La primavera di Sakura

 

Capitolo 2

 

Il treno sfrecciava imponente e veloce tra le verdi, morbide colline di questa regione.
Ci sarebbero voluti ancora quindici minuti circa prima di giungere a destinazione, e Ken per un'ora, praticamente da quando eravamo partiti, non aveva proferito parola.
Un pò stanca chinai il capo appoggiandolo al poggiatesta del sedile, e guardai fuori dal finestrino semichiuso...; il vento che entrava rabbioso mi agitava i capelli solleticandomi la fronte, costringendomi a legarli dietro la nuca con un elastico, mentre attraversavamo un altro piccolo paesino, simile al mio...;
Tutto quanto fuori, scorreva velocemente di fronte ai nostri occhi, ed i colori degli alberi, delle siepi e delle casette lontante, che si muovevano più lentamente, si sfumavano sulla retina lasciando l'impressione che si mescolassero tra di loro, distruggendo la materialità... riducendola ad un semplice gioco di luci e riflessi;
come in un quadro espressionista, che riempiva il cuore.
Improvvisamente, quasi fosse nascosto dalle imponenti querce e le rada fauna che costeggiava la ferrovia, un mare azzurro, calmo e cristallino si aprì orgoglioso di fronte ai miei occhi.
Faccio questo tragitto molto spesso, ma ogni volta è come se rivivessi le emozioni della prima volta che, affacciata al finestrino di questo stesso treno, lui mi abbracciava e mi indicava il mare, promettendomi che presto ci saremmo andati assieme.
A quest'ora la spiaggia era quasi vuota, e tutto sembrava così vivo...; la superficie lievemente increspata dal fresco vento primaverile risplendeva di luccichii argentati, ed il tutto in lontananza si tingeva di mille sfumature di blu, azzurro, verde acqua...; la sensazione di calma che ne ricavavo mi faceva sembrare che il treno rallentasse, quasi per gustarsi anch'esso quello splendido panorama, per non perderne neppure un prezioso fotogramma; se non fosso per il duro, ferroso rumore delle rotaie e delle carrozze, mi sarebbe parso di star galleggiando;
era tutto, come quella prima volta che vidi il mare assieme a lui.
Attraverso il riflesso del vetro, cercai di scorgere la figura di Ken, che con le braccia incrociate, quasi sprofondato nel sedile, guardava anch'esso fuori dal finestrino;
tuttavia non ne sembrava affatto colpito... i gabbiani che sorvolavano danzando quella grande distesa azzurra, le vele colorate e le barche dei pescatori in lontananza, le piccole nuvole soffiate dal vento scivolavano morbidamente sui suoi occhi vitrei e spenti, senza lasciare il minimo segno, senza riuscire a trasmettergli quella voglia di continuare a vivere, di continuare a sognare che oggi, forse un pò pretenziosamente, avrei voluto donargli io.
Guardai la sua immagine riflessa sul vetro, e venni riportata indietro dai miei pensieri sino allo scorso autunno.
* * * * * *
Faceva molto, molto freddo.
Sembrava quasi che l'inverno a Hiroshima fosse giunto con qualche settimana di anticipo, e se di mattina il tepore del sole era di qualche conforto, la sera si gelava.
Ma non quella sera; quella sera, all'interno del Palazzetto l'atmosfera era caldissima, tesa, ma entusiasmante. La nostra scuola si giocava l'accesso alla finale del campionato nazionale affrontando l'istituto tecnico Aida, una delle squadre favorite, e alla fine della prima frazione di gioco ci trovavamo in vantaggio di 13 punti, con una prestazione magnifica di Kensuke.
Molte cose erano cambiate in lui dopo l'ultimo campionato nazionale.
Le splendide partite giocate l'anno prima in quel di Hiroshima, catapultarono l'attenzione sulla nostra squadra e specialmente su di lui, una matricola che giocava meglio del proprio capitano, che aveva leadership e carisma da vendere in campo, e che soprattutto aveva ancora ampi margini di miglioramento.
Incominciarono ad interessarsi a lui già numerose università, si parlava anche di nazionale juniores, di nuovo talento del basket nipponico...; lui ne era estremamente felice, ma da una parte incominciava a sentire su di sé una pressione sempre più forte... ; tutte le aspettative del nostro piccolo paese ora, che non aveva altre scuole oltre l'Adachi e che non era mai contanto un granché a livello nazionale, erano concentrate su di lui.
Il giornale locale scriveva spesso articoli sul club, ed aveva perfino mandato a Hiroshima un inviato speciale (cosa mai successa prima) per seguire il cammino della squadra e del suo asso; gli anziani lo salutavano incoraggiandolo spesso, chiedendo di far onore a questo piccolo paese, mentre i ragazzini lo ammiravavano, tentando poi di emularne le gesta nei pochi playground all'aperto.
Ken si ritrovò con quel carico di aspettative da dover soddisfare, che quasi si dimenticò la sola ragione per la quale ogni santo giorno da quando aveva iniziato, stava ore e ore solo lui, l'asfalto, un pallone e un cerchio metallico, a provare tiri da ogni posizione.
Questo carico iniziò a pesargli, e spesso veniva da me a parlarmi di quanto lo spaventasse adesso affrontare di nuovo il campionato nazionale.
Se avesse fallito anche quest'anno gli sarebbe rimasta un'ultima sola possibilità, e poi avrebbe sentito dentro che non sarebbe stato solo lui a uscirne sconfitto, o solo il club di basket...; tutto il paese avrebbe perso un sogno.
"Ma non è il loro sogno Ken! Loro stanno cavalcando un sogno che non gli appartiene, perchè forse non ne hanno più! Questo sogno è solo tuo, e non devi renderne conto a nessuno, sia che tu riesca a realizzarlo, sia che non ci riesca."
"Sì è vero... è il mio sogno, il mio sogno più grande. Sapevo che avrei fatto bene a parlartene... gli altri mi avrebbero preso in giro, o non mi avrebbero capito.."
"Ed io ti capisco...?"
"Mmm... abbastanza!" rispose sorridendo fissando per un attimo il soffitto, per non darmi troppa soddisfazione; "ora qui mi vedono come il salvatore della patria... ma io devo solo giocare a basket, perché è la cosa che amo fare! Mentre tu... tu mi vedi sempre e solo come Kensuke, come il tuo amico d'infanzia Kensuke."
"E non va bene?"
"No, tutt'altro! Quando sono con te, quando ti vedo... dimentico tutto, tutti i problemi grandi e piccoli che ho...; ogni volta faccio una sorta di salto indietro, e questo ritorno all'infanzia, anche se può sembrare un pò patetico, mi fa tornare ad apprezzare i veri valori della vita! Mi fa ricordare chi sono veramente, che cosa amo e cosa voglio..."
"Allora per te io sono un pò come sono i petali di ciliegio per me?" gli risposi ridendo, e lui rise allegramente, certo che l'avessi capito.
"Bene, adesso devo andare... domani ci sono gli ultimi allenamenti prima della partenza!"
"Mi raccomando, metticela tutta!" gli dissi porgendogli il palmo della mano, per farmi dare il cinque!
"Puoi contarci!" e sorridendo accontentò la mia richiesta, con una energica manata, fin quando la porta della mia camera non si chiuse alle sue spalle
"Sei il mio petalo di ciliegio più prezioso..." pensai, mentre dalla finestra della mia camera, lo vedevo allontanarsi.
* * * * * *
"Stazione di Otomo! Stazione di Otomo!"
Finalmente arrivammo a destinazione.
Otomo è un paesino piccolo e rurale, simile al nostro. La gente è molto accogliente, e sempre nei mesi caldi si respira un'atmosfera di profondo contatto con la natura.
Sapeva dove stavamo andando, ma non sapeva il perchè.
Camminammo per qualche minuto lungo la strada principale, finchè attraverso stradine secondarie non giungemmo ai margini di un vastissimo campo di grano, tagliato in due da un sentiero ben delineato.
Le spighe ondeggiavano bionde al vento, pronte per la prossima mietitura, mentre ora si limitavano a creare un bellissimo quadro dalle tonalità calde e intense solleticando i petali dei papaveri, così intensamente rossi da sembrare infuocati.
L'ombra di una grande, vecchia quercia, pareva indicarci la via.
Questa bella visione, il ronzio quasi melodico degli insetti unito al frinire delle cicale, e quel buonissimo odore di erba appena tagliata dai prati alle nostre spalle, facevano sembrar quasi che la natura di quel posto si fosse organizzata per accoglierci nel migliore dei modi.
"E' lì Shinobu?" mi chiese Ken, indicando una piccola casa in fondo al sentiero tra le spighe;
"Sì, il mio ragazzo abita lì." risposi fissando l'edificio, che si trovava più in basso di dove eravamo noi, e che ancora ci appariva piccolo; "non è bellissimo questo posto? Sembra quasi il nostro paese.."
"Già... è davvero bello." disse guardandosi attorno per avere una panoramica completa dell'ambiente, prima di incamminarci lungo il sentiero.
Le spighe ci solleticavano le caviglie nude, e mentre l'aria si andava rinfrescando per il lento sopraggiungere della prima sera, le nostre ombre si proiettavano lunghe dinanzi a noi, quasi avessero voglia di staccarsi dai nostri piedi e raggiungere il prima possibile casa di Shin.
Non fu possibile e si dovettero accontentare di aspettare i nostri passi regolari, che ci avevano finalmente portato di fronte il cancelletto dell'abitazione del mio ragazzo.
Lanciai un'occhiata a Ken, che si era appoggiato alla ringhiera di recinzione e guardava il sentiero dal quale eravamo venuti, e suonai il citofono: due suoni brevi e uno lungo, era così che mi riconosceva.
Sentimmo il cancello scattare ed entrammo, Ken un pò titubante. Chissà se sarebbe riuscito a capire perchè l'ho voluto portare qui, a conoscere una persona che non aveva mai visto, ma di cui gli avevo tanto parlato.
Prima che potessimo salire i pochi gradini che portavano all'ampia terrazza dove c'era la porta d'ingresso, questa si aprì e Shinobu ci venne incontro, accogliendoci calorosamente!
"Sakura, ciao! Non mi aspettavo che oggi venissi!" mi disse stringendomi per le mani, poi mi baciò le labbra.
Le labbra rosee e fine risaltavano bene sulla sua pelle chiara, ma ancor di più lo facevano gli occhi, grandi e neri, che sempre brillavano di energia; oggi teneva i suoi lunghi capelli legati dietro la testa, ed ogni volta che lo faceva gli dicevo che assomigliava a un samurai, per prenderlo un pò in giro.
"Mmm...davvero non te l'aspettavi?" chiesi sorridendo
"No, però lo speravo" mi rispose dolcemente carezzandomi la testa. Il carezzare la testa è proprio un suo vizio! Ricordo che le prime volte che uscivamo dopo che ci eravamo messi assieme, quando me lo faceva mi dava davvero fastidio, mi faceva sentire un cane! Specie poi quando eravamo davanti altre persone.
Tuttavia ho capito che è un suo modo per dimostrarmi il suo affetto, e tuttora il pensare ad ognuna di questa sue carezze mi fa battere il cuore.
"Tu devi essere Kensuke, l'amico di Sakura!" fece poi Shin rivolgendosi al ragazzo che, fino ad allora, era rimasto in silenzio alcuni passi indietro.
"Sì, molto piacere.." stringendogli la mano
"Mettetevi pure seduti attorno al tavolino, io vado a prendere qualcosa da bere!" disse Shinobu indicandoci le sedie sulla terrazza, e rientrando poi in casa a prendere le bevande
"Vuoi startene zitto tutto il tempo?" cercai di scuotere un pò Ken mentre ci accomodavamo a posto
"Perchè mi hai portato qui? Non capisco!"
"Non ti piace come posto?" chiesi simulando una ingenuità che colse, infatti scosse il capo rassegnato, e sospirò
"Sìsì... bel posto. Speriamo solo che Shinobu porti qualche bibita alcolica, così smetto per un pò di stare giù"
"Aaaah, che bel sistema!" risi io, contenta comunque che Ken avesse iniziato a smettere col suo sciopero della parola
"Ti sei scelta un bel ragazzo comunque... complimenti. E' più carino che in foto."
"Grazie!" risposi, sorridendo al suo sorriso. Le sue parole erano sincere. In quel momento Shinobu tornò con un vassoio, con sopra 3 bicchieri di vetro e 2 caraffe di tea...; procedeva verso di noi con passo incerto e tremolante, come se da un momento all'altro dovesse far cadere tutto! Il tenere degli oggetti in equilibrio su un vassoio non era certo il suo forte! Una volta, eravamo a mangiare al Mc Donald's, rovesciò in terra il vassoio colmo che stava portando e divenne rosso d'imbarazzo!
In realtà fu un bambino troppo agitato che, nel rincorrere un suo amico, gli diede un colpo accidentale al fianco rovinando un equilibrio già piuttosto precario...ma non se la sentì di incolpare un ragazzino, e per di più quando arrivò l'addetto alle pulizie con lo straccio per pulire in terra, Shinobu glielo sfilò letteralmente dalle mani e pulì per conto suo quel lago di coca-cola ai suoi piedi, tra gli sguardi divertiti e incuriositi dei presenti!
"Aspetta, che ti do una mano..." disse Ken, alzandosi e alleggerendo il carico di Shin, poggiando le due pesanti caraffe sul tavolino.
"Grazie mille! Purtroppo sono un impiastro, da piccolo non so quanti bicchieri ho rotto a mia madre!" rise Shin
"Santa donna..." aggiunsi io, ridendo con lui
"Immagino tu abbia maggiore equilibrio di me, vero Ken?"
"Ora come ora non ne sarei così sicuro..." replicò tristemente
"Sai, Sakura mi ha detto di quello che è successo... intendo col basket. Sapevo che eri giù, ma non credevo fino a questo punto..."
"Lo so, scusami..." sembrava amareggiato, e ci mise un pò a rispondere "...a dire il vero ora mi piacerebbe essere allegro come te!" quelle parole mormorate tra i denti sembravano quasi più un desiderio che una constatazione.
"Ah, beh, se sembro così felice è perchè ho così tante speranze e progetti in testa che, per tenerli a bada e coltivarli uno per uno, non ho tempo per rattristarmi! Vero Saku-chan?"
"Sì" gli risposi guardandolo in quei suoi occhi splendenti, pieni di voglia di vivere. "E se non mantieni le promesse che mi hai fatto, te la faccio pagare!"
Rise, nonostante col mio pugno chiuso fingessi di minacciare di colpirlo.
"Cosa le hai promesso?" Chiese Ken sorridendo. Se fino a pochi minuti fa cercava di estraniarsi da tutto e tutti, adesso, anche perchè portandolo qui quasi ce lo avevo costretto, pareva riscoprire inconsciamente il fatto che non poteva fare a meno del calore umano.
"Oh beh... per prima cosa che quest'estate saremmo andati almeno un paio di giorni a Disney World! A lei piace tantissimo, anche se a dire il vero a me non è che piaccia più di tanto... ma lo sai meglio di me, sta qui è una testa dura, e se si mette una cosa in testa! Ahahah!"
"Sì..." annuì con gli occhi chiusi, imitando certe persone un pò snob Kensuke "...certe volte è davvero proprio una testona!" u_u
"Come osate voi due???" esclamai divertita
"Ok ok scherzavamo!!! E poi... poi le ho promesso che saremmo andati a vedere un concerto dei Jude and Mary... ma quelli piacciono sopratutto a me!"continuò ridendo
"Ah capisco... se non sbaglio il concerto c'è tra un paio di mesi..."
"Già, è l'ultima data del tour."
"Ti abbiamo disturbato Shinchan?" gli chiesi, dopo che fummo restati alcuni istanti in silenzio sorseggiando il the.
"Ma scherzi?" rispose lui sincero "stavo studiando economia politica e mi stavo quasi addormentando... però il prossimo mese ho l'esame... mi manca poco e mi laureo..."
"Wow davvero?" fece sinceramente entusiasta Ken. Per noi che ancora dovevamo terminare gli studi superiori, l'università appariva già come un ostacolo insormontabile, e trovarsi di fronte un ragazzo come noi al quale mancavano pochi esami per laurearsi ci pareva incredibile
"E già..." rispose Shin guardando verso la lontana ferrovia.
Il nostro treno stava tornando da dove eravamo venuti.
"Sapete... una volta, quando ero piccolo, di qui passava un solo treno, ed era molto meno frequente di questo... passava quasi ogni due ore..;
era un treno vecchio, lento e malridotto, ma a me piaceva tantissimo." iniziò a raccontare Shinobu, mentre noi lo ascoltavamo in silenzio
"Come mai ti piaceva così tanto?" gli chiesi. Non avevo mai sentito di questa storia, e mi incuriosiva, anche il fatto che la stesse raccontando proprio adesso.
"Il motivo per il quale mi piaceva così tanto era stupido, ma per un bambino niente è stupido, banale... tutto quanto è magico, tutto è una scoperta, un volo di fantasia. Sul primo vagone di quel treno, sotto i finestrini dove c'era il conducente, c'era un grande disegno fatto con le bombolette di Atom, nella sua tipica posizione di volo.
Non sò cosa mi dicesse la testa, ma pensavo che se avessi preso quel treno mi avrebbe portato da lui, nel suo mondo... beh, è una cosa curiosa no?" concluse sorridendoci, anche se fino a quel momento era stato particolarmente serio...
"Ma io ero convinto del fatto che prendere quel treno mi avrebbe portato da Atom, ed ero intenzionato a fare di tutto per prenderlo.
Tutti i giorni mi davo da fare in casa, aiutavo il nonno nei campi e cose del genere per cercare di rimediare qualche yen per fare il biglietto, ma ci volle un bel pò di tempo prima di riuscire ad accumulare la somma necessaria per percorrere l'intera tratta.
I soldi che raccimolavo li mettevo dentro un piccolo barattolo di vetro, che poi sotterravo sotto la grande quercia che c'è alla fine del sentiero.
Era infatti proprio lì che andavo ogni sera, correndo lungo il campo di grano, per vedere quel vecchio treno partire verso il mio sogno, con gli occhi che brillavano dalla speranza di poterlo prendere, e dalla consapevolezza di stare facendo il possibile per riuscirci."
"E riuscisti ad accumulare la somma necessaria?" intervenne Ken
"Sì, ci riuscii... o meglio mi mancavano ancora pochi yen, ma il grosso del biglietto era già in mano mia...; quando una sera fummo svegliati dai lamenti del nonno, che si sentiva male. Il dottore venne immediatamente, e ci disse che il malanno di mio nonno era piuttosto particolare e per le cure sarebbero serviti dei nuovi medicinali provenienti dalla lontana america, che costavano tantissimo.
Adesso siamo una famiglia normale, ma prima eravamo dei semplici coltivatori, apparte mio padre che faceva l'insegnante, ma non avevamo abbastanza soldi, ed egli ne era molto preoccupato.
Intorno al letto del nonno, che dormiva per la puntura fattagli dal dottore, ma che si vedeva stava soffrendo terribilmente, mio padre era seduto sui talloni, col le mani nei capelli, mentre la mamma piangeva.
Tutto taceva, pochi rumori strappavano il silenzio che regnava nella penombra di quella stanza, pochi rumori che però a me, che ero seduto in terra vicino la testa del nonno, facevano malissimo...il suo respiro affannato, contratto...i singhiozzi tristi di mia madre...; non avevo mai provato una sensazione simile, tutto mi stava opprimendo, mi schiacciava... volevo piangere, ma cercai di imitare il papà e mantenere un un contegno onorevole...ma era troppo per me...;
sentivo che se il destino era avverso, avrei dovuto fare il possibile per aggiustare le cose, anche se ero solo un bambino.
Non ce la feci a sopportare quella scena ed uscii di corsa dalla camera, percorrendo a gran velocità la distesa di spighe, nonostante fosse buio pesto. Inciampai più e più volte, ma ogni qual volta mi rialzavo correvo più veloce di prima, nella mia corsa rabbiosa, triste... le lacrime mi rigavano il volto, e per la fatica ed i singhiozzi non riuscivo quasi a respirare.
Intorno a me tutto era buio, solo delle fievoli luci in lontananza delle varie piccole abitazioni non riuscivano a farmi trovare la grande quercia.
Mi raggomitolai al suolo, piangendo.
Tutta la rabbia e il fuoco che fino a poco prima mi bruciava dentro, e che mi aveva fatto scattare verso il campo di grano, pareva essersi spento, dissolto improvvisamente... sentivo ora un gran freddo, che mi gelava le ossa;
mi sentii perso...solo... sconfitto...
quando improvvisamente, sentii un rumore lontano.
Era un rumore così famigliare, così a me caro che smisi subito di piangere, ed il cuore mi si riempì di speranza.
Mi alzai in piedi, e benchè fosse buio pesto mi voltai con sicurezza verso la ferrovia, ora sapevo dov'era.
La luce che riempiva l'interno del treno, aveva illuminato la grande quercia, che ora mi appariva chiaramente.
Atom, era venuto a salvarmi."
"Caspita..." fece Ken toccato, mentre io, che conoscevo Shinobu, mi sentivo il cuore stringere... " e con i soldi del biglietto sei riuscito a comprare i medicinali per tuo nonno?"
"Assolutamente no!" replicò Shin ridendo. "Era una somma troppo esigua quella che avevo! Ma quando il dottore mi vide ritornare in casa col mio barattolo, le unghie rotte, le mani e le ginocchia lerce di terra, ed il viso bagnato di lacrime, si intenerì così tanto che fece un prestito a mio padre, col quale avrebbe potuto assicurare medicinali al nonno fino alla guarigione!"
"Che bella cosa... ma poi, non sei più riuscito a prendere quel treno?"
"No, ma per me è rimasto sempre un sogno. Di notte, quando ero nel mio letto, non mi addormentavo sinchè non sentivo i suoi due lunghi acuti di tromba; mi piaceva credere che fosse Atom che mi dava la buonanotte, che mi salutava.
Ogni qual volta pensavo al fatto che mi mancasse pochissimo per poterlo raggiungere, mi intristivo tantissimo.
Ma bastava affacciarmi alla finestra, e chiamare il nonno, che curvo sui campi era tornato in salute.
Lui si alzava, e voltandosi verso di me mi salutava sventolando il suo cappello di paglia, sorridendomi con dolcezza.
Il poter scendere le scale a perdifiato per saltargli al collo, abbracciarlo e baciarlo, tutto questo era più importante di Atom."
Non riuscii a parlare, e tutti rimanemmo in silenzio per un pò. Solo dopo alcuni istanti Ken, prese la parola.
"Io... non l'ho più il mio sogno. E niente, potrà riportarmelo."
* * * * * *
"AAAAAAAAAARGHHHH!!!!"
Il Palazzetto, che fino a quel momento era stato una festa di colori, di rumori, di canti e urla di incitamento, venne ammutolito dallo straziante grido che aveva gelato tutti i presenti.
Sul campo, un giocatore dell'Adachi si rotolava a terra, entrambe le mani portate in basso, a sorreggersi il ginocchio.
Hikari-san era accanto a me. D'istinto mi prese la mano nella sua, stringendomela forte.
Lei che fino a quel momento era stata una fan scatenata, ora era quasi impallidita, tremava... non c'era bisogno di guardare chi fosse a terra, avevamo riconosciuto subito quella voce, quell'urlo di dolore che mi strozzava il cuore.
Anche se sapevo fosse inutile, mi sporsi un pò dalla ringhiera, sperando che lì a rotolarsi in terra non ci fosse lui, che fosse qualcun'altro.
La notte la passammo tra pronto soccorso e ospedale.
Attraverso la vetrata del pronto soccorso vedevo i dottori parlare con Hikari-san, che stringeva la mano del figlio, muto, scuro in volto... depresso, arrabbiato...;
"Sono saltati i legamenti del ginocchio. Non può più giocare a basket." mi disse tra lacrime.
"Alla fine abbiamo pure perso..." aggiunse Ken, su una sedia a rotelle, sorridendo amaramente.
Non vedemmo più un suo sorriso per tanto, tanto tempo.
* * * * * *
"Sognavi di diventare un giocatore professionista?" gli chiese Shinobu seriamente
"Sì...cioè..no... non era il professionismo che mi interessava...; sin da quando ho toccato per la prima volta un pallone da basket, la prima volta che un pò goffamente sono riuscito a tirarlo dentro quel cerchio arancione che sempre mi era sembrato lontanissimo, quasi irraggiungibile... ho sentito dentro di me una gioia tale, una passione così grande nascere improvvisamente, forte come un'esplosione, che quasi era ormai diventata la mia sola forza motrice...;
Era come il tuo sogno.
Ed io, giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento, tiro dopo tiro... cercavo di...di migliorare sempre di più, per pura passione, puro amore verso questo sport.
L'ambizione al professionismo, al titolo nazionale... sono solo stati semplici "effetti" causati dalla passione che ci mettevo e da un talento particolare che per fortuna avevo scoperto...; ma quando mi hanno detto che non avrei potuto più giocare..."
"Ti è crollato il mondo addosso.."
"Sì... ma la cosa peggiore non era il fatto che non avevo la forza per reagire... mi mancava, anzi mi manca, la "voglia" di reagire... a che scopo dovrei rialzarmi dopo essere caduto? Che cosa dovrei cercare sotto la grande quercia, tanto ardentemente da rompermi le unghie e sporcarmi di terra? Non ho più niente da cercare, niente che mi riscuota da questo torpore.
La mia forza motrice si è esaurita da un bel pezzo ormai."
La sera era scesa ormai completamente, e tra poco avremmo dovuto far ritorno a casa.
Shin premette l'interruttore dietro la persiana e l'ampio balcone si illuminò;
Tutt'intorno era un frinire di cicale, e le rane gracidavano lontane. Ogni tanto l'incedere veloce del treno accompagnava tamburosamente la natura nel suo concerto.
Ken si era aperto con quel ragazzo che aveva conosciuto solo da poche ore, perchè aveva sentito che poteva fidarsi di lui... che raccontargli di come una cosa apparentemente poco seria come giocare a basket, era per lui la cosa più importante di tutte, con la certezza che questi non avrebbe riso di lui, ma anzi lo avrebbe capito in pieno.
"Io...non so cosa dirti. Comprendo tutta la tua rabbia e il tuo senso di angoscia, di disfatta... credimi, lo capisco davvero. Ma non posso credere che un ragazzo di 17, 18 anni, non abbia né la forza, né altri sogni...né nessun altra cosa per cui vale la pena rialzarsi da terra."
riprese Shinobu dopo essere tornato al tavolo
"Eppure è così...; forse, un giorno, passerà..."
"Perchè non provi... che so... a ritornare nella squadra come manager?" gli sorrise Shinobu; Ken, che questo discorso l'aveva già sentito, sprofondò nella sedia, e mi lanciò un'occhiata, alla quale risposi sorridendogli, facendo cenno di sì col capo.
"Non mi interessa..., non mi interessa più." rispose svuotato, una voce priva di tono e di qualunque sentimento.
"Ma dai! Forse non lo sai, ma anche ai manager danno il piatto commemorativo per la vittoria ai Campionati Nazionali!" lo incalzò il mio ragazzo.
Ken lasciò cadere la testa all'indietro e sospirò profondamente, poi si tirò su, guardandoci entrambi rapidamente.
Stava sorridendo.
"Lo so, lo so... oh, ma siete proprio uguali voi due!!!" e scoppiò in una grossa risata, alla quale ci unimmo anche noi.
Ci scambiammo le ultime parole con Shin, poi dovemmo salutarlo.
Lungo il sentiero nel campo di grano, Ken mi precedeva, come quando da piccoli ci avventuravamo in qualche posto sconosciuto.
Fu così bello tornare a vederlo sorridere, che per pochi istanti, per pochi piccoli istanti, le ombre che stagnavano in me parvero dissiparsi.
Sentivo il suo cuore battere forte, mentre mi abbracciava stretta.

 

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