Nascere e dimenticare

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Ogni bambino nasce con il bisogno di essere amato - e non riesce mai a soddisfarlo
Frank A. Clark

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La nutrice sollevò tra le braccia il neonato uscito dalle viscere della madre senza un lamento. Da principio aveva temuto che il bambino fosse nato morto, mai nella sua lunga esperienza aveva assistito a un parto così bagnato di sangue e al contempo così silenzioso. Guardò di nuovo il piccolo e lui ricambiò il suo sguardo con quei suoi grandi occhi cristallini e liquidi. La donna rabbrividì. Naturalmente sapeva che era assolutamente impensabile che un neonato potesse guardarla in modo consapevole, chiunque sapeva che un bambino appena nato non era in grado di vedere distintamente, figurarsi ricambiare uno sguardo.

Eppure Edith avrebbe potuto giurare che quel bambino la stesse osservando e giudicando.

I lamenti della madre del piccolo la riportarono alla realtà.

-Il mio bambino...dov'è il mio bambino?-

Edith avvolse il bambino in un panno candido e lo porse alla donna distesa tra le coltri madide del suo stesso sangue. Non appena strinse tra le braccia il bambino la donna dai lunghi capelli castani sembrò dimenticare il dolore e la stanchezza. L'uno tra le braccia dell'altra, il neonato e la madre si guardarono negli occhi con un'intensità che sconcertò la nutrice.

Osservandoli dai piedi del letto Edith ebbe la netta sensazione che i due esseri fossero penetrati insieme in un mondo oscuro e segreto a cui solo loro avevano pieno accesso.

Con apprensione la donna uscì dalla stanza scontrandosi con la sagoma curva e spossata del padre del bambino. Non appena la vide l'uomo si avventò su di lei con tutta la disperazione maturata in quella estenuante e interminabile attesa.

-Mia moglie? Come sta mia moglie? Parlate ve ne prego!-

La donna guardò le iridi scure e vibranti dell'uomo, i suoi capelli biondo cenere e i suoi lineamenti massicci e ordinari. Le bastò un solo istante per capire che il bambino che aveva appena stretto tra le braccia non poteva avere alcun legame con quell'uomo.

-Vostra moglie sta bene-

L'uomo sembrò liberarsi d'un tratto di un peso immenso. Edith lo guardò passarsi una mano sul volto contratto e poi rialzare lo sguardo di scatto, come colto da un pensiero improvviso.

-E...mio figlio?-

Gli occhi scuri dell'uomo erano così pieni di gioia e attesa che la donna non ebbe cuore di disilluderlo. Che diritto aveva di distruggere la serenità di quella famiglia per un sospetto che poteva anche rivelarsi infondato? Non era la prima volta che vedeva un neonato che non mostrava alcuna apparente somiglianza con i propri genitori.

-Avete un figlio sano e bello. Ora andate ad abbracciare vostra moglie. Questa notte ha dovuto affrontare una prova molto difficile-

L'uomo gridò di gioia sollevandola tra le braccia d'impulso.

-Grazie! Grazie! Voi siete un angelo mandato dal cielo. Vi sarò debitore in eterno!-

Dopo averla depositata a terra, l'uomo la superò con passo deciso dirigendosi verso la stanza dove sua moglie stringeva tra le braccia sottili il suo erede.

Un angelo mandato dal cielo, aveva detto. Con un sospiro Edith si diresse verso la porta di ingresso. Se solo avesse sospettato la sua reale identità non avrebbe esitato a bruciarla sulla pubblica piazza.

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Edith posò la penna sulla scrivania di legno chiaro. La fiamma della lampada ad olio si stava lentamente affievolendo, ma gli occhi ambrati della ragazza non avevano difficoltà a distinguere il testo della lettera che aveva appena terminato di scrivere.

14 novembre 1852

Cara mamma

spero che tu abbia ricevuto il denaro che ti ho mandato. Consideralo un regalo di Natale anticipato. Il mio lavoro qui è molto impegnativo, ma me la cavo bene. Solo questa settimana ho fatto nascere ben quattro bambini. E' così bello vedere la gioia sui volti dei nuovi genitori mamma cara! Eppure, non posso nascondertelo, mi sento stranamente inquieta. Questa notte è venuto alla luce il primogenito di una ricca famiglia dei dintorni. Il bambino non ha emesso alcun vagito, all'inizio ho temuto che fosse nato morto, ma sembra invece che sia perfettamente sano. Eppure non riesco a togliermi dalla testa l'idea che c'è qualcosa che non va. Lo terrò d'occhio. Ti abbraccio.

Tua Edith

 

 

Edith si passò una mano fra i capelli fulvi. Sapeva che il suo lavoro era terminato eppure sentiva di non poter ancora abbandonare quella casa. Nonostante i suoi sforzi non riusciva a dimenticare gli occhi di quel bambino, il modo in cui l'avevano fissata. Forse avrebbe potuto trovare un modo per farsi assumere a tempo indeterminato. La duchessa era uscita molto provata dalla gravidanza, di certo avrebbe gradito il suo aiuto con il bambino. Certo questo avrebbe voluto dire interrompere per qualche tempo i suoi viaggi, mettere da parte il suo dono. Eppure sentiva che qualcosa la legava al destino di quella creatura nata in una notte di inverno. Sì, sarebbe rimasta. Sua madre avrebbe capito. Anzi era quasi sicura che al suo posto si sarebbe comportata nello stesso modo.

 

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+ 21 Gennaio 1862 +

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-Ti odio, Edith, ti odio! Sei cattiva...vorrei che morissi!-

Il suono dello schiaffo riecheggiò nella stanza. La bambina si portò una mano alla guancia guardando con stupore il fratello maggiore che si era frapposto fra lei e la balia.

-Non devi dire certe cose Emily. Non devi mai lasciarti guidare dall'odio o dalla paura. Coloro che provano odio o paura allevano dentro di sé i demoni che poi li divoreranno-

Emily sentì le lacrime pungerle gli occhi e cominciò a singhiozzare.

-Non esistono i demoni, papà me lo ha giurato...-

Il ragazzo strinse tra le braccia la bambina lasciando che i suoi signhiozzi si perdessero contro il suo petto.

-I demoni sono dentro di noi, in ogni singolo individuo. Alla fine le creature più terrificanti di tutte sono proprio gli esseri umani-

Edith guardò i due ragazzini stretti l'uno all'altra e non poté fare a meno di rabbrividire. Per quanto avrebbero continuato a trattarlo come uno di loro? Quanto tempo sarebbe passato prima che qualcuno si accorgesse della sua vera natura? Vide il ragazzo guardare verso di lei e ricambiò il suo sguardo. Lui sapeva. Forse aveva sempre saputo. Fin da quando aveva posato gli occhi su di lei la prima volta. Eppure aveva taciuto...ma del resto non era quello che aveva fatto anche lei? Dal primo istante aveva capito di non trovarsi di fronte ad una creatura umana, eppure non aveva detto una parola. Per dieci lunghi anni era rimasta al suo fianco, limitandosi a osservare la sua vita e quella di coloro che lo avevano accolto tra loro. Ancora non se ne spiegava il motivo, anche se, ogni volta che lo guardava negli occhi, nella sua mente riecheggiavano le parole di una favola antica.

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L'uomo entrò nella stanza con furia, sbattendo una mano sul tavolo su cui il suo primogenito stava scrivendo.

-Pretendo che tu smetta di raccontare a tua sorella e a tua madre le tue stupide storie sui demoni. Ti diverti a terrorizzarle in questo modo? Tua sorella ha pianto per ore! E tutto per cosa? Per difendere una stupida domestica che si è permessa di sgridarla perché aveva lasciato in giro i suoi vestiti! Dovresti vergognarti!-

Il bambino lo guardò serenamente, senza mostrare la minima apprensione.

-Non dovresti cedere all'ira con tanta facilità. Così non fai altro che alimentare il tuo demone-

L'uomo afferrò il bambino per le spalle scuotendolo con violenza.

-Devi smetterla hai capito? I demoni non esistono!-

Il bambino si liberò dalla presa dell'uomo con facilità, poi lo fissò negli occhi con decisione.

-Finché gli uomini non distruggeranno i loro demoni interiori, quelli esteriori continueranno a vivere e a proliferare-

L'uomo indietreggiò inorridito di fronte al bambino. Lo vide tornare a sedersi con calma alla sua scrivania e ricominciare a tracciare segni incomprensibili sul foglio che gli stava davanti. Chi gli aveva insegnato a scrivere? Cosa significavano quei caratteri con cui riempiva interi quaderni? Cosa accadeva durante quelle lunghe passeggiate nel bosco da cui tornava stremato? Si rese conto all'improvviso di avere chiuso gli occhi troppo a lungo, di non aver voluto vedere quello che era così chiaro di fronte ai suoi occhi. Suo figlio era un folle. E forse non era neppure suo figlio. Da dove venivano quei lineamenti troppo affilati in cui non riconosceva i tratti di famiglia? Dietro quello sguardo troppo adulto e consapevole si celava un mostro. Doveva fare qualcosa prima che li trascinasse nella sua pazzia. Prima che li distruggesse tutti.

Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo.

Non puoi fare altro. Devi difenderti.

Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo.

Sì, doveva ucciderlo. Non c'era altra soluzione. Con improvvisa calma l'uomo raccolse il fermacarte di pietra scura. Lentamente, quasi che il tempo si fosse fermato per aspettare il suo gesto, camminò fino a trovarsi alle spalle del bambino. Senza emettere un solo respiro alzò il braccio sopra di sé, caricando il colpo.

In quel momento il bambino si girò a guardarlo, gli occhi fissi su di lui. Sul volto pallido non si poteva scorgere alcuna emozione.

-Non ascoltare le parole dei demoni, se risponderai alle loro parole essi si impossesseranno di te-

Incapace di fermarsi, l'uomo colpì il bambino sulla fronte con tutte le sue forze. Nella frazione di secondo che il braccio impiegò ad eseguire il movimento, l'uomo vide gli occhi del bambino riempirsi di tristezza. E in quella frazione di secondo ebbe la certezza che la preoccupazione e la pietà che aveva letto in quello sguardo fossero rivolte a lui. Non aveva letto paura in quegli occhi cristallini, ma delusione. L'impatto del colpo fu tanto forte che quel corpo esile e indifeso venne scaraventato contro la parete opposta. Il sangue inondò il volto del bambino nascondendone i lineamenti e l'espressione addolorata. L'uomo lasciò cadere il fermacarte sul pavimento di marmo nero.

Cosa ho fatto?

Non sentì la porta spalancarsi, né le grida della moglie e delle domestiche. Solo quando si sentì afferrare per i vestiti riuscì a riacquistare coscienza di sé.

-Sei un mostro! Un mostro!-

Le parole della moglie soffocate tra singhiozzi convulsi gli penetrarono le orecchie come stiletti affilati.

-Come hai potuto? Come hai potuto alzare le mani su tuo figlio? Tuo figlio!-

L'uomo la guardò con un'espressione confusa e attonita.

-Quel bambino...quella creatura...lui non era nostro figlio. Era qualcosa di oscuro e demoniaco. Non potevo...non potevo lasciare che crescesse in mezzo a noi-

La donna lo scosse con violenza.

-Noi gli abbiamo dato la vita, noi lo abbiamo creato! E' il nostro stesso sangue che hai versato stanotte!-

-Signora! Signora! Il bambino respira! E' vivo!-

Le urla concitate di Edith richiamarono l'attenzione della donna che si precipitò sul corpo del figlio chiudendolo tra le sue braccia.

-Un medico presto!-

Non puoi permettergli di vivere. Si rivolterà contro di te.

Vi sterminerà tutti. Deve morire.

Devi ucciderlo finché sei in tempo.

Presto. Presto.

Uccidilo ora.

Non hai più tempo!

L'uomo scosse la testa con violenza.

-No...no! Dovete stare lontane da lui! E' un demone, una creatura oscura! Dobbiamo annientarlo prima che sia troppo tardi! Ci sterminerà tutti se lo lasciamo vivere!-

La donna ancora protesa sul corpo esanime del bambino lo guardò con disgusto. Le sue parole risuonarono fredde e perentorie.

-Se alzi ancora le mani su mio figlio giuro che ti ammazzo-

L'uomo la guardò come se la vedesse per la prima volta.

-Non puoi dire sul serio...non può averti plagiata fino a questo punto...-

La donna scosse la testa mentre lacrime dolorose iniziavano a solcarle il viso.

-Come puoi parlare di tuo figlio come se fosse una specie di mostro...è solo un bambino...un bambino che deve essere protetto e amato-

Con un respiro soffocato l'uomo si avvicinò di un passo ergendosi in tutta la sua altezza.

-Quello non è mio figlio. Non è neanche un bambino come gli altri. E' solo una creatura oscura e disgustosa. Non vivrò sotto lo stesso tetto di un mostro, in attesa che mi si rivolti contro e mi uccida-

La donna lo guardò per qualche istante, incapace di riconoscere in quel volto duro e contratto l'uomo che aveva amato più di chiunque altro, l'uomo a cui aveva donato la sua anima.

-Se vuoi andartene non sarò io a trattenerti-

L'uomo la guardò attonito, ma non esitò un solo istante.

-Te ne pentirai...un giorno capirai che avevo ragione e ti pentirai di questa decisione, ma sarà troppo tardi-

La donna continuò a cullare il bambino tra le braccia, incurante delle parole dell'uomo.

-Vattene prima che arrivi il medico...vattene prima che si venga a sapere che hai quasi ucciso tuo figlio-

L'uomo guardò la donna che aveva amato, la donna per cui aveva sacrificato ogni cosa, e sentì di avere perso la sua battaglia.

-Quell'essere non merita tutto questo amore...tutta questa dedizione...come puoi continuare ad amarlo...nonostante tutto?-

La donna alzò lo sguardo per incontrare quello ormai lontano dell'uomo.

-L'amore non è una scelta. Non possiamo decidere di amare qualcuno. Lo amiamo e basta. Allo stesso modo non possiamo decidere di smettere di amare. Anche se lo vorremmo. Anche se coloro che amiamo non sono degni del nostro amore-

Prima di uscire dalla stanza l'uomo guardò un'ultima volta il bambino stretto tra le braccia della donna e gli augurò di amare con tutto il suo cuore e tutta la sua anima e di non trovare mai nessuno in grado di ricambiarlo.

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-Mamma perché fa finta di non riconoscerci? E' un gioco nuovo?-

La donna prese tra le braccia la figlia minore cercando di calmarla.

-E' una cosa grave dottore? C'era così tanto sangue...-

Il medico si asciugò le mani e fece cenno alla donna di uscire dalla stanza.

-Non si deve preoccupare, è un bambino sano e sta reagendo bene. Le ferite alla testa sanguinano molto, anche quando non sono particolarmente profonde, è tutto sotto controllo-

-E...per quanto riguarda l'amnesia?-

L'uomo cominciò a riporre i suoi strumenti nella borsa di pelle nera.

-Potrebbe essere una conseguenza del trauma cranico, con ogni probabilità è una condizione temporanea-

-Con ogni probabilità...significa che c'è la possibilità che mio figlio non ricordi mai niente del suo passato...di quello che è accaduto?-

La donna lo guardava con il volto esausto e provato. Con un sospiro il medico si infilò il mantello.

-Vede signora, sappiamo ancora molto poco sul funzionamento del cervello umano, è un campo di studi quasi del tutto inesplorato. L'amnesia potrebbe anche essere una conseguenza del trauma psicologico subito dal bambino...una specie di meccanismo di difesa per non affrontare la realtà. In questo caso nessuno può dire con certezza se e quando la memoria di questi eventi tornerà a livello di coscienza. Suo figlio potrebbe in effetti aver perso per sempre il ricordo degli anni vissuti fino a questo momento, così come quello degli eventi di questa notte. Mi rendo conto che sia difficile per lei dover ricominciare tutto daccapo con lui, ma...-

-No...no. Lei non capisce-

L'uomo si bloccò. La donna lo guardava ora con uno sguardo sereno e sorridente, come colta da un'improvvisa rivelazione.

-Questo è un dono del cielo-

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