Morte di un'anima

- Prima Parte -

+ + +

Death ends a life, not a relationship
J. Lemmon

+ + +

Londra, Novembre 1880

Era totalmente buio, eppure non aveva mai visto così chiaramente. Sentiva le mani sanguinare copiosamente dopo la lotta contro il legno della bara che lo aveva accolto, ma non provava dolore.

La terra scura e umida riempiva i suoi capelli e i suoi abiti strappati, ma non riusciva a provare fastidio o disgusto.

L'avevano sepellito vivo. Perché non riusciva a provare neanche il minimo terrore? Doveva tornare a casa, sua madre stava di certo piangendo il figlio che le era stato strappato così brutalmente. Doveva tornare da lei. Rincuorarla. Perché era stato solo un errore. Un imperdonabile errore. Lui era vivo. Più vivo di quanto non lo fosse mai stato.

-Non vedo proprio cos'ha di così speciale. E' così ordinario!-

Cecily! La sua Cecily....ma certo avrebbe chiesto aiuto a lei! Avrebbe potuto tornare a casa con la sua carrozza...

Ma quando si voltò, si trovò davanti una prostituta dai lucenti capelli biondi e dalla pelle pallida come il marmo. Con un lamento di sconforto fece per superarla, ma la donna si parò davanti al suo cammino.

-L-lasciatemi in pace...io devo tornare a casa...e poi non ho denaro con me-

Gli occhi della donna scintillarono di rabbia, mentre le sue labbra chermisi si allargavano in un ghigno scomposto.

-Piccolo mostro mal riuscito, credi di potermi parlare come se fossi una puttana qualsiasi?-

Senza che avesse il tempo di accorgersi del gesto della donna, sentì le sue unghie affilate graffiargli il volto e il sangue colare lentamente lungo le guance.

Aveva sete, una sete che non aveva mai provato in tutta la sua vita. Lasciò che il suo stesso sangue gli inumidisse le labbra riarse. Doveva bere, non riusciva a pensare ad altro che a questo.

-Il mio cucciolo ha sete! Possiamo dargli da bere paparino?-

Quella voce, quella voce nera come la notte eppure innocente come quella di un bambino. William posò gli occhi annebbiati sulla nuova sagoma che si profilava davanti a lui. Lunghi capelli corvini scendevano lucidi e sinuosi come serpenti incorniciando il volto esangue. Gli occhi enormi scintillavano come carboni ardenti nell'oscurità. Di nuovo si stupì di riuscire a distinguere così bene forme e colori nonostante la notte fosse senza luna.

-Mi ricordo di voi...voi...-

William si lasciò cadere ai piedi della donna bruna aggrappandosi alle sue vesti vellutate.

-Voi dovete aiutarmi, non so cosa mi accade. Non ricordo nulla, mi sono svegliato in una bara, sento mia madre piangere la mia morte nonostante io ancora cammini e respiri su questa terra e la mia gola è riarsa come se non bevessi da giorni. Devo raggiungerla ma le forze mi abbandonano...aiutatemi, vi prego!-

La donna si chinò su di lui accarezzandogli i capelli umidi di terra e rugiada notturna.

-La tua mammina è qui con te mio tesoro. Sarai il mio cavaliere, il più coraggioso e saggio, il mio amore, il mio bambino. Oh quante cose riesco a vedere per te William, quante cose mi sussurrano le stelle!-

William sentì le lacrime mescolarsi al sangue rappreso delle ferite che gli segnavano il volto. La voce della donna lo cullava, ipnotizzandolo. Lei lo avrebbe salvato, non era come le altre, lo sentiva, non lo avrebbe rifiutato, non lo avrebbe maltrattato...lei riusciva a vederlo....lo avrebbe riportato a casa e allora tutto sarebbe stato dimenticato. Ma quando rialzò il volto per guardarla in quegli occhi neri come un abisso senza fine, la vide allontanarsi con disgusto e nascondersi tra le braccia enormi di un uomo. Un uomo che non aveva visto fino a quel momento, ma che doveva essere stato al loro fianco fin dal principio.

-Angelus! Questo...questa specie di fagotto ammuffito piange! L'avevo detto che era uno sbaglio! Farà di noi gli zimbelli della comunità e sarà solo colpa vostra!-

La voce stridula e irosa della donna bionda lacerò la notte. La ragazza bruna continuava a mugulare contro il petto dell'uomo.

-Il mio giocattolo è rotto, rotto, rotto! Non va bene, non va bene, non va bene! Troppa luce acceca, troppa luce acceca, troppa luce acceca...-

L'uomo scostò da sé la ragazza con noncuranza fissando gli occhi scuri in quelli di William.

-Avvicinati-

William sostenne il suo sguardo senza vita per un lungo istante prima di scuotere la testa e cominciare a indietreggiare lentamente.

Prima che potesse anche solo pensare di voltarsi e correre, l'uomo lo scaraventò a terra con un unico fluido movimento e calcò il suo stivale nella carne morbida del suo stomaco, impedendogli ogni via di fuga. Nonostante tutto William si accorse di provare meno dolore di quanto avrebbe creduto.

-Stai comodo?-

William chiuse gli occhi per un istante. Qual'era la risposta che gli avrebbe salvato la vita? Qual'era la risposta che lo avrebbe riportato a casa?

Sentì la pressione dello stivale aumentare e la carne lacerarsi lentamente. Eppure continuava a non sentire dolore.

-Quando ti faccio una domanda pretendo una risposta-

Doveva essere irlandese. Era sempre stato bravo a riconoscere gli accenti. Eppure non vestiva come uno straniero. Doveva essersi trasferito in Inghilterra da tempo. Ma cosa voleva da lui? Forse la ragazza bruna era la sua protetta, di certo era troppo giovane per essere suo padre.

-Se vi ho offeso in qualche modo, signore, vi prego di perdonarmi...riparerò in qualche modo...non ho denaro con me al momento...se solo mi permetteste di andare a casa potrei...-

L'uomo emise un verso gutturale mentre il suo volto si sfigurava in una maschera mostruosa, i denti aguzzi scintillavano nell'oscurità. Anche senza averne mai visto uno, William ebbe la certezza di trovarsi davanti a un nosferatu, un non-morto, un vampiro. Non aveva mai amato i racconti sulle creature della notte che tanto andavano di moda nell'alta società del tempo. Ma ricordava Lord Byron, lo ricordava come se ogni parola fosse stata stampata a lettere di fuoco nella sua mente.

Dapprima, il tuo cadavere sarà strappato alla tomba, e mandato sulla terra sotto forma di vampiro; poi, turberà, spettrale, il luogo della tua nascita, e succhierà il sangue di tutta la tua gente; là, dalla figlia tua, dalla tua sorella, da tua moglie, succhierà, a mezzanotte, la linfa della vita, pur aborrendo dal banchetto che, necessariamente, dovrà nutrire il tuo livido cadavere; prima di spirare, le tue vittime riconosceranno il demone per il loro parente, mentre, te maledicendo, e maledetti, i fiori della tua stirpe avvizziranno sullo stelo.

Perché non sentiva il cuore accelerare i battiti? Perché non sentiva il sangue scorrere prepotente nelle vene?

Dalla maschera deforme uscì un ghigno grottesco che gli ferì le orecchie e lo fece rabbrividire, nonostante non riuscisse a sentire alcun freddo.

-Sì. Andiamo a casa tua. Andiamoci tutti insieme e banchetteremo con il sangue della tua famiglia. Hai una sorellina deliziosa, così pura e innocente, mi piacerebbe conoscerla...a fondo-

William sentì il proprio volto trasfigurarsi e l'istinto prendere il sopravvento. Quando urlò, prima di avventarsi sull'uomo che lo aveva soggiogato, non riconobbe la sua stessa voce. E vide la sorpresa e il piacere del riconoscimento negli occhi dell'altro poco prima di affondare i canini nelle fibre muscolose del suo collo.

Sentì il sangue nero e fumante scendere nella sua gola e la risata scomposta dell'uomo inondare la notte prima di essere di nuovo schiacciato a terra dalla forza prorompente del suo aggressore.

Non c'era emozione che trasparisse dagli occhi neri come la pece dell'uomo che lo sovrastava.

-Ascoltami attentamente, perché te lo dirò soltanto una volta. Sei morto per il mondo, non c'è casa a cui tu possa tornare, le persone che conoscevi ti rifiuteranno, tutto quello che credevi di sapere su te stesso o sulla vita, dimenticalo. Come umano non valevi niente, eri uno qualunque, adesso hai la possibilità di ottenere tutto quello che non osavi neanche sognare, di ergerti al di sopra della massa-

William ascoltava quella voce profonda e suadente, come ipnotizzato. Le parole dell'uomo gli scivolavano nelle orecchie dolci e dissetanti. Così simili a quelle della regina nera che l'aveva condannato con il suo bacio.

-Le leggi umane, le regole morali, l'etica...dimenticale. L'unica cosa che non devi mai dimenticare è che noi siamo i tuoi padroni, la tua famiglia, tutto quello che ti è rimasto e ci devi rispetto e dedizione totale. Qualsiasi cosa vorremo da te ce la darai, qualunque cosa ti chiederemo di fare la farai, sei al di sopra di qualunque umano, ma noi siamo al di sopra di te, ricordatelo. Se continui a camminare su questa terra è solo perchè Drusilla voleva un nuovo giocattolo e io ho accettato di darglielo. Senza di noi sei niente-

La ragazza bruna batté le mani estasiata, mentre la donna bionda ostentava indifferenza.

Lentamente l'uomo allentò la presa e William si lasciò scivolare sul terreno umido e freddo. Freddo come il suo corpo in cui non respirava più la vita.

Continuava a sentire le loro voci, ma era come se provenissero da una distanza indefinibile.

-Continuo a credere che ci darà solo dei guai-

-Oh no mammina, sarà bravo te lo prometto, ti renderà orgogliosa! Se solo potessi sentire le stelle cosa dicono di lui!-

-Andiamo Darla non fare la scontrosa. Sono sicuro che ci divertiremo e poi possiamo sempre ucciderlo se ci verrà a noia-

-Ma devi permettermi di giocarci prima, me lo avevi promesso, mi avevi promesso un giocattolo tutto per me!-

Era un incubo. Presto si sarebbe svegliato e Emily gli avrebbe sorriso alzando lo sguardo dal suo libro. Leggeva troppo, proprio come lui, riusciva quasi a sentire sua madre ripetere loro che avrebbero perso la vista a forza di leggere tutti quei libri. Non riusciva a pensare ad altro che a loro. Alla sua famiglia.

"Sei morto per il mondo, non c'è casa a cui tu possa tornare, le persone che conoscevi ti rifiuteranno"

Erano tutte menzogne...dovevano esserlo. Doveva tornare a casa, ad ogni costo. Emily lo stava di sicuro aspettando sveglia. Da quando si era ammalata non frequentava più i salotti e non andava più ai balli che l'alta società londinese organizzava per fare sfoggio della propria opulenza. Così lui usciva per tutte e due e al ritorno le raccontava dei gioielli di Madame De Champ e dei vestiti di broccato delle figlie del conte di Essex, delle cascate di fiori freschi che inondavano le stanze e delle miriadi di luci che illuminavano le sale da ballo. Ogni volta lei lo guardava con le guance in fiamme per la febbre e l'eccitazione, ogni tanto chiudeva gli occhi e lui sapeva che stava immaginando di essere stata al suo fianco, di aver ballato tra le sue braccia nel vestito più bello che la sua mente potesse creare, sotto gli sguardi ammirati dei presenti.

Nei sogni di Emily loro ballavano instancabilmente, fino all'alba. Ma poi sua madre varcava la soglia della camera, con il suo incedere leggero e sicuro, e annunciava che si era fatto tardi e che Emily doveva riposare se voleva guarire. Gli passava una mano tra i capelli carezzandogli la nuca e lui poteva chiudere gli occhi e dimenticare tutto il resto. Sua madre. Dio, doveva essere morta di preoccupazione non vedendolo tornare dal ballo. Doveva affrettarsi.

Si alzò di scatto e cominciò a camminare verso l'uscita del campo santo, completamente dimentico delle creature che continuavano a guardarlo con i loro occhi gelidi.

-Dove credi di andare?!-

Si liberò con uno strattone dalla morsa della donna bionda.

-Torno a casa-

Gli occhi della creatura lampeggiarono nell'oscurità.

-Piccolo ingrato, come osi ribellarti! Credi di poter scegliere? Tu ci appartieni e ci obbedirai se non vuoi che ti strappi il cuore dal petto e lo riduca in poltiglia-

William la guardò dritto negli occhi senza mostrare la minima impressione.

-Fate pure signora, perché è l'unico modo che avete per trattenermi qui. Io non sono come voi e di certo non vi appartengo, né vi apparterrò mai. E ora, se volete scusarmi-

Con un leggero inchino William le voltò le spalle continuando ad allontanarsi. Sapeva che stava rischiando, non aveva mai fatto nulla di così avventato in vita sua, almeno per quanto riusciva a ricordare in quel momento. Sentì la donna muoversi dietro di lui pronta ad avventarglisi contro, ma qualcosa doveva averla trattenuta. Poi la voce dell'uomo riecheggiò nella notte, lieve come un sussurro eppure perfettamente chiara alle sue orecchie.

-Lascialo andare. Quando tornerà gli insegneremo un po' di educazione-

La risata di Darla riempì l'aria e per la seconda volta William sentì un brivido di angoscia percorrere le sue fibre immobili. Perché l'uomo non aveva detto "se tornerà", ma "quando".

+ + +

-Madre vi prego...non lasciatemi qui fuori da solo-

-Non siete mio figlio. Andatevene!-

-Sono io madre! Sono vostro figlio William...mi avete sentito? Sono vostro figlio!-

La donna sprangò la porta con forza.

-Andatevene! Mio figlio è morto!-

William si avventò contro la porta scaricando la sua rabbia e la sua frustrazione contro lo spesso strato di mogano. Continuò a bussare incessantemente tutta la notte, piangendo, implorando, gridando, accusando, insultando. Ma la porta rimase impietosamente chiusa.

Ogni notte dopo quel giorno fece ritorno alla casa di sua madre. Ogni notte raccontava i suoi ricordi di ragazzo alla porta chiusa. I soggiorni a Bath, quando ancora tutto era luce e purezza. I pomeriggi invernali passati davanti al camino a guardare sua madre e sua sorella perse nei loro ricami. Le corse nei boschi pieni di sole che circondavano la tenuta di campagna.

-Ricordate le mattine passate nella sala azzurra? Io ed Emily correvamo per i corridoi lucidi di cera tra le urla dei domestici. Dio, quanto ridevamo scappando da una stanza all'altra...ma il momento più bello era quando raggiungevamo voi, nella sala azzurra. Quando arrivavamo eravate già seduta al pianoforte e facevate finta di sfogliare gli spartiti con interesse. E noi ci illudevamo che davvero non poteste vederci e correvamo a nasconderci sotto il pianoforte. E voi cominciavate a suonare e la musica era così forte la sotto, così intensa...non c'era spazio per nient'altro nelle nostre orecchie. Emily si incantava ogni volta a seguire il ritmo dei vostri piedi sui pedali. E io mi appoggiavo a una delle gambe del pianoforte e lasciavo che il mio corpo vibrasse con la vostra musica. Un giorno suonerete di nuovo per me?-

William appoggiò il capo contro il legno scuro e freddo del portone. Era sempre solo lui a parlare in quelle interminabili notti gelate, ma la sentiva dietro la porta. Sentiva il suo respiro accelerare al ritmo dei ricordi. E se ne stava li', godendo del suo silenzio eppure avido delle sue parole.

Ogni ricordo, ogni attimo passato con la sua famiglia non era mai stato così vivo nella sua memoria. I giorni che l'avevano visto giovane e innocente, quando ancora non aveva imparato a riconoscere gli sguardi malevoli della gente, quando ancora non conosceva l'ombra del sospetto e della vergogna che si era allungata su di loro dopo la scomparsa di suo padre. Ricordava bene la serenità che lo aveva cullato, prima che tutto andasse in pezzi. E ogni notte cercava di ricordare quella serenità anche a lei.

+ + +

-Raccontami ancora delle mattine nella sala azzurra-

-Emily?-

William sentì all'improvviso il bisogno di respirare di nuovo. Ci fu un interminabile momento di silenzio e poi, quella voce tanto attesa parlò ancora.

-Raccontami-

Il giovane vampiro chiuse gli occhi e seguendo il ritmo del cuore della ragazza, raccontò di quelle mattine serene trascorse in una stanza dalla tappezzeria azzurra. Quando sentì lo scatto della serratura credette per un attimo di averlo immaginato, ma la porta si aprì dietro di lui, rivelando la figura sottile e pallida di una ragazzina. I morbidi capelli castani le incorniciavano il volto di un ovale perfetto e nei suoi occhi si riflettevano le sfumature dorate delle foglie autunnali. E poi c'era il suo sorriso, così luminoso da risultare abbagliante, tanto più per chi non vedeva il sole da giorni.

-Emily-

La ragazza aprì le braccia, pronta ad accoglierlo.

-Va tutto bene William. Ora sei a casa. Coraggio, vieni da me-

William sentì tutta la tensione di quelle notti insonni sciogliersi all'improvviso. Si accorse che stava piangendo, ma non importava, perché anche lei piangeva e quando si tuffarono l'uno tra le braccia dell'altra le loro lacrime si mescolarono insieme. Si erano ritrovati, nient'altro contava.

Emily si scostò dolcemente prendendo il volto di William tra le mani.

-Perché hai impiegato tanto a tornare, Will? Sono stata così in pena...-

William chiuse gli occhi incapace di rispondere. Come poteva dire a sua sorella che era diventato un mostro? Come lo avrebbe guardato sapendo che il suo cuore aveva smesso di battere da tempo? Forse sua madre aveva ragione. William Appleton era morto e lui non aveva più alcun motivo di rimanere in quella casa. Riaprì gli occhi e abbassò il capo verso la ragazza, il suo sguardo fu immediatamente attirato dal suo collo. Riusciva a vedere il sangue pulsare sotto la pelle chiara e liscia, lo sentiva scorrere in quelle vene sottili e all'improvviso capì di desiderare quel sangue. Voleva riempirsene la bocca, voleva assaporarne il gusto sulla lingua, voleva...

Respinse il corpo della ragazza nascondendosi il viso. Senza che potesse controllarlo il suo demone era riemerso. E aveva fame. Doveva andarsene da quella stanza, da quella casa...prima che fosse troppo tardi.

-Devi essere affamato. Tutte quelle notti al freddo, da solo, senza nessuno che si prendesse cura di te. Ma ora sei a casa Will, penserò io a te-

William scosse la testa e tornò faticosamente alle sue sembianze umane. Lei non capiva, non poteva capire. Rialzò il capo per parlare, ma lo spettacolo che si disegnò davanti ai suoi occhi lo fece ammutolire.

Emily si era tagliata un polso e lo protendeva verso di lui, offrendolo alla sua bocca. La guardò attonito. Gli stava offrendo il suo sangue.

-Va tutto bene Will. Io non ho paura di te. Anche se lo condividi con un demone questo corpo è ancora tuo. Tu sei ancora qui, la tua mente e il tuo cuore sono gli stessi di un tempo. E tu puoi essere più forte del tuo demone. Io ne sono certa-

Emily si avvicinò di un altro passo, l'aroma ricco e denso del sangue che colava lentamente colpì le narici di William, inebriandolo.

-Bevi, Will. So che saprai fermarti quando sarà il momento. Io mi fido di te-

Emily avvicinò il polso alle labbra del vampiro. Non appena la prima goccia di sangue si insinuò nella sua bocca, William sentì il demone prendere possesso del suo corpo. Quel sangue così giovane, così caldo. In un attimo perse ogni cognizione di sé e affondò i denti aguzzi nella carne tenera e cedevole. Un gemito soffocato riempì l'aria, ma il vampiro riusciva a sentire solo il sapore del sangue che gli inondava la gola, il pulsare delle vene nelle orecchie e quel calore, quel calore immenso e devastante che lo inondava lentamente. Era come se il suo corpo si stesse rigenerando, risvegliandosi a nuova vita. Sentì il cuore della creatura che gli si era offerta così ingenuamente battere sempre più forte, fino quasi a scoppiare, e poi rallentare inesorabilmente. Perché non lottava? Perché non lo implorava di fermarsi? Aprì i suoi occhi demoniaci su di lei, scrutò il suo volto senza mai smettere di succhiare il suo sangue e con esso la sua vita. E allora lo vide. Il suo sorriso. Un sorriso caldo e sicuro che le illuminava gli occhi e il volto. Ed era per lui, quel sorriso. Era rivolto al demone che la stava uccidendo per sopravvivere.

Con un urlo disperato si allontanò da lei. La vide barcollare e poi appoggiarsi al muro dietro le sue spalle, in cerca di sostegno.

-Va tutto bene Will. Io...sono una ragazza forte. Me lo dicevi sempre, ricordi? Sono più forte di quanto tu stesso non pensi-

Ansimava e il suo cuore batteva a un ritmo irregolare e accelerato. Il vampiro poteva sentirlo, anche da quella distanza. Rimase immobile, guardandola scivolare lungo il muro fino ad accasciarsi sul pavimento.

-Troveremo un modo, vedrai. Non c'è niente che non possiamo affrontare se siamo insieme-

Continuava a sorridergli. All'improvviso il demone sentì il cuore che credeva di avere perduto stretto in una morsa. Quel sorriso pieno di radiosa fiducia, come il più potente degli incantesimi, lo aveva risvegliato.

-Tu sapevi...sapevi quello che ero diventato, sapevi quello che sarebbe successo...e mi hai fatto entrare ugualmente...perchè? E se non mi fossi fermato? E se il mio demone avesse preso il sopravvento?-

-Ma ti sei fermato. E' questo che conta. Ti sei fermato senza che io te lo chiedessi. Ti sei fermato perché tu sei più forte del demone che cerca di dominarti. La tua volontà è più forte della sua-

E allora William capì che lei gli aveva offerto molto più del suo sangue. Gli aveva offerto la possibilità di credere di nuovo in se stesso. E aveva potuto farlo perché lei per prima credeva in lui.

-Sono un mostro. Sono solo un mostro...io non posso restare...-

La voce continuava a spezzarsi nella sua gola impedendogli di continuare.

-Sarai un mostro solo se vorrai esserlo. Per il momento io vedo ancora William di fronte a me. E ora ti prego, vai a prendere delle bende in camera mia. Mi sento un po' stanca-

La guardò con apprensione giacere immobile sul pavimento freddo. Il petto sollevato ritmicamente da un debole respiro. Negli occhi la serenità di chi ha scelto una strada e ha deciso di percorrerla fino in fondo. A qualunque costo. Per la prima volta da quando era tornato sentiva che c'era una speranza, una possibilità di salvezza. Alla fine dei conti quell'uomo, quella creatura oscura che gli aveva parlato con durezza, aveva avuto torto. Lui ancora una casa a cui tornare, delle persone che lo amavano, nonostante tutto.

Più tardi Emily lo accompagnò alla porta.

-Per stanotte è meglio che nostra madre non ti trovi qui. Ci vorrà un po' di tempo per abituarla all'idea...sai quanto odia le novità...ma vedrai che si adatterà presto alla situazione. Lei ti ama molto, lo sai. Sono sicura che sarà disposta ad accettare qualche piccolo cambiamento pur di riaverti...ma dobbiamo darle tempo, capisci? Ha appena finito di piangere sulla tua tomba e tu torni a bussare alla sua porta così, all'improvviso...è comprensibile che sia rimasta un po'...sconvolta-

-Tu non lo sei stata, però...sconvolta. Mi hai accolto come se niente fosse...come se non fossi poi così diverso da prima...-

Lei gli sorrise condiscendente.

-Questo perché io ho sempre saputo chi eri, anche quando tu stesso non lo ricordavi...e ti ho sempre amato comunque-

William la fissò con circospezione, come se nelle sue parole fosse nascosta una trappola.

-Cosa vuoi dire con questo?-

Ma Emily si protese verso di lui e gli sfiorò la guancia con un bacio.

-Torna domani sera e parleremo-

E con quelle ultime parole lo lasciò solo nell'ingresso. Con una scrollata di spalle William scese le scale dell'atrio chiudendo la porta dietro di sé. Era troppo felice per preoccuparsi e poi aveva tutto il tempo del mondo per fare domande e avere risposte. Si sentiva euforico, il sangue di Emily lo riscaldava dall'interno. La cosa essenziale ora era studiare a fondo la sua nuova condizione, fare ricerche, capire cosa lo aspettava.

Girando l'angolo urtò contro un uomo, ma non si fermò per scusarsi, né si preoccupò di guardare in che direzione si stava dirigendo. Così non lo vide salire le scale del palazzo e bussare ripetutamente alla porta della sua vecchia casa.

+ + +

 

 

Torna all'Indice capitoli

 

 

 

 

.