Harry Potter

 

The Sinous Line of the Snake

§CAPITOLO terzo§


Sorseggiava il suo Queen Mary, placidamente seduta al tavolo dei Serpeverde,estraniata dal resto dei suoi compagni. Scostò stancamente il giornale che le aveva consegnato la sua aquila. “SMENTITA LA NOTIZIA SULLA PRESUNTA SCOPERTA DEL QUARTIERE GENERALE DEI MANGIAMORTE: ERA UN VECCHIO PALAZZO BABBANO IN ROVINA”…Credevano di scovarli così facilmente?Neanche suo padre le aveva svelato la sua ubicazione. Quelli del Ministero erano un branco di incompetenti. Avanti di quel passo la sua stessa struttura si sarebbe sfaldata a poco a poco,sarebbero andati verso la rovina. E era ciò che Voldemort voleva. Freya mescolò il caffè con il cucchiaino,posizionò il dorso della mano sotto il mento,e le appiccicò il suo sguardo malizioso addosso: -Nessun risvolto piccante con Chris? Vivian inarcò un sopracciglio. -Come?-fece finta di non capire. Freya spalancò i suoi occhi di ossidiana,meravigliata. -Spezzerai il fidanzamento? La strega assentì. -Oh.- pareva dispiaciuta,comunque non demorse- Mi sembravate una coppia che poteva funzionare,lui è un tipo a posto,proprio quello che ti ci vuole per dimenticare… -Morditi la lingua,tesoro.- la gelò. Freya si mangiucchiò un’unghia. Non si faceva intimorire dalle risposte brusche che a volte Vivian le riservava,ma era al corrente di quanto fosse delicato il solo menzionare l’argomento “ragazzi” con lei. Quindi,decise di tagliarsi una fetta di torta di mele e di accondiscendere tacitamente alla volontà dell’amica. Il tintinnio di un cucchiaino d’argento sulla fine coppa di cristallo colma di idromele richiamò l’attenzione delle insonnolite tavolate. Silente era in piedi,dietro alla tavola degli insegnanti. - Miei cari studenti, ho ritenuto che la sicurezza non sia mai abbastanza. Di conseguenza, ho invitato gentilmente qui nella nostra scuola una nuova unità di Auror- un nutrito gruppo di persone con larghi mantelli blu notte si mostrò alla sala-Sono, inoltre, fiero di comunicarvi che al comando di questi vostri protettori c’è un allievo che è uscito soltanto tre anni fa da Hogwarts,tra l’altro con i migliori voti in Difesa contro le Arti Oscure e Incantesimi,nonché superbo portiere dei Falmouth Falcons e un tempo dei Grifondoro.- gli Auror lo spintonarono scherzando al centro del palco,dove stavano consumando la colazione i professori e lei lo vide: alto, cresciuto, un uomo rispetto al ragazzo esuberante ed esageratamente focoso che aveva lasciato Hogwarts. - Oliver Wood! La sala fu uno scoppio di applausi,soprattutto da parte degli scolari più anziani che ricordavano la nomea di Oliver. Lui sorrise,lievemente impacciato e fu in quell’istante che i loro occhi vennero in contatto e quello che lei percepì le provocò un battito in meno. I suoi occhi,i suoi dolci occhi nocciola,erano pervasi da un rancore abissale e da un’ostilità indescrivibile…ed erano diretti verso di lei. Lui distolse lo sguardo,sprezzante. Perché? Perché quell’occhiata?Non doveva essere lei a comportarsi in tal modo?Avvampò e si tirò improvvisamente su a sedere. - Vivian!-esclamò Freya,stralunata. La ragazza non udiva l’amica,ne si accorgeva di alcuni allievi che la stavano scrutando con interesse,attirati dal suo scatto inaspettato. Non poteva restare un attimo di troppo. Prese il suo fascio di libri e disparve all’interno di una pesante porta di quercia. §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Oliver Wood. Le sembrava ormai una memoria lontana…ed adesso cosa era accaduto? Se lo era visto piombare tra capo e collo sul palco della Sala Grande con un sorrisone in faccia,manco fosse l’uomo più felice della terra! Magari si era anche divertito a burlarsi di lei alle sue spalle,per quanto ne sapesse. No,si doveva dare una calmata, il battito cardiaco aveva un ritmo spropositatamente veloce. SPRANG,SBAM! Si rannicchiò su una poltrona,il salotto dei Serpeverde deserto. Non gli importava se qualcuno l’avesse sbirciata in quello stato,era talmente immersa nei suoi turbinosi pensieri che non si sarebbe avveduta di eventuali spettatori indiscreti. Quanti anni erano trascorsi da che aveva abbandonato il Quidditch in qualità di cercatrice?Due?Tre?Probabilmente tre. Dal momento in cui i Grifondoro avevano vinto la Coppa del Quidditch. C’erano state poche occasioni di sostituire il fratello in campo da quando aveva assunto il ruolo di primo cercatore della squadra, però ,in fondo, era sta un’ottima soluzione. A quell’epoca trovarsi nella medesima partita con Oliver come avversario la faceva agitare,sudare le mani, causare delle leggere trafitture allo stomaco,e assumere un colorito che la rapportava ad un rosso peperone. All’inizio era una semplice cotta adolescenziale,o almeno lei così pensava,che gradualmente si era rivelata un qualcosa di più. Il problema era che nelle questioni amorose si dimostrava una timida e un’imbranata cronica e la inorridiva la sola stesura di una lettera per il suo amato. Le pareva irraggiungibile il suo capitano,ma suo padre le aveva insegnato che per ottenere quello che si desidera bisogna essere disposti ad adoperare tutti i mezzi possibili. E lei lo fece. Entrò in simpatia con delle ragazze della squadra dei leoni alati e nel giro di un paio di settimane era riuscita a farsi presentare Oliver Wood. Il loro rapporto non oltrepassò i confini dell’amicizia, la considerava nient’altro che una bambina,al massimo ragazzina, però Vivian aveva subodorato che,in alcune occasioni, tentava sempre di non sbilanciarsi il più del dovuto,di rimanere ad una certa distanza da lei. Quando comprese che era amore, sfortunatamente era tardi. Lui era già partito per Londra,terminato il settimo anno scolastico. Voleva essere accettato nei Falmouth Falcons e ce l’aveva fatta. Si erano promessi di scriversi ed in un primo tempo l’afflusso di missive fu numeroso, per poi diradarsi ed infine smettere definitivamente. L’aveva odiato per questo e non solo: per averla trattata da mocciosa finché non se ne era trovato innamorato nel mentre in cui stava impacchettando le sue cose,per non averle donato speranze o parole di conforto sul loro futuro, per non averla illusa. E adesso lo odiava ancora con maggior risentimento ed era costretta a provare un astio viscerale nei suoi confronti per quello sguardo di livore ingiustificato che le aveva rivolto nella Sala Grande e perché…era un Auror. Dei,aveva sospeso la sua carriera sportiva per quello! Incominciava gradatamente a rendersi conto del modo in cui la sua parziale indifferenza agli eventi stesse crollando. Ripeté mentalmente la parola. Auror. Fu colta dal panico. E se lui sospettava che fosse una Mangiamorte? Questo avrebbe spiegato il suo atteggiamento. Eppure…eppure Oliver non era persona da avere preconcetti sulla gente. Che cosa aveva innescato in lui quella reazione e cosa lo aveva spinto,in conclusiva, a schierarsi da una parte?Stava per essere promosso capitano nei Falmouth Falcons,per quale motivo aveva deviato il suo percorso,intraprendendone uno diverso? Ma in definitiva ciò di cui Vivian aveva più timore era che presto pure lei sarebbe stata obbligata a mollare la sua proverbiale noncuranza agli avvenimenti. Un brivido le attraversò la schiena. Per la prima volta nella sua vita veniva situata davanti a un bivio. Niente sotterfugi o sentieri agevoli. Solamente lei e quelle due strade. -A quanto sembra devo acquisire il tuo permesso per setacciare la casa dei Serpeverde.-la riportò alla realtà la voce diplomatica di Oliver alla sua sinistra. Silente non aveva esitato nel sguinzagliarli immediatamente. Lei tentò concitatamente di ricomporsi,accavallando le sottili e tornite gambe che la gonna a pieghe della divisa lasciava intravedere e squadrandolo con il cipiglio di sfida che era il cavallo di battaglia dei Malfoy da generazioni. -Non hai l’autorizzazione del preside? -Sì,ma non posso presentarmi d’improvviso ,terrorizzando i cari membri di questa casa. Devi dirmi tu l’orario di riferimento in cui il dormitorio e la sala comune sono vuoti. -Non ti pare vagamente di ripeterti?-gli chiese con una vena di irritazione. -Scusa? -Intendo il presentarti all’improvviso. Già fatto,grazie.- gli chiarì stizzosamente. -Non sono qui per ascoltare le tue battutine velenose. -E allora fuori di qui!-ruggì,irata. Lui irruppe in una risata. -Dovresti piantarla di atteggiarti ad una principessa a cui tutto è dovuto e che considera Hogwarts come un suo secondo castello!-la rimproverò,spietato. Lei divenne verde di bile. Perché,per quale ragione riusciva a tastare i suoi nervi più sensibili? Lei che reputava di aver reso dell’autocontrollo un’istituzione. La mandava letteralmente in bestia. -Se non esci subito da qui… - Che mi fai,eh? Mi scagli una Maledizione senza Perdono? Che bambino. Certi uomini hanno proprio la crescita ritardata. Non gli era passato nemmeno per l’anticamera del cervello che aveva ridotto a brandelli quel suo muscolo che ora batteva simile a un tamburo nel suo petto? Evidentemente no. -Venite nella fascia oraria tra le sette e mezza e le nove.- gli comunicò sbrigativamente e si voltò,il discorso per lei era chiuso. Stava attendendo che lui se ne andasse e,invece, le pose a bruciapelo questa domanda,che lui giudicava retorica: -Ti credi migliore di me,vero? Essa rimase sospesa nell’aria umida dei sotterranei,scottante per colei a cui era stata indirizzata. Oliver non si aspettava una risposta e scomparve nel portale di ferro decorato con due grossi cobra intrecciati. Delle lacrime bagnarono l’acca argentata della divisa di Vivian. §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Melanie stava rovistando tra le cianfrusaglie del suo vecchio cassettone. Diamine,dov’era? Era sicura di averla riposta lì. Ah,può darsi…Aprì un cofanetto turchese. Eccola finalmente! La estrasse delicatamente. Era una collana d’oro bianco sobria con un ciondolo alquanto insolito: rappresentava un giglio con una biscia attorcigliata allo stelo del fiore. Melanie inforcò gli occhiali che erano appesi al collo da una catenella dorata. Bizzarro. Molto bizzarro. Quella collana la indossava Kathleen nel giorno in cui l’aveva scoperta nella brughiera,vicino Land’s End. Era davvero strano che l’avesse lei,una donna che giaceva piuttosto malridotta in mezzo ai cespugli d’erba. Era costosa ed esageratamente raffinata per una ragazza dai vestiti laceri e le unghie incrostate di terra. Era priva di sensi,povera bambina,quando l’aveva notata,distesa su quei morbidi cuscini erbosi,il viso esausto. Allorché si era svegliata in ospedale l’anziana signora le aveva raccontato che l’aveva raccolta per strada. Non sapeva la causa per cui l’aveva fatto. Forse perché la sua identità era sconosciuta,non si possedeva alcuna fotografia,documento su di lei oppure, semplicemente,perché non aveva sperimentato la gioia di una figlia e suo marito Herbert era morto prematuramente. L’avevano imbottita di farmaci,calmanti. Strillava fino a quasi farsi uscire l’anima dal corpo. Frasi sconnesse su dei tizi chiamati Mangiamorte e c’era un nome che ridiceva con ostinata insistenza…Com’era? Accidenti alla vecchiaia. L’aveva farfugliato,estenuata,così spesso. Il suo,al contrario,non se lo ricordava. Il medico della clinica le aveva riferito che gli venivano in mente degli episodi specifici del passato e modestamente reputavano che anche in quel caso si trattasse di vaneggiamenti. Le suggerirono l’ospedale psichiatrico. Melanie si rifiutò; nonostante questo la informarono che se voleva riabilitarla non esistevano maniere differenti. Lei,onestamente, non pensava a cosa ci fosse di peggio per una persona spaurita e che versava in una condizione pietosa come Kathleen di quel posto dimenticato da Dio. Si toccò il crocefissetto in legno che pendeva dal collo. Un luogo straziante e opprimente da togliere il respiro. Lì provarono a convincere Kathleen che quelle che la sua testa le mostrava erano menzogne, elaborate per scappare dalla realtà della vita. I maghi proliferavano soltanto nella carta di qualche libro per bambini e le sue erano fantasticherie ben studiate. Melanie guardava i dottori con la fronte corrugata e profondamente impressionata dalle occhiate imploranti della sua protetta. Fu lei a rassegnarsi. Può darsi per il fatto che aveva capito che non avrebbe infilato il naso fuori da lì unicamente quando avrebbe ammesso di soffrire di una sorta di schizofrenia. Riconobbe di essersi inventata tutto e per i motivi che soddisfacevano la diagnosi dei medici. Da quell’attimo represse una parte di lei,che mano a mano si spense definitivamente. E il suo sguardo cambiò,divenendo velato e malinconico. Aveva addormentato il suo lato combattivo, quello che saltuariamente morsicava le braccia degli inservienti nelle sue crisi più acute,durante le quali gridava,quello che le consentiva di tenerla salda sulle sue posizioni allorché gli specialisti volevano persuaderla dal mantenerle. Quella che Melanie aveva imparato a conoscere non era la vera Kathleen. Per accettare quella situazione si era completamente autoannullata. Non era giusto,ma d’altronde come si sarebbe dovuta comportare? L’aveva chiamata Kathleen di comune accordo con lei. Aveva un suono melodico,e secondo la sua opinione,ottimo per ricominciare una nuova esistenza che sarebbe stata,lei ci metteva la mano sul fuoco,migliore della precedente. Prese uno straccio che aveva depositato sopra al cassettone e lucidò con cautela il ciondolo. Lanciò un gridolino e gettò sul pavimento la collana. Quel medaglione era stato sul punto di arrostirgli un dito. - Mel? C’è qualcosa che non va?- Kathleen si affacciò alla porta della camera da letto dell’anziana,in apprensione. - No,ci vuole un po’ di acqua fredda,ecco tutto,Kathy. La donna si accorse della collana sul parquet. La vecchia non fece in fretta a riafferrarlo che lei lo aveva già nel palmo della mano. - Cos’è? -Oh,una sciocchezza,cara,che mi regalò mio marito Herbert all’epoca del nostro fidanzamento.- sorrise,simulando un tono schietto. - Mi sembra familiare…-lo stava contemplando,nello sforzo di rimembrare dove lo avesse visto. Melanie si accorse con orrore che benché scintillasse ancora di luce propria, il ciondolo non bruciava affatto Kathleen. - Te lo regalo. - Ma te l’ha dato…- protestò. - Credo che sia più adatto a te…e chissà che un giorno non ti ritorni utile?- ipotizzò. Lei ristette per qualche secondo,perplessa; in seguito la ringraziò e scese nel salotto del piano terra. Melanie si sciacquò il dito incriminato nel lavandino dell’angusto bagno azzurro della sua camera. E se non fossero state delle menzogne quelle sulla magia? §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Gli oggetti presenti nella sua stanza vorticavano senza sosta. No,non doveva nuovamente svenire. Se fosse successo,non se lo sarebbe perdonato. Afferrò spasmodicamente lo spigolo del tavolo. NON cedere. Lo spalancarsi della porta la fece sobbalzare. Riservò un’occhiata rabbiosa all’intruso,non le importava chi fosse… - Narcissa? Nell’entrata si ergeva una giovane altera,i biondi capelli sciolti sulle spalle,con alcune ciocche imbrigliate in trecce occasionali. Evitò di scrutare i suoi occhi. Il rischio era che potesse tradirsi. Narcissa avanzò verso di lei con un vassoio completo di una caraffa d’acqua,delle fette di pane burroso e un piatto di roast-beef,poggiandolo su un tavolinetto da tè. Si sedette sul letto e incrociò le braccia. - E’ una settimana che ti dai malata e tre giorni che non mangi nulla. Aveva esordito pacatamente,però la conosceva troppo bene, quella non era un’innocua constatazione. Aveva fiutato qualche cosa,non era una donna stupida. Si risolse in ogni caso di continuare con la sua copertura. - Disturbi di stomaco.- spiegò, perseverando nel fissare un punto imprecisato del pavimento. - Vuoi che rida? Non sei divertente. Non ti reggi in piedi e fai del sarcasmo?- l’apostrofò con inattesa crudezza. Narcissa proiettò le sue iridi zaffiro sul viso pallido dell’altra,osservò lo smeraldo dei suoi occhi. Si fissarono per un singolo minuto,ma bastò per confermare i sospetti del’amica. Era sconvolta. Perché non gliel’aveva detto? L’avrebbe potuta aiutare ad abortire…Sospirò. -Da quando dura? Lei sussurrò,riluttante: -Più di due mesi. -Due mesi?-rise,isterica-E per quanto me l’avresti tenuto nascosto? La donna si guardò intorno, accorta, ignorando il quesito. - C’è dell’altro? Perché c’è,giusto?-la squadrò,incredula. Lei le diede le spalle,fingendo di essere interessata al paesaggio che si ammirava dal finestrone. -No,solo questo. Sì,davvero non le aveva confidato tutto. Non sarebbe finita lì. Comunque, adesso quello che l’angustiava oltre misura era la questione del bambino: doveva prendere le redini della faccenda. Era suo il compito di confondere le carte,far sì che nessuno dei loro “compagni” indagasse sulla causa dei malesseri della sua amica, specialmente l’uomo di quest’ultima. Quello rappresentava l’estremo pericolo,decretò raggelando in una fitta di terrore. Narcissa scivolò accanto alla donna e la costrinse a guardarla negli occhi,stringendole le mani nelle sue. - Promettimi che mangerai.- la pregò- O lo perderai questo bambino. - Io…- le si spezzò la voce. Era stufa,stremata dall’ostentare quella sicurezza che in verità non possedeva. Era fragile,simile a cristallo. Quel bambino non si sarebbe dovuto formare…no,no,che andava a pensare?Per gli Dei, ogni giorno si chiedeva se quello non fosse niente di meno che un incubo e lei si sarebbe destata tra qualche istante per scoprire con sollievo che lui dormiva vicino a lei,sereno,la vita che nasceva nel suo grembo soltanto una sensazione distorta. Invece la realtà era più cupa di un normale incubo e la stava divorando inesorabilmente,distruggendo quello che era e ciò in cui credeva. E si sentì in colpa. Perché non aveva descritto a una delle sue migliori amiche in che modo stavano sul serio le cose. Non gliel’avrebbe potuto dire,infatti molto presto non l’avrebbe più rivista. O Merlino,per quale motivo si erano spinti sino a quel punto? Il cambiamento radicale era imminente,dopodiché lei non avrebbe potuto fare dietro-front. Il suo pensiero andò a lui. L’aveva amato con trasporto, era stata la prima a seguirlo e …sarebbe stata la prima a fregarlo. Pianse,versò lacrime fino allo sfinimento,rovinando la veste di broccato di Narcissa. Si era consegnata al nemico e aveva decretato la loro sconfitta. §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Il tradimento è un insignificante biscia che si annida in ciascun essere umano e vi rimane latente sino all’istante in cui qualche pulsione esterna o sconvolgimento interno lo risveglia. Allora la biscia dapprima muta impercettibilmente,in seguito repentinamente in un serpente a sonagli dalle fauci affilate e la velenosa lingua biforcuta,pronto a mordere quando meno te lo immagini. Ti coglie impreparato, ciononostante devi farci i conti. Non esiste un qualche antidoto che contrasti il suo veleno che paralizza lentamente gli apparati del tuo organismo. La paura si diffonde; in un certo senso è come se un po’ tutti ne fossero contagiati. A quel punto che fai? Si sentiva incorporeo, tipo se vedesse la scena dall’alto e si autoassicurasse di essere in un sogno. La lettera era nelle sue mani,anche se non la percepiva al tatto per quanto era costernato e scioccato. Il tempo scorreva pigramente, a rallenty. “Caro Amore mio, me ne sono andata. Questa è una guerra inutile e voglio metterci la parola “basta”. Non si può pretendere di ricostruire un sistema se le persone che ne fanno parte non cambiano. Non cercarmi.” Una stilettata nel petto. La ferita che gli aveva provocato si stava rivelando di una penosità di gran lunga insostenibile rispetto a una fisica. La lettera non l’aveva scritta lei,era stata confezionata da diverso pugno,tuttavia,se possibile,lo addolorava maggiormente. Testimoniava che la sua donna non era capace di affrontarlo faccia a faccia. Perché l’aveva tradito? Qual era stato quel meccanismo che aveva dato il via in lei a una tale risoluzione? Ridusse in frammenti la carta da lettere. “me ne sono andata” Chi volevano prendere in giro? Chissà in quale modo quegli uccelli di fuoco l’avevano ammaliata? Non era una che scendeva con facilità al compromesso. No,ci doveva essere una giustificazione di fondo. Era una persona che si scoraggiava raramente. C’era qualche affare di cui non era al corrente? L’aveva guardata avviarsi nell’atrio del quartier generale insieme agli altri,dedicandogli un sorriso. Non il consueto,delizioso sorriso,ma uno pieno di amarezza. Capeggiava due squadre quella sera e le avrebbe condotte incontro alla morte o Azkaban. E lui era lì,impotente,non era in grado di muovere un muscolo. Chi le aveva fatto questo? Chi l’aveva persuasa a passare alla linea avversaria? CHI? Sentì che sarebbe impazzito se non avesse saputo le ragioni per le quali lei si era affidata alla parte avversa. Doveva trovarla. Era imperativo. .

 

 

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