Capitolo 1
"Torniamo a casa assieme Sakura-chan?"
"Oggi no, mi spiace
ho degli impegni
"
Affacciata all'ampia finestra della mia classe respiravo quell'aria fresca
e frizzante che la Primavera porta con sé nel mio paese.
Con sguardo trasognato guardavo verso il basso, tra quella folla di studenti
che lesti si apprestavano a far ritorno alle loro case, cercando di scorgere
la sua figura, inutilmente.
Lasciavo così che i miei occhi si perdessero in lontananza, fin
quasi a sfiorare l'orizzonte coperto dalle dolci colline che circondano
questa zona, e rimanevo ad osservare per qualche minuto, coi gomiti sul
davanzale, i maestosi alberi di ciliegio del parco.
Accadeva spesso di questi tempi, che dentro di me, in un angolo profondo
del mio cuore, un forte senso di paura e di malinconia prendesse il sopravvento
su tutto, quasi avvolgendo la mia mente in una nebbia fitta e densa come
il latte, e con l'anima come stretta in una morsa mi abbandonavo tra le
lacrime.
Questa sensazione non si mostrava chiara ai miei occhi, questa forte tensione
non si presentava alla mia mente come una immagine ben definita, come
qualcosa che io potessi chiamare per nome; nonostante ciò, sapevo
benissimo di cosa si trattasse, e forse proprio per questo, mi sforzavo
di non riconoscerla.
Durante le lezioni qui a scuola, riuscivo a non sentirmi così oppressa
da quella tensione, in quanto mi trovavo costretta a concentrarmi su altre
cose
; però, quando la campanella con la sua lenta melodia
sanciva la fine delle lezioni, nel mio cuore scendeva quell'alone di tristezza,
che avrebbe continuato ad avvolgermi interiormente per tutta la giornata.
Ma i petali rosa dei ciliegi in fiore
quelli, non so come, riuscivano
a illuminarmi il cuore, a farmi sentire subito meglio.
Forse è per via del mio nome, non lo so [Sakura vuol dire "ciliegio"];
so solo che ogni qual volta li vedo ondeggiare nell'aria, in queste solari
giornate primaverili, posarsi sopra i muri e colorare tutto di quelle
loro chiare tonalità, in me è come se si accendesse la speranza,
e le ombre che mi fanno star male venissero spazzate via.
Presi la mia cartella, e come avevo detto a Sachiko, non tornai a casa.
Volevo passare da lui, volevo vederlo, sapere come stesse.
Io e Ken siamo amici sin dall'infanzia.
Da bravi amici un tempo stavamo sempre insieme, anche perché abitavamo
uno affianco all'altro, prima che i suoi si trasferissero in un'altra
casa, ed insieme ne abbiamo combinate di tutti i colori.
Sembravamo inseparabili, ognuno era per l'altro "l'amico del cuore",
e molti ci davano addirittura per futuri innamorati!
A dire il vero, benché a quei tempi non sapessi nemmeno cosa fosse
l'amore, ero certa anche io che un giorno noi due ci saremmo fidanzati,
perché non riuscivo ad immaginarmi senza di lui, lo avrei voluto
accanto per sempre, come abbiamo fatto per tanti e tanti anni della nostra
infanzia.
Ma poi si cresce, si cambia
gli interessi personali cambiano, passioni
un tempo sconosciute si accendono e finisco per prenderti tutto, anima
e corpo
si scopre che al mondo non ci sono solo Sakura e Kensuke,
e che non era scritto da nessuna parte che fossimo destinati a stare insieme.
Attraversai il ponte che taglia in due il mio paese, avvertendo la vitalità
del fiume che scorreva sotto di me calmo e cristallino, e ne ebbi un senso
di pace. La sua superficie brillava limpida sotto i raggi del Sole che,
alto sopra le case, riscaldava piacevolmente il mio corpo, facendomi sentire
viva, facendomi quasi venir voglia di correre per gli immensi prati che
costeggiano le viuzze della campagna e rotolarmi in essi, fino a confondermi
nel verde intenso dei fili d'erba, per assorbire il profumo dei girasoli
e perdermi tra i mille colori dei tulipani, e poter dimenticare così
tutti i miei problemi.
La primavera, nel mio paese, è davvero fantastica.
******
Era già una settimana, che Ken non veniva a scuola.
Io e lui frequentavamo entrambi il terzo anno, e avevamo scelto il Liceo
Adachi per poter continuare a stare ancora in classe insieme, visto che
l'Adachi, oltre a essere un'ottima scuola, è anche il posto di
lavoro di mia zia Nanako che, in quanto addetta alla segreteria dell'istituto,
ci aveva assicurato che avrebbe fatto il possibile per infilarci nella
stessa sezione. La zia pareva così convincente e sicura di sé,
che quasi mi venne da ridere quando lessi gli elenchi delle classi affissi
alle pareti accorgendomi che Ken non era in classe con me!
"Non sarà certo questo a dividerci!" pensai allegramente,
mentre la mia vita da liceale stava ormai per cominciare.
Bussai alla porta, e ben presto mi venne ad accogliere la signora Hikari,
la mamma di Kensuke.
Era tanto che non tornavo qui, e tutto mi dava un forte senso di nostalgia.
"Ma ciao Sakura-chan! Che bella sorpresa!"
La signora Hikari era una donna molto giovane, dopotutto aveva avuto il
figlio a soli 17 anni, ed ogni volta che mi sorrideva, con quel suo volto
così espressivo e sincero, dai lineamenti morbidi e delicati, mi
pareva illuminarsi di luce propria.
Quando la vedevo così allegra, gli occhi accesi di una gioia di
vivere che un po' le invidio, pensavo al mio amore per i ciliegi, e cominciavo
a chiedermi se davvero fosse tanto assurda la relazione tra i nomi delle
persone e il loro carattere
[Hikari vuol dire "luce"]
"Buonasera Hikari-san" le risposi con un piccolo inchino, sorridendole
dolcemente, dopodiché mi tolsi le scarpe. L'ingresso di quel piccolo
ambiente famigliare era come lo ricordavo, nulla era cambiato, apparte
la sensazione che le cose si fossero rimpicciolite. Da piccola, la cassapanca
di legno accanto alla parete, mi sembrava altissima.
"Sei venuta per trovare Ken vero?"
"A dire il vero sì
è un po' che non si fa vedere"
La sua espressione gioiosa era rapidamente cambiata. Hikari voleva un
bene dell'anima a suo figlio e ogni qual volta lo vedeva giù, lo
sapeva triste per qualche cosa o solo pensasse che Ken potesse essere
nei guai, si rabbuiava e si spaventava da morire al pensiero di non poterlo
aiutare in nessun modo; nonostante ciò però, la sua forza
di volontà e la sua incredibile luce interiore, la spingevano a
fare tutto il possibile per fargli tornare il sorriso sulle labbra, e
anche se quello che faceva sarebbe forse servito a poco, lei si impegnava
comunque a dare il massimo.
Oggi per esempio era tutta indaffarata nel preparargli il suo piatto preferito
per cena, seguendo passo passo le istruzioni di un programma culinario
alla TV.
"Allora sali, è in camera sua! Non ha voluto vedere alcuni
suoi amici che sono venuti a trovarlo, ma a te non può dire di
no!" mi rispose sorridendo come sempre.
Il rapporto di Hikari-san con Ken è sempre stato un qualcosa di
particolare; troppo poco formale per essere definito rapporto madre-figlio,
ma neanche troppo confidenziale come quello tra sorella e fratello. La
verità è che dalla nascita del bambino, Hikari è
stata costretta a rivestire il duplice ruolo di madre e quello di padre,
e questo per una donna della sua età non dev'essere stato facile.
Per me è quasi un mito.
******
Salii le scale, calpestandone la soffice moquette verde, e mentre i miei
sensi abbandonavano i profumi caldi e intensi della cucina percorsi quel
corridoio luminoso che per tanti anni da piccola avevo percorso assieme
a Kensuke, quando andavamo nella sua stanzetta a giocare a Doraemon; lui
faceva Nobita, ed io, imitando la voce del gatto con la tasca in pancia
(ero sempre munita del mio marsupio a quei tempi) tiravo fuori gli oggetti
più strani che rubavo a casa mia e gli attribuivo un particolare
potere,e da lì iniziavamo a immaginarci una quantità incredibile
di avventure
Una volta ricordo che, inconsapevole di cosa fosse, rubai dalla camera
dei miei un preservativo e dopo averlo gonfiato gli attribuii il potere
di funzionare come un pallone aerostatico, cosicché Ken alias Nobita
si era ritrovato a girare per il paese tenendo in mano quello "strano
palloncino" sotto lo sguardo meravigliato di tutta la gente del quartiere!
Ricordando questi piacevoli episodi sorrisi, quasi malinconicamente, dopodiché
bussai alla sua porta.
"Ken, sono Sakura"
Come immaginavo non ottenni risposta, così continuai a bussare
"Ken, dai, fammi entrare, voglio sapere almeno come stai
"
Silenzio.
"NOBITA! Apri questa porta, o ti tiro un chuski in testa!!!"
E finalmente, dopo aver fatto un po' la voce grossa, sentii il clack della
serratura che si apriva.
Lo trovai vestito con una larga felpa azzurra degli Hornets e dei calzoncini
corti blu, i capelli scompigliati, con il gel che si era seccato, e completamente
scalzo.
Non mi scomposi più di tanto. Ero abituata a vederlo in quelle
condizioni, e lui lo sapeva, difatti non si vergognò né
si scusò di essersi presentato così.
Ciò che non ero abituata a vedere, e che mi fece molta paura, erano
quei suoi occhi neri così spenti, così senza personalità;
il vederlo camminare con quei passi lenti, e sentire la sua voce così
debole, come se si sforzasse quasi di parlare
sembrava uno di quegli
anziani malati negli ospedali.
"Doraemon non bussava così forte
la stanza di Nobita
aveva i fusuma." Mi disse con quella sua voce senza tono.
Mi sedetti sul suo letto, appoggiandomi con le spalle al muro, e poi mi
strinsi le ginocchia al petto, proprio come quando ero piccola;
"Una volta la tua camera li aveva i fusuma."
Scrollò le spalle, e tornò a sistemare le sue action figures
sullo scaffale. Stetti ad osservarlo un po' in silenzio; continuava a
cambiarle di posizione continuamente, come se non lo facesse per il semplice
scopo di ordinarle, ma solo per passare il tempo.
"Come stai
?" Osai chiedere, timorosamente
"Bene"
"Ken, non mi sembra proprio
sembri un fantasma"
"Può essere
"
Era già stato un miracolo l'avermi fatta entrare in camera, forse
pretendevo troppo a fargli scucire anche qualche parolina di più
;
in fondo sapevo bene che cosa lo avesse gettato in questa situazione,
non avevo bisogno di chiederglielo.
Ciò che mi preoccupava era che non trovavo il modo di consolarlo,
di aiutarlo in qualche modo
non riuscivo a vederlo così giù.
Sin da piccolo, i suoi occhi non erano mai stati troppo allegri o luminosi
sembravano sempre tristi, apatici
anche se questa volta lo erano
da fare impressione.
In poche situazioni, da quando abbiamo iniziato il liceo, li ho visti
brillare, bruciare ardentemente attraverso quelle sue iridi nere così
profonde e limpide, tanto da farlo apparire un'altra persona:
quando parlavamo assieme rivangando tra i ricordi, e quando giocava a
basket, o semplicemente ne parlava.
Quello sport, da quando si era iscritto al club di pallacanestro al primo
anno, era diventato la sua vita
giorno dopo giorno la passione per
la palla a spicchi, la competizione, il rumore delle scarpette sul parquet,
il frusciare morbido della retina dopo ogni tiro a segno
tutto quanto
ha iniziato a crescere dentro di lui sempre di più, fino quasi
a prendere completamente possesso del suo corpo.
Due anni fa, frequentavamo entrambi il primo liceo, la squadra di basket
della scuola si era riuscita a qualificare per le finali nazionali, cosa
che non era mai accaduta prima
; Ken era uno dei talenti della squadra,
una matricola che però alcuni credevano addirittura superiore al
capitano; dopo la prima partita in quel di Hiroshima, dove i nazionali
si disputano ogni anno, ricordo che mi telefonò non appena la sirena
sancì la fine della gara, per informarmi della vittoria della squadra
grazie ad un suo canestro sul fil di sirena, quello che viene detto un
"buzzer beater"
Non dimenticherò mai la sua voce, che veniva rotta di tanto in
tanto dall'ansimare per la fatica e che quasi pareva urlasse per la gioia
che gli esplodeva in corpo
"Sakuchan, ce l'abbiamo fatta! Abbiamo vinto con un mio canestro
decisivo!!!"
"Complimenti Ken, sapevo che non mi avresti deluso!" riuscii
a dire quasi con le lacrime agli occhi
sapevo quanto era importante
per lui, lo avevo visto faticare in palestra e sacrificarsi tanto durante
l'anno
e poi seguivo quasi tutte le partite del club, ero una loro
tifosa.
"Se arriviamo in finale ti pago il biglietto e ci vieni a vedere!"
"Ok!" dissi ridendo.
La partita seguente però persero, contro la finalista dell'anno
precedente.
Pensavo che al suo ritorno Ken sarebbe stato terribilmente triste e deluso,
invece lo ritrovai pieno di voglia di riprovarci l'anno successivo, e
di convinzione di riuscire a portare il titolo nazionale qui nel nostro
paese.
"Dove sono finiti tutti quei poster che avevi?" Chiesi, notando
che le mura erano stranamente spoglie
"Li ho tolti, tutto qui."
"Non mi sembra che cercare di dimenticarlo riesca a farti stare meglio
"
"Uff
ha qualche consiglio migliore dottoressa?" rispose
gelido.
Mi alzai e, andando verso di lui, lo presi per i polsi guardandolo negli
occhi
"E' dentro di te ormai. Hai vissuto la tua vita recente, e immaginato
quella futura in sua funzione. Non riuscirai mai a cancellarlo Ken."
"E allora? Ormai lo sai che non posso più fare niente! Oramai
è finito tutto." E con uno scatto un po' brusco si liberò
dalla mia presa. Continuai a seguirlo con gli occhi, fin verso il letto,
dove si era gettato pesantemente, cercando qualche soluzione alternativa;
"Perché
perché non ti proponi come manager del
club?" proposi, sicura tuttavia del suo netto rifiuto
"Tsk
manager del club
"
"E perché no! Dopotutto il manager è fondamentale!
Forse non lo sai, ma anche ai manager danno il piatto commemorativo della
vittoria dei campionati nazionali!"
"Non lo so, e non mi interessa
" rispose acido, tanto che
io ci rimasi un po' male
devo sicuramente averlo dato molto a vedere,
perché improvvisamente il suo volto fino ad allora inespressivo,
si contrasse in una smorfia di mortificazione
"Scusami
so che lo dici perché non vuoi vedermi così
perché mi vuoi bene
ma è inutile. Tutto ciò
che la gente mi dice, mia madre, i compagni, tutti
tutto quanto
mi scorre addosso senza lasciare il segno, tutte quelle belle parole di
conforto mi sembrano così utopistiche e inutili
che cosa
ne sanno gli altri di quello che provo io
"
"Io lo so cosa provi Ken
io ti conosco meglio di chiunque altro
"
"Non puoi saperlo. Non hai mai passato un dolore uguale. Forse ti
sarà capitato qualcosa di simile, o anche di più doloroso
ma non uguale. Mia madre ha cercato di tirarmi su, ponendomi gli esempi
di tanti a cui era successa la stessa cosa, ma ne erano usciti più
che bene
"
"E tu?"
"Io non sono gli altri, ognuno reagisce a stimoli uguali in modo
diverso, perché ognuno di noi è diverso! Se avvicino un
fiammifero accanto a un mucchio di paglia, questo prende fuoco, ma se
lo metto in un bicchiere d'acqua si spegne..."
"Mi sembra elementare
" feci perplessa.
"Già. Lo è. Eppure pare che nessuno lo capisca. E tutti
chiedono alla paglia di reagire come l'acqua
"
Aprì il cassetto del comodino accanto al letto per estrarre il
suo Game Boy, e lo accese iniziando a giocare.
Io, che mi ero seduta a cavalcioni su di una sedia, iniziavo a capire
il significato delle sue parole.
Finora tutti gli erano venuti a dire che cosa avrebbe dovuto fare, come
si sarebbe dovuto comportare, di dimenticare ciò che aveva amato
seppur da poco tempo, ma intensissimamente
; nessuno mettendosi mai
nei suoi panni, ognuno prendendo a ideale di comportamento un "uomo
immaginario" che agisce sempre con la razionalità, sempre
nel modo giusto, un uomo senza debolezze e pieno di virtù. Uno
che di fronte anche ai più grandi problemi sa sempre mantenere
il suo autocontrollo e la sua forma abituale. Un uomo che di fronte a
un fiammifero, sa comportarsi come l'acqua.
Forse, anche io peccato di presunzione, convinta di conoscerlo a fondo.
E' vero, non potevo sapere come si sentisse. Ma avrei fatto comunque qualunque
cosa per aiutarlo! Non sono una psicologa, non mi serve capire le turbe
psichiche dei miei pazienti; sono un'amica, la migliore amica di Kensuke,
e gli voglio essere accanto ogni volta che ne avrà bisogno.
Non perché devo, ma perché lo voglio.
Ebbi un'illuminazione. O forse ero andata da lui, con in testa già
l'intenzione di prendere questa decisione.
Aprii la porta, poi con entrambe le mie braccia presi il suo e lo alzai
dal letto, trascinandolo fin fuori dalla stanza!
"Ma che cavolo fai!!! Non ho voglia di uscire!"
"Vieni con me, devo portarti da una parte!"
"No! Dove vuoi portarmi?"
"Andiamo alla stazione" gli risposi sorridendo
"Sakura, piantala" rispose lui duro "ti ho detto che non
ho voglia
"
"Ken, non ti fidi di me?"
"Non è questo
"
"Ti ricordi quando io ero nei casini? Tu mi hai sempre aiutato, nonostante
non ti avessi chiesto nulla; a volte nemmeno sapevo che eri a conoscenza
dei miei problemi, eppure di colpo ecco una tua telefonata, una tua lettera
e portavi sempre in me un raggio di sole, un raggio caldo e luminoso.
E' vero, non capisco appieno cosa provi
ma so per certo che in momenti
freddi e bui come questi, quel raggio donato dal tuo migliore amico è
il regalo più grande del mondo."
Dalla cucina arrivavano gli odori del riso bollito e delle spezie, mescolandosi
piacevolmente a quelli della moquette appena lavata. La signora Hikari
imprecava verso il televisore urlando frasi del tipo "Come pensi
che possa avere a portata di mano delle noci e dei datteri in primavera??
Aaaah
maledette repliche!" mentre fuori dall'ampia finestra
in fondo al corridoio, un vento allegro si era alzato, portando con sé
quel tesoro di petali rosati che tanto amavo.
Sentivo il suo cuore battere forte, mentre mi abbracciava stretta.
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