodino che teneva accanto al letto. Sopra c'era il telefono: nella segreteria erano ancora registrati tutti i messaggi che aveva ricevuto dagli altri. Erano quasi tutti di Ryo, qualcuno di Shu, un paio di Touma e uno soltanto di Seiji, ricevuto quella stessa mattina. Shin fece partire il nastro e portò avanti, fino a quell'ultimo messaggio. Dopo il bip la voce di Seiji, calma e bassa, recitò un verso: "Se il cuore non è in balia dei venti di tempesta, dovunque s'innalzano azzurre montagne e s'estendono cieli sereni". Poi, dopo una breve pausa di silenzio: "Non molto tempo fa ho fatto una promessa a Ryo: è ora che la mantenga, ma non avrebbe senso se non ci fossi anche tu". Di quale promessa parlasse l'amico, Shin non lo sapeva; ma la prima parte del messaggio era chiara, al modo di Seiji: doveva essere riuscito a mettere un po' d'ordine nei suoi pensieri e a dare pace al proprio cuore. Shin si chinò sul mobile, sorreggendosi sulle braccia, con le spalle curve. Fissava il nastro che si riavvolgeva.
{Anche io ho fatto una specie di promessa: ho detto a Shu che questa sarebbe stata la nostra epoca}
Il ragazzo volse gli occhi attraverso la stanza. Chissà come, ma adesso gli sembrava che quelle familiari mura fossero diventate troppo strette per lui. D'impulso, con un mezzo sorriso teso sulle labbra, Shin andò all'armadio, spalancò le ante e tirò fuori il suo borsone da viaggio.

5.
Sabato mattina, Ryo si svegliò pieno di energie benché avesse parlato con Touma fino alle due e non avesse dormito, quindi, che quattro ore scarse. Il fatto, però, era che aveva dormito sodo. Scostate le tende, il giovane vide un cielo terso e un sole sfolgorante e decise sul momento di andare a fare una corsa, per sfogare un po' delle ritrovate forze. Ci sarebbe andato subito, si disse, così nel frattempo Tou si sarebbe alzato e al suo ritorno avrebbero potuto fare colazione insieme a Nasty. Si infilò tuta e scarpe e volò di sotto, atterrando con un tonfo sul pavimento dopo aver saltato i soliti ultimi quattro gradini. Immediatamente, Nasty si affacciò dalla porta della cucina e sibilandogli un "Rrrryoohh!", che sarebbe stato un ringhio tonante se di sopra Touma non fosse stato ancora in dreamlandia, gli agitò contro la padella. Ryo si rattrappì, poi sventolò una mano - "Scusa, scusa!" - e le sorrise in modo accattivante, prima di sparire fuori portata. Come un cucciolo che non capisce perché il padrone si imbestialisca tanto nel trovare il suo miglior paio di scarpe totalmente rosicchiato, allo stesso modo Ryo non comprendeva perché Nasty si alterasse tanto quando lui saltava quei benedetti gradini, invece di scenderli.
Una volta fuori, il ragazzo si dedicò agli esercizi di riscaldamento. Aveva fatto un sogno strano, quella notte, ma non lo ricordava bene. Mentre cominciava a ruotare il busto prima a destra e poi a sinistra, tendendo le braccia, Ryo si soffermò a riflettere sui brandelli di immagini che riusciva a richiamare alla memoria. Doveva essere stato un sogno movimentato, concluse subito: ricordava, come sfondo, un cielo rosso percorso da ribollenti nubi nere che si inseguivano e si attorcigliavano, spinte da un forte vento. Alcuni stendardi sfilacciati si agitavano freneticamente. Un suono intenso, il coro di mille voci agguerrite, rivaleggiava con il cupo rombo dei tuoni.
{Un campo di battaglia}
Ryo si afferrò un piede, piegò la gamba finché il tallone non colpì un gluteo e mantenne la posizione per una ventina di secondi. Intanto nuovi dettagli del sogno cominciavano a farsi strada, sempre più chiari, nella sua memoria.
Un signore della guerra, spavaldo nella sua armatura, piantato a gambe larghe nel terreno, lanciava la sua sfida ad una figura interamente coperta da una corazza che non riusciva a nascondere il fatto che sotto vi si celava una donna. Dietro la misteriosa guerriera, che inalberava un'insegna con uno specchio cinto da un sacro rosario, si trovavano altre figure in armatura. Un intero clan di donne!
Ryo lasciò andare il piede, afferrò l'altro e ripeté l'esercizio. Sul suo volto, l'espressione luminosa di piacere che aveva prima di uscire di casa si era attenuata in un'altra, di perplessità e di sospetto.
L'ultimo particolare che ricordava era che lontano, più o meno al centro dello schieramento del signore della guerra, alcuni samurai reggevano un catafalco su cui qualcosa di grosso - un sarcofago o un'urna - riposava, coperto dal drappo recante lo stemma del nobile: un rapace che stringeva tra le zampe un anello.
"Bizzarro", disse in tono pensieroso.
Cercò di eliminare con leggerezza il senso di oppressione generato dal sogno, ma scoprì che era un'impresa ardua. Anche perché ricordare le visioni della notte gli portò immediatamente alla mente l'avventura della mattina prima. Si era illuso di aver messo la cosa nel dimenticatoio, grazie a Touma e alla loro chiacchierata su Ayanami, e invece si era sbagliato! Il sogno non aveva niente a che fare con l'incidente di ventiquattro ore prima, ma entrambi avevano una cosa in comune: erano inquietanti.
{Dai, Ryo! Corri, corri!}
Scattò. Dopo le bastonate prese da Mukala, per guarire il suo orgoglio ferito ("Brutta cosa, l'orgoglio", gli aveva detto Seiji più di una volta) si era messo d'impegno per migliorare le sue abilità fisiche. Più di ogni altra cosa, voleva diventare veloce e potente. Soprattutto adesso che tutti loro avevano una nuova armatura.
{Se non fossi stato così incapace di oppormi a Mukala}, ragionò per la milionesima volta, {non avremmo perduto le armature forgiate da Kaosu. Adesso non indosseremmo armature intrise del rancore di uno spirito in cerca di vendetta e di pace. Non avremmo rischiato di stecchire ad appena diciassette anni e dopo tutto quello che abbiamo passato!}
Accelerò l'andatura, già sostenuta, senza accusare lo sforzo. Davanti a lui, sulla sinistra, si stendeva l'ampia curva a falce del lago. Ryo saltò il basso dislivello tra la strada e la sponda e procedette sulla sabbia, che offriva resistenza alla sua corsa e lo costringeva ad un ulteriore impegno, per lui più gradito dei pensieri che gli affollavano la mente.
{Anche le armature forgiate dal corpo di Arago erano permeate della sua rabbia e del suo desiderio di vendetta, ma Kaosu aveva attenuato questi sentimenti legando ciascuna delle armature alle cinque Virtù confuciane. Abbiamo creduto che questo legame fosse assolutamente vincolante, invece ci siamo ritrovati inermi di fronte al loro improvviso rifiuto}
Ryo accelerò ancora la corsa, spinto dall'angoscia delle sue riflessioni. Era a corto di fiato, ormai, e i polmoni gli dolevano per la mancanza di aria. Il lago, la sponda, la sabbia, gli alberi alla sua destra: tutto scorreva via, alle sue spalle, ad una velocità incredibile.
{Le armature di Suzunagi non hanno beneficiato dell'intervento di Kaosu. Il nostro cuore, il MIO cuore, troverà ancora la forza, giorno dopo giorno, per non lasciarsi corrompere? La risposta… quando l'avremo? E a quale prezzo?}
Il giovane si fermò all'improvviso, sollevando schizzi di sabbia, e si chinò in due, le mani sulle ginocchia. Respirava in singhiozzi stentati, in debito di ossigeno, e il sudore gli colava lungo le guance e la schiena. Esausto, si lasciò cadere seduto sostenendosi con le braccia tremanti, le gambe stese davanti a sé e la testa rovesciata all'indietro. Mentre riprendeva lentamente fiato si guardò intorno. La corsa lo aveva sfiancato dal punto di vista fisico, ma non lo aveva aiutato più di tanto sulla frontiera del pensiero. Ben presto, il ragazzo ricominciò ad interrogarsi sull'esplosione di luce oscura e di dolore del giorno prima. La sensazione che in quel caos vi fossero delle immagini ordinate si era fatta più forte, al punto che andava convincendosi che, se il suo 'dono' fosse stato appena un po' più sviluppato, di certo avrebbe avuto un'autentica visione. Se da un lato tale mancanza lo consolava, dall'altro il solo fatto che l'incidente si fosse verificato lo tormentava. Ryo si alzò in piedi di scatto, colpito da una folgorazione.
{E se il mio potere stesse subendo una qualche evoluzione? E' possibile, una cosa simile?}
Si strofinò piano la fronte, come se quel gesto potesse aiutarlo. Buco nell'acqua.
{Devo parlarne ai ragazzi? E se poi venisse fuori che si è trattato solo di un po' di stress?}
Non era il caso di provocare allarme per qualcosa di tanto indefinito.
{Sono già tutti fin troppo tesi}
Così preoccupati, si disse facendo dietrofront verso casa con le spalle curve, che tre di loro rispondevano sempre più di rado e con minore entusiasmo non solo ai suoi contatti telepatici ma anche alle sue telefonate.
{Porta pazienza, come direbbe Shin. E' una questione di assestamenti}

6.
Reimi aveva passato l'intera notte a studiare. Non l'inglese, però, come aveva cominciato a fare. In realtà, dopo nemmeno un'ora, un'inspiegabile urgenza l'aveva spinta a mettere da parte i libri di scuola e a riprendere il Libro delle Origini. Così aveva scoperto che il diario della sua omonima non conteneva più di una ventina di pagine ma il cui contenuto… Buon Dio, il contenuto era una bomba! Le ultime due annotazioni, poi, le avevano procurato uno shock piuttosto violento. In esse compariva, infatti, il cognome Sanada. Quando l'aveva visto, si era strozzata con la saliva!
{Sanada Masayuki e Sanada Nobukatsu… Chissà se sono antenati di Ryo?
Ma dai!
Beh, però è incredibile che una mia antenata, che portava il mio stesso nome, abbia conosciuto dei Sanada, proprio come ne ho conosciuto uno io… Fa quasi impressione.
Vediamo un po' che cosa ha da dire Reimi su questi signori}
E così era venuta a conoscenza di una storia straordinaria e terribile, fatta di violenza, sangue, magia e sacrificio. Appartenendo al 'ramo cadetto' della famiglia, e in qualità di discendente di Reiko, Reimi era stata scelta in base ad una sua particolarità per assumere il ruolo di Sigillo. Questa particolarità fisica non si tramandava linearmente da una generazione all'altra, a quel che le era dato di capire: solo in epoche in cui ciò era necessario, essa si manifestava nelle donne del suo clan. A questo punto della lettura, le sue mani avevano preso a tremare in modo incontrollabile, tanto che era stata costretta a interrompersi il tempo necessario per sgattaiolare in cucina a bere un bicchiere di latte.
La caratteristica che designava una donna della famiglia quale Sigillo erano gli occhi rossi.
{Evviva! Potrei essere anch'io una di questi Sigilli!}
La cosa le era parsa talmente ridicola che si era sentita ritornare calma e padrona di sé. Era risalita in camera e aveva ripreso a leggere e a tradurre.
{Quante fandonie…}
Anche la sua omonima, come Akiko, iniziava con un riassunto storico, ma scriveva in modo più chiaro e lineare, con maggiore precisione. Nel 990, dunque, un monaco di nome Kaosu aveva sconfitto il demone Arago, che voleva invadere il mondo degli uomini e annetterlo al suo impero. Dal corpo di Arago, Kaosu aveva forgiato nove mirabili armature e poiché lo spirito malvagio del demone persisteva nelle corazze, ad ognuna il monaco aveva imposto una specie di sigillo (ormai vedeva sigilli dappertutto): un legame con cuori umani che esprimessero le cinque Virtù confuciane e le quattro Virtù del Bushido. Si trattava di una specie di rivalsa dell'uomo nei confronti del demone che voleva asservirlo. Rei lo aveva trovato più che giusto.
{Simpatico, questo bonzo}
Purtroppo le quattro armature legate alle Virtù del Bushido, basate sulla sottomissione senza alcuna pretesa di giudizio morale, si erano arrese ben presto al volere di Arago.
{Era tenace, 'sto bastardo! Più legato alla vita di Scrooge al suo denaro!}
Quelle legate alle Virtù confuciane, votate al perseguimento della giustizia in nome della compassione, sfuggirono al richiamo del loro signore, ma non ebbero sorte migliore: create per essere usate dall'uomo per il bene, finirono con l'essere sfruttate per gli scopi più vili e ignobili. Seguiva, a questo punto, un lungo resoconto di intrighi, colpi di mano, atti di forza, massacri perpetrati in nome della lussuria, dell'avidità, dell'invidia.
{Ah, santo cielo! E dove si nascondevano i cuori guidati dall'Altruismo, dalla Cortesia, dalla Giustizia, dalla Saggezza e dalla Fiducia? Possibile che non siano mai esistiti?}
In questo contesto vergognoso si inserivano i Sanada. Masayuki sembrava rispondere perfettamente alle intenzioni del monaco Kaosu. Egli tuttavia, si era limitato a custodire l'armatura che era venuta in suo possesso, l'Armatura della Vampa, senza cedere alla tentazione di indossarla, consapevole di non avere un animo abbastanza forte da poter imporre la propria giusta volontà alla parte più oscura dell'anima dell'armatura. Per tutta la sua vita, Masayuki aveva cercato di fortificare il suo cuore attraverso lo studio dell'uomo e della natura. Suo figlio Nobukatsu, invece, arrogante e facile preda delle sue passioni, aveva fatto più volte ricorso all'Armatura. A quel punto, Reimi era stata insignita della nomina di Sigillo. Negli undici anni seguenti al suo memorabile sedicesimo compleanno, la sua antenata aveva cercato, trovato e sigillato le armature dell'Etere, del Nimbo e del Torrente. Dell'Armatura del Diamante non aveva trovato traccia. Secondo una leggenda, essa era scomparsa al di là del mare. Quando, infine, Reimi si era trovata ad affrontare il proprietario di Vampa, si era scontrata con un uomo ben peggiore di quelli che aveva già affrontato e vinto. Il suo diario si concludeva con un presagio di battaglia.
Il diario di sua figlia Yukari, che aveva appena iniziato, si apriva con il racconto della morte della madre.
A quel punto, stanca di stragi e sfinita dalle forti sensazioni che la lettura aveva generato in lei, Reimi aveva chiuso il Libro e si era messa a letto. In quello stesso momento, a vari chilometri di distanza, Ryo Sanada si alzava.

7.
La serra sembrava una cattedrale, nella luce verde chiaro e dorata del pieno pomeriggio, e dalle porte spalancate penetrava il forte e dolce odore degli alberi di magnolia in fiore. Lente api operaie ronzavano danzando tra i piccoli alberi di osmanthus, dai minuscoli fiori bianchi, le peonie e i lilium, tanto cari a suo nonno. C'era stato un tempo in cui Seiji non condivideva la sua passione per quei fiori del colore dell'avorio, per lui erano difficili da amare: troppo vincolati ad una certa iconografia, troppo consunti nelle similitudini e nelle litanie perché ne potesse più ritrovare la vera natura.
Lui preferiva i bonsai nani: difficili e delicati, ma tenaci e prorompenti di vitalità, nelle loro piccole dimensioni rivelavano tutta la loro grandezza. Per Seiji erano quasi lo specchio dell'anima umana che pur fragile attecchisce e resiste anche nei cuori più marci. Nelle ultime settimane, però, gli era successo di dover faticare per scorgere quella grandezza negli uomini e più spesso non vi era riuscito. La sentiva perduta anche in se stesso. Dubbi e dolore lo avevano sbattuto al suolo e gli avevano fatto sperimentare la rabbia e la desolazione di chi, impotente, è costretto a subire i colpi del destino. Poco più di un mese prima aveva sperimentato anche lui quel malsano desiderio di ribellione che spinge i più deboli sull'orlo dell'abisso e poi oltre. Era stato subito dopo - no: durante - l'ultima visita di Ryo, quando per un momento in quel ragazzo che per lui era un amico e un fratello aveva visto la fonte del suo tormento. Ryo ferito gli chiedeva di curarlo. Ryo scherzava, Ryo faceva il buffone, Ryo parlava di scuola con l'antipatia che può provare verso un'istituzione così opprimente uno spirito libero e irrequieto come lui. Ryo viveva. Non una parola su quello che era successo. Aveva voluto ferirlo, punirlo per quella sua insostenibile leggerezza, e ci era riuscito, lo aveva visto bene. E proprio in quel momento, nel modo in cui lui aveva accasciato le spalle e nella rapidità con cui la luce del suo sguardo si era spenta, proprio allora si era accorto che Ryo aveva cercato di condividere con lui, a modo suo, la sua paura e il suo bisogno di avere qualcuno accanto. Si era rivolto a lui… Nel momento di terribile sconforto che era seguito alla comprensione di ciò che aveva fatto si era precipitato lì nella serra, aveva preso il vaso di una pianta di quei dannati gigli e per un attimo era stato sul punto di scagliarlo per terra. Desiderava vederlo infrangersi sul pavimento immacolato di quel luogo: voleva vedere andare in frantumi tutto il bagaglio di simboli che era stato caricato su quel fiore dalla corolla china, così passivo al peso impostogli. Voleva vedere il difetto, il disordine e la bruttura in quel luogo in cui suo nonno aveva voluto ricreare la natura secondo il suo pensiero. Ma poi, proprio la vista di quella corolla prostrata aveva fermato le sue mani. Tremando, aveva riposto con delicatezza il vaso al suo posto.
No, in quel periodo Seiji non amava particolarmente i gigli: troppo simili a quel che era lui. Un giovane, non più ragazzo ma nemmeno ancora uomo, che non aveva mai avuto i pensieri di un adolescente e che non riusciva più a portare il peso di responsabilità che non sarebbero mai toccate ad alcun uomo sulla faccia del verde pianeta di Dio. Sulle sue spalle erano stati scaricati tanti pesi quanti ne erano stati scaricati sul povero giglio. Anche lui, come quel fiore, era un simbolo: lotta, dolore, sopportazione. Ma a differenza del giglio, in se stesso non sentiva più quell'innocenza di cui il fiore era il simbolo universale. E la serra, che un tempo aveva visto come una metafora della sua vita, adesso gli appariva pretenziosa e arrogante: perfetta nella sua concezione, ma piena di difetti in quanto niente più che un'imitazione. Pascal diceva: 'La natura ha delle perfezioni per dimostrare che è l'immagine di Dio, e ha dei difetti per dimostrare che ne è solo un'immagine'. La sua vita senza macchia non era stata nient'altro che una pretesa di perfezione… non lo dimostravano i sentimenti che lo avevano quasi spinto a infierire su un inerme fiore?
Adesso, immerso in quella luce che sembrava la grazia del Paradiso scesa in terra, Seiji se ne stava con le braccia incrociate sul torace a contemplare quello stesso giglio che aveva desiderato annientare. Dopo giorni e giorni passati nel chiuso polveroso della sua stanza, insensibile ai richiami delle sorelle, riusciva finalmente a vedere con occhi nuovi ciò che gli era sembrato inutile, corrotto e privo di significato. Ora vedeva il fusto eretto, le foglie brillanti e mobili, i lunghi stami con le antere colme di polline… e quella tenue sfumatura di rosa che percorreva l'avorio intatto dei petali. Non c'era nulla di sottomesso, in quel fiore, la cui corolla era aperta ai raggi del sole.
La vera natura del giglio sta semplicemente nell'essere ciò che è, indipendentemente da ciò che altri hanno voluto fare di lui; sta nel continuare a fiorire, nel continuare a regalare alla vista i suoi delicati colori, portando con compostezza il peso del bisogno dell'uomo di un ideale in cui credere, offrendo se stesso quale mezzo di consolazione.
"Un esempio del coraggio di vivere", mormorò Seiji.
C'erano cinque fiori, nella pianta che stava ammirando. In cima, uno era già quasi del tutto sbocciato. Seiji tese una mano e con un dito ne sollevò con delicatezza il calice, avvertendone il profumo.
"Questo è Ryo", ridacchiò. "E questo qua sotto", disse sfiorando un altro fiore appena aperto, "questo timido sono io."
Degli altri tre fiori uno era sul punto di spalancare i petali come il primo, mentre gli altri due erano ancora quasi completamente chiusi.
"E qui c'è Touma."
Touma: sempre fedele a se stesso, fedele agli amici e fedele ai suoi ideali. Vacillava mai, tanta fede? Se no, dove trovava la sua forza? Lo sguardo di Seiji si posò sul fiore più alto, teso in modo quasi spasmodico verso la luce del sole, e non ebbe più bisogno di domande e di risposte.
Prima di sacrificarsi al rancore di Suzunagi aveva promesso a Ryo che si sarebbe sforzato di avere un cuore degno dell'amicizia di tutti i Samurai Troopers:… Perché non cominciare con lui?

8.
Nasty si sfilò dal viso gli occhiali riposanti e allontanò da sé la tastiera del computer, su cui stava battendo una relazione sul significato dello yugen nella tradizione mitologica e nella lirica giapponese, dai testi del Manyoshu a Matsuo Basho e a Taigi… un'impresa da suicidio: per prepararsi aveva letto qualcosa come cinquecento tanka, altrettanti renga e oltre mille haiku. Ma doveva assolutamente vincere il concorso come docente associato alla cattedra di Antropologia culturale del professore Okeda, che dal seguente anno accademico aveva intenzione di attivare un corso di ben ventisei ore di lezione dedicato alla mitologia. Un'occasione troppo ghiotta, per farsela sfuggire!
Tuttavia, i suoi impegni non le impedivano di vedere quel che stava succedendo ai suoi ragazzi. Già: i suoi ragazzi. Se pensava a quel tempo, nemmeno troppo lontano, in cui si dava della matta per aver deciso di accogliere quelle furie scatenate in casa sua e perdeva i capelli per quante gliene combinavano, si sentiva un groppo di nostalgia in gola. La casa che le aveva lasciato suo nonno era troppo grande per lei, ma non ci era arrivata finché non ci si era ritrovata sola. I primi giorni, certo, erano stati quasi una pacchia: niente urla per il bagno sempre occupato, niente pestaggi per l'ultimo hamburger divorato a danno di un altro… niente piccole sfacciataggini, come quella di andare in giro per casa mezzi nudi. Nasty capiva il loro ingenuo desiderio di mostrare i cambiamenti che sopravvenivano nel loro corpo mentre avanzavano a grandi passi verso la giovinezza, ma c'era stato un momento in cui si era trovata costretta a girare gli angoli dopo avervi spiato dietro con uno specchietto! Con tutti i bollori che le avevano fatto venire quei cinque innocenti disgraziati, era un miracolo che non si fosse bruciata in un solo anno i suoi due-tre decenni di fertilità e non fosse entrata già in menopausa! Ora, però, i loro schiamazzi le mancavano terribilmente. Nessuno si precipitava più nel suo studio per prelevarla a forza e scaraventarla nelle acque del lago, vestita di tutto punto. Nessuno le saltava più nel letto, la domenica mattina, per prenderla a cuscinate… Nessuno le si avvicinava più per darle un tenero, goffo, abbraccio o schioccarle un bacio sulla guancia. A pensarci bene, la solitudine e la tranquillità che aveva desiderato non si erano rivelate altro che la facciata perbenista del vuoto. Li rivoleva! Voleva di nuovo tutti i suoi ragazzi, riuniti attorno a lei per farle ancora i chiodi.
Nasty si strinse i lati del naso ed emise uno stanco sospiro. Avere Ryo era già un inizio, ma nel ragazzo c'era qualcosa che non andava. Non aveva più quei suoi scatti di follia, per cui da calmo che era ad un certo punto saltava su come una molla e si metteva a ballare come un matto nel mezzo del salone (riuscendo persino a trascinare Seiji!) o a cantare a squarciagola o, peggio ancora, a metterle la cucina sottosopra per preparare frittelle grosse come pizze (solo lui sapeva come ci riusciva) e altrettanto farcite. No, adesso passava la gran parte del suo tempo sui libri (cosa non del tutto condannabile, visto la media che aveva ottenuto) oppure chiuso in camera sua a sonnecchiare o ad ascoltare musica… in silenzio. Ma quello che non le piaceva affatto erano i suoi occhi: sempre bassi, sempre spenti e certe volte persino impauriti. Sembrava spaventato persino dall'intimità che c'era tra loro, una cosa del tutto innocente che nasceva dal semplice fatto di abitare insieme nella stessa casa, da soli. Quasi quasi non le permetteva nemmeno più di dargli una pacca sulle spalle. Era come avere in casa l'ombra di Ryo. Per dirla tutta, si sentiva esclusa, ferita e persino un poco offesa: non aveva nemmeno voluto dirle che si era innamorato. Certo, nell'affetto che li legava c'era sempre stata un po' di distanza, più che altro da parte sua. Nasty ne comprendeva le ragioni: in parte era l'imbarazzo per l'affetto un po' più che speciale che aveva provato per lei agli inizi della loro amicizia, ma soprattutto era per via del fatto che Ryo non era abituato a certe manifestazioni tipo baci e abbracci semplicemente perché non li aveva conosciuti se non nella primissima infanzia, per poi non riceverne più. Forse era un tantino bloccato.
{Magari sarebbe il caso di cominciare a leggere qualche buon manuale di psicologia}
Nonostante tutto, Ryo tendeva sempre tutto se stesso alla vita, cercava sempre di risollevarsi e andare avanti, per cui le sembrava una tremenda ingiustizia che adesso si mettessero ad infierire su quel coraggioso ragazzo anche i malori e gli incubi. Ryo cercava di tenerle nascoste parecchie cose, ma come attore non era un gran che. Lei lasciava correre perché non amava forzare, ma cominciava seriamente a credere che fosse giunto il momento di impacchettarlo a dovere su una sedia e cavargli il rospo di gola. Già, perché conosceva Ryo più di quanto lui stesso non immaginasse e sapeva che la bomba stava per esplodere.
E che dire di Touma? Anche il suo equilibrio si era incrinato. E anche lui si faceva in quattro per nasconderle le sue preoccupazioni. Se lo avesse avuto sott'occhio ventiquattro ore su ventiquattro di certo sarebbe riuscita a capire che cosa lo rodeva, ma lui veniva solo nei fine settimana e passava la maggior parte del tempo con Ryo. Di cosa parlassero quei due, a lei non era dato di sapere: 'Roba da maschi', questo le rispondevano sempre con un'alzata di spalle se lei chiedeva. La prossima volta avrebbe spezzato la schiena ad entrambi. Intanto non le restava che mangiarsi il fegato: era più che sicura che Ryo avesse confidato al suo migliore amico il suo amore per una delle sue compagne di classe… ma Touma? Quali segreti confidava a Ryo? E di lei, parlava mai?
Nasty si morse il labbro inferiore. Ogni volta che gli apriva la porta di casa si aspettava, che so… un abbraccio pieno di calore, un sorriso radioso tutto per lei, e invece non otteneva altro che gesti impacciati e tanto imbarazzo, come venerdì sera, quando era arrivato. Ogni volta che lo vedeva andare via sperava che il weekend successivo lui avrebbe passato un po' più di tempo con lei. Che si fosse sbagliata, su Touma? A tal punto si era fatta fuorviare dalla sua maturità, dalla sua personalità forte e pacata al tempo stesso, dai suoi interessi, così simili a suoi e così compatibili anche lì dove questi differivano? Che avesse frainteso la natura della complicità che c'era tra loro?
Nasty cominciò a tormentarsi una ciocca.
{Forse lo mette a disagio la differenza d'età}
Lasciò andare i capelli con uno sbuffo e un sospiro che sembrava quasi un singhiozzo. Era un pensiero angoscioso, che faceva male. Molto male. Perché lei aveva finito con l'innamorarsi di Touma. Era successo poco per volta, a tradimento, senza che se ne accorgesse. Nel momento del bisogno, le bastava voltarsi per trovarsi davanti quegli occhi quieti e sicuri e quel viso serio, dalla cui espressione decisa era bandito ogni pensiero di sconfitta e di resa. Era sempre stato così, fin dall'inizio. Finché un bel giorno aveva capito che lui le era sempre accanto non per necessità ma per lei e il cuore le era quasi scoppiato di gioia.
{No, non mi sono sbagliata, ne sono sicura. Ma allora cosa è cambiato?}
Forse avrebbe dovuto incoraggiarlo, in qualche modo, ma prima non se l'era sentita. Prima, Touma era un ragazzino che combatteva come un uomo; adesso era un uomo. Possibile che nel frattempo avesse trovato un'altra o che il suo affetto si fosse semplicemente spento? Forse adesso la considerava solo un'amica o una sorella, per questo rispondeva con imbarazzo ai suoi sorrisi e ai suoi sguardi. La ragazza scosse la testa. No!, non poteva essere…
La porta dell'ingresso si aprì e subito dopo sbatté. Nasty si alzò e aprì la porta dello studio, giusto uno spiraglio.
"Sssssttt, fai piano Ryo!"
"Scusa, mi è scappata di mano. Avrà sentito?"
{Ho sentito, ho sentito, e dovrei tagliarti le mani, caro mio!}
"Mmmmm… Forse la passi liscia… Avanti, filiamo in camera."
Passi cauti su per le scale, poi ancora Touma: "Sssstt!". E Ryo, di malagrazia: "Ma la vuoi piantare? Me la stai facendo fare addosso!". Nasty, presa alla sprovvista, ridacchiò. Certe esternazioni di Ryo erano così spontanee da riuscire a farla ridere persino quando non ne aveva voglia.
All'improvviso, un occhio spuntò nella fessura da cui stava sbirciando. Nasty urlò e fece un salto indietro, portandosi una mano al petto. Dall'altro lato della porta, Touma urlò anche lui poi ci furono, in rapida successione, un tramestio pazzesco, un "Eih!", un tonfo e un ruggito. Nasty uscì in corridoio.
"Qualcuno si è fatto male?"
"No", balbettò Touma, rialzandosi, tutto rosso in volto.
"Sì!", disse Ryo, spalmato per terra, con una smorfia di sofferenza.
"Ragazzi, mi dispiace", disse Nasty mentre anche lei porgeva una mano a Ryo e insieme a Touma lo issava in piedi. "Dove ti sei fatto male?"
Ryo tossicchiò. "Non posso dirtelo, ma se mi osservi mentre cammino lo capisci da te."
"Esagerato", disse Touma.
Ryo lo fulminò. "Ah sì, eh? E se ti facessi arrivare io una bella gomitata proprio lì? Calcolando velocità e forza di impatto, la botta che ho preso è paragonabile a quella di un meteorite grande quanto il Texas che si spiaccichi su Tokyo!"
"In quel caso, di Tokyo e del Giappone intero non resterebbe che il ricordo", commentò Touma laconico.
"Mi sa che qui è la stessa cosa", ribatté Ryo, lapidario. Si morse un labbro e assunse un'aria pensierosa, ma gli angoli della bocca gli si sollevarono in un sorrisetto pestifero e gli occhi mandarono bagliori di fuoco. "E dire che si prospettava finalmente l'opportunità di farne uso!"
Touma strabuzzò gli occhi e la mascella gli cadde.
Nasty si portò le mani alla bocca. "Iiiiiihhh! Lo sapevo che c'era di mezzo una ragazza!"
Ryo si fece la prima risata decente da un bel pezzo, ma divenne rossissimo. Tuttavia, al cospetto dello sguardo sinistro di Nasty, si zittì ben presto. Poiché la ragazza non parlava Ryo, sempre rosso, le rivolse un timido: "Scherzavo prima, sai? Niente sesso prima dei cinquant'anni, lo so."
Touma non si trattenne più. Calò sulla spalla dell'amico una gran pacca e si piegò in due dal gran ridere, salvo poi perdere l'equilibrio e finire rotoloni per terra, sempre ridendo come un matto.
Nasty tenne duro. "Che ne sai, poi tu, dell'argomento, eh ragazzino?"
Ryo le scoccò un sorriso meraviglioso e incrociò le mani dietro la testa, in una posa molto disinvolta. "So tutto… api, fiori, cavoletti di Bruxelles e cicogne… quelle cose lì, no?"
Touma, per terra, cominciò a scalciare. "Basta, basta, per carità, sto per vomitare…"
Nasty avanzò verso Ryo, che d'istinto fece un passo indietro e sciolse le mani, portandole davanti al volto. La ragazza passò un braccio intorno al collo dell'amico e con l'altro abbrancò Touma, che nel frattempo si era rialzato. Tenere in quel modo quei due obelischi di ragazzi le faceva dolere le articolazioni delle spalle ("Quanto si sono fatti alti!"), ma era troppo bello poterli stringere e vederli finalmente allegri. Soprattutto, era troppo bello stringere Touma. Lui le passò una mano intorno alla vita e se la tirò un po' più vicina.
Nasty sentì risorgere la speranza e, contro ogni pessimistico timore, se la tenne cara.

9.
Shu captò nella mente un'eco di risate sfrenate e in tutto il suo corpo si diffuse una intensa sensazione di calore e di pace profonda. Erano Ryo e Touma e se la stavano spassando, a quel che sembrava. Cavoli, quanto avrebbe voluto essere lì con loro, invece che a chilometri e chilometri di distanza, a correre con in mano due contenitori di ramen da consegnare a domicilio! Questo pensiero, intriso di nostalgia e desiderio, un tipico pensiero alla Shu, fece apparire un sorriso sul volto del ragazzo: un sorriso timido, dapprima, ma poi via via sempre più convinto. Ora, finalmente, si sentiva di nuovo pronto a spalancare le braccia e a stritolarli tutti in uno dei suoi abbracci da orso. Adesso capiva che le parole lasciate sulla segreteria di Ryo, prima di andare a cantarne quattro a Suzunagi, erano state profetiche: avrebbe lottato, oh eccome se lo avrebbe fatto!, per essere loro amico.
Nessuno dei Samurai avrebbe riconosciuto il vecchio Shu in quel ragazzo dimagrito, dal volto scavato e stanco. O per lo meno, si sarebbero strofinati ben bene gli occhi, prima di credere a ciò che vedevano. Shu era consapevole del cambiamento che lo aveva stravolto, e non ne era del tutto soddisfatto. Tuttavia, riconosceva l'utilità di quel periodo di stravolgimenti che aveva vissuto: adesso vedeva molte cose da un punto di vista diverso e, gli sembrava, migliore, più maturo. Di questo, però, avrebbe potuto rendersi conto solo tornando a confrontarsi con gli altri e a parlare con loro. Gli mancavano, gli mancavano da matti, ma aveva passato giorni neri, infernali davvero, durante i quali per la prima volta in vita sua si era ritrovato a non spazzolare tutto il cibo che sua madre gli piazzava sotto il naso. A casa si erano accorti tutti che non stava bene. Niente di fisico, quanto a quello stava a posto; anzi: grazie alla dieta forzata aveva buttato giù un buon dieci chili e la sua figura ne aveva tratto parecchio giovamento, se ne rendeva conto dalle occhiate delle ragazze per strada e a scuola. Sulla testa, invece, non poteva giurarci. Eh sì, il problema stava proprio lì, sotto quella montagna di capelli che celava la sua scatola cranica. Aveva passato notti intere a voltarsi e rivoltarsi nel letto, senza riuscire a chiudere occhio. Negli ultimi giorni andava molto meglio, ma i primi tempi dopo l'avventura con Suzunagi… Shu rabbrividì al ricordo, e le ciotole col ramen tintinnarono contro le pareti di alluminio dei contenitori. Ricordava giorni e notti passati a pensare 'E' passata, ne siamo usciti sani e salvi anche questa volta'. Ma sì, è vero, rispondevano allora i suoi nervi e poi cominciavano a saltellargli per la testa come pecore impazzite e lo tormentavano con pensieri agghiccianti che, talvolta, lo facevano scattare a sedere sul letto, con un urlo strozzato in gola e brividi viscidi lungo la schiena.
E' colpa di Ryo, avevano sussurrato i suoi nervi maledetti nelle notti buie senza requie. E' colpa sua: non è riuscito ad opporsi a Mukala. No, è colpa di Shin: se avesse aiutato Ryo durante lo scontro a Shinjuku, la cosa sarebbe finita lì. Oppure, ancora: no, è colpa delle Armature, è colpa di Kaosu, è colpa di tutti. Nessuno ha fiducia in te, per tutti non sei altro che lo strafogone tutto muscoli e niente cervello: figurati!, adesso staranno pensando che sei l'unico a non soffrire.
Non è vero, si diceva lui, ringhiando persino nel pensiero e stringendosi le tempie, nello sforzo di mettere a tacere quelle orribili voci. Ma allora perché non era riuscito ad indursi a prendere il telefono e a chiamare i ragazzi? E sì che lo avevano cercato, non uno si era dimenticato di lui.
{Perché sentirli mi faceva star male, ecco perché}
Agli inizi di aprile aveva parlato sia con Touma che con Ryo, ma era stato un errore. Soprattutto con Ryo: avevano tentato di scherzare e avevano finito col 'giocare ai Samurai' e questo gli aveva come scavato una voragine nel torace. Piano piano si era sentito scivolare addosso una pesante insensibilità, come una coperta bagnata, e da allora aveva cominciato ad ignorare telefonate e contatti mentali. Si era buttato con impegno nell'attività di famiglia: sua madre si era stupita della sua disponibilità, ma non si era lasciata sfuggire l'occasione e lo aveva schiavizzato. Era diventato un fattorino delle consegne a domicilio a tempo quasi pieno, ma la cosa non gli dispiaceva più di tanto. In bicicletta o di corsa, fare movimento lo teneva impegnato e gli impediva di lasciarsi andare alla depressione. Aveva pensato che andare avanti così per un po' fosse proprio ciò di cui aveva bisogno: pace, silenzio, niente forzature a riprendere un'amicizia che sentiva quanto mai instabile. Che lo faceva sentire instabile. Invece, col tempo, si era reso conto che la lontananza lo stava intristendo e stava minando la sua sicurezza. Isolarsi non era da lui. La solitudine non faceva per lui. Ma soprattutto, da quando subire era diventata per lui un'abitudine?
Ora, però, le cose stavano cambiando alla grande grande. La misteriosa forza che aveva attratto lui e i suoi compagni fino a far di loro un gruppo formidabile e invincibile si stava ridestando. Sentiva vettori di energia convergere dentro di lui: quattro vettori, per l'esattezza. Uno, quello ardente di Ryo, dopo un periodo di assenza totale si era rifatto vivo da qualche giorno con più forza. Il suo calore lo aveva avvolto e confortato proprio nel momento più buio che si era trovato ad affrontare, quando aveva cercato di parlare con Shin e aveva scoperto che nei confronti del suo migliore amico covava un imbarazzante risentimento per quella che aveva creduto debolezza. Solo ora si rendeva conto che la grande sensibilità di Shin lo aveva portato a precorrere gli eventi e a mostrare a tutti loro a cosa stavano andando incontro. Nel momento in cui, con un sentimento di sconfitta, aveva ammesso con se stesso di essersi lasciato fuorviare dal suo desiderio di combattere a tutti i costi, nel momento in cui si era accorto che questo desiderio si era trasformato nell'arma a doppio taglio che lo aveva quasi portato alla rovina spingendolo a sfidare Suzunagi, proprio allora la forza ardente di Ryo era tornata: l'amico era venuto in suo soccorso in quel modo misterioso che per lui aveva del sovrannaturale. Si era chiesto spesso, specie durante la lotta contro Arago, come facesse Ryo a sapere sempre quando stargli accanto e in che modo. Non aveva trovato risposta, ma gli bastava che lui ci fosse. Poi era venuto il turno di Touma, che lo aveva incluso nella sua aura di dolce silenzio, nella serenità di cieli inviolati dalla sofferenza cui solo lui sembrava poter giungere. Era una fortuna, anzi un privilegio, avere un amico che tenesse tanto a lui da condividere un'esperienza tanto rara e, sì, doveva ammetterlo, persino commovente. La presenza eterea di Touma al suo fianco lo aveva commosso. Per la miseria!, gli era persino venuto un gran groppo in gola: per scacciarlo si era dovuto scolare una bottiglietta di Coca-Cola, con seguente… beh, diciamo, con seguente 'rombo di tuono'. E il pomeriggio prima, ecco Seiji: mentre bighellonava per le strade, di ritorno dall'ennesima consegna, la città intorno a lui era d'improvviso scomparsa, sostituita da una chiarezza di verde e oro, come in un bosco incantato. Il suo viso era stato avvolto da un profumo dolce e sottile, ma chissà di quale fiore? Poi aveva sentito la voce di Seiji: "E' ora di sbocciare, Shu". Lì per lì aveva solo potuto strabuzzare gli occhi. Seiji: enigmatico come sempre. Ma la sofferenza patita aveva come ridestato il suo spirito e così, in un modo che per lui era ancora arcano, aveva compreso che cosa aveva voluto dire Bright Boy.
Shu rallentò la corsa fino ad un trotto svogliato. Per completare la sua 'rinascita', non gli restava che una cosa da fare. Voleva prendersela con calma, però: Shin lo meritava, lui gli aveva fatto un grande torto. Prima, dunque, avrebbe fatto la sua consegna poi, dopo una passeggiata rigenerante, avrebbe chiamato il suo fratellino. Niente telefono, no: telepatia. Non voleva dargli scampo. Doveva chiarirsi con lui e poi… Beh, poi sarebbe tornato. Ridacchiò.
"Shu back in action! Preparati, mondo!"
Il ragazzo ripartì di corsa, ridendo di gusto e tirandosi addosso sguardi molto, molto perplessi.

10.
Domenica pomeriggio, siesta. In casa c'era silenzio, non si vedeva nessuno in giro.
Touma respirò profondamente un paio di volte e si posò una mano sul torace, all'altezza del cuore.
{Datti una calmata, ragazzo. Ho solo avuto conferma a quanto avevo sospettato nei giorni scorsi}, ragionò. {Sapevo che sarebbe stata solo questione di tempo, prima che riuscissi a fare ciò che sto facendo}
La parte più 'computeristica' della sua struttura emotiva, così ben costruita, così solida e squadrata, continuava a mandargli messaggi che esprimevano un fiero biasimo per quella sua reazione così fuori di misura. Ma la sua parte più 'emozionale', quella più tipicamente umana, continuava imperterrita a trasmettere sensazioni di sorpresa e panico.
La matita che aveva fatto muovere con la forza del suo pensiero continuava a veleggiare davanti ai suoi occhi, causando quell'aspro conflitto tra le sue due anime.
{Telecinesi. Ed è merito mio, non dell'Armatura. Che cosa significa? Cosa mi sta succedendo?}
Improvvisamente, l'emotività ebbe il sopravvento sulla ragione. Touma si sentì mancare l'aria nei polmoni: la vista della matita (quell'insulso pezzetto di legno, così comune da non meritare quasi attenzione) sospesa nell'aria gli riuscì tutt'a un tratto detestabile. Il ragazzo si alzò, allontanando con forza la sedia dalla scrivania, e attraversò la stanza a grandi passi scattanti. Non appena voltò le spalle, interrompendo il contatto visivo, la matita ricadde sul piano di legno con un secco tenk! e si mise a rotolare, fino a cadere per terra.
{Spaccati in due, maledetta!}
Sconcertato da quel pensiero, Touma aprì la porta e si allontanò lungo il corridoio quasi correndo, deciso a mettere la maggiore distanza possibile tra sé e la mina.
{Un po' d'aria fresca: ecco quello che ci vuole}
Uscì sulla veranda posteriore e si affacciò al balcone, appoggiando i gomiti sulla ringhiera, con le mani strette sulle braccia. Davanti a lui si stendeva la foresta, il verde brillante delle foglie novelle sugli alberi. I grilli frinivano nel sottobosco, gli scoiattoli chiacchieravano tra loro, gli uccelli cantavano i loro canti d'amore. Sotto di lui, disteso sul prato, Ryo dormiva immerso in una pozza di calda luce solare, nella 'posizione del ranocchio': quella caratteristica postura che assumono i neonati, con le gambe appena flesse, le ginocchia verso l'esterno e le braccia sollevate ai lati della testa. Una grossa mantide religiosa, in piedi sul ciuffo che gli ricopriva la fronte, eseguiva le sue abluzioni. Touma ridacchiò.
"Sembra così indifeso, vero?", disse Nasty.
Si era come materializzata alle sue spalle e venne a fermarsi al suo fianco, spalla contro spalla.
"Ultimamente sembra sempre molto stanco. Credo che stia nascondendo qualcosa", proseguì la ragazza. "E credo che tu stia facendo altrettanto."
Touma voltò il capo per guardarla. Era così perspicace, non si riusciva a nasconderle nulla: ecco perché, in quel breve periodo di convivenza, era sempre riuscita a tenere in riga cinque scalmanati in piena adolescenza! Lui l'amava anche per questo. E per la sua dolce discrezione: non c'era traccia di accusa o di rimprovero nei suoi occhi e nell'espressione del suo viso. Solo preoccupazione. Il ragazzo alzò una mano e le carezzò con leggerezza una guancia. Poi, stupito, arrossì e si affrettò a ritirare la mano.
"Vuoi parlarne?" chiese Nasty, avvicinandosi di un altro passo.
"Non oggi", rispose lui. "Ma presto."
Gli occhi di Nasty, che al suo rifiuto si erano adombrati, tornarono tersi. Il calore del suo corpo, attraverso la stoffa leggera della camicia che indossava, era confortante. Il cuore di Touma riprese a fare le capriole. Non sarebbe riuscito a tacerle i suoi sentimenti ancora per molto, quindi era più che mai necessario parlare a quattr'occhi con Seiji. Ma per il momento, pensò Touma sbirciando Nasty, per il momento poteva godersi in santa pace la sua compagnia sapendo che era tutta per lui. Il domani gli avrebbe portato fin troppi pensieri.

----------------------------------------------------

E per il momento, chiudo qui. Era ora, dite, Divini Lettori?… Tsk! Ma che illetterati, non siete capaci di apprezzare la vera arte dello scrivere! (… l'ho sparata troppo grossa?...)
Piccola nota: Sanada Masayuki e Sanada Nobukatsu sono esistiti davvero ed erano, rispettivamente, padre e figlio. Masayuki è piuttosto famoso, ma ammetto di non sapere un accidente di niente della sua personalità. Allo stesso modo, ignoro del tutto che tipo di persona fosse Nobukatsu: l'ho scelto come 'cattivo' semplicemente perché su di lui sono disponibili pochissime informazioni. Non intendo far torto o recare offesa alla memoria (storica o privata che sia) di questi signori: sono stati 'coinvolti' solo per esigenze narrative.
Sayonara.

 

Torna all'Indice capitoli
Torna all'indice Fanfiction