La grazia nel cuore

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Love makes your soul crawl out from its hiding place
Zora Neale Hurston

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-Devi mangiare qualcosa-

Bethany osservò con una certa preoccupazione il corpo esageratamente magro del vampiro. Durante i suoi studi aveva letto di demoni lasciati a morire di inedia ed era certa di ricordare che non era stata una lettura piacevole. Di solito i demoni sopravvivevano per settimane, a volte per mesi interi, senza bisogno di nutrirsi. Il loro corpo, però, avvizziva inesorabilmente, come un fiore reciso dallo stelo. Era la morte peggiore per loro, molto più dolorosa e lenta di qualunque tortura. Forse avrebbe potuto essere assimilata allo stillicidio, una pratica che aveva sempre aborrito. Ma almeno in quel caso si trattava di una violenza imposta dall'esterno. Davvero non riusciva a comprendere come una creatura volesse autoinfliggersi una sofferenza di quella portata. Non era già abbastanza tutto quel rimorso, tutti quei rimpianti che gli leggeva sul volto ogni volta che si fermava a guardarlo? Non lo faceva già soffrire abbastanza la consapevolezza di quello che era stato e che non sarebbe mai più tornato ad essere?
Guardò di nuovo il vampiro accucciato nell'angolo più oscuro della stanza, il volto ogni giorno più scavato. Non dava segno di averla sentita arrivare o di volerle dare la soddisfazione di notare la sua presenza. Evidentemente per lui non era abbastanza. Ma il punto era un altro. Avrebbe mai trovato qualcosa che lo facesse soffrire abbastanza? Qualcosa di così doloroso da offuscare il suo tormento interiore?

Con quello che sembrò un moto di impazienza la ragazza sbatté il vassoio con la cena di fronte a lui. In una grossa ciotola di ceramica bianca si agitava un liquido denso e caldo. Sangue, registrò automaticamente il cervello di Spike. I suoi occhi si concentrarono sul colore scuro e corposo di quel liquido. L'odore metallico e intenso gli inondò le narici, mentre sentiva il suo corpo cedere inesorabilmente a un istinto antico come il mondo, quello che spingeva ogni creatura ad aggrapparsi alla vita con le unghie e con i denti, nonostante tutto. L'istinto di sopravvivenza. Sapeva di avere bisogno di quel sangue. Sapeva che gli mancava poco per superare il punto di non ritorno. Sorrise compiaciuto. Sì, gli mancava poco.

Bethany notò che il vampiro sorrideva. Non la reazione che si aspettava, ma comunque una reazione. Meglio di niente...forse. Decise che era il momento di insistere. Non poteva rischiare che ricadesse nella catatonia delle ultime settimane.

-Stai cominciando a diventare patetico. Non ho mai visto nessuno crogiolarsi così a lungo nell'autocommiserazione e con tale piacere-

Gli occhi azzurri del vampiro si illuminarono per un istante di un lampo di rabbia. Due laghi increspati da un'improvvisa folata di vento. Poi, come se nulla li avesse mai turbati, tornarono vacui e immobili. Eppure qualcosa si era mosso, Bethany ne era certa. Si sedette con cautela al suo fianco, continuando a osservarlo. Lui non mosse un muscolo, apparentemente dimentico della sua presenza nella stanza.
Le cose erano molto più complicate di quanto avesse immaginato. Quando aveva assicurato ai suoi superiori di essere perfettamente in grado di gestire il caso non pensava certo di ritrovarsi a fare da infermiera a un paziente reticente. E indisponente. E imprevedibile. E affascinante. E doveva fermare quel corso di pensieri prima che la portassero in un luogo dove non aveva nessuna intenzione di arrivare. Con un sospiro si lasciò andare contro la parete dietro di lei stendendo le gambe. Credeva che aver condiviso con lui una parte del suo passato, una parte così intima e determinante, fosse stato un grosso passo avanti. Una conquista, quasi. Ma forse era stato solo un passo falso, forse aveva solo ferito una volta di più quel corpo pieno di cicatrici.

-Morire non cancellerà le tue colpe, né il tuo passato-

Lo vide serrare le labbra infastidito. Bè almeno riusciva a dargli sui nervi almeno quanto lui riusciva ad esasperarla. A volte sentiva l'impulso viscerale di strozzarlo con le proprie mani. Ma sapeva che non sarebbe servito a molto, dato che la sua potenziale vittima non respirava più da un pezzo. Però sarebbe stato senza dubbio terapeutico. Almeno per lei. Si guardò le mani per qualche istante riflettendo sulle varie possibilità. Poi, con un sospiro, lasciò ricadere le braccia lungo il corpo. Era una persona adulta, no? Inspira, espira, inspira, espira. E' facile, vedi? Facile. Bethany chiuse gli occhi, escludendosi dal mondo esterno. A volte desiderava semplicemente non avere più niente a cui pensare, niente di cui doversi occupare. Per il resto della sua vita. Allora sì che sarebbe stato tutto più facile.

-Stai attenta a quello che desideri, piccola. Un giorno potresti ottenerlo-

Si girò di scatto verso di lui. Perché era stato lui a parlarle, vero? Ma quando guardò il suo profilo netto e deciso, lui si era di nuovo rinchiuso nel suo ostinato silenzio.

-E' questo quello che è successo a te, William? Hai ottenuto quello che desideravi?-

Lo vide contrarre la mascella più volte, gli occhi ridotti a sottili fessure.

-Non chiamarmi William-

Bethany si irrigidì, contro la propria volontà. Non si era mai rivolto a lei con quel tono. La sua voce era fredda come il ghiaccio, eppure così carica di rabbia. Le ricordava l'attimo di calma perfetta prima dello scatenarsi di una tempesta.

-D'accordo, Spike. Come vuoi tu, ma non hai risposto alla mia domanda-

-E non chiamarmi Spike-

Va bene Bethany, conta. Uno, due, tre, quattro, cinque...inutile. Avrebbe dovuto contare ininterrottamente per il resto della sua vita per riuscire a calmarsi. Tanto valeva lasciar perdere. Così la risposta che le uscì dalle labbra risuonò irritata e frustrata.

-E come dovrei chiamarti, sentiamo!-

Spike guardò la ragazza che ora stava in piedi di fronte a lui, le mani sui fianchi e gli occhi scuri scintillanti di rabbia. Forse questa sarebbe stata la volta buona. Forse questo era il giorno in cui sarebbe uscita da quella stanza per non tornare mai più.

-Che ne dici di non chiamarmi affatto? E ora vattene, hai ampiamente superato la quota mensile di buone azioni. Esci di qui e vai a cercarti un altro caso senza speranza su cui riversare la tua pietà-

Bethany incrociò le braccia, i suoi occhi erano illuminati da una nuova consapevolezza.

-Credi che ti abbia accolto qui per pietà? Credi che continui a sopportare il tuo carattere assolutamente impossibile perché mi sento in vena di buone azioni?-

Spike sentì la ragazza sorridere, prima ancora di vederla. Non esattamente la reazione che si era aspettato. Una serie di insulti, una risposta piena di rabbia o magari un paletto dritto nel cuore se era davvero fortunato. Di certo non un sorriso. Non *quel* sorriso così sincero e disarmante. All'improvviso la rabbia e la frustrazione che aveva voluto risvegliare in lei lo invasero, accecandolo.

-Che diavolo hai da sorridere?!-

Bethany scosse la testa socchiudendo gli occhi, il sorriso ancora sulle labbra.

-Non sei qui perché ho pietà di te o perché voglio provare a fare la buona samaritana. Sei qui perché ho bisogno di te-

-Mi spiace piccola, ma il servizio sbatti Spike e scappa ha chiuso i battenti. Se vuoi giocare al dottore è meglio che ti trovi un altro paziente-

Sul volto della ragazza si disegnò un'espressione di genuino stupore.

-Tu davvero non sai chi sei, vero?-

Spike le rivolse un sorriso sarcastico, solo un'ombra di quella che era stata un tempo la sua espressione più tipica e indisponente.

-Chi sono? Chi sono. Bella domanda. Un po' metafisica forse, ma interessante. Bè fammi pensare. Un patetico aspirante avvocato che passa il suo tempo libero a scrivere orrende poesie d'amore. All'inizio. Un vampiro il cui massimo divertimento è inchiodare le sue vittime al muro e vederle dissanguarsi lentamente. Per molti anni. Poi il Cacciatore delle cacciatrici. Ma è passato anche quel tempo, vero? Allora vediamo. Che ne pensi di definirmi come il primo e perfettamente riuscito esperimento di controllo indotto dell'aggressività? Credo che fosse questo il modo con cui i membri di quella stupida organizzazione parlavano del chip che mi hanno messo in testa. Per quanto mi riguarda preferisco chiamarlo "quel dannato pezzo di ferro che mi ha fuso il cervello". Perché è questa l'unica spiegazione al mio comportamento successivo, no? Altrimenti come ti spieghi che uno che ha messo a ferro e fuoco mezza Europa e ucciso due cacciatrici diventi il fedele cagnolino della terza? E' così che avevano cominciato a chiamarmi all'interno della comunità demoniaca, lo sapevi?-

Bethany ascoltava attonità quel fiume di parole. Era come se in tutto quel tempo lui non avesse aspettato altro che un segnale, una piccola spinta per lasciar crollare ogni resistenza. Era una diga, una diga che, sotto la pressione di una corrente troppo forte, era crollata e riversava sotto di sé un mare di acqua e detriti, inondando ogni territorio circostante. Ed era così che Bethany si sentiva. Un territorio improvvisamente sommerso dall'acqua. Annaspava in mezzo a tutte quelle parole, quelle rivelazioni gettatele addosso con noncuranza e violenza. E non era ancora finita. Perché lui continuava. Ma il suo tono era contenuto e doloroso ora. Era al limite ed era stata lei a portarlo fino a quel punto e non sapeva se esserne felice o terrorizzata.

-Il cagnolino della Cacciatrice. La barzelletta del sabato sera. Quanto odiavo quella situazione. Non aspettavo altro che il momento in cui mi sarei liberato di quello stupido chip per tornare quello di un tempo. Credevo di non essere più me stesso. Credevo di aver toccato il fondo. Dalle stelle alle stalle, mi ripetevo continuamente. Ma la verità è che ancora neanche le avevo mai viste le stelle. Neanche sapevo quanto si potesse salire in alto. E quanto potesse essere doloroso cadere da quell'altezza-

Spike si passò una mano tra i capelli ormai troppo lunghi, come a rimettere ordine nel groviglio di pensieri ed emozioni che lo stava sommergendo.

-Poi lei mi ha baciato. E non c'era niente di quello che mi ero aspettato in quel bacio. Eppure c'era tutto. Tutto quello che avevo sempre temuto e desiderato. Tutto quello che avevo sempre cercato e rifiutato. Affetto, riconoscenza, fiducia e perdono. Tutto in quell'unico bacio. Quel bacio che mi ha fatto sentire vero e reale e degno di esistere, per la prima volta. E quando provi qualcosa del genere...quando qualcuno ti fa sentire così...non c'è più modo di tornare indietro, non riuscirai mai più ad accontentarti di nient'altro. Per tutto il resto della tua vita non vorrai altro che provare di nuovo quella sensazione. E sei disposto a fare qualunque cosa per rivivere quello stato di grazia. Sei disposto a cambiare te stesso, a lottare contro la tua natura e i tuoi istinti, sei persino disposto a rinnegare tutto il tuo passato, a rinunciare a tutto il tuo futuro per quell'unico, indispensabile momento. E io l'ho fatto. Ho fatto a pezzi me stesso, solo per ricostruirmi come lei mi voleva. Come *credevo* che lei mi volesse-

-E poi lei è morta-

Bethany si bloccò rendendosi conto di aver parlato a voce alta, interrompendolo. Ma Spike era andato troppo oltre per fermarsi a quel punto.

-Oh no piccola. Il punto non è che lei è morta. Il punto è che lei è tornata-

La ragazza lo guardò attonita.

-Ma io credevo che...-

Spike sorrise del suo stupore. In effetti anche lui era stupito. Stupito di non essere arrivato prima a capire il succo della questione. Aveva dovuto viaggiare fino ai confini del mondo per capire quell'unica e scomoda verità. Per vedere quello che non avrebbe mai ammesso altrimenti.

-Anch'io lo credevo. Credevo di non aver mai desiderato nient'altro che quello. Che lei tornasse da me. Ma quando è tornata davvero...bè quello è stato l'inizio della fine. In tutto il tempo in cui era mancata...in quei centoquarantasei giorni lunghi una vita...non l'avevo mai persa veramente. Lei era rimasta dentro di me. Lei era diventata...la mia anima. E ogni volta che vincevo una battaglia contro i miei istinti, ogni volta che facevo un passo sulla strada della mia redenzione, ogni volta che mi sentivo un po' più vicino alla mia perduta umanità, ogni *singola* volta la sentivo dentro di me. Era questo che mi spingeva ad andare avanti...la convinzione che lei aveva creduto in me, nella mia capacità di lottare contro il mio demone e vincere. Aveva creduto in me al punto da affidarmi quello che aveva di più prezioso, l'unica parte di lei che sarebbe sopravvissuta alla sua morte. Sua sorella. Ma poi lei è tornata e nei suoi occhi non c'era più niente per me. Non c'era la fiducia, non c'era il perdono, non c'era la riconoscenza, non c'era l'affetto...non c'era niente. L'unica persona che mi aveva trattato come se valessi qualcosa ora non riusciva a vedere nient'altro che un mostro senz'anima quando mi guardava. Non riusciva a vedere che era lei la mia anima...non aveva capito che sarebbe bastato guardare in fondo ai miei occhi per ritrovare se stessa. Pensavo fosse solo una questione di tempo. Un giorno avrebbe alzato lo sguardo su di me e mi avrebbe visto, avrebbe visto la persona che ero diventato, l'uomo che *lei* mi aveva fatto diventare. Ma sbagliavo. Non si è mai fermata a guardarmi...perché pensava non ne valesse la pena. Pensava che io non valessi lo sforzo o il tempo. Pensava che non valessi niente. E allora ho capito che non ci sarebbe più stata redenzione, ho capito che non avrei più provato quello stato di grazia. Perché l'avevo persa per sempre. Avevo perso la mia anima. Di nuovo-

Lui la guardò negli occhi, prima di continuare a parlare. Sorrideva. E Bethany non aveva mai visto un sorriso così pieno di dolore.

-Così sono venuto in questo angolo di mondo per ritrovare quello che avevo perduto. Per ritornare quello che ero. E sai qual'è la parte più divertente? Quello che ero è qualcuno che lei non potrà mai amare-

Spike si passò una mano tra i capelli scomposti. Sentiva lo sguardo della ragazza su di sé, in attesa.

-Ma la tua domanda era un altra, vero? Mi hai chiesto se so chi sono. La verità è che sono molte cose insieme e allo stesso tempo nessuna di esse. La verità è che sono cambiato così tante volte che non ricordo più chi ero all'inizio, chi ero veramente. La verità è che quando indossi così tante maschere, una sull'altra, finisci per dimenticare qual'è il tuo vero volto...-

-Allora non devi fare altro che strappare tutte le maschere, una dopo l'altra. Quando le avrai gettate via tutte saprai chi sei veramente-

Lei lo guardava attraverso le lunghe ciglia scure. Era bella con quei capelli di miele che le ricadevano sul viso e le labbra morbide increspate da un leggero sorriso. Spike le sorrise a sua volta.

-Non sono tanto sicuro di voler sapere chi sono veramente-

Bethany si alzò lentamente, senza mai smettere di guardarlo. Sul suo volto si era disegnata un'espressione indecifrabile.

-Ci sono cose che non possiamo scegliere di ignorare-

E con quelle parole lasciò la stanza.

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Bethany inserì meccanicamente i dati per la connessione. Attese qualche secondo perché il suo portatile entrasse in contatto con il server internet. Connessione raggiunta. Senza perdere tempo inoltrò al suo contatto esterno una richiesta di chat. La risposta non si fece attendere. Di fronte a lei si aprì una finestra di conversazione immediata.

 

<Lilly>La connessione è sicura?

<Vagabondo>Check

<Lilly>Il mio paziente tarda a risvegliarsi.

<Vagabondo>Dall'ultima cartella che abbiamo ricevuto sembrava che le cose stessero procedendo nel migliore dei modi. Qual'è lo stato attuale?

<Lilly>Il paziente continua a dormire volontariamente. Credo che stia inconsciamente evitando di reagire agli stimoli cerebrali.

<Vagabondo>Non abbiamo più molto tempo. L'epidemia sta cominciando a diffondersi.

<Lilly>Cosa devo prescrivergli?

<Vagabondo>Intensifica la cura attuale. Sottoponilo a nuovi stimoli. Se entro una settimana non reagirà come ci aspettiamo passeremo alla terapia d'urto.

<Lilly>Preferirei non dover intervenire in modo così intrusivo.

<Vagabondo>Tutti speriamo che possa risvegliarsi in modo naturale, ma non possiamo rischiare che l'epidemia si diffonda troppo in sua assenza.

<Lilly>Seguirò le vostre istruzioni. Grazie per la consulenza.

<Vagabondo>Attendiamo notizie.

 

Bethany uscì dalla chat con un sospiro. Altri stimoli. Davvero non sapeva più cosa inventarsi a questo punto. Riprese tra le mani il fascicolo del suo "paziente" e cominciò a sfogliarlo. L'ultimo anno era stato senza dubbio ricco di esperienze al limite dell'impossibile. Addirittura un demone capace di farli cantare tutti. In senso letterale e metaforico. Le sarebbe stato utile in quel momento, lei non aveva certo il potere di fargli cantare la verità. Anche se tutto sommato...Rigirò il fascicolo tra le mani con un'espressione assorta. Ma sì, forse avrebbe anche potuto funzionare. Se non altro poteva essere catalogato come un "nuovo stimolo". Senza contare che era profondamente curiosa di vedere come avrebbe reagito.

+ + +

-Cosa diavolo è quella?-

Bethany lasciò che sul suo viso si disegnasse un'espressione sorpresa, poi finse di studiare l'oggetto con attenzione.

-Bè al negozio mi hanno assicurato che è una chitarra-

Spike non poté trattenere un sorriso divertito. Quella ragazza sapeva come alleggerire l'umore, non si poteva negarlo. Ricacciò la risata che gli si stava formando in gola e si finse seccato.

-So cos'è una chitarra e direi che quella è senza dubbio una chitarra. Quello che non so è perché diavolo stai portando *quella* chitarra nella *mia* cella-

Bethany sbuffò.

-Questa non è una cella, ma la tua stanza. Quante volte devo ripetertelo?-

Spike soppesò le sue parole per qualche istante, poi si guardò intorno.

-Vediamo. Sbarre alle finestre, luchetto alla porta, pavimento umido. Insisto con la mia definizione, questa è una cella-

-Bè forse *assomiglia* a una cella, ma *non è* una cella. E comunque doveva essere una soluzione temporanea, se avessi immaginato che non ti saresti più mosso dalla prima stanza in cui ti sei risvegliato ti avrei fatto portare in una delle camere di sopra. Sai le camere di sopra? Quelle calde e confortevoli con le tende alle finestre e i mobili? Non devi fare altro che salire quei dieci scalini e puff! Il trasloco è fatto-

-Scordatelo-

Bethany agitò una mano davanti a sé con sufficienza.

-Per carità, rimani pure nel tuo antro buio e umido, non vorrei mai toglierti una scusa per autocommiserarti-

Spike prese un lungo respiro di cui sapeva benissimo di non avere bisogno.

-D'accordo, ricominciamo. Cosa. Diavolo. Ci. Fa. Quella. Chitarra. Nella. Mia. Cella?-

Bethany ignorò il tono polemico del vampiro e sorrise compiaciuta.

-Ho pensato che potesse aiutarti a passare il tempo-

Spike la guardò come se le fosse spuntata una seconda testa.

-E perché diavolo dovrei suonare una chitarra per passare il *mio* tempo?-

La ragazza sembrò stupita da quella risposta.

-E perché no?-

Spike aprì la bocca un paio di volte per parlare, ma in effetti non aveva alcuna risposta da dare. Aggrottò la fronte contrariato.

-Considerando l'epoca in cui sei vissuto forse avresti preferito un pianoforte, ma capisci bene anche tu che si tratta di un articolo troppo costoso e poi non sarebbe mai passato per la porta...-

-La chitarra va bene-

Bethany si avvicinò soddisfatta porgendogli la chitarra.

-Sapevo che la chitarra era una buona scelta. E poi ho pensato che era uno degli strumenti più facili da imparare a suonare. Sai non volevo darti un'altra occasione di lamentarti delle tue incapacità-

Spike sembrava non ascoltarla più, troppo intento a carezzare la superficie liscia e lucida dello strumento.

-Non ho bisogno di imparare a suonarla-

Bethany alzò gli occhi al cielo, esasperata.

-Certo, William il sanguinario non ha mai bisogno di niente! Non ha bisogno di mangiare, non a bisogno di uscire dalla sua stanza, non ha bisogno di parlare...figurarsi se ha bisogno di imparare a suonare una stupida chitarra! Bè scusa se per un attimo ho pensato che forse sarebbe stato carino intervallare i tuoi mugulii lamentosi con qualche attività minimamente costruttiva. Naturalmente avevo dimenticato che il grande vampiro cattivo è assolutamente incapace di concentrarsi in qualcosa che non comporti un buon livello di autocommiserazione! Sai cosa ti dico? Lasciala marcire in un angolo quella stupida chitarra, anzi no, già che ci sei bruciala! Fai un bel falò e chissà che un po' di fuoco non riesca a scaldarti!-

Spike non le rispose subito, ma continuò a fissare lo strumento, ipnotizzato. Come se fosse la cosa più naturale del mondo iniziò a sfiorarne le corde con le dita sottili. La cassa armonica risuonò di una melodia antica, mentre le note si univano in accordi caldi e corposi. Poi la musica finì lasciando Bethany a fissare il vampiro con gli occhi stralunati e la bocca semiaperta. Spike rialzò finalmente lo sguardo su di lei e non poté evitare di sorridere della sua buffa espressione.

-Non ho bisogno di imparare a suonare la chitarra perché so già farlo-

Bethany dovette fare forza su se stessa per riprendersi dalla sorpresa.

-Sì, questo l'ho notato...ma quando...come...-

Spike abbassò di nuovo la testa, lasciando che il sorriso scivolasse via dal suo volto.

-Le giornate possono diventare molto lunghe quando le si passa da soli, rinchiusi tra quattro mura. Prima di scoprire i pregi della tv via cavo, ho imparato a suonare un paio di strumenti-

Ora aveva lo sguardo fisso nel suo e Bethany non poté fare a meno di notare i suoi occhi. Occhi sensazionali, di un azzurro purissimo e omogeneo. Come dire zaffiri preziosi. Si era mai davvero fermata a guardare quegli occhi? La sua voce la riportò alla realtà.

-Era un modo come un altro per passare il tempo-

Lui le sorrideva ora, ammiccante. Bethany si ritrovò a chiedersi chi fosse la persona che si trovava davanti a lei in quel momento. Nonostante tutto quello che aveva letto su di lui e nonostante tutto quello che le era stato riferito, all'improvviso non era più così sicura di sapere tutto di lui.

+ + +

Bethany scese le scale rapidamente, accompagnta dal ritmo delle note che riempivano l'aria umida.

Lo trovò disteso sul tappeto, le gambe allungate sul divano che lei aveva fatto mettere per "rendere la cella più confortevole". Naturalmente lui continuava a riufitare di usarlo. "Il pavimento è più nel mio stile" sosteneva. Così lei aveva coperto il pavimento umido con un enorme tappeto rosso. Come dire "vediamo chi cede prima".

Lui non sembrava aver registrato la sua presenza e continuava a tenere gli occhi chiusi mentre suonava la melodia che aveva in testa, una nota dopo l'altra. Questo diede a Bethany la possibilità di osservarlo con attenzione. I muscoli delle braccia, lasciati scoperti dalla maglietta senza maniche, si flettevano al ritmo della musica, mentre le dita sottili scorrevano veloci sulle corde.

Aveva ricominciato a mangiare e il suo corpo stava lentamente riprendendo la forma forte e sinuosa di un tempo. Anche il suo volto cominciava a ritrovare la sua antica sembianza. Aveva lineamenti irregolari, zigomi alti e decisi, guance scavate, labbra carnose e dalla linea morbida, eppure ogni elemento confluiva insieme agli altri con un'inaspettata armonia. I capelli biondi erano arruffati, come se avesse l'abitudine di passarvi le mani e osservandoli Bethany provò lo strano impulso di imitare quel gesto. Non era bello nel senso classico del termine, ma possedeva quel magnetismo sensuale che fa impazzire le donne. E soprattutto ora che se ne stava lì, con gli occhi chiusi, completamente immerso nella sua canzone, era straordinariamente attraente. Una visione di rara bellezza. Bethany si accorse che il suo cuore aveva accelerato i battiti. Mordendosi il labbro inferiore cercò di riguadagnare il controllo di se stessa.

-Canzone nuova?-

Lui non diede segno di averla sentita. Naturalmente lei sapeva che l'aveva sentita benissimo. Sensi di vampiro e tutto il resto. Semplicemente aveva sviluppato la sottile arte di ignorarla. Dopotutto cominciava a pensare che forse era stato un errore portargli quella chitarra. In un certo senso gli aveva fornito un ulteriore espediente per escludersi dal mondo. Ma del resto non era sempre così con lui? Ogni volta che le sembrava di aver fatto un passo avanti, si accorgeva di averne fatti due indietro. Purtroppo non c'era più tempo per giocare.

-Vuoi sentirla?-

Bè tutto sommato cos'erano cinque minuti in più o in meno? Bethany si lasciò cadere sul divano. Riusciva a vedere interamente il suo volto da quella posizione. Lui continuava a tenere gli occhi chiusi, come se aprirli significasse infrangere l'incanto in cui si era rifugiato. Poi la sua voce bassa e calda riempì l'aria intorno a lei, fino ad abbracciarla completamente. Chiuse gli occhi a sua volta lasciando che le parole le scivolassero addosso.

Now I have nothing
So God give me strength
'Cos I'm weak in her wake
And if I'm strong I might still break
And I don't have anything to share
That I won't throw away into the air
That song is sung out
This bell is rung out
She was the light that I'd bless
She took my last chance of happiness
So God give me strength
God give me strength

Bethany lo sentì esitare, cercare un respiro di cui non aveva bisogno. Allora riaprì gli occhi per leggere sul suo viso quello che la sua musica le stava raccontando. La consapevolezza di essere fragili e la paura di essere forti.

God if she'd grant me her indulgence and decline
I might as well
Wipe her from my memory
Fracture the spell
As she becomes my enemy

Anche adesso, anche dopo che lei lo aveva spezzato in tutti i modi possibili, lui non riusciva a odiarla. Non riusciva a cancellarla dalla sua mente. Non riusciva a liberarsi del suo incantesimo.

See, I'm only human
I want her to hurt
I want her
I want her to hurt

Come ogni essere umano avrebbe voluto vederla soffrire come lei lo aveva fatto soffrire e allo stesso tempo la rivoleva con sé, continuava a desiderarla.

Since I lost the power to pretend
That there could ever be a happy ending
That song is sung out
This bell is rung out
She was the light that I'd bless
She took my last chance of happiness
So God give me strength
God give me strength

Le ultime note galleggiarono nell'aria prima di spegnersi per sempre. Bethany rimase immobile mentre lui apriva gli occhi e ritornava al mondo. Si accorse di avere il viso rigato di lacrime solo quando ne percepì il sapore salato sulle labbra. Lui le sorrideva adesso, ma la sua bocca aveva una piega amara.

-E' così terribile?-

Lei scosse la testa, le lacrime continuavano irrimediabilmente a scorrerle lungo il viso.

-No è...bella e...triste, anche. E'...una poesia e tu sei un poeta-

Spike sorrise di nuovo prima di richiudere gli occhi.

-Un poeta è un essere infelice il cui cuore è tormentato da sofferenze profonde e segrete, ma le cui labbra sono tali che quando gli sfuggono sospiri e pianti, questi suonano come una musica meravigliosa...e allora le persone si affollano intorno a lui e gli dicono "canta di nuovo per noi, presto" che è come dirgli "speriamo che la tua anima sia presto tormentata da nuove sofferenze"-

Bethany abbassò lo sguardo sul volto del vampiro.

-E' questo che pensi?-

Spike soffocò una leggera risata.

-Bè in realtà è Kierkegaard che lo pensa. Comunque sì, direi che sono d'accordo. In vita non avevo mai capito questo aspetto, naturalmente, ma ora so che solo chi conosce la vera sofferenza, chi ha attraversato gli abissi più profondi, può scrivere buone poesie. E all'improvviso essere un poeta non mi sembra più una cosa tanto attraente-

Bethany si lasciò scivolare sul pavimento accanto a lui raccogliendogli la testa tra le braccia.

-La poesia è uno specchio che riesce a rendere meraviglioso quello che è deforme-

Spike aprì gli occhi incontrando quelli castani e vellutati di lei.

-Shelley?-

Bethany assentì sorridendo.

-Sì, Shelley. E io sono piuttosto d'accordo con lui...e credo che riuscire a trasformare in musica e poesia la propria sofferenza e le brutture del mondo sia un dono di cui gioire e non una condanna di cui lamentarsi-

Spike ricominciò a sfiorare le corde della chitarra, assorto. Il calore di Bethany si irradiava dentro di lui come una cascata di luce.

-Non voglio gioire. Voglio solo smettere di soffrire...smettere di provare qualunque cosa-

Bethany si alzò di scatto lasciandolo di nuovo preda del freddo che lo attanagliava.

-Sei già passato per quella strada e non mi sembra ti abbia portato dove volevi, o sbaglio?-

Spike smise di suonare e si girò verso di lei fissandola con quei suoi occhi impossibilmente blu.

-Allora forse è venuto il momento di smettere di camminare. Di strada ne ho fatta anche troppa...forse più di quanta avrei dovuto-

Bethany incrociò le braccia sul petto, decisa.

-Posso assicurarti che non hai neanche mosso i primi passi sulla tua strada, fino ad ora-

Lui tornò a guardare il soffitto, come se in quell'intonaco scrostato potesse leggere le risposte alle domande che non osava formulare.

-Vattene-

Bethany si avviò verso le scale con un sospiro. A metà della sua salita si fermò, senza però girarsi verso il vampiro.

-Presto avremo visite, pensi di riuscire a comportarti decorosamente?-

-Non girerò nudo per casa e mi tratterrò dal vomitare sulle scarpe degli ospiti se è questo che ti preoccupa-

Bethany si lasciò sfuggire un sorriso prima di ricominciare a salire le scale.

-Bethany?-

Quell'unica parola ebbe il potere di bloccarla a metà strada. Era la prima volta che la chiamava per nome. Con il suo vero nome almeno. Le faceva uno strano effetto sentirlo sulle sue labbra. Si girò verso di lui e vide che la stava fissando con uno sguardo risoluto.

-Chiunque stia per arrivare...non cambierà niente-

Bethany strinse il corrimano delle scale tra le dita prima di riprendere la sua salita.

-Questo lo vedremo-

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