Gli anni del sangue e delle rose

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Quello che siamo influenza il vampiro che saremo.
Angel

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Inghilterra - 1890

Una sagoma si stagliava nell'oscurità, appena delineata dai tiepidi raggi lunari. Era un uomo. No, un gentiluomo a giudicare dagli abiti eleganti, ora inzuppati d'acqua. Aveva piovuto fino a pochi minuti prima e lui doveva essere rimasto a lungo sotto quell'acqua battente per essersi ridotto in quello stato. Doveva aver avuto un incidente o qualcosa di simile perché se ne stava chino su se stesso, sorreggendosi allo stipite della porta. Qual'era stato il momento che l'aveva condannata? Forse l'attimo in cui lui aveva rialzato il capo e lei aveva potuto scorgere il suo volto. Un volto pallido illuminato da un sorriso improvviso. I capelli lunghi e scuri producevano un contrasto sbalorditivo. O il vero contrasto era nel nero abisso degli occhi? Ma anche gli occhi sorridevano e si erano posati su di lei, insistenti.

No. L'attimo cruciale doveva essere stato quello in cui l'aveva invitato ad entrare e lui le aveva sfiorato il braccio in segno di gratitudine. Nel preciso istante in cui i loro corpi erano entrati in contatto si era sentita percorrere da un fremito intenso che le aveva improvvisamente fatto dimenticare ogni incertezza.

Poi c'erano state le sue parole. Calde e suadenti, eppure così piene di tristezza e disperazione. Le aveva raccontato dell'orribile disgrazia che lo aveva colpito. Suo figlio era caduto preda di un male incurabile che lo aveva spento lentamente. Sua moglie lo aveva seguito poco tempo dopo, il cuore distrutto dal dolore. La sua disperazione lo aveva spinto ad abbandonare il suo castello, a rinnegare il suo titolo, a vagare come un vagabondo di città in città, una notte dopo l'altra, alla ricerca di un conforto che non riusciva a trovare.

-Ed ecco che proprio quando stavo per perdere ogni speranza voi siete apparsa di fronte ai miei occhi, come il più luminoso degli angeli-

La sua voce era commossa e Virginie sentì il suo cuore accelerare i battiti. Lui le prese le mani portandosele alle labbra, ma non c'era sensualità in quel gesto, solo un'infinita devozione.

-Voi mi avete salvato-

Si era inginocchiato di fronte a lei e a quelle parole un'ondata di calore le riscaldò la pelle.

-Vi prego, rialzatevi ora. Io non ho fatto nulla...davvero-

Ecco. Forse era stato quello l'attimo fatale. Perché abbassando il capo verso di lui, Virginie aveva visto di nuovo i suoi occhi e se li era sentiti addosso, appassionati e carezzevoli, proprio come le dita che le scorrevano lungo il braccio. La voce parlava e le mani accarezzavano e Virginie riusciva a vedere la sua immagine riflessa nelle pupille dei suoi occhi scuri e vellutati. Lei era così minuscola e quegli occhi così grandi e il letto così soffice e morbido e tutto era così...giusto. Lui le fece posare la testa sui cuscini e lei affondò nella loro morbidezza, nella morbidezza del sonno, mentre lui la teneva stretta e sicura tra le sue braccia.

-Siete così bella...così bella-

Virginie sorrise mentre le palpebre calavano sui suoi occhi stanchi. Un torpore diffuso si impossessò delle sue membra. Non ricordava di essere così stanca. Sentiva a malapena la voce di lui. Le sue mani le accarezzavano il corpo abbandonato. Per un attimo ebbe l'istinto di reagire a quella manifestazione di intimità. Una ragazza di buona famiglia non fa certe cose. E neppure lascia entrare un estraneo in casa, le suggerì una voce dentro la sua mente. Una voce che assomigliava molto a quella della sua defunta madre.

-Dal primo momento che vi ho vista, non ho fatto che pensare a voi-

Virginie sorrise debolmente. Sentiva la bocca riarsa, ma riuscì comunque a pronunciare una frase sconnessa.

-Non avete...non sono passati che pochi minuti dal nostro primo incontro...parlate come se...-

Lui continuava ad accarezzarle il volto con dolcezza, ma una strana sensazione le attanagliava la bocca dello stomaco. Una sensazione di disagio che assomigliava molto alla paura.

-Devo proprio confessarvelo. E' molto tempo che vi osservo-

Virginie aprì gli occhi con fatica. Lui continuava a guardarla con la stessa intensità con cui un pellegrino avrebbe potuto guardare la meta finale del suo viaggio. C'era sete nei suoi occhi e il suo corpo era proteso verso di lei.

-Vi ho vista uscire dalla chiesa, più di un mese fa. Eravate vestita a lutto, così immersa nel vostro dolore che sembravate non notare neppure il mondo che scorreva attorno a voi. La vostra disperazione era così...simile alla mia, così totale e intensa. Avete disceso i gradini della chiesa, incurante della gente che vi urtava. Sulla strada c'era una mendicante. Una vecchia sepolta sotto strati e strati di sporco e stracci. Teneva la mano tesa verso la folla che la superava, senza neppure guardarla, come se la sua esistenza non avesse alcun significato. Ma voi vi siete fermata proprio di fronte a lei e siete riemersa dal vostro dolore, solo per guardarla. Avete riempito la sua mano raggrinzita di monete e poi vi siete chinata su di lei e le avete accarezzato il volto stanco. Da quel preciso istante non ho desiderato altro che avere il vostro cuore. Un cuore che nell'indifferenza e nel dolore, si era aperto per l'ombra di un essere umano. Mi ha fatto sentire umano, quel cuore. Mi ha fatto provare di nuovo compassione e amore-

Virginie sentì una lacrima scivolarle sulla guancia. Lui la catturò con le labbra prima di parlarle di nuovo. Nella sua mano era comparsa improvvisamente una rosa scarlatta e con essa accarezzava il corpo che giaceva abbandonato, sotto di lui.

-Mi concederete il vostro cuore Virginie?-

Lei lo guardò. Studiò quegli occhi caldi e meravigliosi e poi assentì. Lui le sfiorò il viso con i petali rossi e vellutati della rosa e ricambiò il suo sorriso.

-Era quello che volevo sentire-

Virginie non si mosse mentre lui le slacciava il corpetto del vestito di velluto. Non si mosse mentre le affondava la mano nel petto. Ma urlò, sentendo il dolore irradiarsi in ogni fibra del suo corpo. Urlò con una forza che non credeva di avere, mentre il sangue inondava le lenzuola immacolate. Poi la vista le si annebbiò e il suo respiro si fece sempre più affaticato. Poco prima che l'oscurità la avvinghiasse non poté fare a meno di osservare ipnotizzata il ghigno soddisfatto dell'uomo che stringeva tra le dita un ammasso rosso e pulsante. Il suo cuore.

Un applauso riempì la stanza, ma Angelus non si lasciò distrarre. Sapeva anche senza bisogno di alzare lo sguardo che sulla soglia della camera da letto, languidamente appoggiato alla parete, William lo osservava con sufficienza. Sorridendo ambiguamente risalì lungo il corpo della sua preda fino a sfiorarle le labbra con le dita sporche di sangue. Le rose rosse, il corpo morbido abbandonato tra le sue braccia, il modo in cui il volto di lei si protendeva verso di lui, le labbra appena dischiuse. A prima vista si sarebbero detti due amanti sorpresi nell'atto di consumare la loro passione. Disegnare con i gesti e gli oggetti un'atmosfera ingannevole, lo divertiva. Giocare con le false apparenze, lo inebriava. Per lui uccidere era esattamente come dipingere un quadro in cui dolore e passione si mescolavano e si confondevano in un'affascinante ambiguità. E come ogni artista, ciò che più bramava era qualcuno capace di apprezzare la propria opera. Incapace di resistere oltre, girò lo sguardo compiaciuto verso il suo spettatore.

-Sei venuto ad ammirare la mia ultima opera d'arte, ragazzo?-

L'altro incrociò le braccia sul petto osservando la stanza con ostentata sufficienza.

-Opera d'arte? A me sembra il solito bagno di sangue. E a proposito, ti sei macchiato il vestito nuovo. La tua mammina non ti ha insegnato come ci si comporta a tavola?-

Angelus si alzò dal letto con uno scatto improvviso e si avventò su di lui, imprigionandolo sul pavimento con il proprio peso.

-Come osi criticare la mia opera? Ho impiegato un intero mese per allestirla-

William rise di gusto, incurante delle mani possenti che si stringevano attorno al suo collo.

-Ma vedi, caro Angelus, è proprio questo il punto! Un mese intero a seguire quella ragazzina, a studiarne ogni movimento, per non parlare di quella ridicola messa in scena. "Il mio povero figlio, la mia povera moglie!". Per un attimo ho temuto che ti saresti messo a piangere come un bambino. E tutto per cosa? Un cuore che avresti potuto mangiare fin dal primo giorno. E poi le rose rosse sono così scontate...-

Questa volta fu Angelus a ridere, una risata profonda e sinceramente divertita. Lasciò la presa e si rialzò, allontanandosi di qualche passo.

-Tutto questo tempo e ancora non capisci, vero William? Sai, non ti credevo *così* stupido-

Il vampiro più giovane rimase immobile sul pavimento, il viso chiuso in un'espressione indecifrabile.

-Certo, avrei potuto strappare il cuore a quella ragazza il primo giorno in cui l'ho vista. Ma credi che quel cuore avrebbe avuto lo stesso gusto? Nel suo sangue avrei assaporato solo sorpesa e sgomento. Oggi invece quel sangue era ricco di mille sfumature di sapore. Fiducia e tradimento, purezza e passione, amore e odio. E naturalmente terrore. Uccidere sotto la spinta di un impulso momentaneo...solo gli animali lo fanno, o gli idioti che non sanno apprezzare il gusto del loro cibo. Per quanto riguarda le rose, non sono scontate, ma un classico. Riesci a cogliere la differenza?-

William si rialzò, allora, scrollandosi la polvere del pavimento dai vestiti.

-Continuo a pensare che stai solo perdendo tempo-

Angelus si portò alla bocca il cuore grondante di sangue della sua ultima vittima assaporandone l'aroma intenso.

-Ma non capisci che è proprio questo il punto? Il tempo non ci riguarda. Giorni, mesi, secoli, sono tutte grandezze che non hanno alcun significato per noi. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo e anche di più. E' questo il nostro potere. Noi non temiamo la morte come le altre creature, noi l'abbiamo corteggiata e vinta, abbiamo fatto di lei la nostra eterna compagna. Non dobbiamo sprecare questo dono, dobbiamo usarlo per elevarci al di sopra degli altri. Se uccidi senza criterio, casualmente, spinto solo dal tuo istinto, allora non sei altro che un animale come gli altri e il tuo dono è andato sprecato. Ma se uccidi con stile, se dai la morte con grazia e passione, allora sei come un dio-

Gli occhi di William scandagliarono la stanza e si soffermarono sul letto a baldacchino in cui giaceva il corpo rigido e lacerato di quella che poche ore prima era stata una ragazza come tante altre. Solo più imprudente. O più fiduciosa.

-Sei tu che non capisci, Angelus. Per quante scuse elabori, per quanto ti sforzi di nasconderti sotto la tua maschera di artista, per quanto cerchi di elevarti al di sopra degli altri, la realtà non cambia. Credi di essere migliore delle altre creature che infestano questo squallido pianeta? Credi di essere milgiore di quelli che uccidono cedendo a un impulso momentaneo o al loro istinto naturale? Bé ti sbagli. Sei esattamente come loro, con l'unica differenza che hai cominciato a credere alle favole che ti racconti-

Il pugno lo colpì in pieno viso, facendolo barcollare. Sputò un fiotto di sangue sul pavimento, poi tornò a guardare il suo sire de facto, le labbra contuse erano ora aperte nel suo solito sorriso strafottente.

Gli occhi di Angelus scintillarono di rabbia. Era l'unico. Quella ridicola imitazione di vampiro era l'unico al mondo che riusciva a fargli perdere le staffe e ogni volta che accadeva leggeva sul suo volto il gusto della vittoria.

-Come osi giudicarmi. Proprio tu. Non sai neanche cosa significa essere un vero demone, sei solo una squallida imitazione. Credi che la quantità di persone che hai ucciso ti avvicini anche solo di un passo a me? Lascia che ti dica una cosa, William, la quantità non significa niente, è la qualità che conta. Ma tu non capisci la differenza, vero? Per questo sarai sempre inferiore...per questo sarai sempre sotto di me-

Un lampo di frustrazione attraversò gli occhi azzurri del vampiro e Angelus seppe di aver assestato un colpo vincente. Era così facile ferirlo. Così facile che quasi non provava più gusto nel farlo. Quasi.

William si avventò su di lui, scaraventandolo sul letto e coprendolo con il proprio corpo.

-Chi è che sta sotto, adesso? Eh, Angelus?-

Angelus sorrise sornione prima di colpirlo allo stomaco con il ginocchio libero, rovesciando le loro posizioni. Il suo corpo possente intrappolò quello esile dell'altro sotto il suo peso, con una mano gli imprigionò le braccia sopra il capo e con l'altra schiacciò la sua faccia contro le lenzuola intrise di sangue.

L'odore del liquido ricco e viscoso inondò le narici di William, lasciandolo stordito. Sentì Angelus chinare il volto su di lui e sfiorargli con le labbra l'orecchio destro.

-Sei tu che stai sotto, William. Come sempre-

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Edith continuò a ripetere le parole del giuramento nella sua mente. Un colpo più forte degli altri e sentì il suo stesso sangue riempirle la gola. Senza esitare sputò il liquido dal sapore metallico in faccia al suo aggressore.

-Piccola...strega!-

Edith sorrise lasciandosi andare contro il palo a cui era stata imprigionata.

-Credevo fosse quello che volevi. Il sangue intendo-

Darla si ripulì il viso, disgustata.

-Non bevo sangue marcio-

Edith sfregò i polsi contro le corde che li imprigionavano. Il dolore sembrava l'unica cosa che le impediva di abbandonarsi definitivamente.

Proteggere il cavaliere, servire la spada, unire i poteri...

La vista le si annebbiò di nuovo mentre le parole rotolavano confuse nella sua mente.

-Allora ricominciamo daccapo-

La voce affilata di Darla le ferì le orecchie.

-Perché ci stai seguendo?-

Edith sollevò il capo con fatica, ma sulle sue labbra aleggiava un sorriso sarcastico.

-Cosa vuoi che ti dica, sono sempre stata un tipo curioso...e ammetterai che voi siete una compagnia oltremodo curiosa...-

Darla rise divertita.

-Ti prego! Credi davvero che sia così stupida? Un demone superiore non segue un gruppo di vampiri solo perché è curioso-

Gli occhi ambrati di Edith ebbero un tremito e Darla ne sorrise.

-Sai ho letto un paio di libri quando ero più giovane-

-Quei libri sono...-

-Proibiti? Sì, bé, non sono mai stata il tipo che rispetta le regole...o le gerarchie-

Edith distolse lo sguardo dal volto del vampiro che camminva intorno a lei, disegnando cerchi sempre più stretti.

-Allora vediamo se ho imparato bene la lezione. I pochi demoni puri rimasti decisero di mescolarsi agli esseri umani per evitare di essere sterminati completamente. Così vissero per secoli, sottomessi a coloro che erano stati un tempo i loro schiavi. Che fine ingloriosa per la stirpe delle tenebre. Ma non ti preoccupare, carina, presto ci riprenderemo quello che ci è stato tolto-

Edith rialzò il volto rigato di sangue e polvere.

-Non è a voi che è stato tolto qualcosa. Vi è stato anzi fatto un dono incommensurabile, ma lo avete sprecato. Avete calpestato le nostre leggi e i nostri insegnamenti...-

Darla si ravvivò i capelli biondi, prima di avvicinarsi al corpo esanime della sua vittima.

-Sì, sì conosco il ritornello. Una razza di guerrieri nati per servire la stirpe delle tenebre e riportare l'ordine prestabilito. Davvero credevate che saremmo rimasti per sempre i vostri lacché personali?-

-Voi eravate destinati alla grandezza. Vi era stato dato il potere di restituire ciò che era stato tolto, ma vi siete lasciati corrompere...siete la vergogna della stirpe oscura...-

-Ma sentitela! Parli proprio come quei noiosissimi libri. Eppure non devi averne letti molti, altrimenti sapresti che ogni figlio si ribella a chi lo ha generato. Adamo ed Eva hanno rifiutato il Paradiso che il loro Dio aveva creato per loro. Zeus ha ucciso suo padre Crono e ha fondato una nuova stirpe di divinità. Edipo ha ucciso suo padre e ha preso il suo posto sul trono. La storia è piena di esempi come questi-

Edith teneva il capo abbassato sulla spalla, il suo respiro era flebile come un lamento. Darla continuò a parlare compiaciuta.

-Ma noi siamo andati oltre ogni immaginazione. Non ci siamo limitati a ribellarci o a distruggervi, abbiamo preso il mondo che voi vi siete fatti soffiare da sotto il naso e ne abbiamo fatto il nostro parco dei divertimenti. Abbiamo elevato il piacere a regola d'arte e abbiamo trasformato i vostri dominatori nei nostri giocattoli. E ora siamo noi i dominatori di questo mondo-

Edith rise allora. Una risata aperta e sincera.

-Dominatori? Ma se non dominate neppure i corpi che vi hanno accolto? Credete di poter dominare la razza umana, ma la verità è che vi siete fatti corrompere dai loro istinti bassi e deboli. Non è il demone che possiede il corpo, è il corpo che possiede il demone-

-Taci!-

Darla graffiò le labbra irriverenti del demone che la sfidava così apertamente e l'avrebbe colpita a morte se una voce non l'avesse interrotta.

-Come al solito non ci hai invitato alla festa-

Edith respirò a fondo. Quella voce era la sua salvezza. Darla interruppe il suo assalto e si voltò irata verso i nuovi venuti.

-E tu come al solito rovini il mio divertimento. Ti devo ricordare il prezzo che hai pagato l'ultima volta?-

William sorrise ambiguamente, senza staccare gli occhi irrispettosi da quelli furenti di Darla.

-La memoria a volte gioca brutti scherzi. Credevo che alla tua età tu lo sapessi, nonnina-

Ringhiando Darla si lanciò su di lui, proiettandolo a terra.

-Darla, tesoro, non perdere tempo con quello scarto, il tuo nuovo giocattolo mi sembra molto più interessante-

Angelus si avvicinò al corpo tumefatto e ansimante, annusandolo.

-Sangue puro. Non l'ho mai assaggiato prima d'ora...-

Gli occhi di William lampeggiarono nell'oscurità, mentre si liberava con inaspettata facilità del corpo di Darla e si lanciava su Angelus. Edith fece un cenno di dissenso con il capo, spalancando gli occhi. Perché esporsi a tal punto per un semplice demone?

-Non farlo!-

William strinse il braccio di Angelus in una morsa d'acciaio.

-Che ti prende, cucciolo? Vuoi tu il primo sorso?-

Gli occhi scuri di Angelus rimandarono uno sguardo sarcastico. William scosse il capo con disprezzo.

-Sei un vero idiota-

Bastarono quelle poche sillabe per infiammare Angelus che afferrò il giovane vampiro per le spalle e lo sbatté contro le mura di un palazzo fatiscente.

-Come osi rivolgerti a me in questo modo? Come osi intrometterti?-

-Angelus caro, non arrabbiarti. Il cucciolo vuole solo proteggere il suo padrone. Ho sempre saputo che sarebbe diventato un buon cane da guardia, se bene addestrato-

Darla si era alzata e stava minuziosamente eliminando ogni granello di polvere dal suo prezioso abito di seta azzurra. Angelus si voltò verso di lei, seccato.

-Che diavolo vorresti dire?-

-Voglio dire che il sangue di un demone puro è veleno per un vampiro. Saresti morto in meno di un minuto. Un minuto di sofferenze atroci, naturalmente-

Angelus allentò la presa sulle spalle di William e lui si liberò con uno strattone.

-Lo sanno anche i bambini, idiota-

Darla alzò il capo fissando il suo sguardo indagatore su William.

-In effetti, William, non lo sa praticamente nessuno e mi chiedo come tu possa essere a conoscenza di questa informazione-

Il vampiro scrollò le spalle con noncuranza.

-L'avrò letto da qualche parte-

-Lo trovo improbabile e comunque mi piacerebbe sapere come hai fatto a capire che questa ragazzina è un demone puro...-

-Tu lo sapevi-

La voce di Angelus interruppe la discussione sul nascere.

-Tu sapevi che quel sangue mi avrebbe ucciso e non hai alzato un dito per fermarmi-

Il vampiro aveva appoggiato le mani aperte su quello che restava dell'edificio sgretolato dalla sua collera. Una parete ruvida e polverosa in mezzo al nulla.

-Avresti lasciato che io bevessi-

Darla distolse gli occhi da William per concentrarli su quelli di Angelus, ma lui le dava le spalle e le ombre della notte rendevano il suo volto indecifrabile. La irritava non poter guardare i suoi occhi. Si avvicinò a lui con le movenze di una gatta.

-Angelo mio, certo che ti avrei fermato! Solo che quel piccolo rifiuto è stato più veloce di me...si è intromesso e ha rovinato il mio piano-

Le sue parole erano suadenti come le sue mani che lo accarezzavano. Angelus si allontanò dal suo tocco.

-Andiamo, non fare lo scontroso adesso! Volevo solo divertirmi un po'-

Darla si abbarbiccò su di lui riappropriandosi del suo corpo. Angelus, però, guardava altrove. I suoi occhi neri erano avvinti da quelli azzurri di William, il vampiro che nella sua breve esistenza aveva già distrutto centinaia di vite e che quella notte, per qualche strana e oscura ragione, aveva deciso di salvare la sua. Lo guardò avvicinarsi all'ultima vittima di Darla e slegarla. Il corpo esanime gli ricadde addosso e lui lo accolse tra le sue braccia, senza sforzo. Continuò a guardarlo mentre si allontanava nell'oscurità e solo quando ne fu completamente inghiottito, Angelus tornò a rivolgere la sua attenzione a Darla, inginocchiata ai suoi piedi, e lasciò che il proprio corpo vibrasse sotto il tocco esperto della sua regina.

+ + +

Edith riaprì gli occhi lentamente. Ogni centimetro del suo corpo gridava di dolore ma lei strinse le labbra e trattenne in gola quel grido. L'aria fredda della notte le sferzava il viso e giocava con le sue vesti lacere. Sopra di lei le stelle pulsavano, come impazzite. Era la notte di San Lorenzo e le fredde compagne della luna si mostravano in tutto il loro splendore facendo impallidire di invidia anche la loro fredda regina. Respirò a fondo, riempiendosi i polmoni di quell'aria fredda e pungente. E fu allora che lo percepì. L'odore della morte, tutto intorno a lei. Si guardò intorno cercando di mettere a fuoco le sagome bianche e grige che la circondavano. Croci e lapidi. Un cimitero. E di fronte a lei, il suo angelo dalle ali nere. Juhdiel.

-Ben svegliata-

Si alzò di scatto, ma dovette tornare a sedersi quasi immediatamente. La testa le girava vorticosamente. Riuscì a malapena ad alzare gli occhi sul suo interlocutore.

-William, sei tu...-

Gli occhi di William brillarono nell'oscurità. Era sollievo quello che sentiva nella voce di quella donna? Non avrebbe dovuto essere così e comunque...

-Come sai il mio nome? Non mi pare che siamo mai stati presentati-

Edith socchiuse gli occhi. Juhdiel, il cavaliere oscuro, colui che avrebbe dovuto sconfiggere il male con l'amore e il perdono, colui che era destinato a brandire la spada della condanna e dell'indulgenza, era morto. Dalle sue ceneri, come una fenice immemore, era nato William, un timido e inoffensivo studente senza un destino prefigurato, libero di essere e diventare chiunque. E questa creatura della notte che si ergeva di fronte a lei...questa era la forma che William aveva scelto. E per questa creatura lei non era nessuno. Non doveva dimenticarlo. Tornò a guardare i suoi occhi, quelle pozze azzurre e profonde che un tempo l'avevano amata e protetta, che le avevano ridato una speranza che credeva morta e sepolta. E rabbrividì. Perché in quegli occhi non trovò alcun segno di ciò era stato, né di ciò che sarebbe dovuto essere.

-William il Sanguinario. Si parla molto di te nella comunità demoniaca. Non sempre in modo lusinghiero-

Lui sorrise, sedendosi sulla lapide di fronte alla sua.

-Già. Stavo appunto pensando di cambiare nome-

-Perché, William?-

-Bè sai com'è, certo è bello avere una fama, ma non sono sicuro che quella che ho sia quella che volevo...e poi William è un po' troppo...umano, non credi? Pensavo a qualcosa di più diretto e tagliente, un nome con un significato chiaro e preciso...-

Edith scosse la testa in segno di diniego.

-Intendevo dire, perché mi hai salvata?-

Lui sembrò a disagio, ma fu solo un attimo.

-Non ti ho affatto salvata. E' solo che ogni tanto mi piace sfidare Darla-

Lei scosse la testa di nuovo, per nulla convinta dalle sue spiegazioni.

-Non mi hai salvata come non hai salvato il tuo compagno?-

A quel punto lui scattò in piedi ringhiando.

-Avevo deciso di lasciarti andare, giusto per fare un dispetto a Darla, ma penso di aver cambiato idea-

Edith raccolse le sue ultime forze e si alzò in piedi, fronteggiandolo.

-Ascoltami, William. Quella non è la tua gente, tu non sei come loro. Qualunque cosa tu faccia per loro, non verrai mai ripagato...non otterrai mai niente in cambio-

William rise e ogni residuo di rabbia sembrò scivolare via dal suo corpo insieme a quella risata.

-Non è per ottenere qualcosa che sto con loro-

-E allora perché?-

Lui la fissò a lungo prima di rispondere, con quei suoi occhi limpidi e disarmanti.

-Perché sono l'unica famiglia che mi è rimasta-

Edith si lasciò cadere pesantemente sulla lapide, come se quelle parole le avessero strappato le sue ultime forze.

-Loro non sono la tua famiglia. Non lo saranno mai-

-E' meglio se te ne vai-

William le dava le spalle ora e il suo tono non nascondeva una punta di fastidio.

-Probabilmente Darla è già sulle tue tracce. Non è il tipo che lascia un lavoro a metà-

Edith assentì silenziosamente e con le parole del giuramento sulle labbra, lasciò il cimitero.

William la guardò allontanarsi prima di lasciarsi cadere su una lapide, passandosi una mano tra i capelli scarmigliati.

-Il mio cavaliere è rimasto di nuovo solo-

La voce cantilenante lo avvolse e lui lasciò che le braccia pallide e sottili facessero lo stesso, abbandonandosi in quell'abbraccio gelido.

-Mi sei mancata Dru-

Il demone lo guardò attraverso le lunghe ciglia nere, mentre un sorriso distendeva le sue labbra rosse come il sangue di cui si era appena nutrita.

-Miss Edith voleva vedere le stelle. Io le ho detto che potevamo vederle anche da qui, ma lei ha insistito per partire. Loro ci parlano sai? E raccontano così tante storie!-

William chiuse gli occhi rannicchiandosi contro il suo grembo.

-Raccontami cosa ti hanno detto le stelle-

E Drusilla raccontò. Parlò di destini oscuri e luminosi, di angeli caduti e di demoni santificati. Parlò per ore e William rimase ad ascoltarla come se da quei vaneggiamenti fosse dipesa la sua intera esistenza.

Angelus rimase a guardare i due vampiri illuminati dal chiarore notturno. Lei seduta sul terreno freddo e umido, il capo rovesciato verso il cielo trapunto di stelle, e lui abbandonato tra le sue braccia, gli occhi celesti persi nella contemplazione della sua oscura regina.

In quel momento gli apparvero come due angeli caduti, due angeli a cui erano state brutalmente tarpate le ali, e provò un sottile piacere al pensiero che era stato lui a strappare quegli angeli al Paradiso. Eppure...cos'era quell'inquietudine che lo attanagliava e si insinuava nella sua mente come un presagio triste? Guardò di nuovo verso le sue creature. Sì, sue. Eppure ormai così lontane.

+ + +

Lo specchio li guardava dalla parete. Scrutava la stanza, penetrando tra le ombre, anche se tutto quello che rifletteva era un letto vuoto. Angelus ne era conscio mentre si curvava su Darla e lei urlava e si tendeva sotto il suo tocco. E poco importava se quello stupido specchio non portava testimonianza della loro presenza in quella stanza, perché tutto ciò che voleva era lì e lui lo vedeva distintamente. Quella città gli apparteneva, quella stanza gli apparteneva, lei gli apparteneva. Tutto gli apparteneva, perché lui aveva il potere. Il potere di mettere chiunque al suo servizio.

Improvvisamente una fitta di dolore gli trapassò la spalla. Angelus si tirò indietro e portò la mano alla ferita scarlatta.

-Perchè diavolo lo hai fatto?-

Darla rigirò il paletto appuntito tra le dita prima di leccare lascivamente il sangue che aveva tratto dalla ferita recente.

-E tu perché mi hai lasciata sola?-

Gli occhi di Angelus ebbero un lampo di esitazione.

-Dovevo assicurarmi che William si sbarazzasse di quel demone una volta per tutte. Ci ha già dato fin troppi problemi-

Darla si sollevò su un gomito.

-Chi? Il demone o William?-

Angelus si alzò per prendere la bottiglia di vino rosso accanto a lui.

-Beviamoci sopra, vuoi?-

Riempì i bicchieri e gliene porse uno. Lei esitò, poi bevve lentamente, la collera non sfogata negli occhi.

-E l'ha fatto?-

-Cosa?-

Darla si accigliò sopra l'orlo del bicchiere.

-Si è sbarazzato di quel demone, sì o no?-

Angelus la guardò dritto negli occhi. E mentì.

-Certo. L'ha bruciata nel cimitero della città. Uno spettacolo...luminoso-

Darla sorrise compiaciuta porgendo di nuovo il bicchiere al suo compagno perché lo riempisse.

-Ho deciso di fare un breve viaggio-

Lei fece il broncio, le labbra di corallo increspate.

-Non mi dire che sei ancora arrabbiato per la storia del sangue! Te l'ho già detto un centinaio di volte...ti avrei avvertito in tempo! Quello stupido di William...riesce sempre a rovinare tutto!-

Girò le gambe verso la sua parte del letto, i riccioli biondi che le ricadevano sulle spalle mentre scuoteva la testa.

-Non mi perdonerai mai, vero?-

Che dire? Era sempre stata un'ottima attrice. Angelus scrollò le spalle.

-Non c'è niente da perdonare. E comunque non è per questo che voglio partire-

-E allora perché?-

Gli occhi azzurri di Darla mandavano lampi.

-Mi conosci bene Darla. Mi hai fatto tu. Ogni tanto ho bisogno di passare un po' di tempo per conto mio. Non sono mai stato un amante dei club, per quanto ristretti li trovo sempre troppo affollati-

Angelus le prese la mano e gliela strinse, rassicurandola. Lei la tirò indietro con diffidenza.

-Qualche volta mi chiedo se ti conosco veramente. Dici talmente tante bugie agli altri e a te stesso che neanche tu sai più dove sta la verità-

-Ho mai cercato di ingannare te?-

-Certamente! Solo che non ha funzionato, vero?-

Darla rise e la sua voce si alzò di tono.

-La verità è che hai paura. Una paura matta di lui. Del modo in cui la guarda, dei gesti che le regala. A volte è così umano da darmi il voltastomaco. Ma tu lo invidi invece. Invidi quello che potrebbe darle, quello che potrebbe avere da lei. Quello che noi non abbiamo mai avuto e non avremo mai!-

Angelus le pose un dito sulle labbra, il gesto era imperioso e deciso.

-Non dire idiozie. Siamo noi quelli da invidiare. Tu sei diversa...unica e non ti cambierei con nessuno-

-Davvero Angelus? Pensi davvero quello che dici?-

Lui le prese di nuovo la mano e questa volta lei non si sottrasse, ma lo guardò negli occhi continuando a parlargli.

-Forse perché io sono la sola che ha capito le tue bugie fin dall'inizio e ti ha voluto comunque-

Lui alzò il bicchiere per un brindisi e la osservò. Sì, lei era diversa. Non era mai riuscito ad ingannarla con le sue esibizioni di forza e non era riuscito a ipnotizzarla con il proprio fascino. Per tenere a bada le sue richieste e la sua possessività non si poteva dunque né ingannarla, né ipnotizzarla. Era diversa dalle altre, difficile. Ma non unica. C'era un'altra creatura al mondo che non si era mai piegata a lui e di fronte alla quale si sentiva impotente. Una creatura a cui non riusciva più a stare vicino. Una creatura che lo bruciava, ogni volta, con l'azzurro limpido dei suoi occhi.

Il bicchiere si fermò davanti alle labbra di lei.

-Cosa stai guardando?-

-Te-

Sorrise lui.

-Occhi azzurri, lunghi riccioli biondi. Sembri una delle bambole di Dru-

Lei rise. Una risata calcolata e dura.

-Credi che adulandomi riuscirai ad avere il permesso di partire?-

Lui la osservò bere di nuovo. I tempestosi occhi azzurri sembravano avere qualche difficoltà a mettere a fuoco. Depose il bicchiere continuando a fissarla, a fissare il movimento della sua gola. Il suo collo era candido, morbido e flessibile e per un attimo Angelus provò il desiderio di bere di nuovo da quel calice invitante. Ma non c'era tempo.

-Non ho bisogno di chiedere il permesso, tesoro-

Scostò le lenzuola di lino e si alzò dal letto cominciando a vestirsi. Lei era ricaduta sui cuscini, immobile. Doveva andare adesso, mentre il veleno era ancora in circolo, prima che il potente sangue della famiglia di Aurelius lo neutralizzasse. Non voleva certo trovarsi nei paraggi quando si fosse risvegliata. Anche se ripensandoci sarebbe stato divertente guardarla sfogare la propria frustrazione su William e Dru. Si fermò per qualche istante valutando la possibilità, poi scosse la testa. No, doveva andare ora. Doveva allontanarsi. Doveva mettere più spazio possibile tra sé e quel figlio irrispettoso. Come aveva osato mettere in dubbio la sua superiorità? Come aveva osato salvarlo? E soprattutto, perchè?

Eppure l'aveva istruito nel migliore dei modi, quel figlio. Gli aveva dato insegnamenti come se fosse stato un maestro di buone maniere, ma ciò che gli aveva insegnato aveva ben poco a che fare con l'etica e la morale. Nel corso dei secoli aveva fatto dell'omicidio un arte sottile e le sue stragi erano curate nei minimi dettagli, le sue scelte figlie dell'opportunismo e William aveva imparato da lui con la facilità e il divertimento di un bambino.

Ben presto era diventato un predatore esemplare. La sua andatura altera, la sua grazia un pò rigida, gli conferivano qualcosa di sottilmente ambiguo. Con quei suoi occhi intensamente blu, gli bastava una semplice occhiata per conquistare chiunque. E poi c'era quell'aria innocente che, nonostante tutto, aveva conservato e che gli permetteva di ottenere facilmente la fiducia delle sue prede. Non era uno stratega, certo, non aveva mai avuto la pazienza di fare piani a lungo termine e quando tentava di farli li rovinava immancabilmente a causa del suo carattere impulsivo, ma le sue doti innate lo rendevano comunque efficacie e pericoloso. Di fatto uccideva indiscriminatamente, ma a un tale ritmo che il suo nome era presto diventato protagonista di oscure leggende. William il Sanguinario, l'epiteto con cui era stato schernito in vita, aveva acquisito, dopo la sua morte, una nuova e più letterale valenza.

E allora dov'era l'errore? Non riusciva a spiegarselo. Eppure un errore doveva esserci stato, perché quando William gli aveva afferrato il braccio allontanandolo da una morte pressoché certa, quando lo aveva guardato con quegli occhi troppo azzurri e limpidi, in quel preciso istante Angelus aveva capito di avere fallito.

Certo William aveva sempre costituito un'esplicita minaccia per la sua fama e il suo nome, la sua era stata una sfida aperta e continua. Angelus ne era stato consapevole fin dal primo istante. Qualunque altro childe che si fosse mostrato altrettanto insolente e così poco rispettoso delle regole della comunità vampirica sarebbe stato ridotto in cenere già da molto tempo. William, però, possedeva un dono raro e prezioso, non solo tra i vampiri, ma anche tra gli umani. Sapeva ascoltare. Chiunque fosse il suo interlocutore, qualunque fosse l'argomento di conversazione, era un ascoltatore eccellente. Senza dubbio era stata proprio la sua innata capacità di mettere gli altri al centro del suo universo a salvargli la vita più di una volta, a far passare in secondo piano le ribellioni e le insolenze. Ascoltava con infinita pazienza i deliri di Drusilla e le sfuriate di Darla, appagando il loro innato desiderio di attenzione. Ma soprattutto ascoltava lui.

Gli aveva raccontato centinaia di volte della sua infanzia in Irlanda, nella grande tenuta del padre dove più di trecento schiavi curavano vasti campi di grano, della fuga dopo l'incontro con Darla e della sua vita in America e in Europa. Sapeva che William non aveva creduto nemmeno a una decima parte delle sue parole, ma ogni volta gli aveva prestato attenzione con il rispetto che avrebbe preteso da un ascoltatore se fosse stato lui a raccontare la fantasiosa storia della sua vita a Londra. Era stato questo ad unirli: la loro abitudine di mentire, la loro fratellanza nella falsità.

E Angelus si chiese se non fosse stato proprio questo l'errore. Aver lasciato che tra loro si instaurasse un legame.

Il modo in cui aveva parlato di loro a quel demone...quella storia della famiglia...certo era stato lui a mettergliela in testa..."adesso siamo noi la tua famiglia". Ricordava bene di averglielo detto, ma era stato solo un espediente, un modo per convincerlo a sottomettersi, per fargli riconoscere la sua dipendenza da loro. Ma lui l'aveva preso sul serio. Proteggeva Drusilla e persino Darla come le pietre più preziose. E proteggeva lui. Non se ne era mai reso conto fino a quella notte, troppo occupato a seminare odio e paura, a fare terra bruciata intorno a sé. Ma ora un velo gli era caduto dagli occhi. Il solo fatto che fossero ancora tutti insieme era una dimostrazione più che evidente che William non si era affatto piegato, ma aveva vinto. Ogni volta che era sopravvissuto alla sua furia, ogni volta che gli aveva impedito di allontanarsi, ogni nuovo aveva vinto. E Angelus non riusciva a sopportare l'idea di non avere alcun potere su di lui.

E così aveva deciso di allontanarsi, di spezzare quel legame. Forse, se era davvero fortunato, Darla lo avrebbe ucciso in sua assenza. Era stato un errore accoglierlo tra loro, era stato come crescere una serpe in seno. Avrebbe dovuto lasciarlo bruciare in quella casa insieme alla sua famiglia. Quella vera. Al diavolo il Maestro.

Si allontanò velocemente dalla stanza, dal palazzo, dal quartiere, dalla città. Camminò nella notte fino a che non raggiunse il porto. Il buio lo avvolgeva come un mantello, dandogli sicurezza. Rimase per qualche istante a osservare le navi da carico che dondolavano pigramente nell'acqua scura. Qualche istante di troppo.

-Non è molto educato partire senza salutare. Darla dovrebbe davvero farti un corso accelerato di bon ton-

Angelus si bloccò. Il primo motivo della sua partenza se ne stava dietro di lui, impegnato ad accendersi una sigaretta. Sentì il rumore del fiammifero che sfregava contro il terreno ruvido e il crepitare della fiamma nell'aria fredda della notte, poi l'odore del tabacco che bruciava lentamente. Si concentrò su ogni singolo rumore, su ogni singolo odore, qualunque cosa che servisse a distrarlo da quella presenza disturbante.

-Così hai deciso di lasciarmi campo libero, finalmente-

La voce di William grondava sarcasmo e sottointesi. Angelus riuscì quasi a vedere il suo sorriso ambiguo davanti agli occhi. Quello era l'atteggiamento che più di ogni altro scatenava la sua collera e al tempo stesso gli impediva di ignorarlo, di allontanarlo o semplicemente di lasciarlo dietro di sé. Quel modo di fare rilassato e al tempo stesso provocante. Era esattamente nei momenti in cui mostrava quella sicurezza consapevole che Angelus provava l'istinto incontrollabile di spezzarlo. Come aveva detto Drusilla quella volta? "Il mio William è come un giunco". Lui e Darla avevano riso per ore. Ma ora capiva che quello di Drusilla era stato un avvertimento, forse anche una velata minaccia. "Potete tentare di piegarlo, ma non lo spezzerete mai. Alla fine vincerà lui ". Peccato non averlo capito in tempo. Si girò a guardare il vampiro dagli occhi azzurri che continuava a fumare con ostentata indifferenza, il viso rivolto alle stelle. E sorrise. Questa volta non avrebbe ceduto, non lo avrebbe lasciato vincere. La posta in gioco era troppo alta.

-Divertiti fin che puoi, William. Le cose cambieranno parecchio al mio ritorno-

Quando gli occhi azzurri tornarono a guardarlo, Angelus colse in essi un lampo di delusione, immediatamente velato dall'abituale espressione strafottente.

-E' una promessa?-

Angelus si incamminò verso la nave più vicina, dandogli le spalle.

-Prendila come vuoi-

Stava già risalendo lungo il ponte di legno quando sentì l'altro raggiungerlo di corsa. Si voltò irato.

-Che diavolo vuoi ancora?-

E si pentì immediatamente di averlo degnato di quell'ultimo sguardo. Gli occhi azzurri erano ora pieni di apprensione e su quel volto sarcastico si era disegnata un'espressione contratta. Preoccupata forse? Angelus non avrebbe saputo dirlo. E come avrebbe potuto? Nessuno lo aveva mai guardato in quel modo. Neppure quando era vivo. Le sue partenze erano sempre state salutate con un sospiro di sollievo o con esplosioni di rabbia. Mai aveva letto sul volto di chi si era lasciato alle spalle il rammarico per il suo abbandono. Ma forse era questo il punto. Nessuno si era mai sentito abbandonato da lui, solo liberato. E allora perché quella sottospecie di childe lo fissava in quel modo? Perché quel viso lo accusava di un tradimento che lui non sentiva di aver mai compiuto?

Fu solo un attimo. Un attimo in cui Angelus sentì l'assurdo impulso di perdersi in quegli occhi e lasciare che quelle braccia forti quanto le sue lo accogliessero, cancellando i suoi dubbi. Ma poi l'attimo passò e l'incanto fu spezzato.

-Vedi di non farti ammazzare mentre te ne vai in giro a fare il bel tenebroso. Dopo tutto il tempo che ho aspettato, non vorrai togliermi il piacere di vederti morire...-

Angelus serrò i pugni fino a che le unghie non si conficcarono nei suoi palmi, traendone scarne goccie di sangue. I suoi occhi si ridussero a fessure sottili mentre una rabbia sorda e incontrollata montava dentro di lui. E non era per l'aperta minaccia nelle parole di William, quella sarebbe stata ambrosia per le sue orecchie, lo avrebbe rassicurato di aver fatto un buon lavoro con quel childe, di aver soffocato in lui ogni sentimento umano che non avesse a che fare con l'odio e la rabbia. Ciò che faceva ribollire il suo sangue freddo e immoto era il significato sotterraneo di quelle parole, un significato che era arrivato come un grido alle sue orecchie. Un grido che lo implorava di tornare, nonostante tutto. Senza altre parole, si calò nella stiva della nave più vicina continuando a sentire, per tutto il tempo, gli occhi azzurri di William che gli bruciavano la schiena.

+ + +

Romania - 1898

Lei era bella. Immensamente bella. I capelli neri e lucidi come le ali di un corvo danzavano intorno a lei mentre muoveva il suo corpo sinuoso, seguendo i passi di una danza antica, capace di sedurre e incantare. E poi c'erano i suoi occhi. Quegli occhi azzurri che sembravano due stelle luminose. Quegli occhi così simili a quelli da cui era fuggito. Occhi capaci di penetrarti come lame affilate e al tempo stesso di accoglierti e cullarti come le braccia di una madre. Lei era il gioiello più prezioso della sua gente e Angelus la volle per sé dal primo momento che posò gli occhi su di lei.

La purezza di Drusilla, lo sguardo sognante di William, la sensualità di Darla, uniti in un unico essere. Una creatura nata per essere sua. Questo era tutto ciò a cui riusciva a pensare mentre la seguiva silenzioso, da una città all'altra.

La prima volta gli era apparsa in Spagna. Aveva scelto quella meta per azzardo. Tutto quel sole, tutta quella fede che trasudava da ogni edificio e da ogni corpo in cui gli capitava di imbattersi. Era stata una follia e al tempo stesso l'unica scelta possibile. Aveva bisogno di nuove sfide, aveva bisogno di camminare di nuovo lungo il bordo del precipizio, per dimenticare...per cancellare tutto il resto. L'aveva vista arrivare insieme alla sua gente, su wurdon dipinti con colori sgargianti e trainati da cavalli neri e lucidi, zingari come i loro padroni. Nel momento esatto in cui lei era scesa dal suo carro e aveva camminato nel sole, aveva capito che lei sarebbe stata la sua via di fuga.

L'aveva seguita nel suo viaggio, un giorno dopo l'altro, una città dopo l'altra, uno stato dopo l'altro. Perché in fondo uno stato vale l'altro, e la patria dello zingaro è là dove ferma il suo wurdon per accamparsi e lega i cavalli al tronco di un albero. Perché gli zingari si fermano solo per morire e la strada è la loro vita. Sulla strada vengono al mondo, lungo le strade vivono, in fondo ad una strada li prende la morte. Eppure ogni notte quegli zingari si riunivano attorno ad un fuoco ad ascoltare il suono di un violino accompagnandolo con danze e canti e sul loro volto non c'era stanchezza o disillusione, ma una gioia antica e libera. Ogni notte lei ballava per loro, il volto acceso dalle fiamme del falò, gli occhi brucianti di Angelus su di lei, incapaci di carpire il fiore del suo segreto eppure bramosi di possederlo.

Ogni giorno inscenavano spettacoli e folli celebrazioni, trascinando nel vortice della loro euforia chiunque si trovasse sulla loro strada. Lei, però, non si mescolava ai festeggiamenti. Se ne stava in disparte e leggeva. Non libri, naturalmente, Angelus era quasi certo che non avrebbe saputo distinguere una lettera dall'altra, tanto meno leggere un'intera pagina. Lei leggeva i percorsi e le immagini disegnati dalla vita sulle mani della gente. E non sbagliava mai. Non era che una ragazzina, eppure veniva venerata come una santa e temuta come una strega.

Non era facile avvicinarla. Una vecchia dagli occhi di carbone e dai capelli di cenere la seguiva ovunque, guidando la sua strada e scegliendo i suoi clienti. Non tutti potevano avere il privilegio di conoscere il proprio "baxt", come lo chiamava la vecchia, un termine rumeno che Angelus aveva sentito ricorrere più volte nei discorsi di quella gente e che aveva scoperto indicare al tempo stesso il destino dell'individuo e la sua potenziale fortuna. Naturalmente lui non aveva bisogno che qualcuno gli rivelasse il suo baxt. Morte, sangue e distruzione. In fondo tutto si risolveva intorno a quello. Così era e così sarebbe stato sempre. Eppure non voleva altro che entrare in quella tenda e lasciare che quegli occhi azzurri gli leggessero dentro.

-Il mio angelo ha trovato un nuovo giocattolo-

Angelus si voltò di scatto in direzione della voce ironica. Darla lo osservava con un sorriso di scherno sulle labbra.

-Come diavolo...-

Lei agitò una mano con noncuranza, come a scacciare la sua domanda, poi si avvicinò sinuosa e pericolosa come un felino.

-Non puoi fuggire da me Angelus. Non esistevi prima di me, non esisterai dopo di me, non esisti senza di me-

Lo guardò a lungo, scrutando nei suoi occhi come se potesse leggere in essi tutta la loro storia, passata e futura. Poi, improvvisa come una pioggia estiva, la sua risata cristallina riempì l'aria.

-Questo non significa che una volta ogni tanto non possiamo goderci qualche nuovo passatempo-

Angelus si liberò dal suo abbraccio, allontanandosi dal suo sguardo. Lei non si scompose più di tanto.

-Perciò coraggio, entra in quella stupida tenda e prenditi quello per cui sei venuto. Consideralo un mio regalo di compleanno-

Darla si insinuò dietro di lui, risalendo lungo il suo corpo con movimenti lenti e studiati.

-Ma ricordati che dovrai pagarne il prezzo-

Angelus rise, le vibrazioni del suo corpo si trasmisero in quello di lei.

-Credevo avessi parlato di un regalo...-

Darla si scostò allora, costringendolo a guardarla negli occhi.

-E io credevo di averti insegnato molto tempo fa che tutto ha un prezzo a questo mondo-

Nel suo volto Angelus lesse un strana e fastidiosa tristezza. Scosse la testa e si allontanò con decisione, diretto alla tenda dell'indovina.

La trovò che riordinava i suoi tarocchi e liberava i suoi capelli corvini dall'elaborata acconciatura in cui erano stati costretti. Il trucco pesante le nascondeva i lineamenti, ma non riusciva a mascherare l'azzurro purissimo dei suoi occhi. Anche in quell'oscurità, Angelus ne rimase abbagliato.

-Dovete tornare domani, signore. Dopo il tramonto nessuna predizione, è la regola-

La ragazzina non alzò neppure gli occhi dal tavolino di legno intagliato che stava rapidamente liberando di tutta una serie di cianfrusaglie assolutamente inutili. Specchietti per le allodole che servivano ad avvincere i clienti, a spingerli più a fondo in quell'atmosfera visionaria.

-Sono sicuro che non rifiuterete di aiutare un povero naufrago che sta annegando nei flutti di una vita tempestosa-

Lei alzò lo sguardo sullo straniero, allora, e lo riconobbe all'istante. Un Nivasha, un essere demoniaco. Nei suoi occhi lesse la sua storia e ne rimase stordita, incredula. Aveva veramente illuso tutte quelle donne con quelle parole false e affettate? Lo guardò meglio, studiandolo. I capelli curati, i gesti raffinati, il volto tormentato e gli abiti di un principe oscuro. Il ritratto di un eroe romantico, bello e dannato. Un eroe che vive la vita fino in fondo, in tutte le sue sfumature, senza paura. E all'improvviso una certezza la colpì. Le sue vittime avevano voluto credere alla sua recita, in un certo qual modo avevano recitato insieme a lui. Tutti sognano di incontrare qualcuno che sappia leggere nella loro anima, superando le costrizioni dei busti e dei merletti, delle ciprie e delle parrucche impomatate, qualcuno che non si fermi in superficie, ma che scavi in profondità fino a toccare la verità che si nasconde in ognuno di noi. Una volta che si era reso conto di questo, lui si era limitato a recitare la sua parte. La parte che conosceva così bene. La parte che stava recitando anche ora, con lei.

-Dal modo in cui mi guardate oserei dire che ho suscitato il vostro interesse-

Lei accennò di sì con il capo, grata per la sua errata interpretazione. Stava giocando una partita con la morte, ne era perfettamente consapevole, eppure non poteva smettere di giocare. Non poteva impedirsi di guardare la morte negli occhi. Quegli occhi neri e vellutati che la avvolgevano nel loro calore oscuro.

-Sembrate stanca-

Il suo sorriso era pieno di comprensione. Lei assentì di nuovo, mentre lui si avvicinava.

-Lasciate che vi aiuti-

Al tocco delle sue mani sulle spalle, la ragazza si alzò, mettendosi di fronte a lui.

-Cercate di rilassarvi-

Mormorò lui. Le sue mani si alzarono e si posarono sulle sue tempie.

-Ora chiudete gli occhi-

Lei obbedì, perché così era più facile nascondere il tremito che la attraversava al suo contatto. Ma poi le mani incominciarono ad accarezzarle la fronte e il tremito cessò. La sensazione era davvero calmante e lei si rilassò tra le sue braccia.

-Va meglio, vero?-

La sua voce era morbida, piena di simpatia. Anche le sue mani erano morbide, mentre le sollevavano delicatamente il collo alleviando la tensione con il loro tocco fresco. Era facile chiudere gli occhi e accettare la sua vicinanza. Facile corrispondere. Troppo facile. Fu solo con un certo sforzo che si riscosse e riuscì a sussurrare poche scarne sillabe.

-Di cosa hai paura?-

Le mani di lui si arrestarono e la sua voce tradì un'inaspettata incertezza quando le rispose.

-Come?-

Lei aprì gli occhi.

-Di cosa hai paura, Liam?-

Per un istante lui la fissò in un silenzio sorpreso.

-Chi diavolo sei tu? Come sai il mio nome?-

Lei sorrise condiscendente, ma non rispose. Così fu lui a parlare di nuovo, rabbioso.

-Cosa vuoi?-

Lei scosse la testa.

-Sei tu che vuoi qualcosa da me, o non mi avresti seguita fino qui-

La voce di Angelus si alzò, resa più forte dall'emozione.

-Hai ragione. C'è una cosa che voglio da te...-

Lei lesse il resto della frase nei suoi occhi. I profondi occhi scuri della morte. Gli occhi che si erano illuminati di piacere sulle opere di sangue, che custodivano i volti di centinaia di vittime. Gli occhi che la fissavano, ora, frugando in lei per estrarle i suoi segreti.

-No. Non è questo che vuoi da me. Ma sei venuto qui troppo presto e non sei ancora pronto per fare le domande giuste-

La ragazza girò attorno al tavolino di legno scuro e aprì uno scomparto nascosto. Quando si voltò di nuovo verso di lui, stringeva tra le mani un paletto affilato.

-Vattene. Non otterrai alcuna risposta fino a che non sarai in grado di fare le domande giuste-

-Non vorrai uccidermi...-

Non c'era traccia di paura nella sua voce, solo una strana fiducia. Nei suoi occhi c'era ora un'irresistibile persuasione. Irresistibile e prepotente, come le tenebre che si alzavano intorno a lei. La tenda buia, la notte che si avvicinava, gli occhi scuri.

-Devi essere stanca. Molto stanca-

La voce era addirittura comprensiva. E lei era davvero stanca, del tutto esausta. Lo sforzo di costringersi ad affrontarlo e tenerlo a bada, l'aveva sfinita. Eppure doveva combattere. La forza che sentiva in lui, la forza che aveva sempre saputo che quella creatura possedeva, il potere che l'attirava, nonostante tutto quello che lei sapeva, il potere nei suoi occhi.

-Così va bene-

Calmo, comprensivo.

-Sei stanca. Così stanca. Ma non c'è niente di cui avere paura. Non puoi muoverti, ma tutto andrà bene. Tutto intorno a te è sicuro e tranquillo e ora vuoi solo addormentarti-

La voce stava diventando confusa e anche il suo volto era offuscato, perché lei si stava addormentando. Solo che non doveva, per quanto stanca si sentisse, per quanto pesanti fossero le sue braccia.

-Pesante-

Sussurrò la voce.

-Così pesante. Non puoi più sorreggerlo. Ma non devi, vero? Perché sei al sicuro adesso. Puoi lasciarlo cadere. Così, bene. Apri la mano e lascialo andare. Adesso-

Qualcosa le cadde dalle dita. Lei ne udì il tonfo a malapena e non le importava neppure cosa fosse. Perché lei dormiva e la voce svaniva, lei svaniva. E i suoi occhi si stavano chiudendo e sentiva qualcosa di fresco sul collo che stringeva sempre di più. Sempre di più.

Spalancò gli occhi e fissò le zanne affilate del vampiro che le laceravano la gola. Gli prese la testa fra le mani, sentendo la pressione e il dolore, la forza di quel morso ancestrale. Respirando affannosamente alzò le mani per artigliargli la faccia, ma lui aumentò la sua stretta, spingendola indietro. Lei andò a sbattere contro il tavolino e lo udì cadere, ma i denti del vampiro affondavano nel suo collo, succhiando, succhiando, facendola sprofondare nell'oscurità. Tutto era nero, all'infuori del sangue che si spargeva sul pavimento e le inzuppava i vestiti. La stava divorando, letteralmente. Il suono del suo ansito era amplificato e distorto dalle pareti della tenda.

Mentre la vita defluiva lentamente dal suo corpo nella bocca di lui, lei urlava e colpiva. Ma lui aveva una stretta d'acciaio e lei era sempre più debole. La premette giù, sul terreno freddo e polveroso. Non doveva aver sentito i passi che si avvicinavano concitati, o forse li aveva sentiti e non gli importava perché affondò ancora di più identi nel suo collo. Ancora una volta lei scalciò convulsamente, ma lui si spostò agilmente da una parte e la strinse più forte. Dimenando la testa lei poteva solo gridare, mentre lui raccoglieva il paletto di legno che le era sfuggito poco prima e lo alzava su di lei, puntandolo al centro del suo petto.

Poi, improvvisamente, il paletto cadde sul terreno con un tonfo sordo e il vampiro si separò dolorosamente da lei.

Angelus si girò di scatto. Di fronte a lui, all'ingresso della tenda, la vecchia zingara dai capelli di cenere lo minacciava con un ceppo di legno infuocato. Sorridendo fece per avvicinarsi di qualche passo, ma senza alcuna esitazione lei gettò il fuoco ai suoi piedi. Ringhiò rabbioso, ma il fuoco aveva già attecchito, divorando i suoi vestiti eleganti e risalendo lungo le coscie, fino al petto. Altri passi si stavano avvicinando. Il tempo era scaduto. Angelus si gettò contro il corpo della zingara spingendolo da parte e sparì nell'oscurità della notte senza luna.

La zingara fece per inseguirlo, ma la voce flebile della ragazza che giaceva ai suoi piedi la fermò. In un attimo la vecchia fu su di lei.

-Maria!-

La ragazza strinse la mano scura e nodosa della vecchia, sorridendo.

-Non sa...è arrivato...così presto...non sa ancora...-

-Non parlare bambina, non parlare!-

-E' di fronte a lui...il suo destino è di fronte a lui...ma non riesce ancora...ancora non...-

La vecchia le accarezzò la fronte scuotendo la testa.

-Non affaticarti, lo troveranno, vedrai...e allora lui pagherà per quello che ha fatto-

Con un rantolo soffocato, Maria si lasciò ricadere a terra. Le ultime gocce del suo sangue si mescolarono con la polvere scura. Allora la vecchia la strinse al petto, cullandola, mentre la sua voce profonda intonava un'antica melodia.

+ + +

Angelus riemerse dalle acque del lago, i vestiti dolorosamente incollati alla pelle bruciata. Quella vecchia strega. Ma avrebbe pagato, questo era certo. Lasciando che il suo volto si sfigurasse in quello del vampiro tornò sui suoi passi, incurante dei rovi che gli graffiavano la pelle lacerata.

Aveva quasi raggiunto il limitare della foresta quando qualcosa si parò sul suo cammino. Angelus ringhiò rabbioso, ma l'ostacolo non sembrò particolarmente impressionato. Al contrario rise divertito, incrociando le braccia sul petto.

-Vampiro flambé. Il mio piatto preferito-

Angelus lo colpì, cercando di aprirsi un varco, ma l'altro non si spostò di un millimetro.

-Levati di mezzo William!-

-Non ci penso neanche-

I due vampiri si fissarono per qualche istante, immobili. Poi, come sempre, William ruppe il silenzio.

-Ti stanno cercando e a giudicare da come sono armati non credo sia per invitarti a festeggiare con loro...anche se ripensandoci si potrebbe dire che vogliono farti la festa, perciò in fondo ti cercano proprio per farti partecipare ai loro festeggiamenti, l'ambiguità della lingua moderna è affascinante, non trovi?-

-Fammi passare, adesso!-

William lo afferrò per le spalle, stringendolo con una morsa d'acciaio.

-Sono in troppi, non riuscirai neanche a superare il confine dell'accampamento-

Angelus si liberò dalla sua stretta con facilità.

-Con me o contro di me William, scegli-

Il vampiro dagli occhi azzurri lo squadrò con disgusto.

-Sei proprio un'idiota-

Angelus fece per replicare, ma William si era già allontanato da lui e camminava con intenzione verso l'accampamento. Cercò inutilmente di reprimere un sorriso, poi lo seguì.

+ + +

La vecchia zingara si sedette accanto al fuoco, stringendo tra le mani un globo di cristallo. Le parole di un rituale dimenticato nel tempo rotolavano fuori dalle sue labbra come una cascata gorgogliante.

I due vampiri la raggiunsero nel momento in cui il globo cominciò a brillare di una luce dorata e intensa, un sole nella notte.

William si portò una mano davanti agli occhi, imprecando. Angelus, invece, non smise un attimo di fissare la sua carnefice. La vide alzarsi in piedi e avvicinarsi al fuoco del falò che li divideva. Poi scagliare la sfera di luce ai suoi piedi.

Il bagliore dorato, libero della sua prigione di cristallo, lo aggredì, insinuandosi tra le sue membra e facendo risplendere la sua pelle bruciata. Angelus urlò, allora, sentendo un calore intenso dilagnare le sue viscere e irradiarsi in tutto il corpo. Barcollò cercando di trascinarsi lontano dalla fonte di luce, ma essa era dentro di lui e non gli dava pace. In lontananza sentiva le grida rabbiose di William e la risata grottesca della vecchia zingara, ma era come se quei suoni gli giungessero da uno spazio eternamente lontano. Poi il calore sembrò evaporare lentamente, insieme a quella luce abbagliante. E fu allora che le sentì. Da principio furono solo sussurri leggeri, parole sibilate e incomprensibili, ma prima che potesse comprendere la loro origine si trasformarono in grida laceranti che lo resero sordo a qualunque altro suono. Grida di dolore, di paura, di odio. Tutto ciò che aveva provocato negli altri, tornava ora a lui centuplicato. Cercò di lottare, di cancellare quei suoni, quei ricordi che gli dilaniavano la mente. Ma era tutto inutile. Le urla erano dentro di lui, parte del suo corpo. Si lasciò cadere a terra, incurante della polvere che si insinuava nella sua carne lacerata, incurante della voce di William che lo spingeva ad alzarsi. E poi fece l'unica cosa che gli rimaneva da fare. Urlò.

+ + +

Le acque del lago brillavano della luce riflessa delle stelle, mentre l'odore dei fuochi, accesi intorno alla foresta, riempiva l'aria fredda con il suo aroma pungente. I passi nervosi di William lo circondavano. Angelus strinse la testa tra le mani, cercando di scacciare le voci che lo assordavano.

-Torna da loro...portale via di qui. Dille che sono morto o che me ne sono andato...dille...-

-Scordatelo!-

William si parò davanti a lui, gli occhi in fiamme.

-Le ho già sopportate per mesi, mentre tu ti divertivi a giocare allo zingaro errante. Torniamo da loro insieme, non c'è discussione su questo punto-

Angelus scosse il capo, rialzando lo sguardo scuro su di lui.

-Perché?-

William si passò una mano tra i capelli scomposti.

-Perché non ho la minima intenzione di subire gli isterismi di Darla al posto tuo e sono già stufo marcio di sentire Drusilla piagnucolare perché il suo angelo è volato via-

Gli occhi di Angelus lo fissarono penetranti.

-No. Perché continui a volermi salvare? Perché continui a volermi con te? Dopo tutto quello che ti ho fatto passare...dopo il modo in cui ti ho trattato...Perché?-

William scrollò le spalle con sufficienza.

-Sempre avuto tendenze masochiste-

Angelus scosse la testa mentre un sorriso gli sfuggiva dalle labbra. Era sempre stato così con quel childe. Riusciva a strapparti tutte le maschere, una dopo l'altra, ma non c'era modo di guardare sotto la sua. Non c'era modo di conoscere quello che si agitava dietro quegli occhi limpidi come il cristallo. Anche se conosceva la differenza tra le sue verità e le sue bugie, c'erano momenti in cui era meglio fingere, anche con se stessi. Rialzò lo sguardo su di lui. Gli dava le spalle, ora, fissando un punto lontano nell'oscurità.

-Sarà meglio muoversi, è quasi l'alba-

Angelus si alzò in piedi scrollandosi di dosso la cenere e la polvere.

-Darla lo capirà. Non c'è modo di nasconderle quello che è successo-

William si girò verso di lui, fissandolo con occhi freddi.

-Non c'è niente da nascondere. Ti sei divertito a giocare con la principessina degli zingari, la sua gente non ha gradito e ti ha dato fuoco. Fine della storia-

Angelus assentì distrattamente.

-Sì. Fine della storia-

+ + +

Cina - 1900

-Sono bellissime-

Le sorrise prima di tornare a occuparsi del giardino. Le rose scarlatte lo avvolgevano con il loro profumo intenso e sincero. Solo alcune erano sbocciate. Le prime rose della stagione. Ne scelse una completamente dischiusa, ancora scintillante di rugiada. Con delicatezza ne recise il gambo sottile e tolse le spine, una a una. Sentiva gli occhi azzurri, sopra di lui, osservare attentamente ogni suo gesto, in attesa. Quando ebbe terminato la sua opera si girò verso di lei e le porse la rosa.

Vide il suo volto infantile riempirsi di gioia mentre stringeva a sé il regalo.

-Sarà il mio tesoro!-

Si chinò su di lui sfiorandogli la fronte con un bacio leggero.

-Ti voglio bene, Liam!-

Angelus si riscosse con uno scatto convulso. Darla continuava a dormire accanto a lui, come se nulla fosse accaduto. Ma la verità era che tutto era accaduto. Si passò nervosamente le dita tra i capelli scuri. Quella scena, il volto di Cathy, il suo sorriso continuavano a tormentarlo. Riviveva quel momento ogni notte e ogni volta il risveglio era più doloroso. Il sole splendeva alto nel cielo, dietro le pesanti tende di velluto purpureo, e come ogni giorno, da troppo tempo, lui si sentì in trappola.

+ + +

Angelus si accomodò sulla poltrona di velluto scuro, rimanendo ad ascoltare le voci di Darla e William che tentavano inutilmente di prevaricarsi. Se non altro le loro grida coprivano quelle che continuava a sentire incessantemente dentro la sua testa.

-E' impossibile!-

Ripeté Darla per l'ennesima volta. Un lampo di puro odio attraversò lo sguardo azzurro del giovane vampiro, ma la dama bionda non se ne curò. William lasciò che le sue labbra si aprissero in quel sorriso sottilmente ambiguo che gli era diventato così abituale e con voce suadente apostrofò la sua padrona.

-Mi pareva di aver capito che per te niente è impossibile...ma forse ti riferivi ai tuoi rituali di accoppiamento-

Il pugno di Darla lo colpì in pieno viso, ma non lo fece indietreggiare di un passo né gli fece abbassare lo sguardo insolente.

Angelus rabbrividì di fronte all'arroganza del giovane childe. Drusilla non mosse un muscolo, persa nella contemplazione di stelle lontane.

-Sei un insolente piccolo bastardo. Sei la vergogna della stirpe di Aurelius, è solo colpa tua se siamo dovuti fuggire dall'Europa e siamo stati costretti a rifugiarci in questo angolo di mondo e ora vorresti aggravare ulteriormente la nostra situazione? Scordatelo! Non ti permetterò mai di infangare il nostro nome più di quanto tu non abbia già fatto!-

William si inginocchiò di fronte a Darla prendendole una mano tra le sue, con calcolata reverenza. Le sue parole sgorgavano come miele dalle labbra morbide e sorridenti.

-So di non essere stato un buon figlio, hai tutte le ragioni per essere in collera con me. Ma se adesso mi rifiuti l'unica possibilità di riabilitare il mio nome, mi impedisci anche di portare la nostra famiglia sul tetto del mondo. Se fallirò non dovrai neppure preoccuparti di raccogliere le mie ceneri, ma se avrò successo la nostra stella brillerà più intensamente del sole, nessuno potrà più guardarci dall'alto in basso perché saremo superiori a chiunque, perfino allo stesso Maestro. Avrai superato il tuo Sire senza muovere un muscolo-

Darla assaporò le parole del vampiro. Un'impresa mai riuscita prima e proprio per questo di assoluto prestigio. La comunità vampirica si sarebbe vista costretta a riaccoglierla a braccia aperte, anzi, meglio ancora, si sarebbe prostrata ai suoi piedi. Con un sorriso si voltò a guardare Angelus che rimaneva in disparte, come sempre. Era tornato cambiato dopo la notte in cui gli zingari lo avevano quasi ucciso. Concedergli quella notte in regalo era stato un errore. Tanto più che non le aveva mai raccontato cosa fosse successo esattamente. Non che le interessasse particolarmente, non le era mai piaciuto ascoltare i racconti delle sue stragi solitarie, le innescavano una strana gelosia. Sapeva solo che era tornato in condizioni pietose e quando Drusilla aveva accennato qualcosa su una zingara e un incantesimo William l'aveva messa a tacere dicendo che non c'erano più zingare né incantesimi. L'accampamento era completamente bruciato insieme ai suoi abitanti. Questo spiegava in parte le ferite di Angelus, ma non il suo strano cambiamento. Darla scosse la testa con astio. Forse se William fosse riuscito nel suo intento, avrebbe dato nuovi stimoli anche a lui, lo avrebbe costretto a uscire dall'ombra. Con decisione tornò a posare lo sguardo sul vampiro più giovane.

-Allora vai e portami la testa della Cacciatrice-

Con un sorriso William si alzò da terra e baciò la mano di Darla, iniziando ad allontanarsi.

-William!-

La voce di Angelus lo bloccò sulla porta.

-Te l'ho già detto. Il mio nome non è più William, ma Spike. Fattene una ragione-

-E va bene *Spike*, ti ordino di tornare indietro. Tutta questa idea di uccidere la Cacciatrice è assolutamente assurda per non dire idiota. Ti renderai solo ridicolo-

Senza contare che rimmarrai quasi sicuramente ucciso e io non posso permetterlo. Continuò Angelus nella sua mente.

-Ti sbagli mio caro, questa impresa sarà il mio vero battesimo. Dopo che avrò ucciso la Cacciatrice il nome di Spike sarà conosciuto e temuto ovunque. Mi basterà pronunciarlo per ottenere quello che voglio-

Angelus guardò a lungo il vampiro più giovane cercando di intravedere un rimasuglio di umanità all'interno di quell'involucro rabbioso e crudele.

-E cos'è che vuoi esattamente, Spike?-

Il vampiro si voltò lentamente, un sorriso sornione sulle labbra.

-Questo ancora non lo so, ma qualcosa mi verrà in mente non credi?-

Naturalmente aveva mentito, lo sapevano entrambi. Angelus lo guardò allontanarsi nella notte e si preparò a seguirlo.

+ + +

Lei sembrava consapevole del pericolo, era estremamente cauta in tutti i suoi movimenti. Con la spada levata in alto sopra la testa, si muoveva seguendo ampi cerchi, lentamente. Lui indossava la sua maschera demoniaca e i suoi denti affilati scintillavano nella penombra. Tutto attorno a loro un intero mondo e la sua storia bruciavano lasciando dietro di sé solo una cenere scura. Ma in quella stanza, in quel momento, il loro duello era il centro dell'universo. I movimenti simmetrici disegnavano una storia, un destino, un futuro. Come mossi da una forza invisibile entrambi lanciarono l'urlo di attacco, avventandosi l'uno contro l'altra. Lei fece partire il primo colpo, la spada fischiò nell'aria abbattendosi con violenza sul nemico. La spada lo mancò di un soffio. Lui rise e con un balzo si proiettò alle sue spalle. Lei però sembrò intuire il suo movimento e lo colpì di striscio. La lama affilata penetrò nella carne, riaprendo una ferita dimenticata. Ridendo lui si toccò il sopracciglio sinistro portandosi le dita sporche di sangue alle labbra.

-Ora mi hai fatto arrabbiare-

Angelus osservò il sorriso di Spike e seppe all'istante che il gioco era finito. Lo vide avventarsi sulla Cacciatrice, anticipare ogni suo movimento e infine strapparle la spada dalle mani. Poi un'esitazione. Spike tenne la ragazza ferma contro di sé per qualche istante e negli occhi scuri di lei sembrò farsi strada una rivelazione improvvisa. La sua voce sottile pronunciò un'ultima invocazione. Lui non si mosse, ma le sue labbra sembrarono per un attimo prendere una piega amara, poi tornarono a sorridere.

-Scusa tesoro, ma non parlo il cinese-

Le affondò i denti nel collo, mentre il volto di lei si riempiva di orrore e i suoi occhi lasciavano ricadere lacrime dolorose. Angelus lo vide bere il suo sangue e la sua vita fino all'ultima goccia e poi abbandonare a terra quel corpo vuoto.

-Piaciuto lo spettacolo?-

Angelus si ritirò nell'ombra rabbrividendo. Era stato per lui? Era stato per divertirlo che una ragazzina innocente era morta? Ma poi vide Drusilla avvicinarsi al suo childe e capì che quelle parole erano per lei.

Spike le si avvicinò, offrendole il sangue che aveva appena versato. E sul pavimento ancora bagnato di quel nettare puro, Drusilla fece l'amore con lui in modo tale da lasciarlo sconcertato. Lo sedusse, lo vinse e lo coprì di baci ora teneri ora rabbiosi. Lo insultò, anche, ridendo del suo modo di fare l'amore, ma fece ridere anche lui. Lo rese bramoso di compiacerla.

Angelus continuò a guardarli, tutto il tempo, mentre un'angoscia incontrollabile gli lacerava le viscere e le grida dentro di lui si facevano sempre più intense. Perché ora capiva che tutto quello che Spike desiderava era che Drusilla gli permettesse di amarla. Ma sapeva bene che quel desiderio non sarebbe mai stato esaudito, perché lui li aveva corrotti entrambi, per sempre. Aveva strappato loro la possibilità di vivere quell'amore che cercavano testardamente l'uno nell'altra. E mai come quella notte, in quella stanza profumata di sesso e di sangue, il suo crimine gli apparve più crudele e indicibile.

+ + +

-Il mio Spike ha ucciso una Cacciatrice!-

Drusilla batteva le mani eccitata, come una bambina di fronte ad un nuovo giocattolo. Spike ricambiava il suo sguardo estasiato, mentre Darla fissava la scena annoiata. Il gioco, una volta concluso, aveva perso ogni attrattiva. Angelus guardava tutti loro con un disgusto contenuto a fatica. Darla si strinse a lui cercando disperatamente di riportarlo tra loro. Angelus abbassò lo sguardo su di lei per qualche istante, ma negli occhi azzurri che un tempo lo avevano sedotto e posseduto non vide altro che una malinconia sorda e rassegnata. Lei sapeva. Si chiese perché non l'avesse ancora ucciso. In fondo è quello che fanno gli animali, uccidono quelli malati perché non contaminino il branco. E loro erano animali dopotutto. O forse no. Gli animali non uccidono per piacere o per noia, ma solo per sopravvivere. Alla fine dei conti William era l'unico tra loro che aveva saputo guardare in faccia la realtà e affrontarla. Come sempre. Un'ondata di nausea gli attraversò il corpo. Doveva andarsene. L'odore del sangue risvegliava i suoi istinti e questo non faceva altro che disgustarlo ancora di più. Si liberò dall'abbraccio di Darla e si allontanò nella notte illuminata dagli incendi sparsi intorno a loro, fin troppo consapevole degli occhi indagatori che gli bruciavano la schiena come fiamme ghiacciate.

+ + +

Russia - 1908

-Non partire!-

La voce era piena di dolorosa ostinazione e lo investiva con tutta la sua forza. Scosse la testa irritato, continuando a gettare gli abiti dentro la valigia.

-Ti prego...non lasciarmi qui da sola!-

Il volto della ragazza era rigato di lacrime mentre si avvinghiava attorno a lui cercando di trattenerlo con il peso del proprio corpo. Riprese freneticamente a raccogliere i suoi effetti personali, mentre il sangue continuava a colare dal suo labbro spaccato.

-E' meglio per tutti se me ne vado-

La ragazza scosse la testa con ostinazione, i capelli scomposti le ricadevano addosso come una cascata fiammeggiante.

-No...no! Le rose appassiranno se vai via! Non lasciare che le rose appassiscano Liam...ti prego...-

-Se resto lo ammazzo, Cathy. E' questo che vuoi? Dimmelo! Dimmi di ammazzarlo e giuro su Dio che lo faccio, adesso, di fronte a te!-

Le aveva preso il volto tra le mani costringendola a guardarlo. E gli occhi azzurri lo guardarono, infatti, attraversati da un improvviso lampo di comprensione.

-Devi andare...io...lo capisco questo. Ma perché non posso venire con te...perché?-

-Perché non posso occuparmi anche di te, non lo capisci? Io...questa è forse l'unica occasione che ho per andarmene...io...-

Crollò in ginocchio, i pugni stretti furiosamente per trattenere le lacrime.

-Ti prego, Cathy. Lasciami partire. Devo farlo adesso che ne ho ancora la forza...se aspetto sarà troppo tardi...-

Lei rimase in piedi, le braccia abbandonate lungo il corpo e il capo chinato in segno di resa.

-Credi di potergli sfuggire così facilmente?-

La risata amara invase la stanza facendolo rabbrividire.

-Lui sarà sempre dentro di te, Liam. Il suo sangue scorrerà sempre nel tuo, la sua voce continuerà a rimbombare nella tua testa...a gridare, gridare...Dio, perché non smette di gridare? Fallo smettere!-

La vide accasciarsi al suolo a sua volta, il capo stretto tra le mani pallide. Avrebbe dovuto abbracciarla, allora. Avrebbe dovuto rimanere e proteggerla. Avrebbe dovuto portarla con sé e salvarla. Invece si alzò e chiuse la valigia con uno scatto secco.

-Starai bene, Cathy...vedrai. Quando sarò partito le cose cambieranno...-

Si voltò per vederla sorridere. Un sorriso che non riusciva a raggiungere i suoi occhi azzurri.

-Certo. Cambieranno. Sono cambiate. Tutto cambia, vero? E appassisce. Come le rose. Era così bella quella rosa, te la ricordi Liam?-

Assentì distrattamente, mentre scrutava la stanza che lo aveva visto crescere.

-Poi è avvizzita, però, tutta secca nel suo bel vaso. Era marcia. Marcia dentro...-

Il volto della ragazza fu percorso da una contrazione improvvisa, poi si distese di nuovo mentre si alzava e si avvolgeva nello scialle di seta bianca.

-Sarà meglio che tu vada ora. Nostro padre tornerà da un minuto all'altro-

Lo abbracciò freddamente, precedendolo lungo il corridoio. Attraversarono la grande tenuta in silenzio, i passi attutiti dai folti tappeti ricamati. Quando furono sulla porta le prese una mano e se la portò alle labbra.

-Quando mi sarò sistemato tornerò a prenderti, te lo prometto-

Cathy lo guardò dritto negli occhi allora e a lui sembrò quasi di non averla mai conosciuta. Il suo sguardo era diventato grigio e gelato, come la neve calpestata dagli stivali sporchi dei passanti. Aveva riconosciuto la sua bugia, lo sapevano entrambi, eppure si aggrappò ad essa con un ultimo sorriso.

-Portami delle rose rosse, quando torni-

Ricambiò il suo sorriso e si avviò deciso lungo il viale di ingresso. Un vento freddo lo circondò, facendolo rabbrividire. Cathy era ancora in camicia da notte, coperta solo dal leggero scialle di seta. Doveva farle segno di rientrare o avrebbe preso la polmonite. Si girò verso la porta di ingresso, ma quello che vide lo lasciò senza fiato.

Cathy aveva il capo abbassato sul petto, e stringeva tra le braccia un mazzo di rose rosse. Le spine dovevano averla punta perché piccole gocce di sangue scarlatto tempestavano la sua veste candida e scivolavano lungo le sue braccia. La sua carnagione era terrea e i suoi capelli di fiamma erano diventati di un opaco colore grigiastro.

Una spirale di vento freddo la avvogleva, sfogliando le sue rose e gonfiandole i vestiti, ma lei sembrava non sentirlo affatto. La cosa non lo stupì. Quella creatura era morta e lui era stato il suo carneficie.

Angelus si svegliò urlando. Come ogni notte. L'immagine di Cathy continuava a danzare di fronte ai suoi occhi, pietrificata nella sua terribile bellezza. Lei era stata la sua prima opera di sangue, ineguagliabile nella sua perfezione. Aveva sterminato il resto della sua famiglia con furia animale, la mente ottenebrata dall'odio e dal sangue, ma a lei aveva riservato un trattamento speciale. Come sempre. All'improvviso quell'immagine che aveva cullato con compiacimento nella mente per anni gli provocò un moto di disgusto. Con frustrazione rovesciò la poltrona su cui si era addormentato e uscì dalla stanza sbattendo la porta. Camminò a piedi nudi nella neve, poi corse, lasciando che l'aria fredda gli sferzasse il viso. Ma niente serviva a cancellare le immagini che lo tormentavano. Nessun rumore poteva sovrastare quello delle voci che gridavano dentro di lui, instancabili. Crollò a terra, lasciando che la coltre bianca e umida lo accogliesse con un abbraccio gelato, provando l'assurdo desiderio di piangere. Intorno a lui la steppa ghiacciata cominciava a risvegliarsi. Sulla pelle riusciva a sentire il brivido di una nuova alba che si avvicinava.

-Lasciami solo-

La figura che si celava nell'ombra dei rami intrecciati avanzò verso di lui.

-Scherzi? Non mi perderei lo spettacolo per niente al mondo!-

Angelus non riuscì a impedirsi di voltarsi verso di lui. Piccoli fiocchi di neve, puri come diamanti, brillavano tra i suoi capelli biondi. La luce morbida della luna, riflessa e irradiata dal nitore del paesaggio circostante, addolciva i tratti spigolosi del suo volto. Il cielo notturno si specchiava nei suoi occhi, facendoli risplendere di mille sfumature di blu. Sembrava quasi che la natura impervia e selvaggia di quel luogo fosse rimasta sedotta da quella creatura oscura e avesse deciso di donarle la sua neve, la sua luce e i suoi colori, come ultimo ornamento.

Le labbra di Spike si dischiusero in un leggero e consapevole sorriso.

-Il grande Angelus, il flagello d'Europa, che si lascia morire nell'alba di un nuovo giorno. Molto poetico, te lo devo riconoscere-

Angelus ignorò la provocazione, limitandosi a spostare lo sguardo sull'orizzonte. Spike si sedette accanto a lui, aspirando una profonda boccata di fumo, prima di parlare di nuovo.

-Anche piuttosto comodo, da un certo punto di vista. Ma del resto sappiamo bene che tu hai sempre scelto la strada più facile-

-Facile? E' questo che pensi?-

Era rimasto immobile, ma il tremito della sua voce tradiva un'emozione evidente. Spike ne sorrise compiaciuto.

-Sì. E' esattamente questo che penso-

Una risata amara vibrò nell'aria immobile.

-Tu non sai niente...niente!-

Spike non si scompose.

-Io so quello che vedo. Un demone che ha seminato morte e distruzione per un secolo e che alla prima difficoltà si arrende, si nasconde nell'ombra a piangersi addosso invece di reagire, prende la via più veloce e meno faticosa per risolvere un piccolo inconveniente...-

-Piccolo inconveniente? Bè questo "piccolo inconveniente", come lo chiami tu, ha cambiato tutto! Ha cambiato quello che voglio, quello che provo...quello che sono...-

Spike rise sinceramente divertito.

-Cos'è all'improvviso non hai più voglia di bere sangue? Non provi più il desiderio di uccidere? Non sei più un vampiro? Non essere ridicolo Angelus! Scusa se infrango i tuoi sogni di cambiamento, ma non mi sembra che negli ultimi mesi tu ti sia trasformato nel Campione della gente e tanto meno hai smesso di nutrirti o di uccidere. Quello stupido incantesimo ha avuto l'unico effetto di farti sguazzare nell'autocommiserazione. E sinceramente siamo tutti stufi marci di sentirti mugugnare nell'ombra-

Angelus rimase immobile, apparentemente sordo alle parole del compagno. Lo spazio circostante ricadde in un silenzio irreale, il silenzio della notte e della neve.

-Mia sorella adorava le rose. Prima di morire nostra madre le aveva regalato un libro che descriveva le qualità di rose più diffuse nel mondo. C'erano delle illustrazioni anche. Lei lo sfogliava per ore, quel libro, senza mai stancarsi. E c'era una figura che le piaceva più delle altre, una siepe di rose cremisi dai riflessi neri. Rose Luigi XIV...è una qualità difficile da trovare in Irlanda. Ha bisogno di molto sole. Mio padre le ripeteva che era assolutamente impossibile farle crescere dalle nostre parti. Cominciai a coltivarle in un giardino segreto, più per fare un affronto a lui che per compiacere Cathy. Catherine, così si chiamava. Aveva i capelli rossi e quando li teneva sciolti era come se delle fiamme calde la avvolgessero completamente-

Il silenzio tornò a farsi pesante intorno a loro. Spike si alzò con un sospiro, scuotendosi la neve fresca di dosso.

-Rose rosse, capelli rossi, Cathy. Sono sicuro che questa storia ha una morale molto profonda che al momento mi sfugge, che ne dici di discuterne mentre torniamo a casa? Non ho bisogno delle doti divinatorie di Dru per dirti che a questo punto Darla sarà discretamente alterata per la tua ennesima fuga nella notte-

-A ogni fioritura le regalavo la prima rosa sbocciata e lei correva a metterla in un vaso di porcellana blu, proprio al centro del tavolo nell'ingresso-

Spike tornò a sedersi sbuffando.

-Spero che la fine della storia valga il mio tempo-

Con gesti rapidi si accese una nuova sigaretta e lasciò che il fumo gli riempisse i polmoni, in attesa che l'altro riprendesse a parlare.

-Ogni volta mio padre ci frustava per ore. Sosteneva che quella rosa era un affronto diretto a lui e a tutto il suo sistema educativo. Quando il braccio cominciava a fargli male ci obbligava a buttare la rosa. Naturalmente il mattino dopo c'era una nuova rosa nel vaso. La storia si ripeteva ogni giorno, fino a che durava la fioritura-

-Affascinante quadretto famigliare. Adesso possiamo andare? Non so tu ma io comincio a sentire la pelle pizzicare-

-Ho lasciato che appassisse-

Spike si voltò a guardare il vampiro dagli occhi scuri.

-Non per toglierti anche la tua ultima illusione, amico, ma tutti i fiori appassiscono prima o poi-

-Cathy. Ho lasciato che avvizzisse lentamente, quando l'ho uccisa era già morta da un pezzo-

-Cos'è l'hai lasciata morire di fame?-

Angelus sorrise distrattamente prima di incupirsi di nuovo.

-L'ho lasciata con lui. Me ne sono andato e l'ho lasciata sola, in quella casa. Sola...con lui. Quando sono tornato...-

Serrò i pugni, tornando a fissare un punto indefinito di fronte a sé.

-Ti ho mai detto perché ho scelto il nome Angelus?-

Spike si stese sul prato, la sigaretta accesa tra le labbra.

-Cattivo gusto?-

Angelus rimase in silenzio per qualche secondo, prima di continuare.

-La notte che mi risvegliai dalla morte...Sentivo il sangue che mi ribolliva nelle vene...ero euforico. Tutto quel potere, tutta quell'oscurità...e Darla al mio fianco. Non avevo mai provato niente di simile in vita mia. Uccidevo chiunque si trovasse sulla mia strada. Ho camminato sui cadaveri ancora caldi per raggiungere la tenuta di mio padre. Quella notte fu Cathy ad aprire la porta. Era vestita esattamente come il mattino in cui le avevo detto addio. Eppure era completamente diversa. Completamente...spenta. Naturalmente non lo notai al momento, o forse non mi importava di notarlo. Mi chiese se ero un angelo e se ero finalmente venuta a prenderla. Non potevo deluderla, ti pare? Quella notte fui l'angelo della morte per la mia intera famiglia-

Spike continuò a fissare il cielo che si schiariva sempre di più.

-Davvero delle storielle edificanti Angelus. Mi stupisco che tu non le abbia usate come parte integrante del tuo corso "come diventare una temuta creatura della notte". E a proposito di notte, la nostra si fa sempre più corta, perciò se tu volessi gentilmente arrivare al punto te ne sarei molto grato-

Angelus non diede alcun segno di movimento o di preoccupazione.

-Il punto è, Spike, che non riesco più ad andare avanti con tutte queste immagini...tutte queste voci...tutti questi ricordi nella testa. Semplicemente non ci riesco-

-Semplicemente non vuoi-

Spike si alzò con decisione, gettando a terra l'ultima sigaretta.

-Pensi che la tua morte riporterà in vita tua sorella? Pensi che rinnegare quello che sei, quello che hai fatto, la farà sentire meglio? No, Angelus. Niente di quello che potrai fare da adesso in poi servirà a riequilibrare la bilancia. Niente. Non importa se sei stato tu a ucciderla, o se è stato tuo padre a spezzarla, prima di te. E' morta. Questa è l'unica cosa che conta. E' uscita dalla tua vita per sempre. Le vostre anime non si riuniranno in cielo festeggiate da un coro di angeli, non ci sarà nessun lieto fine per voi. Dovunque lei sia adesso non è certo in un posto dove tu la potrai mai raggiungere. Perciò datti pace amico, perché non la rivedrai mai più. L'unica cosa che ti rimane da fare è continuare a soffrire, un giorno dopo l'altro. Soffrire quanto ha sofferto lei, quando l'hai tradita...quando non hai saputo proteggerla...soffrire per lei, per quello che non ha avuto e che non avrà mai. A causa tua. E quando avrai sofferto abbastanza, allora forse lei potrà riposare in pace-

Angelus alzò lo sguardo sugli occhi azzurri che lo accusavano furenti e all'improvviso vide un lampo di verità incrinare quella maschera chiusa. Un dolore sordo e disperato, a tal punto simile al suo da dargli la sensazione di guardare il proprio riflesso in uno specchio. Si girò dandogli le spalle, spaventato da quello che aveva cercato di ignorare per troppo tempo. Lo sentì allontanarsi, un passo dopo l'altro e poi fermarsi all'improvviso.

-Sei proprio patetico e scommetto che Cathy se la sta godendo un mondo a vederti in questo stato...-

Angelus reagì, allora. Neanche si rese conto dei movimenti del proprio corpo. Colpì e colpì, fino a che non sentì le nocche delle mani spezzarsi. Il suo sangue si mescolò con quello di Spike che continuava a rimanere in piedi, di fronte a lui, ricevendo la tempesta dei suoi pugni, accogliendo la sua rabbia con delle risate sempre più soffocate. Per quanto tempo aveva continuato a colpirlo? Forse solo pochi secondi, forse ore intere. Forse continuò a colpirlo anche dopo essere crollato al suolo, esausto. Spike tossì convulsamente, sputando sangue scuro sulla neve bianca. Con uno sforzo evidente girò la testa verso di lui, guardandolo attraverso gli occhi tumefatti.

-Lo vedi? L'anima non ti rende migliore, Angelus. Il senso di colpa e il dolore non cancellano i tuoi istinti, non cambiano quello che sei. Rimmarrai sempre un vampiro, assetato di sangue e di morte. Continuerai sempre a guardare il collo della gente e a immaginare il sapore del loro sangue sulla lingua. L'anima non significa niente. Non ti può impedire di uccidere, ti può solo far sentire in colpa dopo che l'hai fatto. Uccidere, non uccidere...La scelta rimane a te ed è una scelta che devi fare ogni giorno. E il punto è proprio questo, Angelus, te la senti di continuare a scegliere, un giorno dopo l'altro?-

Spike teneva gli occhi chiusi, ora, e all'improvviso Angelus si rese conto di quanto il suo corpo fosse martoriato. Le gambe erano distese in una posizione innaturale, con ogni probabilità le ossa erano fratturate. Il volto che lo aveva guardato con strafottenza era quasi irriconoscibile, nascosto dal sangue e dai lividi. La neve intorno a lui era striata di sangue. Quanto forte doveva averlo colpito per ridurlo in quello stato? Quanto dolore doveva avere sopportato senza neanche tentare di difendersi? Lo vide muoversi lentamente e riaprire gli occhi per guardarlo.

-Naturalmente puoi decidere di mollare. Del resto l'hai già delusa una volta, no? Che differenza vuoi che faccia? Scommetto che è questo che lei si aspetta...anzi è questo che tutti si aspettano. Anche Darla. Non sei mai stato bravo a sopportare il dolore, hai sempre preferito scappare o sfogare la tua rabbia sugli altri. Ma da questo non puoi scappare, vero? Ce l'hai dentro e ti sta divorando. Alla fine dei conti quegli zingari hanno trovato una punizione perfetta per te. Hanno capito la tua debolezza e l'hanno sfruttata al meglio. Puoi decidere di farli vincere e sarà tutto finito. E personalmente sono convinto che è questo che finirai per fare. Oppure puoi stupirmi, raccogliere quello che rimane di te e combattere questa cosa. In entrambi i casi decidi in fretta, perché sono stufo marcio di sentirti mugulare nella notte come un dannato cane bastonato-

Con evidente fatica Spike si passò una mano tra i capelli sporchi di sangue e bianchi di neve. Il cielo si era chiuso sopra di loro e l'aria pungente annunciava una nuova tempesta.

-E adesso portami a casa, l'alba è vicina e non ho la vocazione del martire, io-

Angelus non poté impedirsi di sorridere. Si caricò il corpo di Spike sulle spalle e cominciò a camminare lentamente nella neve ghiacciata.

-No, non ce l'hai. Tu hai la vocazione del salvatore-

Tutto quello che ottenne fu un grugnito annoiato.

+ + +

Stati Uniti - 1910

Il porto era affollato di gente. Profughi, clandestini, semplici visitatori. Tutti con la stessa speranza negli occhi. Tutti con lo stesso identico desiderio nel cuore. Guadagnarsi una nuova vita.

America. La nuova terra promessa, il luogo dove i sogni diventano realtà. Il luogo dove vanno i sognatori.

Angelus si aggirava tra la folla, lo sguardo basso e il corpo troppo magro nascosto sotto un mantello lacero. L'euforia riempiva l'aria intorno a lui, ma non riusciva a contagiarlo. Troppi pensieri si agitavano dentro la sua mente, troppe voci lo tormentavano, troppe volte aveva ricominciato e fallito di nuovo.

Troppe volte aveva detto addio.

Ricordava ancora quegli occhi azzurri pieni di sdegno e delusione. E le parole cariche di rabbia e frustrazione che lo avevano investito. Di nuovo. Tutto come allora. Non si era mai accorto di quanto Cathy e William si assomigliassero. O forse non aveva mai voluto ammetterlo con se stesso.

Li aveva traditi entrambi. Li aveva reclamati a sé, si era eletto a loro dio e poi li aveva abbandonati a sé stessi. E prima o poi ne avrebbe pagato il prezzo. Perché come diceva Darla, tutto ha un prezzo a questo mondo. Anche la libertà. Anche il perdono. Anche un addio.

Eppure sentiva che questa volta era diverso. Nonostante l'identico dolore sentiva che questo addio era stato diverso.

In passato si era limitato a fuggire, aveva rifiutato di camminare lungo un unico sentiero, aveva cambiato direzione continuamente, come una trottola impazzita. Non c'era stata ragione profonda o riflessione alla base delle sue azioni. Solo istinto e desiderio e paura. Paura di guardarsi dentro.

Ma questa volta aveva guardato dentro di sé. Aveva affrontato il mostro che lo dilaniava. Aveva scelto la sua strada. E questa volta l'avrebbe percorsa fino in fondo. Perché aveva trovato dentro di sé il coraggio e la forza di sceglierla. Ogni giorno la guardava stendersi davanti a sé, serpeggiante e confusa, la strada del dolore e della redenzione. Ogni giorno la sceglieva nuovamente.

E forse un giorno si sarebbero persi nell'oscurità dei ricordi gli anni incostanti e incoscenti. Gli anni del sangue e delle rose.

+ + +

Continua...

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