Only One Road

INCROCI

SANAE

La sveglia programmata con lo stereo si accese e la melodia prescelta si diffuse nell’aria strappandomi dagli ultimi brandelli di sogno…Tirai fuori un braccio dalle coperte in cerca del telecomando posato sul comodino, ma nel movimento lo urtai facendolo cadere a terra. Emersi dal letto sporgendomi a guardare il pavimento… Ripensando al sogno che avevo fatto… mi ritrovai a mormorare

…Dopo tutti questi anni…”

Con un balzo scalciai via le coperte e mi alzai, le note della canzone continuavano ad aleggiarmi intorno e senza rendermene conto cominciai a canticchiare il ritornello:

There is only one road I’m walkin’

Only one lifetime, one heart to guide me
Only one road I’m walkin’

But I’m gonna run back, I’m gonna run back

‘Cause I need you right here

Beside me” (1)

Mentre mi facevo una doccia, cercai di scacciare dalla mia mente le ultime immagini del sogno. Lo avevo sognato di nuovo…Ogni tanto capitava, che la sua immagine si infilasse tra i miei sogni e ogni volta mi lasciava stordita perché era come se in fondo il suo ricordo non volesse andare via, restando pervicacemente attaccato al mio cuore…C’era stato un tempo in cui la mia vita  aveva ruotato attorno a lui hai suoi sogni alle sue aspirazioni dimenticando di me stessa di quello che potevo volere o anche solo sperare per me…Come avevo potuto cancellare così me stessa, annullarmi per lui, credere che…Per poi finire col ritrovarmi con solo un pugno di illusioni tra le mani…Scacciando quei pensieri sterili mi vestii e uscii dirigendomi vero il Golden Gate Park.

Adoravo correre per il parco a quell’ora. Non c’era quasi mai nessuno e mi pareva di essere sola al mondo circondata da tutto quel verde. Mi serviva a fare un po’ di scorta di ossigeno e quasi di vita, visto che poi sarei stata in ospedale per le prossime 48 ore…non mi pesava mi piaceva stare in Ospedale ma a volte il fatto di non uscire per tutto quel tempo mi rendeva un po’ claustrofobica…Ero sempre stata abituata a stare all’aperto sin da ragazzina.

Ferma in fondo al viale del parco per riprendere fiato guardai l’orologio che avevo al polso sospirando rassegnata: era ora di tornare in ospedale per cominciare il mio turno che sarebbe finito solo da lì a due giorni…Peccato che questi momenti durassero così poco.

Mi ero trasferita in America per studiare Medicina e la voglia di lasciarmi alle spalle la vita precedente che sentivo non appartenermi più. Quando avevo cominciato il mio internato al San Francisco Memorial Hospital al terzo anno ero capitata con il Dott. Jeremy Walken…il miglior chirurgo toracico di tutti gli Stati Uniti d’America. Era sicuramente un grande chirurgo ma anche un uomo dal carattere impossibile, su cui si raccontavano ogni genere di aneddoti e tutti molto poco simpatici su come trattava gli internisti che capitavano con lui. “ Benvenuta all’ inferno…” mi aveva detto al mio primo giorno con lui…Ed effettivamente mi aveva fatto letteralmente sputare sangue…per tutto quel primo anno…ma avevo imparato di più osservandolo al lavoro in quell’anno che non su tutti i testi medici che mi sciroppavo fino alle tre di notte…Ripensando a quelle cose mi girai su me stessa per invertire la direzione ma un dolore lancinante alla caviglia mi fece accasciare al suolo con un gemito…Provai a rialzarmi in piedi appoggiandomi al piede ma il dolore mi faceva vedere le stelle…Dovevo però stringere i denti e sbrigarmi ad arrivare in ospedale avevo una riunione importante con Walken prima di cominciare con il mio turno….Se fossi arrivata tardi chi lo sentiva. Ricordavo ancora con un brivido il mio primo incontro con quell’uomo:

- Buongiorno dottore -

Il dottor Walken mi aveva guardato per un istante come cercando di ricordare qualcosa:

- Sono la nuova tirocinante...- avevo spiegato io

- Ah bene, bene...Carne fresca - si era sfregato le mani, e dopo aver spento il computer aveva cominciato a sfogliare la cartella che gli avevo consegnato - Allora signorina Sanae Nakazawa giusto?- aveva chiesto piantandomi in viso il suo sguardo indagatore che usava con tutti i giovani assistenti che si presentavano per un colloquio - Lei è Giapponese?

- Sì - avevo annuito un po’ intimidita ma sostenendo quello sguardo. L'uomo che avevo di fronte era forse il migliore cardiochirurgo di tutto il paese: si diceva che stava portando avanti il progetto per un rivoluzionario cuore artificiale. Fare il preassistentato con lui era una fortuna o un incubo di pochi prescelti…

Il dottor Walken chiuse la cartella davanti a lui, prese un plico di fotocopie rilegate con una spirale dal suo cassetto e me lo porse:

- Allora, oggi è il suo primo giorno di preassistentato. Questo è il programma del tirocinio: elenca i seminari e le esercitazioni che sarà tenuta a seguire. Ne perda una e il suo punteggio ne risentirà. Seminario vascolare Lunedì 16:00/17:00; Patologia 17:00/ 19:00; Radiologia Lunedì 7:00;Chirurgia vascolare Lunedì, Martedì e Mercoledì 7:00; relazione a me tutti i Venerdì mattina alle 7:00. Sarà di guardia cinque giorni a settimana dalle 5:00 A.M. alle 19:00 P.M. Di guardia ogni tre week - end e ogni tre notti; il che vuol dire che ogni tre giorni starà qui dalle 5:00 di mattina alle 19:00 almeno del giorno dopo. Domande? No? Bene può andare ci vediamo venerdì mattina alle sette, puntuale mi raccomando..Benvenuta all’Inferno...- aveva concluso con un tono che non ammetteva repliche caso mai ce ne fossero state. Mi ero alzata per uscire dall'ufficio sentendomi un poco frastornata, lungo il corridoio incontrai la dottoressa Dana Carter che mi aveva accolto quella mattina e che sarebbe stato il mio supervisore nel tirocinio in Pronto Soccorso:

- Allora come è andata?- mi aveva domandato con un cenno del capo verso l'ufficio di Jeremy Walken.

- Mi sento come se mi avesse travolto un uragano...- le avevo confidato

- Il dott. Walken è il peggior incubo di qualunque interno, non dorme mai, non mangia mai e legge ogni pubblicazione medica. I tirocinanti come te se li mangia a colazione...-  aveva ribattuto l'altra

- Non aveva detto che non mangiava mai? -  avevo osservato sperando che  stesse solo scherzando

Dana Carter  era scoppiata a ridere, aveva una risata allegra:

- Già è vero ma tu non lasciarti spaventare dalle apparenze: non potresti desiderare insegnante migliore, sappilo. E' solo un anno, vedrai che ce la farai. Oramai non possono più buttarti fuori, magari solo renderti la vita impossibile al punto da supplicare il licenziamento magari...-

L’avevo di nuovo guardata cercando di capire se scherzasse o meno.

Erano stati mesi difficili proprio come aveva predetto Dana ma ora avevo la possibilità di scegliere che Assistentato fare per i prossimi anni e la Cardiochirurgia mi entusiasmava particolarmente, giusto la settimana scorsa avevo fatto pervenire la mia richiesta al dottor Walken di essere accolta tra i suoi assistenti e ora aspettavo con ansia una risposta, chissà forse oggi durante la relazione che dovevo fargli come ogni settimana mi avrebbe detto qualcosa…Ecco un motivo in più per affrettarmi a prendere servizio.

Forse potevo cercare di raggiungere l’uscita del parco e poi avrei potuto prendere un taxi per farmi portare al San Francisco Memorial Hospital dove stavo facendo il mio internato in chirurgia.

Zoppicando mi diressi in quella direzione. Maledicendo la mia abitudine di uscire a fare footing senza cellulare almeno avrei potuto avvertire in Ospedale anche se questo non mi avrebbe certo evitato la sfuriata del dott. Jeremy Walken il primario del reparto…

Mi fermai un istante all’entrata del Golden Gate Park guardandomi in giro in cerca di un taxi a cui fare segno di fermarsi ma sulla strada in quel momento non passava nessuno, sorrisi tra me: cosa mi aspettavo erano quasi le 6:00 del mattino di sabato. Dovevo rassegnarmi a farmela a piedi fino alla prossima fermata del tram…

Eppure qualcuno c’era. Osservai notando una figura avanzare correndo dall’altro lato della strada: indossava una tuta nera e una di quelle felpe con il cappuccio calato sul viso, al collo aveva un asciugamano. Lo vidi prepararsi ad attraversare la strada guardando distrattamente prima a destra e poi a sinistra. Nel momento che fu quasi in mezzo alla carreggiata udii un rumore provenire dalle mie spalle, quando mi volsi vidi un’auto scura che a tutta velocità si dirigeva verso di lui.

La persona che stava attraversando pareva non aver udito nulla:

- Ehi tu fai attenzione…- urlai con tutto il fiato che avevo in gola

Solo in quel momento l’uomo parve riscuotersi dai suoi pensieri ma ormai era troppo tardi saltò di lato ma la macchina lo prese in pieno alla gamba scaraventandolo sul marciapiede a pochi metri da me. Con difficoltà mi slanciai verso di lui per prestargli i primi soccorsi…Vidi che la posizione della gamba era innaturale e che l’osso del femore fuoriusciva dal tessuto della tuta. Mi chinai su di lui posandogli due dita all’altezza della giugulare…il battito era regolare.

Alla cintura accanto al walk man aveva un cellulare lo presi e composi il 911 del San Francisco Memorial Hospital avvertendoli di mandare un’ambulanza all’uscita del Golden Gate Park e di allertare Micheal Kronk il chirurgo ortopedico…

- Nakazawa san…? – lo sentii mormorare mentre chiudevo la comunicazione

Il cuore mi diede un balzo nel petto mentre posavo i miei occhi sul viso di Tsubasa Ozora…

Mentre la sirena dell’ambulanza lacerava l’aria perse i sensi.

Entrai al Pronto Soccorso zoppicando e con una tale espressione dolorante sul volto che Dana Carter il medico di turno al Pronto Soccorso quella mattina mi si fece incontro:

- …Che ti è successo?

- Nulla di grave…solo uno stupido movimento rotatorio e la caviglia ha ceduto…Ma non preoccuparti…occupiamoci di lui…

- Ho avvertito Micheal, sta scendendo. Ma vorrei dare un occhiata alla tua caviglia

- Lascia perdere…

- Complimenti…mi stavo giusto chiedendo dove fosse finita…- la voce di Walken mi sovrastò

- Dottor Walken, ecco io…- tentai di spiegare sapendo che sarebbe stato tutto inutile

- Lasci stare le giustificazioni e si faccia medicare quella caviglia. Poi mi raggiunga nel mio ufficio … - e senza aspettare risposta si volse e si incamminò verso l’ascensore

Sospirai:

- Ma vive qui?

- Probabilmente…- mi rispose Dana costringendomi a seguirla in una delle sale di medicazione

- Ma…- cercai di protestare seguendo con gli occhi la barella di Tsubasa scomparire in sala emergenze 1

- E’ in buone mani dai vieni…

Più tardi seduta a un tavolino dello spaccio dell'ospedale lasciai raffreddare il caffè che mi ero servita ritrovandomi a pensare ai casi della vita che aveva riportato sulla mia strada Tsubasa dopo tutto questo tempo, se c’era dell’ironia in tutto questo io non riuscivo a vederla…Ricordavo ancora tutto di quel giorno quando la mia vita era andata in frantumi e le immagini dei ricordi cominciarono a scorrere un po’ sbiadite sullo schermo della mia memoria nonostante io non avessi fatto nulla per richiamarle…Era come rivedere un film che conoscevo a memoria e che riapriva una ferita che da tempo credevo rimarginata.

Ci sono momenti nella vita di ognuno, che segnano quasi uno spartiacque una linea di confine, momenti in cui il futuro non sarà più come prima e il passato acquista solo la funzione di un pesante fardello che ci si porta appresso per il resto della vita cercando di vivere ignorandolo…fino a quando ci è possibile…ma a volte tutto ritorna come se per uno strappo del tessuto temporale passato e presente si fossero mescolati e noi non sappiamo più come muoverci lì in mezzo.

L’ aeroporto internazionale di Narita era quasi completamente deserto in quel pomeriggio estivo. Ero nervosa e impaziente; come al solito per arrivare in orario ero arrivata con un largo anticipo e ora mi sarebbe toccato aspettare più di mezzora. Continuavo a Fissare il tabellone con gli orari delle partenze e degli arrivi, puntando gli occhi su un orario di arrivo preciso e guardavo spesso l’orologio che avevo al polso come se questo potesse far muovere più velocemente le lancette, che ogni volta che le guardavo parevano ferme immobili nello stesso identico punto di prima. Decisi di distrarmi facendo quattro passi avanti e indietro. Arrivai all’edicola e la mia attenzione fu attirata dalla copertina di un giornale sportivo su cui spiccava una foto sorridente di Tsubasa Ozora…”La nuova rivelazione del calcio giovanile giapponese…” era il titolo e sotto a caratteri cubitali: “Intervista esclusiva”…

Lo comprai sorridendo orgogliosa…Sì non potevo fare a meno di essere orgogliosa di lui. Avevano vinto…Avevano battuto 3 – 2  la Germania di Karl Heinz Schneider…Erano stati grandi…

Mi sedetti su una delle scomode poltroncine nella sala d’attesa per leggere con tutta calma l’articolo. Attorno a me non c’era nessuno.

Un improvviso freddo mi invase il cuore paralizzandomi quando giunsi a metà dell’articolo dove il cronista riportava queste testuali parole dette dal giovane campione:

Non tornerò in Giappone con la Nazionale. Partirò invece per il Brasile al seguito di Roberto Hongo per giocare nel San Paulo…”

Ogni lettera era una pugnalata al mio cuore. Sentii che gli occhi mi si riempivano di lacrime…lasciai scivolare il giornale a terra, coprendomi il volto con le mani e lasciando che singhiozzi di disperazione mi scuotessero le spalle…Lo sapevo che un giorno sarebbe successo e avevo avuto modo di prepararmi ma ora…che il giorno era arrivato davvero non potevo, non riuscivo a controllare il dolore…

Anche se lo avevo desiderato con tutta me stessa, non potevo più continuare  a sperare che le cose potessero cambiare. Non adesso con lui dall’altra parte dell’Oceano a inseguire il suo sogno…Non si era mai accorto di me, non  mi aveva mai considerata altro che la Manager, l’amica, la tifosa più accanita e sempre presente ma da lì ad accorgersi dei miei sentimenti…C’era qualcosa di distruttivo nell’ indifferenza anche se poi vera indifferenza non era…

La voce del controllore di volo annunciò in quel momento l’arrivo del volo da Parigi, e io desiderai solo scappare andarmene lontano, non avrei retto agli sguardi pietosi degli altri quando mi avessero vista o peggio alle battute di Ishizaki.

Poi, però, mi feci coraggio, ricacciando indietro le lacrime dicendomi che in fondo era lì anche per loro, che anche loro avevano vinto il Mondiale Juniores…Mi alzai dalla poltroncina, raccogliendo il giornale e mi avviai al cancello di sbarco dando un’ultima occhiata alla foto sorridente di Tsubasa sulla copertina prima di gettare la rivista nel primo cestino che incontrai sulla mia strada:

"Ti auguro tutto il bene possibile…"

- Dott. Nakazawa vedo che oggi non mi riesce di parlarle…

Sussultai alla voce del dottor Walken e solo allora mi ricordai che mi aveva dato appuntamento nel suo ufficio:

- Mi scusi…

- Non fa nulla…il suo amico come sta?

Non rimasi stupita del fatto che sapesse che conoscessi Tsubasa Ozora…Jeremy Walken pareva avere quello strano potere, concesso a pochi, di leggere nei cuori delle persone:

- Micheal Kronk lo sta operando, ha detto che mi avrebbe informata appena terminata l’operazione…

- Lo conosce da molto?

- Eravamo compagni di scuola…praticamente siamo cresciuti assieme

- Non era Tsubasa Ozora? La stella della Golden Generation Giapponese?

Questa volta non potei fare a meno di guardarlo con sorpresa:

- Sì, ma lei…

- E’ su tutti i giornali sportivi. La Nazionale nipponica è qui per partecipare a un Torneo quadrangolare con Stati Uniti, Brasile e una rappresentativa Europea…E poi faranno un altro giro di amichevoli con alcune squadre americane

- Non ne ero al corrente – mi ritrovai a mormorare

Allora erano tutti qui. Erano anni che non vedevo nessuno di loro, anche perché da che mi ero trasferita negli Stati Uniti avevo cercato di cancellare tutto di quel passato, avevo anche smesso di interessarmi al calcio…e dopo che anche la mia famiglia mi aveva raggiunta per gli studi di mio fratello avevo perso ogni legame con il passato

- Ho scelto i tirocinanti per Cardiochirurgia, ho appeso i nomi dei prescelti nella bacheca del terzo piano ma volevo essere il primo a farle le congratulazioni dottoressa Nakazawa

- Mi sta dicendo…- non riuscii a finire la frase mentre il cuore mi martellava nel petto talmente forte che temevo potesse uscirne fuori e andarsene in giro per l’ospedale

- Dall’anno prossimo, farà parte del mio staff di cardiochirurgia

Si alzò dopo avermi stretto la mano e si allontanò. Spinta da una energia nuova mi alzai lasciando da parte i ricordi e concentrandomi sul presente…Non riuscivo a crederci…Walken mi aveva accettata come assistente. Da questo punto cominciava una nuova strada con le sue curve, le sue salite, le sue asperità ma anche con le sue sorprese dietro l’orizzonte. E io ero pronta ad affrontarle senza paura.

Il Pronto Soccorso quel giorno era tranquillo solo casi di routine come piccole suture e incidenti domestici, mi sedetti in una saletta a rivedere le cartelle dei pazienti di quel giorno e le loro terapie.

- Allora Sanae cosa stai facendo qui tutta sola…– disse Dana occupando una sedia vuota accanto a me

- Stavo aspettando che terminassero l’intervento…Micheal mi ha detto che me lo avrebbe fatto sapere

- Quello non era Tsubasa Ozora? Il campione Giapponese che gioca in Spagna nel Barcellona? Mi pare di aver visto un articolo su di lui in una rivista sportiva nell’ufficio di Micheal

- Già…- mormorai – La rivelazione del calcio giapponese…

- Come fai a conoscerlo…

- Ero la manager della squadra di calcio della scuola dove ha esordito…

- Compagni d’infanzia allora…

- Più o meno…- alzai la testa ad incontrare lo sguardo di Dana.

Lei mi sorrise:

- Il tuo caffè è freddo Sanae - esclamò con aria disgustata dopo aver bevuto un sorso dalla mia tazza. Senza aspettare una mia risposta si alzò e ritornò poco dopo con due tazze fumanti di caffè

La guardai, era una donna dal viso minuto di ragazzina, con i capelli biondo cenere e due occhi azzurri sempre sorridenti e un sorriso contagioso. Dana faceva parte dello staff di Pronto Soccorso da molto tempo…Eravamo diventate subito amiche quando avevo cominciato a lavorare al San Francisco Memorial Hospital, mi aveva aiutato molto ad ambientarmi nei primi mesi e durante i momenti di sconforto aveva sempre trovato una parola per tirarmi su di morale. Lei e suo marito Micheal erano praticamente gli unici amici che avessi…

- Ehi…Sanae? Ci sei?- mi riscossi

Dana mi stava scotendo una mano davanti agli occhi

- Dicevi scusa…

- Ti ho chiesto se ti va di parlarne…

Mi strinsi nelle spalle:

- Non c’è molto da dire…

- Mi pare invece che tu abbia una voglia matta di sfogarti con qualcuno

- La cosa non è molto interessante…- cominciai a raccontare sotto lo sguardo attento di Dana che non mi interruppe mai lasciando che il passato fluisse davanti a noi con le sue immagini, solo alla fine dopo alcuni istanti di silenzio posò una mano sulla mia e mi disse.

- E’ per questo che sei venuta qui? Eri innamorata di lui?

- Anche ma soprattutto avevo bisogno di cambiare aria, mondo. Là tutto mi ricordava lui…Quando stamani me lo sono trovato lì steso per terra è stato come se il passato mi investisse violentemente, credevo di averlo dimenticato di averlo strappato dal mio cuore, e invece mi sono ritrovata a combattere con quel batticuore ancora una volta…

- Mi era sembrato che fossi meno fredda oggi in sala emergenza…

- Quando ho visto in che condizioni era il ginocchio…mi sono sentita gelare e poi la frattura esposta del femore

- Prima di azzardare una diagnosi aspettiamo che Micheal concluda l’intervento, poi occorrerà attendere i riscontri post operatori e la riabilitazione

- Sai l’anno prossimo ci sono i Mondiali in Giappone e Corea…Il suo sogno era di vincere la Coppa del Mondo…- dissi con amarezza

- Aspettiamo a fasciarci la testa…- il suo sorriso era sempre incoraggiante

- Sai – la guardai incerta – ho appena parlato con Walken…

- Lo so ho visto l’elenco in bacheca…Bisogna festeggiare no?

La voce gracchiante dell’altoparlante ci interruppe:

- La dottoressa Nakazawa è desiderata  all’accettazione…

Mi alzai sospirando salutando Dana che mi richiamò indietro:

- Ehi perché non vieni a cena con me e Micheal una di queste sere?

- Ci sentiamo più tardi – le risposi

- Guarda che io prenoto il ristorante…

Mi diressi verso il Pronto Soccorso chiedendomi cosa potesse essere successo guardai l’orologio non poteva essere Micheal Kronk, non ancora almeno…mi bloccai appena fuori dall’ uscita delle scale quando vidi alcuni componenti della Nazionale giapponese fermi davanti al banco dell’accettazione che mi davano le spalle. Nessuno di loro si era ancora accorto di me, e io mi presi qualche istante prima di farmi avanti…intravidi il cappellino rosso di Genzo Wakabayashi vicino a lui Ryo Ishizaki e Taro Misaki. Mi feci coraggio prendendo un bel respiro e mi avvicinai:

- Penso vogliate parlare con me…- dissi assumendo un tono professionale

Al suono della mia voce si volsero tutti smettendo di parlottare improvvisamente forse sorpresi di sentire parlare in Giapponese…Tutti mi stavano squadrando ma il primo a riconoscermi fu Genzo:

- Nakazawa…Sanae?

- Che????- la voce di Ryo si fece piuttosto alta richiamando l’attenzione di alcuni pazienti che si voltarono verso di noi – Anego???Non può essere

- Silenzio siete in un Pronto Soccorso- li rimproverai – Venite con me…

Sorridendo mio malgrado li guidai nella saletta dei medici dopo essermi accertata che in quel momento fosse vuota

- Come state?- chiesi loro guardandoli uno per uno

- Tu piuttosto, non sapevamo fossi qui…- Genzo pareva l’unico ad  aver superato la sorpresa

- Io lavoro qui. Sono assistente in Pronto Soccorso – precisai

- L’Ospedale ha chiamato in albergo dicendo che Tsubasa è ricoverato qui…

- Tsubasa è stato investito stamani alle 6:00 davanti al Parco, presumibilmente da un pirata della strada ubriaco…

- E tu come lo sai?

- Ero presente…Uscivo dal parco e ho assistito all’incidente

- Ora come sta? – la voce Taro tradiva la preoccupazione per il compagno

- Aveva l’articolazione del ginocchio sinistro completamente distrutta. E una brutta frattura esposta del femore…Non so dirvi altro per ora. Il chirurgo lo sta operando al ginocchio…

Il silenzio calò di nuovo tra noi, mi faceva effetto stare di nuovo in mezzo a loro, il tempo pareva non essere mai trascorso

- Sanae le sue condizioni? – la voce di Genzo mi fece sussultare

- Per ora sono stazionarie…per essere più precisi aspettiamo

- Possiamo vederlo, quando uscirà dalla sala operatoria?

Scossi la testa:

- Non subito magari nei prossimi giorni…Cosa ci fate qui?

- Un giro di amichevoli in vista dei mondiali…

- Ci pensate voi ad avvertire la famiglia in Giappone? Credo che la sig. Natsuko vorrà venire

-  I genitori di Tsubasa sono morti Sanae…

- Quando?- chiesi con voce rotta

- Due anni fa in un incidente…Non lo sapevi?

- Non torno in Giappone da quando sono venuta qui al college, e i miei sono a Chicago visto che mio fratello studia lì…- spiegai mentre il sorriso della mamma di Tsubasa mi balenava davanti agli occhi. Era stata sempre così gentile con me…i primi tempi che Tsubasa era in Brasile capitava che mi invitasse qualche volta a bere un tea magari per fare quattro chiacchiere…Poi io ero partita subito dopo il diploma e le avevo promesso che le avrei scritto ma non lo avevo mai fatto, avevo bisogno di rompere ogni legame con il passato…Mi sentivo in colpa ora per non aver mantenuto i contatti…

- Quando possiamo tornare?

- Quanto rimanete a San Francisco?

- Fino alla fine del mese

- Se ci sono novità vi chiamo in albergo OK?

La porta della saletta venne aperta e il Dottor Walken fece il suo ingresso:

- Dottoressa Nakazawa…

Mi feci avanti scostando i ragazzi che erano davanti a me:

- Mi dica Dott. Walken

- Uh? Cosa c’è un invasione di giapponesi?

- Sono i compagni di squadra di Ozora dottore, stavo spiegando loro le sue condizioni

- Ah, ero appunto venuto a cercarla per dirle che Kronk ha finito l’intervento.

- Arrivo subito…Ragazzi se potete aspettatemi vi farò sapere qualcosa…

Seguii il Dottor Walken ma prima mi voltai a sorridere loro per rassicurarli ma nei loro occhi potevo leggere la stessa preoccupazione che attanagliava il mio animo

- Allora Nakazawa, ……

Eravamo arrivati intanto al piano del reparto di Chirurgia ortopedica e io scesi, mentre il dottor Walken proseguì per il piano successivo ma prima  che le porte si richiudessero davanti a lui le bloccò richiamandomi indietro:

- Lo legga e per venerdì prossimo mi presenti una sua relazione - disse porgendomi un plico di pagine sulla cui copertina era scritto a lettere rosse “ La chirurgia mini -  invasiva e l’evoluzione verso la chirurgia robotica nella Cardiochirurgia. ”. Prima che potessi dire qualcosa le porte si richiusero davanti a me…

Micheal Kronk mi venne incontro con ancora indosso l’abbigliamento da sala operatoria:

- Micheal allora che mi dici?

Si passò una mano tra i capelli, con aria stanca:

- Ho effettuato una ricostruzione artroscopica dei legamenti crociati anteriore e posteriore dell’articolazione del ginocchio. E messo una placca di metallo al femore per ridurre la frattura…Il muscolo è lesionato ma non deve essere nulla di grave…Vedremo dopo la riabilitazione del ginocchio come si sarà saldato l’osso.

Lo ringraziai e mi diressi verso l’ascensore per tornare in accettazione a comunicare ai ragazzi le ultime novità, nel corridoio incontrai Dana:

- Fammi sapere quando prenotare il ristorante - mi disse

In accettazione trovai i ragazzi che mi aspettavano impazienti per tornare in albergo e avvertire l’allenatore delle condizioni di Tsubasa. Gli dissi quello che mi aveva detto Kronk e aggiunsi:

- Ora possiamo solo aspettare…

GENZO

Cammino per le strade di San Francisco perso nei miei pensieri. Non so perché tutte le mattine mi ritrovo ancora a correre è un’abitudine ormai a cui non posso rinunciare. Più tardi andrò a trovare Tsubasa ma l’immagine che mi torna alla mente non è quella del mio più caro amico e compagno di squadra che ora giace in un letto, con il ginocchio ricostruito e una placca di metallo all’osso del femore. Certo questo incidente non ci voleva con i mondiali alle porte e tutto il resto. Non è stato un buon periodo per Tsubasa questo…la morte dei suoi genitori, il passaggio al Barcellona, e la perdita del Pallone d’Oro assegnato a quel giocatore italiano…come si chiamava?Ah sì…Alessandro Del Piero…e ora questo. Essere investito da un pirata della strada durante una trasferta con la Nazionale e per di più rincontrare Nakazawa..A volte la vita era proprio strana

Sanae Nakazawa.

Ci conoscevamo, dalle scuole elementari, ma il rivederla ha fatto un certo effetto a tutti noi. Ishizaki non smetteva di commentare la cosa ieri sera a cena. Certo sono quasi 10 anni ormai che non la vedevamo e che non avevamo notizie di lei, da quella volta che eravamo tornati da Parigi dopo aver vinto la Coppa del Mondo Juniores. Quel giorno quando eravamo atterrati con l’aereo e l’avevo vista là fuori dal cancello che ci aspettava  mi ero voltato indietro e avevo sibilato ai ragazzi guardandoli uno ad uno:

Il primo che le fa una battuta su Tsubasa farà i conti con me…” puntando lo sguardo soprattutto su Ishizaki quello tra noi che si divertiva più di tutti a punzecchiarla.

Non so perché lo dissi, io di solito mi ero sempre limitato a non intervenire in queste cose, non erano fatti miei, ma il vederla così mi aveva fatto, quasi, tenerezza. Da quel giorno aveva visto sparire il sorriso sul volto di Sanae, la sua solarità. Mi ero fermato in Giappone giusto il tempo di riprendermi dalle fatiche e poi ero ritornato in Germania e ripreso la mia carriera nell’Amburgo, non avevo più pensato a lei. Qualche tempo più tardi non ricordo chi, Taro Misaki, forse, mi aveva detto che Sanae se ne era andata, partita per l’America. Un’altra persona aveva preso la sua strada ricordo di aver pensato quella volta, e poi non ci avevo più pensato. Neppure quando ero stato convocato per quella serie di amichevoli in America. Mi fermai a guardare un po’ l’acqua dell’Oceano Pacifico sotto di me, e non potei fare a meno di sorridere amaramente…Convocato…A cosa serviva? Potevo tranquillamente restarmene a casa, tanto per quello che potevo fare…Scacciai quel pensiero cercando di concentrarmi su altri ragionamenti…Sanae…Quando me l’ero trovata davanti ci avevo messo un po’ a riconoscerla. Non sembrava neanche la Sanae che conoscevo un tempo: è diventata una bella donna completamente diversa da quella ragazzina in tuta che accompagnava le partite della squadra, certo ma non era solo quello…C’era qualcosa d’altro, ma non era solo quello ad avermi colpito…Gli occhi di Sanae quelli avevano attirato la mia attenzione, occhi di un castano caldo, così profondi e dolci ma in fondo ad essi ho scorto una nota di dolore…Mi ricordo ancora quando li avevo visti l’ultima volta: era una ragazzina, una ragazzina allegra e spensierata sempre sorridente mentre ora, invece, c’era qualcosa in fondo ai suoi occhi un velo di tristezza che oscurava tutto, era molto cambiata da allora, e non solo nel modo di vestire…Quando la vidi ad aspettarci fuori dal cancello di sbarco capii subito che lei sapeva che Tsubasa non era ritornato con noi…Non so chi glielo avesse detto, o se fosse una consapevolezza arrivatale al cuore in una sorta di “rivelazione”. Poi nei giorni seguenti vidi i giornali con le interviste rilasciate da Tsubasa “ la stella dei Mondiali Juniores di Parigi” alla stampa giapponese accreditata a Parigi e realizzai che forse l’aveva saputo nel modo peggiore…

Sanae era stata sempre una ragazzina irruenta…Mi scappò un sorriso…era un po’ riduttivo definirla così. In realtà era una vera forza della natura, scapestrata, scatenata il capo dei tifosi della Nankatsu. Eppure per Tsubasa aveva compiuto un cambiamento radicale. Come si poteva arrivare a modificare tanto sé stessi per qualcuno me lo ero sempre chiesto, cambiando completamente modo di fare e di comportarsi quasi annullandosi per l’altro…Avevo sempre ammirato la sua capacità di occuparsi degli altri, il suo essere così altruista; qualcosa che io non riuscivo a concepire, né a pensare di fare concentrato com’ero su me stesso e sulle mie mete. Per lei no, prima venivano gli altri, o meglio, Tsubasa Ozora e poi lei stessa…Mi ritornarono alla mente i ricordi del passato: non facevamo altro che litigare sempre, per ogni minima sciocchezza.

Sei solo un prepotente” mi diceva allora “prepotente e presuntuoso”

Nonostante tutto però avevo sempre guardato a lei con tenerezza, sapevo del dolore che Sanae nascondeva a tutti e che gli altri parevano non notare. A volte lei non si rendeva conto di quanto fosse trasparente in certi momenti. L’indifferenza verso i sentimenti che nutriamo nei confronti di una persona da parte della persona destinataria di questi sentimenti ha il potere di inaridire il cuore  e l’ animo. Anche oggi lei pensava di nascondere il dolore che quel passato le provocava ma in realtà ad un occhio attento che non si fosse fermato alle apparenze…era possibile scorgere delle piccole incrinature rivelatrici…che anche oggi avevo notato mentre ci rassicurava delle condizioni di Tsubasa…Rincontrarlo dopo così tanto tempo deve essere stato un shock e poi in queste circostanze e dopo quello che era successo…

Non le avevo parlato in quei giorni lontani, né so se qualcuno lo fece, e d’altronde cosa c’era da dire? Le parole non sarebbero servite a consolarla per quel dolore anche se forse lei in fondo sapeva che prima o poi sarebbe giunto questo giorno…Il giorno in cui Tsubasa avrebbe mollato tutto e tutti per realizzare il suo sogno…Il giorno in cui la sua vita sarebbe andata in pezzi una volta che era mancato il perno su cui si appoggiava…Mi ritrovai a sorridere amaro considerando che anche io ora mi trovavo nella stessa situazione…Una cosa diversa c’era però: io non avevo più alcuna speranza, neppure di un miracolo, ora ne ero certo, quando giocavo (contro il parere dei medici e all’insaputa di Tatsuo Mikami a cui non avevo detto nulla della diagnosi di Brinkmann) lo sentivo che la mia gamba ne risentiva e che non era più in grado di reggere certe uscite di gioco…Mentre per loro chissà…Il caso, il destino, o chi altro ci fosse dietro tutto questo, aveva riportato Sanae e Tsubasa l’uno sulla strada dell’altro…Chissà cosa potrà venirne fuori mi ritrovai a chiedermi. Tempi, momenti e persone diverse. Non che Tsubasa sia poi tanto diverso da allora. Per lui esiste solo il pallone ancora adesso. Certo ha smesso con quella litania “Boru wa Tomodachi” ma credo che sotto, sotto lo pensi ancora, lo vedo da come gioca, lui non è come me, lui fondamentalmente si diverte prima di tutto. Per lui il calcio non è una questione di orgoglio, di riuscita…Comunque non ero mai riuscito a capire che tipo di sentimenti provasse per Sanae o forse neppure si era mai posto il problema perso com’era nel suo tentativo di realizzare il suo sogno. Non c’era nulla di male in questo, ma la cosa spiacevole era che qualcun altro aveva dovuto soffrire per questo. Faceva parte della vita comunque, molte volte la felicità di qualcuno si fonda sul dolore di qualcun altro…

Ripresi a correre in mezzo al Porto aspirando l’aria salmastra e dirigendomi verso l’albergo dove eravamo alloggiati per concedermi una seduta in palestra prima di raggiungere gli altri al campo di allenamento.

TSUBASA

Dove mi trovo?…Se solo riuscissi a ricordare qualcosa ma la nebbia pare avere inghiottito tutto…Ricordo solo che stavo camminando per strada. Ero uscito dall’albergo per fare una passeggiata. Poi ricordo Nakazawa san…ricordo solo il viso di Nakazawa san chino su di me…no, non è possibile perché mai lei dovrebbe essere qui…Qui? Dove sono? A Tokyo…no ecco ora ricordo il quadrangolare negli Stati Uniti.

Cercai di scendere dal letto o a muovermi ma mi accorsi di avere la gamba bloccata e in trazione. Solo in quel momento riacquistai completamente lucidità e mi resi conto di essere in Ospedale avevo anche una flebo nel braccio

La vista fuori dalla finestra era quella della Baia di San Francisco, in lontananza potevo scorgere il Golden Gate e più lontano la sagoma dell’Isola di Alcatraz…Ero uscito dall’albergo del ritiro per andare a fare footing come tutte le mattine…

La porta si aprì e una donna in camice bianco entrò nella stanza, è un’ infermiera…No sulla targhetta c’era scritto Dott. Nakazawa. Sanae. Medico. La guardai meglio in viso quasi a volermi sincerare di quello che vedevo…Era proprio lei…Sanae…quanto tempo:

- Nakazawa san

- Sei sveglio…- dal suo tono sembra sollevata, provai a muovermi per voltarmi verso di lei

- No hai ancora la flebo attaccata al braccio

- Che…che è successo…- mi accorsi di mormorare con difficoltà

- Hai avuto un incidente Ozora kun, due giorni fa ti hanno investito con la macchina…

- La gamba mi fa male…

- Vedrò di farti avere un leggero antidolorifico - disse dando una scorsa alla cartella clinica - E’ per via dell’operazione. Hanno dovuto ricostruirti i legamenti del ginocchio e metterti una placca per aiutare il femore a saldarsi. Avevi una brutta frattura esposta.

- Non mi ricordo…- ogni istante che passa parlare mi risultava sempre meno difficoltoso

- E’ normale si chiama amnesia post traumatica. Hai rimosso tutto ciò che riguarda l’incidente…

- Ricordo te…- mormorai

- Già…Uscivo in quel momento dal parco dopo aver fatto footing…Sei stato fortunato, a quell’ora di solito non c’è quasi nessuno in giro di sabato mattina

- Puoi restare un po’ o devi andare? – le chiesi

- Sì posso restare…ho finito il mio turno

- Lavori qui?

- Sì sto terminando il preassistentato di chirurgia in Pronto Soccorso

- Ah, sì mi avevano detto che ti eri trasferita negli Stati Uniti dopo il diploma.

- Cosa ci fai tu qui? - mi interruppe con un tono strano mentre un lampo di dolore fugace come un lampo le attraversò lo sguardo

- Mi hanno investito da quel che ricordo…

- Questo lo so…Volevo dire cosa devi fare a San Francisco?

- Non lo sai? Ero qui per giocare un quadrangolare con diverse squadre per i Mondiali

Lei volse lo sguardo verso la finestra:

- No, non lo sapevo…Non seguo più il calcio ormai…

Ci guardammo per qualche istante…Nessuno dei due parlò…C’è qualcosa di strano, un’atmosfera che non c’era mai stata tra noi, quasi di imbarazzo o fastidio da parte sua

- Quando hai dato i primi segnali di risveglio ho chiamato i ragazzi…Adesso li avverto che stasera possono venire ora sarà meglio che riposi…- si fermò ancora un istante mi guardò fisso…Era lì ferma con le mani in tasca del camice…mi pareva quasi strano vederla così…E per un’ attimo un’altra immagine si sovrappose…quella di una piccola ragazzina con una fascetta tra i capelli e una divisa scolastica che sventola una bandiera…mi guardava fisso e io girai il volto dall’altra parte se c’è una cosa che non riuscivo a sostenere è il suo sguardo non so perché: mi pareva che mi trafiggesse il cuore.

Ecco ora è appena uscita, si è richiusa la porta alle spalle e io mi ritrovo a fissare il punto dove lei è sparita…Sono anni che non la vedo…Da quando ho seguito Roberto in Brasile…La cosa strana è che mi era mancata…Sempre…quando giocavo, quando vincevo, quando perdevo quando mi infortunavo…

E ora lei è qui di nuovo vicino a me come in passato, ma la sento così distante, è come se ci separasse un abisso…D’improvviso una conversazione mi tornò alla mente. L’ultima sera di Parigi quando io Taro e Ishizaki ci eravamo visti nella stanza di Genzo per fare una specie di rimpatriata prima che ognuno ritornasse a ca