La sveglia programmata
con lo stereo si accese e la melodia prescelta si diffuse nell’aria
strappandomi dagli ultimi brandelli di sogno…Tirai fuori un braccio
dalle coperte in cerca del telecomando posato sul comodino, ma nel
movimento lo urtai facendolo cadere a terra. Emersi dal letto sporgendomi
a guardare il pavimento… Ripensando al sogno che avevo fatto… mi
ritrovai a mormorare
“…Dopo tutti questi
anni…”
Con un balzo scalciai
via le coperte e mi alzai, le note della canzone continuavano ad
aleggiarmi intorno e senza rendermene conto cominciai a canticchiare
il ritornello:
“There
is only one road I’m walkin’
Only
one lifetime, one heart to guide me
Only
one road I’m walkin’
But I’m gonna run back, I’m gonna run back
‘Cause I need you right here
Beside
me” (1)
Mentre mi facevo una doccia, cercai di scacciare dalla mia mente le ultime
immagini del sogno. Lo
avevo sognato di nuovo…Ogni tanto capitava, che la sua immagine
si infilasse tra i miei sogni e ogni volta mi lasciava stordita
perché era come se in fondo il suo ricordo non volesse andare via,
restando pervicacemente attaccato al mio cuore…C’era stato un tempo
in cui la mia vitaaveva
ruotato attorno a lui hai suoi sogni alle sue aspirazioni dimenticando
di me stessa di quello che potevo volere o anche solo sperare per
me…Come avevo potuto cancellare così me stessa, annullarmi per lui,
credere che…Per poi finire col ritrovarmi con solo un pugno di illusioni
tra le mani…Scacciando quei pensieri sterili mi
vestii e uscii dirigendomi vero il Golden Gate Park.
Adoravo correre per
il parco a quell’ora. Non c’era quasi mai nessuno e mi pareva di
essere sola al mondo circondata da tutto quel verde. Mi serviva
a fare un po’ di scorta di ossigeno e quasi di vita, visto che poi
sarei stata in ospedale per le prossime 48 ore…non mi pesava mi
piaceva stare in Ospedale ma a volte il fatto di non uscire per
tutto quel tempo mi rendeva un po’ claustrofobica…Ero sempre stata
abituata a stare all’aperto sin da ragazzina.
Ferma in fondo al viale
del parco per riprendere fiato guardai l’orologio che avevo al polso
sospirando rassegnata: era ora di tornare in ospedale per cominciare
il mio turno che sarebbe finito solo da lì a due giorni…Peccato
che questi momenti durassero così poco.
Mi ero trasferita in America per studiare Medicina e la voglia
di lasciarmi alle spalle la vita precedente che sentivo non appartenermi
più. Quando avevo cominciato il mio internato al San Francisco Memorial
Hospital al terzo anno ero capitata con il Dott. Jeremy Walken…il
miglior chirurgo toracico di tutti gli Stati Uniti d’America. Era
sicuramente un grande chirurgo ma anche un uomo dal carattere impossibile,
su cui si raccontavano ogni genere di aneddoti e tutti molto poco
simpatici su come trattava gli internisti che capitavano con lui.
“ Benvenuta all’ inferno…” mi aveva detto al mio primo giorno
con lui…Ed effettivamente mi aveva fatto letteralmente sputare sangue…per
tutto quel primo anno…ma avevo imparato di più osservandolo al lavoro
in quell’anno che non su tutti i testi medici che mi sciroppavo
fino alle tre di notte…Ripensando a quelle cose mi girai su me stessa
per invertire la direzione ma un dolore lancinante alla caviglia
mi fece accasciare al suolo con un gemito…Provai a rialzarmi in
piedi appoggiandomi al piede ma il dolore mi faceva vedere le stelle…Dovevo
però stringere i denti e sbrigarmi ad arrivare in ospedale avevo
una riunione importante con Walken prima di cominciare con il mio
turno….Se fossi arrivata tardi chi lo sentiva. Ricordavo ancora
con un brivido il mio primo incontro con quell’uomo:
- Buongiorno dottore
-
Il dottor Walken
mi aveva guardato per un istante come cercando di ricordare qualcosa:
- Sono la nuova tirocinante...-
avevo spiegato io
- Ah bene, bene...Carne
fresca - si era sfregato le mani, e dopo aver spento il computer
aveva cominciato a sfogliare la cartella che gli avevo consegnato
- Allora signorina Sanae Nakazawa giusto?- aveva chiesto piantandomi
in viso il suo sguardo indagatore che usava con tutti i giovani
assistenti che si presentavano per un colloquio - Lei è Giapponese?
- Sì - avevo annuito
un po’ intimidita ma sostenendo quello sguardo. L'uomo che avevo
di fronte era forse il migliore cardiochirurgo di tutto il paese:
si diceva che stava portando avanti il progetto per un rivoluzionario
cuore artificiale. Fare il preassistentato con lui era una fortuna
o un incubo di pochi prescelti…
Il dottor Walken
chiuse la cartella davanti a lui, prese un plico di fotocopie rilegate
con una spirale dal suo cassetto e me lo porse:
- Allora, oggi è
il suo primo giorno di preassistentato. Questo è il programma del
tirocinio: elenca i seminari e le esercitazioni che sarà tenuta
a seguire. Ne perda una e il suo punteggio ne risentirà. Seminario
vascolare Lunedì 16:00/17:00; Patologia 17:00/ 19:00; Radiologia
Lunedì 7:00;Chirurgia vascolare Lunedì, Martedì e Mercoledì 7:00;
relazione a me tutti i Venerdì mattina alle 7:00. Sarà di guardia
cinque giorni a settimana dalle 5:00 A.M. alle 19:00 P.M. Di guardia
ogni tre week - end e ogni tre notti; il che vuol dire che ogni
tre giorni starà qui dalle 5:00 di mattina alle 19:00 almeno del
giorno dopo. Domande? No? Bene può andare ci vediamo venerdì mattina
alle sette, puntuale mi raccomando..Benvenuta all’Inferno...- aveva
concluso con un tono che non ammetteva repliche caso mai ce ne fossero
state. Mi ero alzata per uscire dall'ufficio sentendomi un poco
frastornata, lungo il corridoio incontrai la dottoressa Dana Carter
che mi aveva accolto quella mattina e che sarebbe stato il mio supervisore
nel tirocinio in Pronto Soccorso:
- Allora come è andata?-
mi aveva domandato con un cenno del capo verso l'ufficio di Jeremy
Walken.
- Mi sento come se
mi avesse travolto un uragano...- le avevo confidato
- Il dott. Walken
è il peggior incubo di qualunque interno, non dorme mai, non mangia
mai e legge ogni pubblicazione medica. I tirocinanti come te se
li mangia a colazione...-aveva
ribattuto l'altra
- Non aveva detto
che non mangiava mai? -avevo
osservato sperando chestesse
solo scherzando
Dana Carterera scoppiata a ridere, aveva una risata allegra:
- Già è vero ma tu
non lasciarti spaventare dalle apparenze: non potresti desiderare
insegnante migliore, sappilo. E' solo un anno, vedrai che ce la
farai. Oramai non possono più buttarti fuori, magari solo renderti
la vita impossibile al punto da supplicare il licenziamento magari...-
L’avevo di nuovo
guardata cercando di capire se scherzasse o meno.
Erano stati mesi difficili proprio come aveva predetto Dana ma ora avevo
la possibilità di scegliere che Assistentato fare per i prossimi
anni e la Cardiochirurgia mi entusiasmava particolarmente,
giusto la settimana scorsa avevo fatto pervenire
la mia richiesta al dottor Walken di essere accolta tra i suoi assistenti
e ora aspettavo con ansia una risposta, chissà forse oggi durante
la relazione che dovevo fargli come ogni settimana mi avrebbe detto
qualcosa…Ecco un motivo in più per affrettarmi a prendere servizio.
Forse potevo cercare
di raggiungere l’uscita del parco e poi avrei potuto prendere un
taxi per farmi portare al San Francisco Memorial Hospital dove stavo
facendo il mio internato in chirurgia.
Zoppicando mi diressi
in quella direzione. Maledicendo la mia abitudine di uscire a fare
footing senza cellulare almeno avrei potuto avvertire in Ospedale
anche se questo non mi avrebbe certo evitato la sfuriata del dott.
Jeremy Walken il primario del reparto…
Mi fermai un istante
all’entrata del Golden Gate Park guardandomi in giro in cerca di
un taxi a cui fare segno di fermarsi ma sulla strada in quel momento
non passava nessuno, sorrisi tra me: cosa mi aspettavo erano quasi
le 6:00 del mattino di sabato. Dovevo rassegnarmi a farmela a piedi
fino alla prossima fermata del tram…
Eppure qualcuno c’era.
Osservai notando una figura avanzare correndo dall’altro lato della
strada: indossava una tuta nera e una di quelle felpe con il cappuccio
calato sul viso, al collo aveva un asciugamano. Lo vidi prepararsi
ad attraversare la strada guardando distrattamente prima a destra
e poi a sinistra. Nel momento che fu quasi in mezzo alla carreggiata
udii un rumore provenire dalle mie spalle, quando mi volsi vidi
un’auto scura che a tutta velocità si dirigeva verso di lui.
La persona che stava
attraversando pareva non aver udito nulla:
- Ehi tu fai attenzione…-
urlai con tutto il fiato che avevo in gola
Solo in quel momento
l’uomo parve riscuotersi dai suoi pensieri ma ormai era troppo tardi
saltò di lato ma la macchina lo prese in pieno alla gamba scaraventandolo
sul marciapiede a pochi metri da me. Con difficoltà mi slanciai
verso di lui per prestargli i primi soccorsi…Vidi che la posizione
della gamba era innaturale e che l’osso del femore fuoriusciva dal
tessuto della tuta. Mi chinai su di lui posandogli due dita all’altezza
della giugulare…il battito era regolare.
Alla cintura accanto
al walk man aveva un cellulare lo presi e composi il 911 del San
Francisco Memorial Hospital avvertendoli di mandare un’ambulanza
all’uscita del Golden Gate Park e di allertare Micheal Kronk il
chirurgo ortopedico…
- Nakazawa san…? – lo
sentii mormorare mentre chiudevo la comunicazione
Il cuore mi diede un
balzo nel petto mentre posavo i miei occhi sul viso di Tsubasa Ozora…
Mentre la sirena dell’ambulanza
lacerava l’aria perse i sensi.
Entrai al Pronto Soccorso
zoppicando e con una tale espressione dolorante sul volto che Dana
Carter il medico di turno al Pronto Soccorso quella mattina mi si
fece incontro:
- …Che ti è successo?
- Nulla di grave…solo uno stupido movimento rotatorio
e la caviglia ha ceduto…Ma non preoccuparti…occupiamoci di lui…
- Ho avvertito Micheal, sta scendendo.
Ma vorrei dare un occhiata alla tua caviglia
- Lascia perdere…
- Complimenti…mi stavo
giusto chiedendo dove fosse finita…- la voce di Walken mi sovrastò
- Dottor Walken, ecco
io…- tentai di spiegare sapendo che sarebbe stato tutto inutile
- Lasci stare le giustificazioni
e si faccia medicare quella caviglia. Poi mi raggiunga nel mio ufficio
… - e senza aspettare risposta si volse e si incamminò verso l’ascensore
Sospirai:
- Ma vive qui?
- Probabilmente…- mi
rispose Dana costringendomi a seguirla in una delle sale di medicazione
- Ma…- cercai di protestare
seguendo con gli occhi la barella di Tsubasa scomparire in sala
emergenze 1
- E’ in buone mani dai
vieni…
Più tardi seduta a un tavolino dello spaccio dell'ospedale lasciai raffreddare
il caffè che mi ero servita ritrovandomi a pensare ai casi della
vita che aveva riportato sulla mia strada Tsubasa dopo tutto questo
tempo, se c’era dell’ironia in tutto questo io non riuscivo a vederla…Ricordavo
ancora tutto di quel giorno quando la mia vita era andata in frantumi
e le immagini dei ricordi cominciarono a scorrere un po’ sbiadite
sullo schermo della mia memoria nonostante io non avessi fatto nulla
per richiamarle…Era come rivedere un film che conoscevo a memoria
e che riapriva una ferita che da tempo credevo rimarginata.
Ci sono momenti nella vita di ognuno, che segnano quasi uno spartiacque
una linea di confine, momenti in cui il futuro non sarà più come
prima e il passato acquista solo la funzione di un pesante fardello
che ci si porta appresso per il resto della vita cercando di vivere
ignorandolo…fino a quando ci è possibile…ma a volte tutto ritorna
come se per uno strappo del tessuto temporale passato e presente
si fossero mescolati e noi non sappiamo più come muoverci lì in
mezzo.
L’ aeroporto internazionale di Narita
era quasi completamente deserto in quel pomeriggio estivo. Ero nervosa
e impaziente; come al solito per arrivare in orario ero arrivata
con un largo anticipo e ora mi sarebbe toccato aspettare più di
mezzora. Continuavo a Fissare il tabellone con gli orari delle partenze
e degli arrivi, puntando gli occhi su un orario di arrivo preciso
e guardavo spesso l’orologio che avevo al polso come se questo potesse
far muovere più velocemente le lancette, che ogni volta che le guardavo
parevano ferme immobili nello stesso identico punto di prima. Decisi
di distrarmi facendo quattro passi avanti e indietro. Arrivai all’edicola
e la mia attenzione fu attirata dalla copertina di un giornale sportivo
su cui spiccava una foto sorridente di Tsubasa Ozora…”La nuova
rivelazione del calcio giovanilegiapponese…” era il
titolo e sotto a caratteri cubitali: “Intervista esclusiva”…
Lo comprai
sorridendo orgogliosa…Sì non potevo fare a meno di essere orgogliosa
di lui. Avevano vinto…Avevano battuto 3 – 2la Germania di Karl Heinz Schneider…Erano stati grandi…
Mi sedetti su una delle scomode
poltroncine nella sala d’attesa per leggere con tutta calma l’articolo.
Attorno a me non c’era nessuno.
Un improvviso freddo mi invase il
cuore paralizzandomi quando giunsi a metà dell’articolo dove il
cronista riportava queste testuali parole dette dal giovane campione:
“ Non tornerò in Giappone con
la Nazionale. Partirò invece per il Brasile al seguito di Roberto
Hongo per giocare nel San Paulo…”
Ogni lettera era una pugnalata al
mio cuore. Sentii che gli occhi mi si riempivano di lacrime…lasciai
scivolare il giornale a terra, coprendomi il volto con le mani e
lasciando che singhiozzi di disperazione mi scuotessero le spalle…Lo
sapevo che un giorno sarebbe successo e avevo avuto modo di prepararmi
ma ora…che il giorno era arrivato davvero non potevo, non riuscivo
a controllare il dolore…
Anche se lo avevo desiderato
con tutta me stessa, non potevo più continuarea sperare che le cose potessero cambiare. Non adesso con
lui dall’altra parte dell’Oceano a inseguire il suo sogno…Non si
era mai accorto di me, nonmi
aveva mai considerata altro che la Manager, l’amica, la tifosa più
accanita e sempre presente ma da lì ad accorgersi dei miei sentimenti…C’era
qualcosa di distruttivo nell’ indifferenza anche se poi vera indifferenza
non era…
La voce del controllore
di volo annunciò in quel momento l’arrivo del volo da Parigi, e
io desiderai solo scappare andarmene lontano, non avrei retto agli
sguardi pietosi degli altri quando mi avessero vista o peggio alle
battute di Ishizaki.
Poi, però, mi feci coraggio, ricacciando indietro
le lacrime dicendomi che in fondo era lì anche per loro, che anche
loro avevano vinto il Mondiale Juniores…Mi alzai dalla poltroncina,
raccogliendo il giornale e mi avviai al cancello di sbarco dando
un’ultima occhiata alla foto sorridente di Tsubasa sulla copertina
prima di gettare la rivista nel primo cestino che incontrai sulla
mia strada:
"Ti auguro tutto
il bene possibile…"
- Dott. Nakazawa vedo
che oggi non mi riesce di parlarle…
Sussultai alla voce
del dottor Walken e solo allora mi ricordai che mi aveva dato appuntamento
nel suo ufficio:
- Mi scusi…
- Non fa nulla…il suo
amico come sta?
Non rimasi stupita del
fatto che sapesse che conoscessi Tsubasa Ozora…Jeremy Walken pareva
avere quello strano potere, concesso a pochi, di leggere nei cuori
delle persone:
- Micheal Kronk lo sta
operando, ha detto che mi avrebbe informata appena terminata l’operazione…
- Lo conosce da molto?
- Eravamo compagni di
scuola…praticamente siamo cresciuti assieme
- Non era Tsubasa Ozora?
La stella della Golden Generation Giapponese?
Questa volta non potei
fare a meno di guardarlo con sorpresa:
- Sì, ma lei…
- E’ su tutti i giornali
sportivi. La Nazionale nipponica è qui per partecipare a un Torneo
quadrangolare con Stati Uniti, Brasile e una rappresentativa Europea…E
poi faranno un altro giro di amichevoli con alcune squadre americane
- Non ne ero al corrente
– mi ritrovai a mormorare
Allora erano tutti qui.
Erano anni che non vedevo nessuno di loro, anche perché da che mi
ero trasferita negli Stati Uniti avevo cercato di cancellare tutto
di quel passato, avevo anche smesso di interessarmi al calcio…e
dopo che anche la mia famiglia mi aveva raggiunta per gli studi
di mio fratello avevo perso ogni legame con il passato
- Ho scelto i tirocinanti
per Cardiochirurgia, ho appeso i nomi dei prescelti nella bacheca
del terzo piano ma volevo essere il primo a farle le congratulazioni
dottoressa Nakazawa
- Mi sta dicendo…- non
riuscii a finire la frase mentre il cuore mi martellava nel petto
talmente forte che temevo potesse uscirne fuori e andarsene in giro
per l’ospedale
- Dall’anno prossimo,
farà parte del mio staff di cardiochirurgia
Si alzò dopo avermi
stretto la mano e si allontanò. Spinta da una energia nuova mi alzai
lasciando da parte i ricordi e concentrandomi sul presente…Non riuscivo
a crederci…Walken mi aveva accettata come assistente. Da questo
punto cominciava una nuova strada con le sue curve, le sue salite,
le sue asperità ma anche con le sue sorprese dietro l’orizzonte.
E io ero pronta ad affrontarle senza paura.
Il Pronto Soccorso quel
giorno era tranquillo solo casi di routine come piccole suture e
incidenti domestici, mi sedetti in una saletta a rivedere le cartelle
dei pazienti di quel giorno e le loro terapie.
- Allora Sanae cosa
stai facendo qui tutta sola…– disse Dana occupando una sedia vuota
accanto a me
- Stavo aspettando
che terminassero l’intervento…Micheal mi ha detto che me lo avrebbe
fatto sapere
- Quello non era
Tsubasa Ozora? Il campione Giapponese che gioca in Spagna nel Barcellona?
Mi pare di aver visto un articolo su di lui in una rivista sportiva
nell’ufficio di Micheal
- Già…- mormorai
– La rivelazione del calcio giapponese…
- Come fai a conoscerlo…
- Ero la manager
della squadra di calcio della scuola dove ha esordito…
- Compagni d’infanzia
allora…
- Più o meno…- alzai
la testa ad incontrare lo sguardo di Dana.
Lei mi sorrise:
- Il tuo caffè è
freddo Sanae - esclamò con aria disgustata dopo aver bevuto un sorso
dalla mia tazza. Senza aspettare una mia risposta si alzò e ritornò
poco dopo con due tazze fumanti di caffè
La guardai, era una
donna dal viso minuto di ragazzina, con i capelli biondo cenere
e due occhi azzurri sempre sorridenti e un sorriso contagioso. Dana
faceva parte dello staff di Pronto Soccorso da molto tempo…Eravamo
diventate subito amiche quando avevo cominciato a lavorare al San
Francisco Memorial Hospital, mi aveva aiutato molto ad ambientarmi
nei primi mesi e durante i momenti di sconforto aveva sempre trovato
una parola per tirarmi su di morale. Lei e suo marito Micheal erano
praticamente gli unici amici che avessi…
- Ehi…Sanae? Ci sei?-
mi riscossi
Dana mi stava scotendo
una mano davanti agli occhi
- Dicevi scusa…
- Ti ho chiesto se ti
va di parlarne…
Mi strinsi nelle spalle:
- Non c’è molto da dire…
- Mi pare invece che
tu abbia una voglia matta di sfogarti con qualcuno
- La cosa non è molto
interessante…- cominciai a raccontare sotto lo sguardo attento di
Dana che non mi interruppe mai lasciando che il passato fluisse
davanti a noi con le sue immagini, solo alla fine dopo alcuni istanti
di silenzio posò una mano sulla mia e mi disse.
- E’ per questo che
sei venuta qui? Eri innamorata di lui?
- Anche ma soprattutto
avevo bisogno di cambiare aria, mondo. Là tutto mi ricordava lui…Quando
stamani me lo sono trovato lì steso per terra è stato come se il
passato mi investisse violentemente, credevo di averlo dimenticato
di averlo strappato dal mio cuore, e invece mi sono ritrovata a
combattere con quel batticuore ancora una volta…
- Mi era sembrato che
fossi meno fredda oggi in sala emergenza…
- Quando ho visto in
che condizioni era il ginocchio…mi sono sentita gelare e poi la
frattura esposta del femore
- Prima di azzardare
una diagnosi aspettiamo che Micheal concluda l’intervento, poi occorrerà
attendere i riscontri post operatori e la riabilitazione
- Sai l’anno prossimo
ci sono i Mondiali in Giappone e Corea…Il suo sogno era di vincere
la Coppa del Mondo…- dissi con amarezza
- Aspettiamo a fasciarci
la testa…- il suo sorriso era sempre incoraggiante
- Sai – la guardai incerta
– ho appena parlato con Walken…
- Lo so ho visto l’elenco
in bacheca…Bisogna festeggiare no?
La voce gracchiante
dell’altoparlante ci interruppe:
- La dottoressa Nakazawa
è desiderataall’accettazione…
Mi alzai sospirando
salutando Dana che mi richiamò indietro:
- Ehi perché non vieni
a cena con me e Micheal una di queste sere?
- Ci sentiamo più tardi
– le risposi
- Guarda che io prenoto
il ristorante…
Mi diressi verso il
Pronto Soccorso chiedendomi cosa potesse essere successo guardai
l’orologio non poteva essere Micheal Kronk, non ancora almeno…mi
bloccai appena fuori dall’ uscita delle scale quando vidi alcuni
componenti della Nazionale giapponese fermi davanti al banco dell’accettazione
che mi davano le spalle. Nessuno di loro si era ancora accorto di
me, e io mi presi qualche istante prima di farmi avanti…intravidi
il cappellino rosso di Genzo Wakabayashi vicino a lui Ryo Ishizaki
e Taro Misaki. Mi feci coraggio prendendo un bel respiro e mi avvicinai:
- Penso vogliate parlare
con me…- dissi assumendo un tono professionale
Al suono della mia voce
si volsero tutti smettendo di parlottare improvvisamente forse sorpresi
di sentire parlare in Giapponese…Tutti mi stavano squadrando ma
il primo a riconoscermi fu Genzo:
- Nakazawa…Sanae?
- Che????- la voce di
Ryo si fece piuttosto alta richiamando l’attenzione di alcuni pazienti
che si voltarono verso di noi – Anego???Non può essere
- Silenzio siete in
un Pronto Soccorso- li rimproverai – Venite con me…
Sorridendo mio malgrado
li guidai nella saletta dei medici dopo essermi accertata che in
quel momento fosse vuota
- Come state?- chiesi
loro guardandoli uno per uno
- Tu piuttosto, non
sapevamo fossi qui…- Genzo pareva l’unico adaver superato la sorpresa
- Io lavoro qui. Sono
assistente in Pronto Soccorso – precisai
- L’Ospedale ha chiamato
in albergo dicendo che Tsubasa è ricoverato qui…
- Tsubasa è stato investito
stamani alle 6:00 davanti al Parco, presumibilmente da un pirata
della strada ubriaco…
- E tu come lo sai?
- Ero presente…Uscivo
dal parco e ho assistito all’incidente
- Ora come sta? – la
voce Taro tradiva la preoccupazione per il compagno
- Aveva l’articolazione
del ginocchio sinistro completamente distrutta. E una brutta frattura
esposta del femore…Non so dirvi altro per ora. Il chirurgo lo sta
operando al ginocchio…
Il silenzio calò di
nuovo tra noi, mi faceva effetto stare di nuovo in mezzo a loro,
il tempo pareva non essere mai trascorso
- Sanae le sue condizioni?
– la voce di Genzo mi fece sussultare
- Per ora sono stazionarie…per
essere più precisi aspettiamo
- Possiamo vederlo,
quando uscirà dalla sala operatoria?
Scossi la testa:
- Non subito magari
nei prossimi giorni…Cosa ci fate qui?
- Un giro di amichevoli
in vista dei mondiali…
- Ci pensate voi ad
avvertire la famiglia in Giappone? Credo che la sig. Natsuko vorrà
venire
-I genitori di Tsubasa sono morti Sanae…
- Quando?- chiesi con
voce rotta
- Due anni fa in un
incidente…Non lo sapevi?
- Non torno in Giappone
da quando sono venuta qui al college, e i miei sono a Chicago visto
che mio fratello studia lì…- spiegai mentre il sorriso della mamma
di Tsubasa mi balenava davanti agli occhi. Era stata sempre così
gentile con me…i primi tempi che Tsubasa era in Brasile capitava
che mi invitasse qualche volta a bere un tea magari per fare quattro
chiacchiere…Poi io ero partita subito dopo il diploma e le avevo
promesso che le avrei scritto ma non lo avevo mai fatto, avevo bisogno
di rompere ogni legame con il passato…Mi sentivo in colpa ora per
non aver mantenuto i contatti…
- Quando possiamo tornare?
- Quanto rimanete a
San Francisco?
- Fino alla fine del
mese
- Se ci sono novità
vi chiamo in albergo OK?
La porta della saletta
venne aperta e il Dottor Walken fece il suo ingresso:
- Dottoressa Nakazawa…
Mi feci avanti scostando
i ragazzi che erano davanti a me:
- Mi dica Dott. Walken
- Uh? Cosa c’è un invasione
di giapponesi?
- Sono i compagni di
squadra di Ozora dottore, stavo spiegando loro le sue condizioni
- Ah, ero appunto venuto
a cercarla per dirle che Kronk ha finito l’intervento.
- Arrivo subito…Ragazzi
se potete aspettatemi vi farò sapere qualcosa…
Seguii il Dottor Walken ma prima mi voltai a sorridere loro
per rassicurarli ma nei loro occhi potevo leggere la stessa preoccupazione
che attanagliava il mio animo
- Allora Nakazawa, ……
Eravamo arrivati
intanto al piano del reparto di Chirurgia ortopedica e io scesi,
mentre il dottor Walken proseguì per il piano successivo ma primache le porte si richiudessero davanti a lui
le bloccò richiamandomi indietro:
- Lo legga e per
venerdì prossimo mi presenti una sua relazione - disse porgendomi
un plico di pagine sulla cui copertina era scritto a lettere rosse
“ La chirurgia mini -invasiva
e l’evoluzione verso lachirurgia robotica nella Cardiochirurgia.
”. Prima che potessi dire qualcosa le porte si richiusero davanti
a me…
Micheal Kronk mi
venne incontro con ancora indosso l’abbigliamento da sala operatoria:
- Micheal allora
che mi dici?
Si passò una mano
tra i capelli, con aria stanca:
- Ho effettuato una
ricostruzione artroscopica dei legamenti crociati anteriore e posteriore
dell’articolazione del ginocchio. E messo una placca di metallo
al femore per ridurre la frattura…Il muscolo è lesionato ma non
deve essere nulla di grave…Vedremo dopo la riabilitazione del ginocchio
come si sarà saldato l’osso.
Lo ringraziai e mi
diressi verso l’ascensore per tornare in accettazione a comunicare
ai ragazzi le ultime novità, nel corridoio incontrai Dana:
- Fammi sapere quando
prenotare il ristorante - mi disse
In accettazione trovai i ragazzi che mi aspettavano impazienti per tornare
in albergo e avvertire l’allenatore delle condizioni di Tsubasa.
Gli dissi quello che mi aveva detto Kronk e aggiunsi:
- Ora possiamo solo aspettare…
GENZO
Cammino per le strade
di San Francisco perso nei miei pensieri. Non so perché tutte le
mattine mi ritrovo ancora a correre è un’abitudine ormai a cui non
posso rinunciare. Più tardi andrò a trovare Tsubasa ma l’immagine
che mi torna alla mente non è quella del mio più caro amico e compagno
di squadra che ora giace in un letto, con il ginocchio ricostruito
e una placca di metallo all’osso del femore. Certo questo incidente
non ci voleva con i mondiali alle porte e tutto il resto. Non è
stato un buon periodo per Tsubasa questo…la morte dei suoi genitori,
il passaggio al Barcellona, e la perdita del Pallone d’Oro assegnato
a quel giocatore italiano…come si chiamava?Ah sì…Alessandro Del
Piero…e ora questo. Essere investito da un pirata della strada durante
una trasferta con la Nazionale e per di più rincontrare Nakazawa..A
volte la vita era proprio strana
Sanae Nakazawa.
Ci conoscevamo, dalle
scuole elementari, ma il rivederla ha fatto un certo effetto a tutti
noi. Ishizaki non smetteva di commentare la cosa ieri sera a cena.
Certo sono quasi 10 anni ormai che non la vedevamo e che non avevamo
notizie di lei, da quella volta che eravamo tornati da Parigi dopo
aver vinto la Coppa del Mondo Juniores. Quel giorno quando eravamo
atterrati con l’aereo e l’avevo vista là fuori dal cancello che
ci aspettavami ero voltato
indietro e avevo sibilato ai ragazzi guardandoli uno ad uno:
“Il primo che le
fa una battuta su Tsubasa farà i conti con me…” puntando lo
sguardo soprattutto su Ishizaki quello tra noi che si divertiva
più di tutti a punzecchiarla.
Non so perché lo dissi,
io di solito mi ero sempre limitato a non intervenire in queste
cose, non erano fatti miei, ma il vederla così mi aveva fatto, quasi,
tenerezza. Da quel giorno aveva visto sparire il sorriso sul volto
di Sanae, la sua solarità. Mi ero fermato in Giappone giusto il
tempo di riprendermi dalle fatiche e poi ero ritornato in Germania
e ripreso la mia carriera nell’Amburgo, non avevo più pensato a
lei. Qualche tempo più tardi non ricordo chi, Taro Misaki, forse,
mi aveva detto che Sanae se ne era andata, partita per l’America.
Un’altra persona aveva preso la sua strada ricordo di aver pensato
quella volta, e poi non ci avevo più pensato. Neppure quando ero
stato convocato per quella serie di amichevoli in America. Mi fermai
a guardare un po’ l’acqua dell’Oceano Pacifico sotto di me, e non
potei fare a meno di sorridere amaramente…Convocato…A cosa serviva?
Potevo tranquillamente restarmene a casa, tanto per quello che potevo
fare…Scacciai quel pensiero cercando di concentrarmi su altri ragionamenti…Sanae…Quando
me l’ero trovata davanti ci avevo messo un po’ a riconoscerla. Non
sembrava neanche la Sanae che conoscevo un tempo: è diventata una
bella donna completamente diversa da quella ragazzina in tuta che
accompagnava le partite della squadra, certo ma non era solo quello…C’era
qualcosa d’altro, ma non era solo quello ad avermi colpito…Gli occhi
di Sanae quelli avevano attirato la mia attenzione, occhi di un
castano caldo, così profondi e dolci ma in fondo ad essi ho scorto
una nota di dolore…Mi ricordo ancora quando li avevo visti l’ultima
volta: era una ragazzina, una ragazzina allegra e spensierata sempre
sorridente mentre ora, invece, c’era qualcosa in fondo ai suoi occhi
un velo di tristezza che oscurava tutto, era molto cambiata da allora,
e non solo nel modo di vestire…Quando la vidi ad aspettarci fuori
dal cancello di sbarco capii subito che lei sapeva che Tsubasa non
era ritornato con noi…Non so chi glielo avesse detto, o se fosse
una consapevolezza arrivatale al cuore in una sorta di “rivelazione”.
Poi nei giorni seguenti vidi i giornali con le interviste rilasciate
da Tsubasa “ la stella dei Mondiali Junioresdi Parigi”
alla stampa giapponese accreditata a Parigi e realizzai che forse
l’aveva saputo nel modo peggiore…
Sanae era stata sempre
una ragazzina irruenta…Mi scappò un sorriso…era un po’ riduttivo
definirla così. In realtà era una vera forza della natura, scapestrata,
scatenata il capo dei tifosi della Nankatsu. Eppure per Tsubasa
aveva compiuto un cambiamento radicale. Come si poteva arrivare
a modificare tanto sé stessi per qualcuno me lo ero sempre chiesto,
cambiando completamente modo di fare e di comportarsi quasi annullandosi
per l’altro…Avevo sempre ammirato la sua capacità di occuparsi degli
altri, il suo essere così altruista; qualcosa che io non riuscivo
a concepire, né a pensare di fare concentrato com’ero su me stesso
e sulle mie mete. Per lei no, prima venivano gli altri, o meglio,
Tsubasa Ozora e poi lei stessa…Mi ritornarono alla mente i ricordi
del passato: non facevamo altro che litigare sempre, per ogni minima
sciocchezza.
“Sei solo un prepotente”
mi diceva allora “prepotente e presuntuoso”
Nonostante tutto però
avevo sempre guardato a lei con tenerezza, sapevo del dolore che
Sanae nascondeva a tutti e che gli altri parevano non notare. A
volte lei non si rendeva conto di quanto fosse trasparente in certi
momenti. L’indifferenza verso i sentimenti che nutriamo nei confronti
di una persona da parte della persona destinataria di questi sentimenti
ha il potere di inaridire il cuoree l’ animo. Anche oggi lei pensava di nascondere
il dolore che quel passato le provocava ma in realtà ad un occhio
attento che non si fosse fermato alle apparenze…era possibile scorgere
delle piccole incrinature rivelatrici…che anche oggi avevo notato
mentre ci rassicurava delle condizioni di Tsubasa…Rincontrarlo dopo
così tanto tempo deve essere stato un shock e poi in queste circostanze
e dopo quello che era successo…
Non le avevo parlato
in quei giorni lontani, né so se qualcuno lo fece, e d’altronde
cosa c’era da dire? Le parole non sarebbero servite a consolarla
per quel dolore anche se forse lei in fondo sapeva che prima o poi
sarebbe giunto questo giorno…Il giorno in cui Tsubasa avrebbe mollato
tutto e tutti per realizzare il suo sogno…Il giorno in cui la sua
vita sarebbe andata in pezzi una volta che era mancato il perno
su cui si appoggiava…Mi ritrovai a sorridere amaro considerando
che anche io ora mi trovavo nella stessa situazione…Una cosa diversa
c’era però: io non avevo più alcuna speranza, neppure di un miracolo,
ora ne ero certo, quando giocavo (contro il parere dei medici e
all’insaputa di Tatsuo Mikami a cui non avevo detto nulla della
diagnosi di Brinkmann) lo sentivo che la mia gamba ne risentiva
e che non era più in grado di reggere certe uscite di gioco…Mentre
per loro chissà…Il caso, il destino, o chi altro ci fosse dietro
tutto questo, aveva riportato Sanae e Tsubasa l’uno sulla strada
dell’altro…Chissà cosa potrà venirne fuori mi ritrovai a chiedermi.
Tempi, momenti e persone diverse. Non che Tsubasa sia poi tanto
diverso da allora. Per lui esiste solo il pallone ancora adesso.
Certo ha smesso con quella litania “Boru wa Tomodachi” ma credo
che sotto, sotto lo pensi ancora, lo vedo da come gioca, lui non
è come me, lui fondamentalmente si diverte prima di tutto. Per lui
il calcio non è una questione di orgoglio, di riuscita…Comunque
non ero mai riuscito a capire che tipo di sentimenti provasse per
Sanae o forse neppure si era mai posto il problema perso com’era
nel suo tentativo di realizzare il suo sogno. Non c’era nulla di
male in questo, ma la cosa spiacevole era che qualcun altro aveva
dovuto soffrire per questo. Faceva parte della vita comunque, molte
volte la felicità di qualcuno si fonda sul dolore di qualcun altro…
Ripresi a correre in mezzo al Porto aspirando l’aria salmastra
e dirigendomi verso l’albergo dove eravamo alloggiati per concedermi
una seduta in palestra prima di raggiungere gli altri al campo di
allenamento.
TSUBASA
Dove mi trovo?…Se solo
riuscissi a ricordare qualcosa ma la nebbia pare avere inghiottito
tutto…Ricordo solo che stavo camminando per strada. Ero uscito dall’albergo
per fare una passeggiata. Poi ricordo Nakazawa san…ricordo solo
il viso di Nakazawa san chino su di me…no, non è possibile perché
mai lei dovrebbe essere qui…Qui? Dove sono? A Tokyo…no ecco ora
ricordo il quadrangolare negli Stati Uniti.
Cercai di scendere dal
letto o a muovermi ma mi accorsi di avere la gamba bloccata e in
trazione. Solo in quel momento riacquistai completamente lucidità
e mi resi conto di essere in Ospedale avevo anche una flebo nel
braccio
La vista fuori dalla
finestra era quella della Baia di San Francisco, in lontananza potevo
scorgere il Golden Gate e più lontano la sagoma dell’Isola di Alcatraz…Ero
uscito dall’albergo del ritiro per andare a fare footing come tutte
le mattine…
La porta si aprì e una
donna in camice bianco entrò nella stanza, è un’ infermiera…No sulla
targhetta c’era scritto Dott. Nakazawa. Sanae. Medico. La guardai
meglio in viso quasi a volermi sincerare di quello che vedevo…Era
proprio lei…Sanae…quanto tempo:
- Nakazawa san
- Sei sveglio…- dal
suo tono sembra sollevata, provai a muovermi per voltarmi verso
di lei
- No hai ancora la flebo
attaccata al braccio
- Che…che è successo…-
mi accorsi di mormorare con difficoltà
- Hai avuto un incidente
Ozora kun, due giorni fa ti hanno investito con la macchina…
- La gamba mi fa male…
- Vedrò di farti avere un leggero antidolorifico
- disse dando una scorsa alla cartella clinica - E’ per via dell’operazione.
Hanno dovuto ricostruirti i legamenti del ginocchio e metterti una
placca per aiutare il femore a saldarsi. Avevi una brutta frattura
esposta.
- Non mi ricordo…- ogni
istante che passa parlare mi risultava sempre meno difficoltoso
- E’ normale si chiama
amnesia post traumatica. Hai rimosso tutto ciò che riguarda l’incidente…
- Ricordo te…- mormorai
- Già…Uscivo in quel
momento dal parco dopo aver fatto footing…Sei stato fortunato, a
quell’ora di solito non c’è quasi nessuno in giro di sabato mattina
- Puoi restare un po’
o devi andare? – le chiesi
- Sì posso restare…ho
finito il mio turno
- Lavori qui?
- Sì sto terminando
il preassistentato di chirurgia in Pronto Soccorso
- Ah, sì mi avevano
detto che ti eri trasferita negli Stati Uniti dopo il diploma.
- Cosa ci fai tu qui?
- mi interruppe con un tono strano mentre un lampo di dolore fugace
come un lampo le attraversò lo sguardo
- Mi hanno investito
da quel che ricordo…
- Questo lo so…Volevo
dire cosa devi fare a San Francisco?
- Non lo sai? Ero qui
per giocare un quadrangolare con diverse squadre per i Mondiali
Lei volse lo sguardo
verso la finestra:
- No, non lo sapevo…Non
seguo più il calcio ormai…
Ci guardammo per qualche
istante…Nessuno dei due parlò…C’è qualcosa di strano, un’atmosfera
che non c’era mai stata tra noi, quasi di imbarazzo o fastidio da
parte sua
- Quando hai dato i
primi segnali di risveglio ho chiamato i ragazzi…Adesso li avverto
che stasera possono venire ora sarà meglio che riposi…- si fermò
ancora un istante mi guardò fisso…Era lì ferma con le mani in tasca
del camice…mi pareva quasi strano vederla così…E per un’ attimo
un’altra immagine si sovrappose…quella di una piccola ragazzina
con una fascetta tra i capelli e una divisa scolastica che sventola
una bandiera…mi guardava fisso e io girai il volto dall’altra parte
se c’è una cosa che non riuscivo a sostenere è il suo sguardo non
so perché: mi pareva che mi trafiggesse il cuore.
Ecco ora è appena uscita,
si è richiusa la porta alle spalle e io mi ritrovo a fissare il
punto dove lei è sparita…Sono anni che non la vedo…Da quando ho
seguito Roberto in Brasile…La cosa strana è che mi era mancata…Sempre…quando
giocavo, quando vincevo, quando perdevo quando mi infortunavo…
E ora lei è qui di nuovo
vicino a me come in passato, ma la sento così distante, è come se
ci separasse un abisso…D’improvviso una conversazione mi tornò alla
mente. L’ultima sera di Parigi quando io Taro e Ishizaki ci eravamo
visti nella stanza di Genzo per fare una specie di rimpatriata prima
che ognuno ritornasse a ca