Nota: i personaggi non sono miei, non li ho inventati
io e non mi appartengono.
I nomi sono quelli originali. I soprannomi di Ryo (Little Fire) e di
Touma (Little Star) li ho presi in prestito, ma non ricordo da quali
FF( poffarre e poffarbacco!). Chiedo scusa alle "derubate".
I soprannomi di Seiji (Bright Boy), Shin (Still Water) e Shu (Live Wire)
sono "miei": questi non li ho fregati, giuro!
La storia si svolge nel periodo immediatamente successivo agli avvenimenti
narrati in "Message".
Tra le parentesi [ ] sono riportati i dialoghi che si riferiscono alle
comunicazioni telepatiche tra i Samurai, mentre i loro pensieri sono
scritti tra le parentesi { }. I tre asterischi (***) introducono le
parti "scritte" dai protagonisti di questo racconto nei loro
diari.
Altranota: preparatevi psicologicamente, Divini
Lettori, perché per leggere questo secondo capitolo si farà
notte! E poiché sono una 'bastarda dentro', ho anche usato un
carattere più piccolo.
Il capitolo dei sentimenti
di Reimi Ayanami
1.
"Ciao, Touma! Sono felice di rivederti."
Il viso di Nasty si aprì in un larghissimo sorriso pieno di calore,
non appena aprì la porta e si vide davanti l'esile ragazzo dalla
spettinata zazzera blu.
"Nasty", rispose lui, prima di protendersi goffamente in avanti
per darle un rapido abbraccio. "Ci si vede sempre meno ultimamente,
eh?"
La ragazza esibì un sorrisetto scaltro. "Io abito sempre
qui, lo sai, per cui
", disse, stringendosi nelle spalle.
Touma si grattò il collo e tossicchiò. "Allora, mi
fai entrare?"
Nasty si fece da parte.
"Che cos'è questa storia che Ryo non sta bene?", chiese
il giovane mentre entrambi si recavano verso la sala da pranzo. "L'ho
sentito due giorni fa e mi è sembrato in forma, come sempre.
Solo un po' preoccupato per qualcosa di cui non ha voluto parlarmi in
quel momento. "
"Si, è vero: anche a me era sembrato un po' sulle spine,
negli ultimi giorni. Ma mi aveva garantito che non era di niente di
grave." Nasty si interruppe un attimo e ridacchiò. "Credo
di aver capito che cosa lo aveva messo tanto in agitazione. "
Touma inarcò un sopracciglio, rispondendo d'istinto al sorriso
di Nasty. "E cioè? "
"Una ragazza."
Il giovane scoppiò a ridere. "Cosa te lo fa pensare?"
"Il modo in cui è arrossito e la rapidità con cui
è fuggito in camera sua per evitare che gli facessi altre domande,
quando ieri ho sollevato l'argomento."
Piano piano il sorriso di Touma si affievolì. "E poi che
è successo?"
"Proprio questa mattina, mentre ero qui ad apparecchiare per la
colazione, ho sentito un gran tonfo provenire da sopra", Nasty
alzò gli occhi al soffitto, "dalla stanza di Ryo. Sai com'è
lui: è una cavalletta, non sta fermo un attimo
Ho pensato
che fosse caduto e l'ho chiamato per sapere se si fosse fatto male ma
non mi ha risposto, così sono salita su e quando ho aperto la
porta l'ho trovato steso per terra, pallido come non l'avevo mai visto.
Era a dir poco gelido e sembrava come stordito. L'ho infilato di nuovo
sotto le coperte e lì è rimasto praticamente per tutto
il giorno, a sonnecchiare. Non ha mangiato e non vuole parlarne."
Nasty sospirò. "Non con me, almeno", aggiunse.
Touma, che nel frattempo aveva scostato dal tavolo una delle sedie e
si era seduto, allungò una mano verso la spalla dell'amica e
le diede un buffetto. "Non prendertela, il suo non vuol certo essere
uno sgarbo nei tuoi confronti."
"Lo so. Ma da quando è tornato a stare qui ho cercato in
tutti i modi di parlargli, di indurlo a sfogarsi un po'. E lui niente:
comunicatività zero. Per cui, sono contenta che almeno tu venga
a trovarlo. Sono sicura che soffre molto per la lontananza che si è
venuta a creare tra tutti voi."
Touma assentì, pensieroso. "Non si tratta che di una piccola
pausa. Abbiamo tutti bisogno di
assestarci, come dice Ryo. Comunque,
ci sentiamo abbastanza di frequente
Telepatia."
Nasty ridacchiò. "Usare il telefono è troppo scontato,
per voi?"
Touma raccolse lo scherzo con allegria. "La telepatia è
una forma di comunicazione più conveniente: è gratis.
E poi ti permette di rompere le scatole al prescelto in qualsiasi momento
e in qualsiasi luogo. Proprio in qualsiasi momento e proprio in qualsiasi
luogo! Il telefono non arriva a tanta perversione."
Entrambi i giovani risero insieme. Nasty strinse brevemente la mano
del ragazzo e lui ricambiò.
"Tuttavia", riprese Touma poco dopo, "posso capire che
Little Fire senta la nostra mancanza più acutamente di quanto
non la sentiamo noi: in pratica, siamo diventati a tutti gli effetti
l'unica famiglia che ha
Beh, sarà meglio che vada di sopra."
2.
Acciambellato sotto le coperte, Ryo stava tentando un nuovo approccio
analitico a quanto gli era successo quella mattina. Superato il primo
shock - e accantonando per il momento l'umiliazione di essere caduto
a terra come un piombo - aveva cominciato a sviscerare il problema cercando
di capire che cosa gli fosse realmente successo, ma era tutto inutile.
Ricordava solo quel lampo oscuro e la sensazione che un coltello affilato
gli penetrasse nella testa, tagliandola di netto in due. E quel suono
cupo, montante, come il boato di un terremoto. Aveva intravisto immagini
in quella specie di folgore che gli era esplosa davanti agli occhi e
nella mente, ma se cercava di evocarle riusciva a portare a galla solo
il terribile dolore provato. Si sentiva ancora frastornato e il senso
di nausea che aveva preso possesso del suo stomaco non accennava minimamente
a togliere il campo. Il ragazzo sospirò, massaggiandosi una tempia.
Tre lievi tocchi alla porta, poi qualcuno entrò in camera.
{Nasty}
Una pacca violenta lo centrò in pieno posteriore.
"Che ne dici di stanarti da lì sotto?"
"Tou!", esclamò Ryo con voce soffocata dal suo nido
di coperte. Fece capolino dal bordo del piumino e occhieggiò
l'amico in malomodo. "Tieni le mani a posto, sporcaccione!"
Immediatamente, Touma prese a strofinarsi con vigore la mano su una
gamba dei jeans. "Non credere: tu non hai nessuna attrattiva, per
me!" Si sedette sul bordo del letto e fissò Ryo in viso.
"Nasty mi ha detto del tuo malore."
Ryo prese a strisciare di nuovo sotto le coltri, così Touma scelse
di attaccare in un altro modo.
"Mi ha anche detto di averti messo a letto
Che vuol dire
che 'ti ha messo a letto', eh, Ryo?"
Il ragazzo ridacchiò. "Niente."
"Dì un po', non ti avrà mica spogliato, vero?"
Ryo aprì uno spiraglio nella palla di coperte che si era stretto
intorno. I suoi occhi, brillantissimi, si appuntarono su Touma con una
tale espressione malandrina che il ragazzo non poté fare a meno
di sorridere.
"Bene, visto che non rispondi, mi costringi a verificare da me!",
minacciò Touma e un attimo dopo si lanciò sull'amico e
prese a massacrarlo di pugni e spinte.
"Sono vestitissimo", confessò Ryo dopo una lotta selvaggia
di un paio di minuti. "E dire che Nasty mi ha messo a letto non
è corretto: sono troppo pesante per lei, non sarebbe riuscita
a sollevarmi se non fossi stato cosciente. Dunque, dal momento che ero
lucido, non le ho permesso di sfilarmi nemmeno un calzino, stai tranquillo."
A quel punto, finalmente, Ryo gettò di lato le coperte rivelando
parte della divisa scolastica, tutta spiegazzata, e una chioma in piena
ribellione. "Contento?"
"Hai i capelli sparati in tutte le direzioni", osservò
Touma, cercando di appiattirglieli.
"Non posso farci niente", si lamentò Ryo. "E'
da questa mattina che non ne vogliono sapere di stare a posto. Ho provato
con il pettine, con le mani, anche con spazzola e phon
"
"Che ne dici di darci un bel taglio?", suggerì l'amico.
Ryo incrociò le mani davanti al volto. "Mai!"
"Se non fai qualcosa, prima o poi ti ci siederai sopra", sospirò
Touma.
"Li ho accorciati, prima di cominciare ad andare a scuola
Senti, Tou
"
"Mmmm?"
Ryo sollevò sul viso di Touma uno sguardo perplesso e vagamente
colpevole. "Ti dà fastidio che io stia qui da Nasty? Preferisci
che me ne torni a casa?"
"Nessun fastidio", rispose l'altro quasi subito. "E se
Nasty non ti butta fuori a calci, non vedo ragione per cui debba essere
io ad importi di sloggiare."
Ryo sospirò. "Devo chiederti scusa, sai, per essere stato
un tale imbecille del tutto privo di tatto. Adesso capisco come devi
esserti sentito, quando ti ho detto che sono stato innamorato di lei."
Touma sembrò accusare leggermente il colpo. Poi si protese per
dare un pugno scherzoso sulla spalla di Ryo che, però, rimase
a occhi bassi per qualche altro istante. Questo diede modo a Touma di
riflettere. La rivelazione cui Ryo aveva accennato era arrivata circa
un anno e mezzo prima, quando quella testa di pietra si era finalmente
sfogato con lui, piangendo la morte di Luna e liberandosi del senso
di colpa che aveva covato per mesi, per via del fatto che era stato
proprio lui ad acconsentire affinché Luna li accompagnasse a
Little Tokyo. Naturalmente, Ryo si era subito affrettato a precisare
che la sua era stata la cotta di un quattordicenne per una ragazza che,
ai suoi occhi, aveva ben quattro attrattive: era bella, intelligente,
coraggiosa e più grande.
"Pietra sopra", aveva risposto allora, con il cuore che gli
martellava furiosamente proprio al centro della gola.
Sì, si era accorto che Ryo aveva avuto un debole per Nasty. Si
era accorto che anche Seiji aveva una cotta per lei e che questa, forse,
non si era ancora esaurita. Stando così le cose, si sentiva impedito
nel dichiararsi. Una parte di lui voleva dare soddisfazione ai propri
sentimenti, l'altra non voleva compromettere l'amicizia che univa i
Samurai Troopers. Almeno, sapere di non dover competere anche con Ryo
per l'affetto della ragazza era un bel sollievo: era sicuro che se quel
giorno Ryo gli avesse detto che voleva bene a Nasty, lui si sarebbe
fatto da parte. Amava Ryo come un fratello. Talvolta lo vedeva come
un fratello maggiore, ma più spesso come un fratello minore di
cui prendersi cura ad ogni costo. Aveva una fiducia illimitata in lui,
nella sua forza, nel suo coraggio, eppure sapeva che non doveva assolutamente
perderlo d'occhio. Ammirava la sua spontanea bontà, ma certe
volte sentiva l'irresistibile impulso di scuoterlo per bene e fargli
entrare in quella sua testaccia dura (magari spaccandogliela) che anche
loro potevano essere un sostegno per lui. In quel preciso momento, per
esempio, aveva una gran voglia di prenderlo per il colletto e sbatacchiarlo
un pochino, per costringerlo una volta per tutte a liberarsi del peso
che stava accumulandosi dentro. Ma sapeva che non sarebbe riuscito a
fare niente di tutto ciò: Ryo avrebbe potuto guardarlo con occhi
pieni di sconcerto e affamati di affetto o avrebbe potuto distogliere
lo sguardo per nascondere le lacrime che - lo vedeva bene - si sforzava
di trattenere e lui
beh, a quel punto si sarebbe sentito crollare
di dosso ogni intento bellicoso (a fin di bene, è ovvio) e avrebbe
finito per parlargli in tono ragionevole: situazione che Ryo aveva sempre
travolto con estrema facilità. Che cosa ci voleva, con quel benedetto
ragazzo? La mano ferma che invocavano Seiji e Shu (che talvolta, per
l'esasperazione, proponeva di prenderlo a schiaffi) o la tenerezza che
consigliava Shin? Lui proprio non lo sapeva, ma era sicuro che non avrebbe
retto alle sue lacrime e sarebbe finita che o Ryo stesso o gli altri
avrebbero dovuto consolare lui. Quattro anni non erano ancora stati
sufficienti per aiutarlo a destreggiarsi con la ingarbugliata situazione
emotiva di Ryo.
"Ascolta", disse Touma, ritornando al presente. "Non
prendertela anche per questo, ok?"
{Ci risiamo: sto tentando un approccio ragionevole}
"Sono curioso: come mai dici di comprendermi?", chiese.
Un fenomeno sorprendente si verificò, allora, sotto gli occhi
esterrefatti del giovane. Le orecchie di Ryo cominciarono ad imporporarsi
e il rossore prese a diffondersi sulle guance, sul collo e persino sulla
fronte, come in una cartina di tornasole. Nel suo viso pallido, i suoi
occhi spiccavano come fari luminosi, azzurrissimi più che mai.
Touma avvertì l'aumento della temperatura che tutto quello scombussolamento
stava causando nel corpo dell'amico: l'aria intorno a Ryo stava scaldandosi.
{Mayday! Mayday! Tempesta ormonale in corso!}
"Era di questo che volevo parlarti", balbettò Ryo.
"Donne?"
Ryo sorrise. "Non esagerare. Una sola."
Touma sollevò le gambe sul letto e si accomodò meglio.
Con quella sua espressione concentrata e le braccia incrociate sul torace
sembrava Toro Seduto.
Ryo giocherellò per qualche secondo con il ciuffo che gli copriva
parte della fronte, cercando le parole e un punto da cui iniziare a
spiegare; quindi si diede uno strattone ai capelli e cominciò:
"Vedi, qualche giorno fa io
"
3.
Allo Yagami Nagawa, un istituto di accoglienza per ragazze senza famiglia,
che in tempi meno riguardosi della sensibilità sociale sarebbe
stato definito semplicemente 'orfanotrofio', Reimi Ayanami occupava
da sola una piccola mansarda. Ci si era trasferita da qualche mese per
intercessione della direttrice, a causa delle continue liti che coinvolgevano
lei e le altre ragazze con cui divideva stanza e piano. Le altre ospiti
non la volevano e per dimostrarglielo le facevano letteralmente i chiodi.
Adesso andava un po' meglio: non le dispiaceva affatto vivere in soffitta,
anche se ingombra di ciarpame, perché questa era tutta sua e
qui nessuno veniva ad angariarla. Da quando le altre ragazze non erano
più costrette a vederla tutto il giorno, tutti i giorni, la lasciavano
in pace. Riusciva persino a dedicarsi con molto più successo
allo studio: se continuava così, all'esame di fine trimestre
sarebbe riuscita a guadagnarsi il primo posto. Così facendo,
contava di vincere un assegno per pagarsi gli studi all'Università
di Tokyo; diversamente, l'unica prospettiva decente che le si presentava
era un lavoro da guardiana di notte in un cimitero. Quanto allo studio,
però, c'era un problema: Ryo Sanada. Smentendo l'antico pregiudizio
secondo cui il cervello diserta l'avvenenza, quel ragazzo si stava rivelando
una minaccia ai suoi progetti.
Reimi alzò gli occhi dal libro che stava studiando. Le piaceva
molto guardare Sanada: aveva una bellezza solare che riusciva a metterla
di buon umore. D'altra parte, serio, tranquillo e diligente com'era,
era riuscito in poco tempo a portarsi ad un livello culturale di poco
inferiore al suo. Ormai riusciva a 'batterlo' soltanto in chimica e
in matematica, mentre perdeva nettamente in inglese. Considerato che,
dopotutto, non le dispiaceva, poteva anche accettare che tra loro si
stabilisse una parità. Ma non di più. Ecco perché,
da una settimana a quella parte, aveva raddoppiato i suoi sforzi. Non
poteva permettersi di perdere la borsa di studio. Tuttavia, l'impegno
scolastico non era la sua unica preoccupazione.
Reimi riportò la sua attenzione sul libro aperto sul tavolo.
Era quello stesso volume grosso e senza titolo che Ryo aveva notato
fin dal primo giorno di scuola. Era scritto in un giapponese che definire
arcaico equivaleva ad usare un eufemismo; eppure i primi scritti risalivano
alla seconda metà del Periodo Muromachi, a ridosso dell'era Sengoku,
l'Era del Paese in Guerra. Era stato redatto volutamente in un linguaggio
poco accessibile, reso ancor più incomprensibile dall'uso di
acrostici, di neologismi e di haiku che celavano indovinelli da risolvere.
"E' un rompicapo."
Reimi era esasperata, ma nello stesso tempo affrontava con grinta la
sfida che quel libro importantissimo le poneva. Se voleva scoprire il
segreto delle sue origini, doveva tradurlo. Fino a quel momento, in
due anni di tentativi, aveva scoperto che a scrivere erano state diverse
donne. Innanzitutto, la capostipite della sua famiglia, una sacerdotessa
di nome Minami. A sua volta, questa famiglia si era rivelata composta
da altre sacerdotesse, ognuna delle quali aveva lasciato qualcosa di
scritto nel Libro delle Origini. Fino ad un certo punto, tutte queste
donne erano state accomunate da un unico scopo: custodire e proteggere
lo Specchio del Sole. Cosa fosse questo specchio, non lo sapeva: ne
parlavano tutte come di un segreto che doveva essere già noto
alle discendenti. Nel corso delle generazioni, però, si era verificato
uno scisma all'interno della sua stirpe e ciò si era verificato
con la venuta al mondo di due gemelle, Mai e Reiko, che avevano tenuto
due condotte estremamente differenti. La prima si era mantenuta fedele
allo scopo. La seconda, invece
Beh, la storia qui si faceva un
tantino ingarbugliata. Aveva finito di tradurre da qualche giorno il
diario di Akiko, nipote di Reiko, la cui linea aveva preso in custodia
il Libro delle Origini. Akiko iniziava la sua narrazione con un lungo
excursus in un'epoca lontanissima, cominciando dall'Era Mitologica.
L'antenata si era soffermata soprattutto su un periodo che, stando ai
suoi calcoli, Reimi aveva potuto collocare all'incirca intorno all'anno
990. La ragazza diede un'occhiata al foglio scribacchiato che teneva
accanto al suo gomito destro. Era una cronologia, un sunto di tutto
quello che Akiko aveva scritto:
ERA MITOLOGICA: compare l'Armatura dell'Imperatore Splendente (?)
III Sec.: compaiono i Tre Tesori Celesti (Gioiello della vita - ?, Spada
Inflessibile - ?, A.dell'I.S.).
900: compare un demone di nome Arago.
990: il monaco Kaosu (tipo misterioso!) sconfigge Arago. Compaiono 9
armature.
1185: i Tre Tesori vengono perduti in mare.
1439: Minami entra in possesso dello Specchio del Sole.
1518: Mai e Reiko si separano.
1520: perse tracce dello Specchio del Sole.
1523: il 'ramo cadetto' della stirpe di Minami si dedica alla Missione
dei Sigilli (?)
Da quel che Reimi poteva capire, il nodo centrale era la comparsa di
quelle nove armature. Erano state loro a causare l'insanabile divergenza
tra le due sorelle. Ma perché? Cosa significavano quelle corazze?
E che ne era stato del 'ramo primario', quello discendente da Mai? Forse,
venendo meno lo Specchio del Sole, quel ramo si era estinto. Reimi iniziò
a mordicchiare la matita. Adesso stava dedicandosi alle memorie di un'antenata
che si chiamava come lei!, e che prometteva di svelarle il mistero,
o almeno una parte: le prime pagine già erano promettenti. Se
non altro, adesso sapeva che cos'era questa 'Missione dei Sigilli':
consisteva nel cercare quelle nove armature e sigillarle, affinché
nessuno potesse mai più indossarle e usarle.
{Certo}, pensò Reimi stancamente, {neanche io avrei mai voluto
che qualcuno indossasse armature create dal corpo di un demone come
Arago. Capisco perché Reiko avesse deciso di sigillarle. Ma cosa
ha a che vedere, tutto questo, con la custodia dello Specchio del Sole?}
Reimi guardò fuori dal lucernaio e si accorse che la sera stava
ormai calando sulla città. Aveva gli occhi pesti e gonfi come
uova sode, eppure le sue fatiche non erano finite. Con un sospiro, la
ragazza accantonò controvoglia il Libro e prese quelli di scuola.
{Inglese}, gemette tra sé.
"Al diavolo!"
4.
*** Qui ad Hagi, la primavera è un sogno. Il ciliegio che ho
piantato l'anno in cui papà è morto ha dato fiori meravigliosi.
Ryusuke va sentenziando pieno di rammarico che darà frutti ancora
più buoni e Sayoko lo rimprovera ricordandogli che quei frutti,
secondo il voto che tutta la famiglia (lui compreso) ha fatto, andranno
al tempio, affinché i sacerdoti preghino con maggior fervore
per la purificazione dell'anima di nostro padre. Ormai sono qui da un
mese e credo che non vi sia più motivo per trattenermi oltre.
Ero tornato perché Sayoko era preoccupata per la salute di nostra
madre e con le sue chiacchiere aveva fatto preoccupare anche me, ma
una volta a casa ho potuto constatare che la mamma non ha niente che
non va, non più del solito per lo meno. La verità è
tutt'altra: erano - anzi, no: sono - sia lei che mia sorella quelle
preoccupate e lo sono per me: nonostante tutto, ancora non smettono
di sbirciarmi e di spettegolare tra loro. Mamma si lamenta spesso di
trovarmi più pallido e sciupato dell'ultima volta che sono tornato
a casa. Sayoko mi rimpinza come un porcello all'ingrasso. Ryusuke, invece,
non si fa intenerire dal mio pallore e non si fa sfuggire occasione
per ribadirmi che devo scervellarmi di meno e fare di più. So
cosa intende: non si è mai fatto scrupolo, fin dal nostro primo
incontro, di farmi sapere che secondo lui sarei disposto a farmi carico
di mille tormenti piuttosto che prendere il coraggio a due mani e andare
avanti per la mia strada
***
Shin depose la penna e rilesse le ultime righe che aveva scritto. Il
giudizio di suo cognato gli bruciava da morire e il risentimento che
provava per lui era reso ancora più vergognoso dal fatto che
il giovane sapeva che Ryusuke aveva ragione. Si appoggiò allo
schienale della sedia e prese a guardare fuori dalla finestra, tamburellando
le dita sul piano della scrivania. Quanto fortemente aveva desiderato,
durante la guerra contro Arago, un potere in grado di distruggere l'Impero
del Male una volta per tutte? E con quanta determinazione, in seguito,
aveva desiderato che quello stesso potere venisse a sua volta annientato?
Perché una volta che si inoltrava in una direzione non era capace
di percorrere fino in fondo il sentiero che aveva imboccato? Certo,
sulla strada delle armature ci era stato spinto da Kaosu, ma lui aveva
rifiutato la possibilità di chiamarsene fuori il giorno in cui,
pur sapendo a cosa sarebbe andato incontro, aveva indossato comunque
Suiko. E non poteva negare che l'essere stato scelto per combattere
il male, in virtù del suo cuore giusto, lo avesse riempito di
orgoglio. Almeno per un po'. Già, perché quando la situazione
si era fatta insostenibile per lui, aveva iniziato a desiderare più
forza, per porvi rimedio, e poi di poter mettere un punto definitivo
a tutta la faccenda. E questo era successo di recente, quando si era
accorto che, proprio perché depositari di un potere più
elevato, il suo destino, e quello degli altri, era stato come marchiato
a fuoco.
'Non mi sta più bene, quindi non deve essere': ecco come si potevano
riassumere i suoi pensieri. Quanto poco aveva considerato i sentimenti
dei suoi compagni! Fino al giorno in cui le Armature, avendo deciso
di combattere per loro stesse, si erano quasi prese le vite di coloro
che si erano rifiutati di sottomettersi
le vite dei suoi amici.
Shin ebbe una risatina colma di amarezza. Sebbene il suo cuore lo avesse
portato ad intuire ciò che l'Imperatore Splendente aveva in serbo
per tutti loro, il suo agire aveva riflettuto appieno la sua filosofia
del 'non mi va, non voglio'.
{Mi sono caricato di mille tormenti piuttosto che armarmi del coraggio
di agire e di seguire gli altri}
Vero. Ma lì per lì, scoprire che per lui - per loro -
non esisteva più libero arbitrio, lo aveva sconvolto. Forse era
scorretto, da parte sua, pensare in questi termini: Kaosu aveva offerto
loro la possibilità di rifiutare la lotta. Ma andiamo!, non si
poteva proprio dire che la loro scelta non fosse fortemente condizionata:
se avessero deciso di rifiutare il combattimento, cosa ne sarebbe stato
del mondo? E quindi, in definitiva, loro cinque erano forse gli unici
esseri umani al mondo ad avere un destino già determinato.
{Noi, noi cinque
}
Anche se non passava giorno senza che la sua mente tornasse a loro,
si era accorto di essersi lanciato in una crociata per scacciarli dai
suoi pensieri.
Il giorno si avviava ormai alla sua conclusione. I primi soffi della
brezza di mare già gli portavano, attraverso la finestra aperta,
l'odore salmastro e intenso dell'oceano e gli stridi degli ultimi gabbiani
che ancora si attardavano in cerca di cibo. I pensieri tristi presero
il volo sulle ali di quel dolce vento. Shin si alzò e si diresse
al comodino che teneva accanto al letto. Sopra c'era il telefono: nella
segreteria erano ancora registrati tutti i messaggi che aveva ricevuto
dagli altri. Erano quasi tutti di Ryo, qualcuno di Shu, un paio di Touma
e uno soltanto di Seiji, ricevuto quella stessa mattina. Shin fece partire
il nastro e portò avanti, fino a quell'ultimo messaggio. Dopo
il bip la voce di Seiji, calma e bassa, recitò un verso: "Se
il cuore non è in balia dei venti di tempesta, dovunque s'innalzano
azzurre montagne e s'estendono cieli sereni". Poi, dopo una breve
pausa di silenzio: "Non molto tempo fa ho fatto una promessa a
Ryo: è ora che la mantenga, ma non avrebbe senso se non ci fossi
anche tu". Di quale promessa parlasse l'amico, Shin non lo sapeva;
ma la prima parte del messaggio era chiara, al modo di Seiji: doveva
essere riuscito a mettere un po' d'ordine nei suoi pensieri e a dare
pace al proprio cuore. Shin si chinò sul mobile, sorreggendosi
sulle braccia, con le spalle curve. Fissava il nastro che si riavvolgeva.
{Anche io ho fatto una specie di promessa: ho detto a Shu che questa
sarebbe stata la nostra epoca}
Il ragazzo volse gli occhi attraverso la stanza. Chissà come,
ma adesso gli sembrava che quelle familiari mura fossero diventate troppo
strette per lui. D'impulso, con un mezzo sorriso teso sulle labbra,
Shin andò all'armadio, spalancò le ante e tirò
fuori il suo borsone da viaggio.
5.
Sabato mattina, Ryo si svegliò pieno di energie benché
avesse parlato con Touma fino alle due e non avesse dormito, quindi,
che quattro ore scarse. Il fatto, però, era che aveva dormito
sodo. Scostate le tende, il giovane vide un cielo terso e un sole sfolgorante
e decise sul momento di andare a fare una corsa, per sfogare un po'
delle ritrovate forze. Ci sarebbe andato subito, si disse, così
nel frattempo Tou si sarebbe alzato e al suo ritorno avrebbero potuto
fare colazione insieme a Nasty. Si infilò tuta e scarpe e volò
di sotto, atterrando con un tonfo sul pavimento dopo aver saltato i
soliti ultimi quattro gradini. Immediatamente, Nasty si affacciò
dalla porta della cucina e sibilandogli un "Rrrryoohh!", che
sarebbe stato un ringhio tonante se di sopra Touma non fosse stato ancora
in dreamlandia, gli agitò contro la padella. Ryo si rattrappì,
poi sventolò una mano - "Scusa, scusa!" - e le sorrise
in modo accattivante, prima di sparire fuori portata. Come un cucciolo
che non capisce perché il padrone si imbestialisca tanto nel
trovare il suo miglior paio di scarpe totalmente rosicchiato, allo stesso
modo Ryo non comprendeva perché Nasty si alterasse tanto quando
lui saltava quei benedetti gradini, invece di scenderli.
Una volta fuori, il ragazzo si dedicò agli esercizi di riscaldamento.
Aveva fatto un sogno strano, quella notte, ma non lo ricordava bene.
Mentre cominciava a ruotare il busto prima a destra e poi a sinistra,
tendendo le braccia, Ryo si soffermò a riflettere sui brandelli
di immagini che riusciva a richiamare alla memoria. Doveva essere stato
un sogno movimentato, concluse subito: ricordava, come sfondo, un cielo
rosso percorso da ribollenti nubi nere che si inseguivano e si attorcigliavano,
spinte da un forte vento. Alcuni stendardi sfilacciati si agitavano
freneticamente. Un suono intenso, il coro di mille voci agguerrite,
rivaleggiava con il cupo rombo dei tuoni.
{Un campo di battaglia}
Ryo si afferrò un piede, piegò la gamba finché
il tallone non colpì un gluteo e mantenne la posizione per una
ventina di secondi. Intanto nuovi dettagli del sogno cominciavano a
farsi strada, sempre più chiari, nella sua memoria.
Un signore della guerra, spavaldo nella sua armatura, piantato a gambe
larghe nel terreno, lanciava la sua sfida ad una figura interamente
coperta da una corazza che non riusciva a nascondere il fatto che sotto
vi si celava una donna. Dietro la misteriosa guerriera, che inalberava
un'insegna con uno specchio cinto da un sacro rosario, si trovavano
altre figure in armatura. Un intero clan di donne!
Ryo lasciò andare il piede, afferrò l'altro e ripeté
l'esercizio. Sul suo volto, l'espressione luminosa di piacere che aveva
prima di uscire di casa si era attenuata in un'altra, di perplessità
e di sospetto.
L'ultimo particolare che ricordava era che lontano, più o meno
al centro dello schieramento del signore della guerra, alcuni samurai
reggevano un catafalco su cui qualcosa di grosso - un sarcofago o un'urna
- riposava, coperto dal drappo recante lo stemma del nobile: un rapace
che stringeva tra le zampe un anello.
"Bizzarro", disse in tono pensieroso.
Cercò di eliminare con leggerezza il senso di oppressione generato
dal sogno, ma scoprì che era un'impresa ardua. Anche perché
ricordare le visioni della notte gli portò immediatamente alla
mente l'avventura della mattina prima. Si era illuso di aver messo la
cosa nel dimenticatoio, grazie a Touma e alla loro chiacchierata su
Ayanami, e invece si era sbagliato! Il sogno non aveva niente a che
fare con l'incidente di ventiquattro ore prima, ma entrambi avevano
una cosa in comune: erano inquietanti.
{Dai, Ryo! Corri, corri!}
Scattò. Dopo le bastonate prese da Mukala, per guarire il suo
orgoglio ferito ("Brutta cosa, l'orgoglio", gli aveva detto
Seiji più di una volta) si era messo d'impegno per migliorare
le sue abilità fisiche. Più di ogni altra cosa, voleva
diventare veloce e potente. Soprattutto adesso che tutti loro avevano
una nuova armatura.
{Se non fossi stato così incapace di oppormi a Mukala}, ragionò
per la milionesima volta, {non avremmo perduto le armature forgiate
da Kaosu. Adesso non indosseremmo armature intrise del rancore di uno
spirito in cerca di vendetta e di pace. Non avremmo rischiato di stecchire
ad appena diciassette anni e dopo tutto quello che abbiamo passato!}
Accelerò l'andatura, già sostenuta, senza accusare lo
sforzo. Davanti a lui, sulla sinistra, si stendeva l'ampia curva a falce
del lago. Ryo saltò il basso dislivello tra la strada e la sponda
e procedette sulla sabbia, che offriva resistenza alla sua corsa e lo
costringeva ad un ulteriore impegno, per lui più gradito dei
pensieri che gli affollavano la mente.
{Anche le armature forgiate dal corpo di Arago erano permeate della
sua rabbia e del suo desiderio di vendetta, ma Kaosu aveva attenuato
questi sentimenti legando ciascuna delle armature alle cinque Virtù
confuciane. Abbiamo creduto che questo legame fosse assolutamente vincolante,
invece ci siamo ritrovati inermi di fronte al loro improvviso rifiuto}
Ryo accelerò ancora la corsa, spinto dall'angoscia delle sue
riflessioni. Era a corto di fiato, ormai, e i polmoni gli dolevano per
la mancanza di aria. Il lago, la sponda, la sabbia, gli alberi alla
sua destra: tutto scorreva via, alle sue spalle, ad una velocità
incredibile.
{Le armature di Suzunagi non hanno beneficiato dell'intervento di Kaosu.
Il nostro cuore, il MIO cuore, troverà ancora la forza, giorno
dopo giorno, per non lasciarsi corrompere? La risposta
quando
l'avremo? E a quale prezzo?}
Il giovane si fermò all'improvviso, sollevando schizzi di sabbia,
e si chinò in due, le mani sulle ginocchia. Respirava in singhiozzi
stentati, in debito di ossigeno, e il sudore gli colava lungo le guance
e la schiena. Esausto, si lasciò cadere seduto sostenendosi con
le braccia tremanti, le gambe stese davanti a sé e la testa rovesciata
all'indietro. Mentre riprendeva lentamente fiato si guardò intorno.
La corsa lo aveva sfiancato dal punto di vista fisico, ma non lo aveva
aiutato più di tanto sulla frontiera del pensiero. Ben presto,
il ragazzo ricominciò ad interrogarsi sull'esplosione di luce
oscura e di dolore del giorno prima. La sensazione che in quel caos
vi fossero delle immagini ordinate si era fatta più forte, al
punto che andava convincendosi che, se il suo 'dono' fosse stato appena
un po' più sviluppato, di certo avrebbe avuto un'autentica visione.
Se da un lato tale mancanza lo consolava, dall'altro il solo fatto che
l'incidente si fosse verificato lo tormentava. Ryo si alzò in
piedi di scatto, colpito da una folgorazione.
{E se il mio potere stesse subendo una qualche evoluzione? E' possibile,
una cosa simile?}
Si strofinò piano la fronte, come se quel gesto potesse aiutarlo.
Buco nell'acqua.
{Devo parlarne ai ragazzi? E se poi venisse fuori che si è trattato
solo di un po' di stress?}
Non era il caso di provocare allarme per qualcosa di tanto indefinito.
{Sono già tutti fin troppo tesi}
Così preoccupati, si disse facendo dietrofront verso casa con
le spalle curve, che tre di loro rispondevano sempre più di rado
e con minore entusiasmo non solo ai suoi contatti telepatici ma anche
alle sue telefonate.
{Porta pazienza, come direbbe Shin. E' una questione di assestamenti}
6.
Reimi aveva passato l'intera notte a studiare. Non l'inglese, però,
come aveva cominciato a fare. In realtà, dopo nemmeno un'ora,
un'inspiegabile urgenza l'aveva spinta a mettere da parte i libri di
scuola e a riprendere il Libro delle Origini. Così aveva scoperto
che il diario della sua omonima non conteneva più di una ventina
di pagine ma il cui contenuto
Buon Dio, il contenuto era una bomba!
Le ultime due annotazioni, poi, le avevano procurato uno shock piuttosto
violento. In esse compariva, infatti, il cognome Sanada. Quando l'aveva
visto, si era strozzata con la saliva!
{Sanada Masayuki e Sanada Nobukatsu
Chissà se sono antenati
di Ryo?
Ma dai!
Beh, però è incredibile che una mia antenata, che portava
il mio stesso nome, abbia conosciuto dei Sanada, proprio come ne ho
conosciuto uno io
Fa quasi impressione.
Vediamo un po' che cosa ha da dire Reimi su questi signori}
E così era venuta a conoscenza di una storia straordinaria e
terribile, fatta di violenza, sangue, magia e sacrificio. Appartenendo
al 'ramo cadetto' della famiglia, e in qualità di discendente
di Reiko, Reimi era stata scelta in base ad una sua particolarità
per assumere il ruolo di Sigillo. Questa particolarità fisica
non si tramandava linearmente da una generazione all'altra, a quel che
le era dato di capire: solo in epoche in cui ciò era necessario,
essa si manifestava nelle donne del suo clan. A questo punto della lettura,
le sue mani avevano preso a tremare in modo incontrollabile, tanto che
era stata costretta a interrompersi il tempo necessario per sgattaiolare
in cucina a bere un bicchiere di latte.
La caratteristica che designava una donna della famiglia quale Sigillo
erano gli occhi rossi.
{Evviva! Potrei essere anch'io una di questi Sigilli!}
La cosa le era parsa talmente ridicola che si era sentita ritornare
calma e padrona di sé. Era risalita in camera e aveva ripreso
a leggere e a tradurre.
{Quante fandonie
}
Anche la sua omonima, come Akiko, iniziava con un riassunto storico,
ma scriveva in modo più chiaro e lineare, con maggiore precisione.
Nel 990, dunque, un monaco di nome Kaosu aveva sconfitto il demone Arago,
che voleva invadere il mondo degli uomini e annetterlo al suo impero.
Dal corpo di Arago, Kaosu aveva forgiato nove mirabili armature e poiché
lo spirito malvagio del demone persisteva nelle corazze, ad ognuna il
monaco aveva imposto una specie di sigillo (ormai vedeva sigilli dappertutto):
un legame con cuori umani che esprimessero le cinque Virtù confuciane
e le quattro Virtù del Bushido. Si trattava di una specie di
rivalsa dell'uomo nei confronti del demone che voleva asservirlo. Rei
lo aveva trovato più che giusto.
{Simpatico, questo bonzo}
Purtroppo le quattro armature legate alle Virtù del Bushido,
basate sulla sottomissione senza alcuna pretesa di giudizio morale,
si erano arrese ben presto al volere di Arago.
{Era tenace, 'sto bastardo! Più legato alla vita di Scrooge al
suo denaro!}
Quelle legate alle Virtù confuciane, votate al perseguimento
della giustizia in nome della compassione, sfuggirono al richiamo del
loro signore, ma non ebbero sorte migliore: create per essere usate
dall'uomo per il bene, finirono con l'essere sfruttate per gli scopi
più vili e ignobili. Seguiva, a questo punto, un lungo resoconto
di intrighi, colpi di mano, atti di forza, massacri perpetrati in nome
della lussuria, dell'avidità, dell'invidia.
{Ah, santo cielo! E dove si nascondevano i cuori guidati dall'Altruismo,
dalla Cortesia, dalla Giustizia, dalla Saggezza e dalla Fiducia? Possibile
che non siano mai esistiti?}
In questo contesto vergognoso si inserivano i Sanada. Masayuki sembrava
rispondere perfettamente alle intenzioni del monaco Kaosu. Egli tuttavia,
si era limitato a custodire l'armatura che era venuta in suo possesso,
l'Armatura della Vampa, senza cedere alla tentazione di indossarla,
consapevole di non avere un animo abbastanza forte da poter imporre
la propria giusta volontà alla parte più oscura dell'anima
dell'armatura. Per tutta la sua vita, Masayuki aveva cercato di fortificare
il suo cuore attraverso lo studio dell'uomo e della natura. Suo figlio
Nobukatsu, invece, arrogante e facile preda delle sue passioni, aveva
fatto più volte ricorso all'Armatura. A quel punto, Reimi era
stata insignita della nomina di Sigillo. Negli undici anni seguenti
al suo memorabile sedicesimo compleanno, la sua antenata aveva cercato,
trovato e sigillato le armature dell'Etere, del Nimbo e del Torrente.
Dell'Armatura del Diamante non aveva trovato traccia. Secondo una leggenda,
essa era scomparsa al di là del mare. Quando, infine, Reimi si
era trovata ad affrontare il proprietario di Vampa, si era scontrata
con un uomo ben peggiore di quelli che aveva già affrontato e
vinto. Il suo diario si concludeva con un presagio di battaglia.
Il diario di sua figlia Yukari, che aveva appena iniziato, si apriva
con il racconto della morte della madre.
A quel punto, stanca di stragi e sfinita dalle forti sensazioni che
la lettura aveva generato in lei, Reimi aveva chiuso il Libro e si era
messa a letto. In quello stesso momento, a vari chilometri di distanza,
Ryo Sanada si alzava.
7.
La serra sembrava una cattedrale, nella luce verde chiaro e dorata del
pieno pomeriggio, e dalle porte spalancate penetrava il forte e dolce
odore degli alberi di magnolia in fiore. Lente api operaie ronzavano
danzando tra i piccoli alberi di osmanthus, dai minuscoli fiori bianchi,
le peonie e i lilium, tanto cari a suo nonno. C'era stato un tempo in
cui Seiji non condivideva la sua passione per quei fiori del colore
dell'avorio, per lui erano difficili da amare: troppo vincolati ad una
certa iconografia, troppo consunti nelle similitudini e nelle litanie
perché ne potesse più ritrovare la vera natura.
Lui preferiva i bonsai nani: difficili e delicati, ma tenaci e prorompenti
di vitalità, nelle loro piccole dimensioni rivelavano tutta la
loro grandezza. Per Seiji erano quasi lo specchio dell'anima umana che
pur fragile attecchisce e resiste anche nei cuori più marci.
Nelle ultime settimane, però, gli era successo di dover faticare
per scorgere quella grandezza negli uomini e più spesso non vi
era riuscito. La sentiva perduta anche in se stesso. Dubbi e dolore
lo avevano sbattuto al suolo e gli avevano fatto sperimentare la rabbia
e la desolazione di chi, impotente, è costretto a subire i colpi
del destino. Poco più di un mese prima aveva sperimentato anche
lui quel malsano desiderio di ribellione che spinge i più deboli
sull'orlo dell'abisso e poi oltre. Era stato subito dopo - no: durante
- l'ultima visita di Ryo, quando per un momento in quel ragazzo che
per lui era un amico e un fratello aveva visto la fonte del suo tormento.
Ryo ferito gli chiedeva di curarlo. Ryo scherzava, Ryo faceva il buffone,
Ryo parlava di scuola con l'antipatia che può provare verso un'istituzione
così opprimente uno spirito libero e irrequieto come lui. Ryo
viveva. Non una parola su quello che era successo. Aveva voluto ferirlo,
punirlo per quella sua insostenibile leggerezza, e ci era riuscito,
lo aveva visto bene. E proprio in quel momento, nel modo in cui lui
aveva accasciato le spalle e nella rapidità con cui la luce del
suo sguardo si era spenta, proprio allora si era accorto che Ryo aveva
cercato di condividere con lui, a modo suo, la sua paura e il suo bisogno
di avere qualcuno accanto. Si era rivolto a lui
Nel momento di
terribile sconforto che era seguito alla comprensione di ciò
che aveva fatto si era precipitato lì nella serra, aveva preso
il vaso di una pianta di quei dannati gigli e per un attimo era stato
sul punto di scagliarlo per terra. Desiderava vederlo infrangersi sul
pavimento immacolato di quel luogo: voleva vedere andare in frantumi
tutto il bagaglio di simboli che era stato caricato su quel fiore dalla
corolla china, così passivo al peso impostogli. Voleva vedere
il difetto, il disordine e la bruttura in quel luogo in cui suo nonno
aveva voluto ricreare la natura secondo il suo pensiero. Ma poi, proprio
la vista di quella corolla prostrata aveva fermato le sue mani. Tremando,
aveva riposto con delicatezza il vaso al suo posto.
No, in quel periodo Seiji non amava particolarmente i gigli: troppo
simili a quel che era lui. Un giovane, non più ragazzo ma nemmeno
ancora uomo, che non aveva mai avuto i pensieri di un adolescente e
che non riusciva più a portare il peso di responsabilità
che non sarebbero mai toccate ad alcun uomo sulla faccia del verde pianeta
di Dio. Sulle sue spalle erano stati scaricati tanti pesi quanti ne
erano stati scaricati sul povero giglio. Anche lui, come quel fiore,
era un simbolo: lotta, dolore, sopportazione. Ma a differenza del giglio,
in se stesso non sentiva più quell'innocenza di cui il fiore
era il simbolo universale. E la serra, che un tempo aveva visto come
una metafora della sua vita, adesso gli appariva pretenziosa e arrogante:
perfetta nella sua concezione, ma piena di difetti in quanto niente
più che un'imitazione. Pascal diceva: 'La natura ha delle perfezioni
per dimostrare che è l'immagine di Dio, e ha dei difetti per
dimostrare che ne è solo un'immagine'. La sua vita senza macchia
non era stata nient'altro che una pretesa di perfezione
non lo
dimostravano i sentimenti che lo avevano quasi spinto a infierire su
un inerme fiore?
Adesso, immerso in quella luce che sembrava la grazia del Paradiso scesa
in terra, Seiji se ne stava con le braccia incrociate sul torace a contemplare
quello stesso giglio che aveva desiderato annientare. Dopo giorni e
giorni passati nel chiuso polveroso della sua stanza, insensibile ai
richiami delle sorelle, riusciva finalmente a vedere con occhi nuovi
ciò che gli era sembrato inutile, corrotto e privo di significato.
Ora vedeva il fusto eretto, le foglie brillanti e mobili, i lunghi stami
con le antere colme di polline
e quella tenue sfumatura di rosa
che percorreva l'avorio intatto dei petali. Non c'era nulla di sottomesso,
in quel fiore, la cui corolla era aperta ai raggi del sole.
La vera natura del giglio sta semplicemente nell'essere ciò che
è, indipendentemente da ciò che altri hanno voluto fare
di lui; sta nel continuare a fiorire, nel continuare a regalare alla
vista i suoi delicati colori, portando con compostezza il peso del bisogno
dell'uomo di un ideale in cui credere, offrendo se stesso quale mezzo
di consolazione.
"Un esempio del coraggio di vivere", mormorò Seiji.
C'erano cinque fiori, nella pianta che stava ammirando. In cima, uno
era già quasi del tutto sbocciato. Seiji tese una mano e con
un dito ne sollevò con delicatezza il calice, avvertendone il
profumo.
"Questo è Ryo", ridacchiò. "E questo qua
sotto", disse sfiorando un altro fiore appena aperto, "questo
timido sono io."
Degli altri tre fiori uno era sul punto di spalancare i petali come
il primo, mentre gli altri due erano ancora quasi completamente chiusi.
"E qui c'è Touma."
Touma: sempre fedele a se stesso, fedele agli amici e fedele ai suoi
ideali. Vacillava mai, tanta fede? Se no, dove trovava la sua forza?
Lo sguardo di Seiji si posò sul fiore più alto, teso in
modo quasi spasmodico verso la luce del sole, e non ebbe più
bisogno di domande e di risposte.
Prima di sacrificarsi al rancore di Suzunagi aveva promesso a Ryo che
si sarebbe sforzato di avere un cuore degno dell'amicizia di tutti i
Samurai Troopers:
Perché non cominciare con lui?
8.
Nasty si sfilò dal viso gli occhiali riposanti e allontanò
da sé la tastiera del computer, su cui stava battendo una relazione
sul significato dello yugen nella tradizione mitologica e nella lirica
giapponese, dai testi del Manyoshu a Matsuo Basho e a Taigi
un'impresa
da suicidio: per prepararsi aveva letto qualcosa come cinquecento tanka,
altrettanti renga e oltre mille haiku. Ma doveva assolutamente vincere
il concorso come docente associato alla cattedra di Antropologia culturale
del professore Okeda, che dal seguente anno accademico aveva intenzione
di attivare un corso di ben ventisei ore di lezione dedicato alla mitologia.
Un'occasione troppo ghiotta, per farsela sfuggire!
Tuttavia, i suoi impegni non le impedivano di vedere quel che stava
succedendo ai suoi ragazzi. Già: i suoi ragazzi. Se pensava a
quel tempo, nemmeno troppo lontano, in cui si dava della matta per aver
deciso di accogliere quelle furie scatenate in casa sua e perdeva i
capelli per quante gliene combinavano, si sentiva un groppo di nostalgia
in gola. La casa che le aveva lasciato suo nonno era troppo grande per
lei, ma non ci era arrivata finché non ci si era ritrovata sola.
I primi giorni, certo, erano stati quasi una pacchia: niente urla per
il bagno sempre occupato, niente pestaggi per l'ultimo hamburger divorato
a danno di un altro
niente piccole sfacciataggini, come quella
di andare in giro per casa mezzi nudi. Nasty capiva il loro ingenuo
desiderio di mostrare i cambiamenti che sopravvenivano nel loro corpo
mentre avanzavano a grandi passi verso la giovinezza, ma c'era stato
un momento in cui si era trovata costretta a girare gli angoli dopo
avervi spiato dietro con uno specchietto! Con tutti i bollori che le
avevano fatto venire quei cinque innocenti disgraziati, era un miracolo
che non si fosse bruciata in un solo anno i suoi due-tre decenni di
fertilità e non fosse entrata già in menopausa! Ora, però,
i loro schiamazzi le mancavano terribilmente. Nessuno si precipitava
più nel suo studio per prelevarla a forza e scaraventarla nelle
acque del lago, vestita di tutto punto. Nessuno le saltava più
nel letto, la domenica mattina, per prenderla a cuscinate
Nessuno
le si avvicinava più per darle un tenero, goffo, abbraccio o
schioccarle un bacio sulla guancia. A pensarci bene, la solitudine e
la tranquillità che aveva desiderato non si erano rivelate altro
che la facciata perbenista del vuoto. Li rivoleva! Voleva di nuovo tutti
i suoi ragazzi, riuniti attorno a lei per farle ancora i chiodi.
Nasty si strinse i lati del naso ed emise uno stanco sospiro. Avere
Ryo era già un inizio, ma nel ragazzo c'era qualcosa che non
andava. Non aveva più quei suoi scatti di follia, per cui da
calmo che era ad un certo punto saltava su come una molla e si metteva
a ballare come un matto nel mezzo del salone (riuscendo persino a trascinare
Seiji!) o a cantare a squarciagola o, peggio ancora, a metterle la cucina
sottosopra per preparare frittelle grosse come pizze (solo lui sapeva
come ci riusciva) e altrettanto farcite. No, adesso passava la gran
parte del suo tempo sui libri (cosa non del tutto condannabile, visto
la media che aveva ottenuto) oppure chiuso in camera sua a sonnecchiare
o ad ascoltare musica
in silenzio. Ma quello che non le piaceva
affatto erano i suoi occhi: sempre bassi, sempre spenti e certe volte
persino impauriti. Sembrava spaventato persino dall'intimità
che c'era tra loro, una cosa del tutto innocente che nasceva dal semplice
fatto di abitare insieme nella stessa casa, da soli. Quasi quasi non
le permetteva nemmeno più di dargli una pacca sulle spalle. Era
come avere in casa l'ombra di Ryo. Per dirla tutta, si sentiva esclusa,
ferita e persino un poco offesa: non aveva nemmeno voluto dirle che
si era innamorato. Certo, nell'affetto che li legava c'era sempre stata
un po' di distanza, più che altro da parte sua. Nasty ne comprendeva
le ragioni: in parte era l'imbarazzo per l'affetto un po' più
che speciale che aveva provato per lei agli inizi della loro amicizia,
ma soprattutto era per via del fatto che Ryo non era abituato a certe
manifestazioni tipo baci e abbracci semplicemente perché non
li aveva conosciuti se non nella primissima infanzia, per poi non riceverne
più. Forse era un tantino bloccato.
{Magari sarebbe il caso di cominciare a leggere qualche buon manuale
di psicologia}
Nonostante tutto, Ryo tendeva sempre tutto se stesso alla vita, cercava
sempre di risollevarsi e andare avanti, per cui le sembrava una tremenda
ingiustizia che adesso si mettessero ad infierire su quel coraggioso
ragazzo anche i malori e gli incubi. Ryo cercava di tenerle nascoste
parecchie cose, ma come attore non era un gran che. Lei lasciava correre
perché non amava forzare, ma cominciava seriamente a credere
che fosse giunto il momento di impacchettarlo a dovere su una sedia
e cavargli il rospo di gola. Già, perché conosceva Ryo
più di quanto lui stesso non immaginasse e sapeva che la bomba
stava per esplodere.
E che dire di Touma? Anche il suo equilibrio si era incrinato. E anche
lui si faceva in quattro per nasconderle le sue preoccupazioni. Se lo
avesse avuto sott'occhio ventiquattro ore su ventiquattro di certo sarebbe
riuscita a capire che cosa lo rodeva, ma lui veniva solo nei fine settimana
e passava la maggior parte del tempo con Ryo. Di cosa parlassero quei
due, a lei non era dato di sapere: 'Roba da maschi', questo le rispondevano
sempre con un'alzata di spalle se lei chiedeva. La prossima volta avrebbe
spezzato la schiena ad entrambi. Intanto non le restava che mangiarsi
il fegato: era più che sicura che Ryo avesse confidato al suo
migliore amico il suo amore per una delle sue compagne di classe
ma Touma? Quali segreti confidava a Ryo? E di lei, parlava mai?
Nasty si morse il labbro inferiore. Ogni volta che gli apriva la porta
di casa si aspettava, che so
un abbraccio pieno di calore, un
sorriso radioso tutto per lei, e invece non otteneva altro che gesti
impacciati e tanto imbarazzo, come venerdì sera, quando era arrivato.
Ogni volta che lo vedeva andare via sperava che il weekend successivo
lui avrebbe passato un po' più di tempo con lei. Che si fosse
sbagliata, su Touma? A tal punto si era fatta fuorviare dalla sua maturità,
dalla sua personalità forte e pacata al tempo stesso, dai suoi
interessi, così simili a suoi e così compatibili anche
lì dove questi differivano? Che avesse frainteso la natura della
complicità che c'era tra loro?
Nasty cominciò a tormentarsi una ciocca.
{Forse lo mette a disagio la differenza d'età}
Lasciò andare i capelli con uno sbuffo e un sospiro che sembrava
quasi un singhiozzo. Era un pensiero angoscioso, che faceva male. Molto
male. Perché lei aveva finito con l'innamorarsi di Touma. Era
successo poco per volta, a tradimento, senza che se ne accorgesse. Nel
momento del bisogno, le bastava voltarsi per trovarsi davanti quegli
occhi quieti e sicuri e quel viso serio, dalla cui espressione decisa
era bandito ogni pensiero di sconfitta e di resa. Era sempre stato così,
fin dall'inizio. Finché un bel giorno aveva capito che lui le
era sempre accanto non per necessità ma per lei e il cuore le
era quasi scoppiato di gioia.
{No, non mi sono sbagliata, ne sono sicura. Ma allora cosa è
cambiato?}
Forse avrebbe dovuto incoraggiarlo, in qualche modo, ma prima non se
l'era sentita. Prima, Touma era un ragazzino che combatteva come un
uomo; adesso era un uomo. Possibile che nel frattempo avesse trovato
un'altra o che il suo affetto si fosse semplicemente spento? Forse adesso
la considerava solo un'amica o una sorella, per questo rispondeva con
imbarazzo ai suoi sorrisi e ai suoi sguardi. La ragazza scosse la testa.
No!, non poteva essere
La porta dell'ingresso si aprì e subito dopo sbatté. Nasty
si alzò e aprì la porta dello studio, giusto uno spiraglio.
"Sssssttt, fai piano Ryo!"
"Scusa, mi è scappata di mano. Avrà sentito?"
{Ho sentito, ho sentito, e dovrei tagliarti le mani, caro mio!}
"Mmmmm
Forse la passi liscia
Avanti, filiamo in camera."
Passi cauti su per le scale, poi ancora Touma: "Sssstt!".
E Ryo, di malagrazia: "Ma la vuoi piantare? Me la stai facendo
fare addosso!". Nasty, presa alla sprovvista, ridacchiò.
Certe esternazioni di Ryo erano così spontanee da riuscire a
farla ridere persino quando non ne aveva voglia.
All'improvviso, un occhio spuntò nella fessura da cui stava sbirciando.
Nasty urlò e fece un salto indietro, portandosi una mano al petto.
Dall'altro lato della porta, Touma urlò anche lui poi ci furono,
in rapida successione, un tramestio pazzesco, un "Eih!", un
tonfo e un ruggito. Nasty uscì in corridoio.
"Qualcuno si è fatto male?"
"No", balbettò Touma, rialzandosi, tutto rosso in volto.
"Sì!", disse Ryo, spalmato per terra, con una smorfia
di sofferenza.
"Ragazzi, mi dispiace", disse Nasty mentre anche lei porgeva
una mano a Ryo e insieme a Touma lo issava in piedi. "Dove ti sei
fatto male?"
Ryo tossicchiò. "Non posso dirtelo, ma se mi osservi mentre
cammino lo capisci da te."
"Esagerato", disse Touma.
Ryo lo fulminò. "Ah sì, eh? E se ti facessi arrivare
io una bella gomitata proprio lì? Calcolando velocità
e forza di impatto, la botta che ho preso è paragonabile a quella
di un meteorite grande quanto il Texas che si spiaccichi su Tokyo!"
"In quel caso, di Tokyo e del Giappone intero non resterebbe che
il ricordo", commentò Touma laconico.
"Mi sa che qui è la stessa cosa", ribatté Ryo,
lapidario. Si morse un labbro e assunse un'aria pensierosa, ma gli angoli
della bocca gli si sollevarono in un sorrisetto pestifero e gli occhi
mandarono bagliori di fuoco. "E dire che si prospettava finalmente
l'opportunità di farne uso!"
Touma strabuzzò gli occhi e la mascella gli cadde.
Nasty si portò le mani alla bocca. "Iiiiiihhh! Lo sapevo
che c'era di mezzo una ragazza!"
Ryo si fece la prima risata decente da un bel pezzo, ma divenne rossissimo.
Tuttavia, al cospetto dello sguardo sinistro di Nasty, si zittì
ben presto. Poiché la ragazza non parlava Ryo, sempre rosso,
le rivolse un timido: "Scherzavo prima, sai? Niente sesso prima
dei cinquant'anni, lo so."
Touma non si trattenne più. Calò sulla spalla dell'amico
una gran pacca e si piegò in due dal gran ridere, salvo poi perdere
l'equilibrio e finire rotoloni per terra, sempre ridendo come un matto.
Nasty tenne duro. "Che ne sai, poi tu, dell'argomento, eh ragazzino?"
Ryo le scoccò un sorriso meraviglioso e incrociò le mani
dietro la testa, in una posa molto disinvolta. "So tutto
api, fiori, cavoletti di Bruxelles e cicogne
quelle cose lì,
no?"
Touma, per terra, cominciò a scalciare. "Basta, basta, per
carità, sto per vomitare
"
Nasty avanzò verso Ryo, che d'istinto fece un passo indietro
e sciolse le mani, portandole davanti al volto. La ragazza passò
un braccio intorno al collo dell'amico e con l'altro abbrancò
Touma, che nel frattempo si era rialzato. Tenere in quel modo quei due
obelischi di ragazzi le faceva dolere le articolazioni delle spalle
("Quanto si sono fatti alti!"), ma era troppo bello poterli
stringere e vederli finalmente allegri. Soprattutto, era troppo bello
stringere Touma. Lui le passò una mano intorno alla vita e se
la tirò un po' più vicina.
Nasty sentì risorgere la speranza e, contro ogni pessimistico
timore, se la tenne cara.
9.
Shu captò nella mente un'eco di risate sfrenate e in tutto il
suo corpo si diffuse una intensa sensazione di calore e di pace profonda.
Erano Ryo e Touma e se la stavano spassando, a quel che sembrava. Cavoli,
quanto avrebbe voluto essere lì con loro, invece che a chilometri
e chilometri di distanza, a correre con in mano due contenitori di ramen
da consegnare a domicilio! Questo pensiero, intriso di nostalgia e desiderio,
un tipico pensiero alla Shu, fece apparire un sorriso sul volto del
ragazzo: un sorriso timido, dapprima, ma poi via via sempre più
convinto. Ora, finalmente, si sentiva di nuovo pronto a spalancare le
braccia e a stritolarli tutti in uno dei suoi abbracci da orso. Adesso
capiva che le parole lasciate sulla segreteria di Ryo, prima di andare
a cantarne quattro a Suzunagi, erano state profetiche: avrebbe lottato,
oh eccome se lo avrebbe fatto!, per essere loro amico.
Nessuno dei Samurai avrebbe riconosciuto il vecchio Shu in quel ragazzo
dimagrito, dal volto scavato e stanco. O per lo meno, si sarebbero strofinati
ben bene gli occhi, prima di credere a ciò che vedevano. Shu
era consapevole del cambiamento che lo aveva stravolto, e non ne era
del tutto soddisfatto. Tuttavia, riconosceva l'utilità di quel
periodo di stravolgimenti che aveva vissuto: adesso vedeva molte cose
da un punto di vista diverso e, gli sembrava, migliore, più maturo.
Di questo, però, avrebbe potuto rendersi conto solo tornando
a confrontarsi con gli altri e a parlare con loro. Gli mancavano, gli
mancavano da matti, ma aveva passato giorni neri, infernali davvero,
durante i quali per la prima volta in vita sua si era ritrovato a non
spazzolare tutto il cibo che sua madre gli piazzava sotto il naso. A
casa si erano accorti tutti che non stava bene. Niente di fisico, quanto
a quello stava a posto; anzi: grazie alla dieta forzata aveva buttato
giù un buon dieci chili e la sua figura ne aveva tratto parecchio
giovamento, se ne rendeva conto dalle occhiate delle ragazze per strada
e a scuola. Sulla testa, invece, non poteva giurarci. Eh sì,
il problema stava proprio lì, sotto quella montagna di capelli
che celava la sua scatola cranica. Aveva passato notti intere a voltarsi
e rivoltarsi nel letto, senza riuscire a chiudere occhio. Negli ultimi
giorni andava molto meglio, ma i primi tempi dopo l'avventura con Suzunagi
Shu rabbrividì al ricordo, e le ciotole col ramen tintinnarono
contro le pareti di alluminio dei contenitori. Ricordava giorni e notti
passati a pensare 'E' passata, ne siamo usciti sani e salvi anche questa
volta'. Ma sì, è vero, rispondevano allora i suoi nervi
e poi cominciavano a saltellargli per la testa come pecore impazzite
e lo tormentavano con pensieri agghiccianti che, talvolta, lo facevano
scattare a sedere sul letto, con un urlo strozzato in gola e brividi
viscidi lungo la schiena.
E' colpa di Ryo, avevano sussurrato i suoi nervi maledetti nelle notti
buie senza requie. E' colpa sua: non è riuscito ad opporsi a
Mukala. No, è colpa di Shin: se avesse aiutato Ryo durante lo
scontro a Shinjuku, la cosa sarebbe finita lì. Oppure, ancora:
no, è colpa delle Armature, è colpa di Kaosu, è
colpa di tutti. Nessuno ha fiducia in te, per tutti non sei altro che
lo strafogone tutto muscoli e niente cervello: figurati!, adesso staranno
pensando che sei l'unico a non soffrire.
Non è vero, si diceva lui, ringhiando persino nel pensiero e
stringendosi le tempie, nello sforzo di mettere a tacere quelle orribili
voci. Ma allora perché non era riuscito ad indursi a prendere
il telefono e a chiamare i ragazzi? E sì che lo avevano cercato,
non uno si era dimenticato di lui.
{Perché sentirli mi faceva star male, ecco perché}
Agli inizi di aprile aveva parlato sia con Touma che con Ryo, ma era
stato un errore. Soprattutto con Ryo: avevano tentato di scherzare e
avevano finito col 'giocare ai Samurai' e questo gli aveva come scavato
una voragine nel torace. Piano piano si era sentito scivolare addosso
una pesante insensibilità, come una coperta bagnata, e da allora
aveva cominciato ad ignorare telefonate e contatti mentali. Si era buttato
con impegno nell'attività di famiglia: sua madre si era stupita
della sua disponibilità, ma non si era lasciata sfuggire l'occasione
e lo aveva schiavizzato. Era diventato un fattorino delle consegne a
domicilio a tempo quasi pieno, ma la cosa non gli dispiaceva più
di tanto. In bicicletta o di corsa, fare movimento lo teneva impegnato
e gli impediva di lasciarsi andare alla depressione. Aveva pensato che
andare avanti così per un po' fosse proprio ciò di cui
aveva bisogno: pace, silenzio, niente forzature a riprendere un'amicizia
che sentiva quanto mai instabile. Che lo faceva sentire instabile. Invece,
col tempo, si era reso conto che la lontananza lo stava intristendo
e stava minando la sua sicurezza. Isolarsi non era da lui. La solitudine
non faceva per lui. Ma soprattutto, da quando subire era diventata per
lui un'abitudine?
Ora, però, le cose stavano cambiando alla grande grande. La misteriosa
forza che aveva attratto lui e i suoi compagni fino a far di loro un
gruppo formidabile e invincibile si stava ridestando. Sentiva vettori
di energia convergere dentro di lui: quattro vettori, per l'esattezza.
Uno, quello ardente di Ryo, dopo un periodo di assenza totale si era
rifatto vivo da qualche giorno con più forza. Il suo calore lo
aveva avvolto e confortato proprio nel momento più buio che si
era trovato ad affrontare, quando aveva cercato di parlare con Shin
e aveva scoperto che nei confronti del suo migliore amico covava un
imbarazzante risentimento per quella che aveva creduto debolezza. Solo
ora si rendeva conto che la grande sensibilità di Shin lo aveva
portato a precorrere gli eventi e a mostrare a tutti loro a cosa stavano
andando incontro. Nel momento in cui, con un sentimento di sconfitta,
aveva ammesso con se stesso di essersi lasciato fuorviare dal suo desiderio
di combattere a tutti i costi, nel momento in cui si era accorto che
questo desiderio si era trasformato nell'arma a doppio taglio che lo
aveva quasi portato alla rovina spingendolo a sfidare Suzunagi, proprio
allora la forza ardente di Ryo era tornata: l'amico era venuto in suo
soccorso in quel modo misterioso che per lui aveva del sovrannaturale.
Si era chiesto spesso, specie durante la lotta contro Arago, come facesse
Ryo a sapere sempre quando stargli accanto e in che modo. Non aveva
trovato risposta, ma gli bastava che lui ci fosse. Poi era venuto il
turno di Touma, che lo aveva incluso nella sua aura di dolce silenzio,
nella serenità di cieli inviolati dalla sofferenza cui solo lui
sembrava poter giungere. Era una fortuna, anzi un privilegio, avere
un amico che tenesse tanto a lui da condividere un'esperienza tanto
rara e, sì, doveva ammetterlo, persino commovente. La presenza
eterea di Touma al suo fianco lo aveva commosso. Per la miseria!, gli
era persino venuto un gran groppo in gola: per scacciarlo si era dovuto
scolare una bottiglietta di Coca-Cola, con seguente
beh, diciamo,
con seguente 'rombo di tuono'. E il pomeriggio prima, ecco Seiji: mentre
bighellonava per le strade, di ritorno dall'ennesima consegna, la città
intorno a lui era d'improvviso scomparsa, sostituita da una chiarezza
di verde e oro, come in un bosco incantato. Il suo viso era stato avvolto
da un profumo dolce e sottile, ma chissà di quale fiore? Poi
aveva sentito la voce di Seiji: "E' ora di sbocciare, Shu".
Lì per lì aveva solo potuto strabuzzare gli occhi. Seiji:
enigmatico come sempre. Ma la sofferenza patita aveva come ridestato
il suo spirito e così, in un modo che per lui era ancora arcano,
aveva compreso che cosa aveva voluto dire Bright Boy.
Shu rallentò la corsa fino ad un trotto svogliato. Per completare
la sua 'rinascita', non gli restava che una cosa da fare. Voleva prendersela
con calma, però: Shin lo meritava, lui gli aveva fatto un grande
torto. Prima, dunque, avrebbe fatto la sua consegna poi, dopo una passeggiata
rigenerante, avrebbe chiamato il suo fratellino. Niente telefono, no:
telepatia. Non voleva dargli scampo. Doveva chiarirsi con lui e poi
Beh, poi sarebbe tornato. Ridacchiò.
"Shu back in action! Preparati, mondo!"
Il ragazzo ripartì di corsa, ridendo di gusto e tirandosi addosso
sguardi molto, molto perplessi.
10.
Domenica pomeriggio, siesta. In casa c'era silenzio, non si vedeva nessuno
in giro.
Touma respirò profondamente un paio di volte e si posò
una mano sul torace, all'altezza del cuore.
{Datti una calmata, ragazzo. Ho solo avuto conferma a quanto avevo sospettato
nei giorni scorsi}, ragionò. {Sapevo che sarebbe stata solo questione
di tempo, prima che riuscissi a fare ciò che sto facendo}
La parte più 'computeristica' della sua struttura emotiva, così
ben costruita, così solida e squadrata, continuava a mandargli
messaggi che esprimevano un fiero biasimo per quella sua reazione così
fuori di misura. Ma la sua parte più 'emozionale', quella più
tipicamente umana, continuava imperterrita a trasmettere sensazioni
di sorpresa e panico.
La matita che aveva fatto muovere con la forza del suo pensiero continuava
a veleggiare davanti ai suoi occhi, causando quell'aspro conflitto tra
le sue due anime.
{Telecinesi. Ed è merito mio, non dell'Armatura. Che cosa significa?
Cosa mi sta succedendo?}
Improvvisamente, l'emotività ebbe il sopravvento sulla ragione.
Touma si sentì mancare l'aria nei polmoni: la vista della matita
(quell'insulso pezzetto di legno, così comune da non meritare
quasi attenzione) sospesa nell'aria gli riuscì tutt'a un tratto
detestabile. Il ragazzo si alzò, allontanando con forza la sedia
dalla scrivania, e attraversò la stanza a grandi passi scattanti.
Non appena voltò le spalle, interrompendo il contatto visivo,
la matita ricadde sul piano di legno con un secco tenk! e si mise a
rotolare, fino a cadere per terra.
{Spaccati in due, maledetta!}
Sconcertato da quel pensiero, Touma aprì la porta e si allontanò
lungo il corridoio quasi correndo, deciso a mettere la maggiore distanza
possibile tra sé e la mina.
{Un po' d'aria fresca: ecco quello che ci vuole}
Uscì sulla veranda posteriore e si affacciò al balcone,
appoggiando i gomiti sulla ringhiera, con le mani strette sulle braccia.
Davanti a lui si stendeva la foresta, il verde brillante delle foglie
novelle sugli alberi. I grilli frinivano nel sottobosco, gli scoiattoli
chiacchieravano tra loro, gli uccelli cantavano i loro canti d'amore.
Sotto di lui, disteso sul prato, Ryo dormiva immerso in una pozza di
calda luce solare, nella 'posizione del ranocchio': quella caratteristica
postura che assumono i neonati, con le gambe appena flesse, le ginocchia
verso l'esterno e le braccia sollevate ai lati della testa. Una grossa
mantide religiosa, in piedi sul ciuffo che gli ricopriva la fronte,
eseguiva le sue abluzioni. Touma ridacchiò.
"Sembra così indifeso, vero?", disse Nasty.
Si era come materializzata alle sue spalle e venne a fermarsi al suo
fianco, spalla contro spalla.
"Ultimamente sembra sempre molto stanco. Credo che stia nascondendo
qualcosa", proseguì la ragazza. "E credo che tu stia
facendo altrettanto."
Touma voltò il capo per guardarla. Era così perspicace,
non si riusciva a nasconderle nulla: ecco perché, in quel breve
periodo di convivenza, era sempre riuscita a tenere in riga cinque scalmanati
in piena adolescenza! Lui l'amava anche per questo. E per la sua dolce
discrezione: non c'era traccia di accusa o di rimprovero nei suoi occhi
e nell'espressione del suo viso. Solo preoccupazione. Il ragazzo alzò
una mano e le carezzò con leggerezza una guancia. Poi, stupito,
arrossì e si affrettò a ritirare la mano.
"Vuoi parlarne?" chiese Nasty, avvicinandosi di un altro passo.
"Non oggi", rispose lui. "Ma presto."
Gli occhi di Nasty, che al suo rifiuto si erano adombrati, tornarono
tersi. Il calore del suo corpo, attraverso la stoffa leggera della camicia
che indossava, era confortante. Il cuore di Touma riprese a fare le
capriole. Non sarebbe riuscito a tacerle i suoi sentimenti ancora per
molto, quindi era più che mai necessario parlare a quattr'occhi
con Seiji. Ma per il momento, pensò Touma sbirciando Nasty, per
il momento poteva godersi in santa pace la sua compagnia sapendo che
era tutta per lui. Il domani gli avrebbe portato fin troppi pensieri.
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E per il momento, chiudo qui. Era ora, dite,
Divini Lettori?
Tsk! Ma che illetterati, non siete capaci di apprezzare
la vera arte dello scrivere! (
l'ho sparata troppo grossa?...)
Piccola nota: Sanada Masayuki e Sanada Nobukatsu sono esistiti davvero
ed erano, rispettivamente, padre e figlio. Masayuki è piuttosto
famoso, ma ammetto di non sapere un accidente di niente della sua personalità.
Allo stesso modo, ignoro del tutto che tipo di persona fosse Nobukatsu:
l'ho scelto come 'cattivo' semplicemente perché su di lui sono
disponibili pochissime informazioni. Non intendo far torto o recare
offesa alla memoria (storica o privata che sia) di questi signori: sono
stati 'coinvolti' solo per esigenze narrative.
Sayonara.