Lemon Cake

 

Capitolo 25:


" A volte, dire addio è più facile che dire Ciao.
A volte, mi sorprendevo di me stessa di quanto forte fossi diventata in quegli anni, capace di sopportare un addio e di superare un trauma che durava da anni, diversamente da come era successo quando mio padre morì.
I suoi occhi sembravano due zaffiri, vispi e sorridenti che sembravano infantili nonostante avesse vent'anni.
Quando mi volle dire addio mi disse grazie.
Lui restò sempre accanto a me, io lo sentivo accanto a me.
Lui mi dava la forza, lui mi dava l'allegria.
Lui mi aveva ridato l'amore per il basket e il desiderio di insegnarlo a quelli che amavano la fantasia quanto me, lasciandomi.
E di nuovo, il basket fu il mio unico aiuto"

 


…ho da sempre amato le fiabe e ogni tanto mi capitava di rimettermi a leggerle di nuovo oppure di ascoltare le sigle registrate dei cartoni animati che ero solita guardare quando ero piccola.
A causa di questa mia "passione" pensavo che tutto il mondo fosse rosa e fiori e io la principessa che grazie ad un miracolo piovuto dal cielo sarebbe stata baciata e sposata da un bel principe.
La mia vita era semplicemente una vita qualsiasi di una ventenne qualsiasi che andava a scuola, giocava a basket e amava il suo ragazzo, che voleva bene a sua madre e alle sue amiche.

Non ero una principessa delle favole, non ero un eroina di anime, non ero una idol e non ero nemmeno tanto fortunata da poter dire di aver avuto una vita facile.
Eppure, oggi come oggi, posso dire che la mia favola l'ho vissuta, alla maniera contemporanea ma la mia matrigna cattiva l'ho avuta, i miei aiutanti li ho avuti, il mio principe l'ho avuto.
Ho avuto tutto dalla vita, proprio come avevo desiderato anche senza mondi magici, castelli incantati e fate buone.
Anche se è finita male, io non ho rimpianti, non ho rimorsi.
Ho fatto bene a fare tutti i miei errori, ho fatto bene ad amare pur sapendo che sarei rimasta sola, ho fatto bene ad odiare la mia incapacità di avere abbastanza coraggio e fortuna quando doveva, ma forse le sconfitte sono molto meglio delle vittorie, insegnano prima e più velocemente.

Io e Akira ci sposammo ad aprile, quando la cittadina era coperta da un manto di fiori di ciliegio che ad Akira piacevano tantissimo.
Fu una cerimonia semplice, perché sapevo che lui non avrebbe retto, c'erano solo i nostri famigliari più stretti e gli amici più intimi.
In tutto eravamo venti persone.
Pronunciai quel sì con sicurezza, che lo fece ridere.
Nemmeno segnare un tiro ravvicinato era più deciso, mi aveva detto.

Sua madre non era contrariata, anzi, quando fui da sola, a parlare con Yumi di un ragazzo che le piaceva a Tokyo, lei venne da me e mi abbracciò, esponendomi le sue ragioni di odio per me e scusandosi per non aver capito che io non l'avrei mai lasciato, che io non l'avrei mai abbandonato, che io non l'avrei mai fatto soffrire.
Sua nonna sorrideva bevendo sakè e suo padre era felice, quasi quanto me.

Verso sera lui mi portò in camera sua.

- Come ti senti, maritino caro? - gli chiedo con un sorriso spropositato sedendomi sul suo letto e mostrandogli la fede facendolo ridere
- Bene, mogliettina cara! - mi risponde con il mio stesso tono - Anche se mi sento già soffocare! - aggiunge ironico
- Spiritoso! - gli rispondo con una boccaccia
- Ti verranno le rughe prima del tempo se fai tutte quelle smorfie! -
- E che mi importa! Tanto tu non le vedrai quindi non mi preoccupo! Mi ricorderai sempre giovane e bella! -
- Già! - mi dice per nulla turbato - A proposito di questo…volevo parlarti un attimo…- mi dice sedendosi vicino a me, sempre bello, sempre splendido, sempre quello che io ho conosciuto cinque anni fa e che da allora non mi ha mai lasciata sola.
- Certo, dimmi…- gli dico tornando seria
- Quando la mia situazione peggiorerà…- inizia tentennante mentre io deglutisco in un attesa quasi snervante per le sue parole - …voglio che tu te ne vada…-
- NO! MAI! - protesto subito sconvolta
- Ascoltami! - mi dice alzandosi a sua volta, tentando di farmi ragionare a modo suo
- Tu non ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo! Io non ti lascio finché non sarai tu a farlo! - gli dico con gli occhi lucidi mordendomi il labbro per fermare la crisi imminente di pianto
- Shizuki, per favore! - mi dice chiamandomi per nome, cosa rara e che fa solo quando sta parlando seriamente e vuole attenzione
- No,no…- gli dico tappandomi le orecchie
- Dannazione quanto sei testarda! - mi dice prendendomi per le braccia, togliendomele dalle orecchie - Io non voglio che tu mi veda morire, non voglio nessuno accanto a me, soprattutto te! -
- Non voglio! - gli dico scoppiando in lacrime e lui mi abbraccia, nel mio vestito bianco e nel suo completo nero
- Ascoltami, lo faccio solo perché non voglio che tu mi ricordi per la tua vita in uno stato orribile, solo per me lo faccio, non per te…- mi dice mentendo, sperando in quel falso egoismo di convincermi.

Resto senza parole e lui mi bacia, stringendo la mia mano sinistra con la sua.

- Io sono innamorato di te, Shizuki, non voglio che tu soffra ulteriormente, diamine, stai peggio di me. Sembra che sia tu quella che deve morire! - mi dice facendomi ridere con le lacrime che ancora mi scendevano.

Gli sorrido e gli stringo la mano.
Accetto la sua volontà ma avevo deciso che non l'avrei lasciato per un solo istante fino al momento in cui sarebbe stato ricoverato.

L'ultima volta che vidi Akira, era giugno.
Eravamo andati insieme alla partita di campionato regionale che disputava la nostra vecchia scuola.
Taoka non allenava più e i ragazzi non erano poi tanto bravi, giocavano molto meglio loro, i ragazzi di Akira.

Finita la partita andammo in un bar a berci qualcosa e verso sera andammo al parco sulle altalene.
I bambini erano andati via e c'eravamo solo io e lui.
Sapevamo entrambi che quello era il nostro ultimo incontro ed eravamo più zitti del solito.

- Tieni…- mi dice dandomi una monetina antica - E' un regalo che mi ha fatto mio nonno è molto importante per me e vorrei che lo avessi tu…-

Gli sorrido e mi allungo verso di lui per dargli un bacio, finendo per baciargli il naso facendolo ridere e imbarazzare me.

- Ho ancora quella bambolina, la porterò con me, così sarai certa che non sei poi lontana da me…- mi dice alludendo alle bamboline raffiguranti me e lui in divisa della squadra nazionale.
- Anche se non giocherò le nazionali e tu nemmeno…-
- Perché? - mi chiede allibito
- Perché iniziano a luglio e io resto qui, non vado certo in Cina mentre so che tu stai morendo! - gli dico con tono di ovvietà

Lui non mi dice nulla ma io so che ne è contrariato.
Gli avevo promesso, come a mio padre, che avrei vinto le nazionali, che avrei vinto ogni campionato.
Dopo la sconfitta contro Tokyo, mi ero arrogata il diritto di non tener più fede a quella promessa perché c'era qualcosa che aveva più importanza per me.

Si alza, quando la luna ormai ha preso il posto del sole e io lo seguo e guardo la città assieme a lui, senza dire una parola.

- Grazie, Shizuki, per tutto quello che hai fatto per me…- mi dice guardandomi negli occhi - Per la tua amicizia, per la tua semplicità e per la tua testardaggine e l'impulso, per avermi fatto divertire, per avermi fatto dimenticare, per ogni gesto d'amore che hai fatto per me in tutti questi anni…- mi dice con gli occhi lucidi facendomi piangere di nuovo, in silenzio, come ormai ero solita fare davanti a lui.
- L' ho fatto perché volevo…- gli rispondo cercando di sorridergli
- E poi…- inizia avvicinandosi - Per quella squisita torta al limone! - mi dice strizzandomi l'occhio e io lo bacio, continuo a baciarlo, baciarlo all'infinito, amandolo sempre più intensamente, sempre più forte, sempre più intenso.

Mi riaccompagnò a casa, lasciando la mia mano per sempre.

***

Preparai la torta al limone, la stessa settimana in cui l'avevano ricoverato.
Gliela mandai tramite sua madre e la pregai di salutarmelo.
Andai in camera mia e mi rannicchiai nell'angolo in cui lui dormiva quando restava da me, presi la fede dal dito e la strinsi forte, impregnandola di lacrime.

Qualche settimana dopo, con gli occhi lucidi, sua madre mi riportò il piatto vuoto e mi disse che era stato felicissimo.
Mi riportò la bambolina e la fede e io li tenni stretta a me.

Non preparai mai più quella torta.

Cinque anni dopo, allenavo una squadra di minibasket e c'era un bambino che gli assomigliava sia nell'aspetto che nel gioco.
Lo presi sotto la mia ala protettiva e gli dedicai più tempo che agli altri e lui mi chiese perché.

Non gli risposi e gli dissi col sorriso che era giusto che lui diventasse il migliore.
Gli piaceva la torta al limone e mi chiese se ero in grado di preparargliela.

Lo guardai in quei occhioni vispi e derisori, proprio come i suoi.

Gli sorrisi e il giorno dopo agli allenamenti portai la torta al limone per tutti e lui disse:

- TORTAAAAAA!!^O^ - con lo stesso tono di Akira, con la sua stessa espressione e con la sua stessa semplicità e una lacrima mi sfuggì dagli occhi
- Che cosa avete? -
- Mi ricordi una persona…-
- E le volevi bene? -
- Tanto! - gli risposi
- Allora vuoi bene anche a me? - mi chiese dolcissimo
- Certo! E adesso, fila a giocare che qui non si batte la fiacca! - gli dissi sorridente con il dito alzato e un finto tono di rimprovero e lui corse a raggiungere tutti gli altri e io strinsi forte il pugno della mano che portava la mia fede.

Fine


Scrissi questa storia senza un motivo preciso.
Si è scritta da sola, ne sono più che convinta.
Non so del perché del titolo, non so del perché di quella malattia che nemmeno io sapevo di conoscere, non so nemmeno per questa protagonista così diversa da tutte le altre, così diversa da me eppure così affascinante, almeno per me.
Non so del perché di Rukawa, che io non ho quasi mai trattato, non so del perché del litigio con Mika, di Nimrod, della madre e della morte del padre, dei genitori di Akira, del matrimonio, dei bambini, del basket, dello sport come cura.
C'era qualcosa da dire e io ho aiutato questa strana forza a dirlo.
So che nelle mie FF spesso i protagonisti muoiono ma i lieto fine sono rari in questa vita e io lo so, forse una delle poche cose che realmente so.

Ringrazio tutti quelli che hanno letto fin qui.
Forse il finale non è perfetto, forse è sbagliato, ma si voleva così.
Ringrazio tutti quelli che mi hanno scritto e che hanno commentato, la cosa voi non sapete nemmeno quanto mi renda felice, dimostrandomi che non è stupido quello che scrivo.
Ringrazio: Sery89, Faye, Lucilla, la mia cara compagna di classe Ele che legge tutto in anteprima e tutti coloro che hanno letto senza commentare.
Grazie davvero a tutti.

Drin



 

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