Paura di vivere

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To fear love is to fear life, and those who fear life are already three parts dead.
Bertrand Russell

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Sunnydale

1 Novembre 2002

 

-Signor Nobuhiko!-

Un ragazzo dai capelli scarmigliati e il volto pallido alzò lo sguardo seccato, quasi che fosse l'insegnante a essere in torto distogliendolo dai suoi pensieri.

-Dato che a quanto pare ha trovato qualcosa di più interessante da fare che seguire le mie lezioni, perché non lo condivide con il resto della classe? Sono certo che i suoi compagni sono curiosi quasi quanto me di scoprire cosa c'è di tanto importante in quel quaderno da distoglierla dall'atomo di Bohr-

L'insegnante, un uomo basso e tarchiato in calzoni di canapa e camicia, si avvicinò con passo deciso al banco del suo studente allungando il braccio per strappargli il quaderno dalle mani.

Dietro le ciocche scomposte dei capelli neri, gli occhi del ragazzo sembravano semplici pozze scure, ma l'uomo sentì che lo scrutavano con ostilità. Venne assalito da un improvviso sgomento e da un senso di inferiorità, intuiva che lui era troppo sprezzante per abbassarsi a rispondere alle sue provocazioni o semplicemente per rivolgergli la parola.

Si fissarono per qualche istante mentre l'aria intorno a loro si faceva tesa, il silenzio rotto solo dai respiri ansiosi degli studenti che li circondavano con i loro sguardi curiosi e perplessi.

Con un gesto nervoso l'uomo raccolse tra le mani il quaderno e cominciò a sfogliarlo. Davanti ai suoi occhi si susseguivano le immagini di esseri deturpati e coperti di sangue, di tanto in tanto compariva anche la figura di un uomo colto nell'atto di infliggere alle creature esanimi il colpo mortale. In ogni disegno l'uomo stringeva tra le mani una spada nera e scarlatta dalla forma contorta.

L'insegnante chiuse il quaderno con uno scatto scomposto e alcuni dei disegni scivolarono sul pavimento attirando gli sguardi incuriositi della classe.

Il ragazzo dai capelli scuri era rimasto a fissarlo immobile, tutto il tempo, senza mostrare la minima emozione.

L'uomo andò alla cattedra estraendo una penna stilografica dal taschino della camicia. Con gesti nervosi vergò qualche frase su un foglio di carta e, tornato sui suoi passi, lo lasciò cadere sul banco del ragazzo.

-Sono sicuro che il preside sarà deliziato di osservare qualcuna delle sue macabre creazioni-

Aveva parlato con voce incerta e alterata. Si schiarì la gola e proseguì la spiegazione dell'atomo di Bohr, come se niente fosse successo.

Dawn Summers osservò il suo compagno di classe con rinnovato interesse mentre un brusio incerto serpeggiava tra i banchi intorno a lei. Risatine nervose passavano da una bocca all'altra, qualcuno si produsse in un applauso di scherno. Ma lei non aveva nessuna voglia di ridere, né di applaudire.

Fu solo un sussurro, basso e tagliente, così sottile che Dawn avrebbe continuato a chiedersi se davvero qualcuno avesse parlato o se quella frase fosse stata solo il frutto della sua immaginazione.

-Disegno solo quello che vedo-

Sentì per qualche istante gli occhi neri del ragazzo su di sé, poi lo vide raccogliere le sue cose e alzarsi. Non poté fare a meno di seguirlo con lo sguardo mentre usciva dalla classe sentendosi investire da un'ondata di incertezza. Strinse la penna tra le dita resistendo a stento all'impulso di rincorrerlo e chiedergli spiegazioni.

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Il preside richiuse il quaderno con un gesto secco prima di intrecciare le mani sotto il mento e fissare negli occhi il ragazzo.

-Hai mai pensato di iscriverti al corso d'arte organizzato dalla scuola? Sono sicuro che gioverebbe al tuo stile, senza contare che i tuoi lavori potrebbero essere sottoposti a un giudizio più competente di quello di un insegnante di fisica o di una classe annoiata-

Di fronte al silenzio ostinato del suo interlocutore il preside si lasciò andare contro lo schienale della poltrona di pelle con un sospiro.

-Credimi, so bene cosa significhi essere emarginati dai propri coetanei solo perché si appartiene a una razza diversa o perché si coltivano interessi insoliti. Sono stato l'unico nero in una scuola di bianchi e ti assicuro che non è stato facile sopravvivere agli anni del liceo. Ma questo non è un buon motivo per mancare di rispetto a un docente o disinteressarti delle lezioni. Anzi dovrebbe essere uno stimolo per impegnarti il doppio, anche il triplo dei tuoi compagni se necessario, fino a che il tuo valore diventi così evidente che nessuno si trovi nella condizione di poterlo mettere in dubbio-

Hiro rialzò lo sguardo sull'uomo di fronte a lui. Era chiaramente un uomo di colore, anche se la sua pelle non era molto scura. Un meticcio forse. La luce bianca di Novembre gli batteva forte in faccia evidenziando gli zigomi alti e le labbra carnose. Il suo corpo era grande e potente, ma anche elegante. Era molto alto, lo si capiva subito. In effetti sembrava più un giocatore della NBA che il preside di una scuola superiore. Fatta eccezione per il suo abbigliamento classico e serioso. Completo scuro, cravatta bordeux e camicia bianca. Ma quello che più colpiva in lui era che si muoveva con gesti calmi e decisi. Non capita spesso di vedere una persona seduta tranquilla che non fa movimenti superflui.

-Voglio essere sincero con te, Hiro. La tua scheda mi preoccupa. I tuoi voti sono nella media. Non hai mai partecipato ad alcuna attività integrativa, né alle produzioni artistiche o teatrali della scuola. Non pratichi alcuno sport e hai sistematicamente saltato tutte le gite scolastiche. Non hai mai ricevuto alcuna nota disciplinare, fatta eccezione per il richiamo di questa mattina, e gli insegnanti si ricordano a malapena il tuo nome. Non sembri aver stretto alcuna amicizia rilevante all'interno della tua classe. In poche parole sei praticamente invisibile-

-Non vedo dove sta il problema-

-Il problema è che ora che ti ho visto non riesco a credere che questa possa essere la tua scheda personale-

Hiro incrociò le braccia sul petto con aria indifferente, ma non rispose.

-E poi naturalmente ci sono i tuoi disegni-

L'uomo riprese tra le mani il quaderno e lo sfogliò lentamente, soffermandosi di tanto in tanto su uno dei disegni. Quando ebbe finito tornò a guardare il ragazzo sorridendo.

-Questi non sono i disegni di una studente mediocre e tanto meno di una persona comune. E non posso fare a meno di chiedermi per quale motivo tu insista a rifuggire da ogni situazione che possa in qualche modo metterti in luce o più semplicemente farti notare dagli altri-

Hiro scrollò le spalle con noncuranza.

-Non sono un tipo che ama la compagnia e non mi è mai piaciuto mettermi in mostra. Tutto qui-

Il preside assentì silenziosamente.

-Mi sono permesso di mostrare i tuoi disegni all'insegnante di arte. Ne è rimasta molto colpita e mi ha chiesto di inserirti nel suo corso-

-Non può obbligarmi a frequentare un corso integrativo-

-Fino a questo momento non potevo in effetti. I tuoi precedenti scolastici ti rendevano pressoché intoccabile. Ma dopo l'incidente di questa mattina...diciamo pure che il professor Jameson è alquanto alterato con te e come capirai io non posso tollerare che si manchi di rispetto al corpo docente di questa scuola. In effetti avrei dovuto sospenderti per qualche giorno, ma ritengo più produttivo obbligarti a frequentare il corso integrativo della professoressa Ryan. Sono sicuro che lo troverai molto stimolante. Cominci da domani pomeriggio-

Hiro si alzò con decisione raccogliendo le sue cose e quando parlò lo fece con un tono sarcastico.

-Le sono molto grato per la sua clemenza signor Wood-

Robin Wood osservò il ragazzo uscire dal suo ufficio sbattendo la porta. Poi tornò a fissare il disegno che aveva lasciato scivolare a terra, proprio sotto la sua scrivania. Inavvertitamente, era ovvio. Un demone dal corpo deforme, le fauci spalancate su una fila di zanne aguzze e di fronte a lui un uomo che brandiva una pesante spada nera e scarlatta. Il volto dell'uomo era nascosto da un'ombra scura e i suoi lineamenti erano disegnati con tratti incerti, come se l'artista non fosse stato perfettamente sicuro della sua identità. Robin non aveva dubbi, invece. Quello era l'uomo che aveva inseguito per una vita intera.

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-Insomma questo ragazzo si è preso una nota di demerito perchè disegnava invece di seguire la lezione di chimica...bé non mi sembra ci sia niente di così insolito...voglio dire, chimica non è esattamente la materia più entusiasmante del mondo...-

-No Buffy, non capisci. Non erano disegni qualsiasi...lui disegnava Spike...voglio dire la faccia non era disegnata molto chiaramente e aveva una spada dalla forma strana e non era vestito come al solito...ma era Spike senza ombra di dubbio!-

Buffy non riuscì a trattenere una risata.

-Ti prego Dawn! Hai detto la stessa cosa dopo aver letto i romanzi di Ann Rice, eri assolutamente certa che fossero ispirati a Spike...e poi quei disegni li hai visti solo di sfuggita...-

-No, questa volta è diverso! Quei disegni li ho visti bene e...-

Dawn si passò una mano sugli occhi quasi a voler mettere ordine tra i suoi pensieri confusi.

-Era lui Buffy, io non ho alcun dubbio-

Buffy scosse la testa.

-Ascolta Dawn...so che Spike ti manca...e non credere che non lo capisca, lui...manca a tutti noi e...-

-A tutti chi, Buffy? Manca a Xander che ha organizzato una festa al Bronze quando ha saputo della sua partenza? Manca a te che non lo hai più nominato neanche una volta da quando è partito? Come puoi...come hai potuto lasciare che se ne andasse senza fare niente per fermarlo? Angel l'hai seguito a Los Angeles...a lui cosa hai detto? Fai buon viaggio?!-

Le parole di Dawn si rovesciarono su Buffy annientandola. Tutte le sensazioni, i sentimenti, l'angoscia che aveva represso negli ultimi mesi la travolsero. E sentì una rabbia sorda crescere dentro di lei e offuscarle la vista. Perché lui aveva tradito la sua fiducia. Perché l'aveva lasciata senza darle spiegazioni. Perché come sempre lei usciva sconfitta da quella storia.

-Chi diavolo credi di essere per giudicarmi? Tu non sai niente di quello che è successo tra noi!-

La sua voce suonò più fredda di quanto avesse voluto.

-Non lo so perché tu non hai mai voluto parlarne!-

Dawn rimase immobile, gli occhi pieni di rabbia. Aspettava. Aspettava una reazione, una risposta, qualunque cosa potesse sbloccare quella situazione di stallo e permetterle di sfogare tutto il suo risentimento.

Buffy serrò i pugni. Tutto quello che desiderava in quel momento era sbattere in faccia a sua sorella tutta la sua frustrazione. Farle provare il dolore sottile che le tagliava lo stomaco ogni mattina, quando si svegliava dai sogni in cui lui la teneva stretta a sé fino alla fine e non la lasciava sola in quella stanza vuota. Confessarle come continuava a tornare alla sua cripta già sapendo che l'avrebbe trovata vuota, ma nonostante tutto sperando, notte dopo notte. Urlarle in faccia che lei non sapeva, non poteva sapere cosa si prova quando ti strappano il cuore dal petto e ti lasciano sola a sanguinare e morire. Ma non poteva, non doveva. Perché lei era sua sorella. Nata dal suo stesso sangue. Parte della sua stessa anima. E doveva proteggerla da quel dolore che la stava corrodendo. Doveva proteggerla da se stessa. Perché cos'altro le era rimasto? Per cos'altro continuava a vivere?

Dawn riprese a parlare, la sua voce era bassa e controllata, ma tradiva un'emozione evidente.

-Xander continua a ripetere che Spike era solo un mostro senz'anima...e dopo quello che ti ha fatto...per un po' ho creduto che avesse ragione...ma non riesco a smettere di pensare a quando ha rischiato la sua vita per me, ribellandosi a Glory, a come si è preso cura di me, giorno dopo giorno, dopo che tu te ne sei andata, a come ha saputo accettarmi e capirmi facendomi sentire parte di questo mondo nonostante tutto...non riesco a smettere di pensare che lui ha cominciato a cambiare dopo che *tu* sei tornata...non so come, né perché, ma di certo so che è colpa tua se è cambiato...Xander mi ha raccontato quello che lui ha tentato di fare a te e di certo non lo giustifico...ma *tu* Buffy? Tu cosa hai fatto a lui per trasformarlo in un mostro? La verità è che quello che è successo è solo colpa tua...è colpa tua se ci ha lasciate e io...-

Il suono secco dello shiaffo riecheggiò nell'aria.

Dawn rialzò lo sguardo su Buffy mentre sulla sua guancia comparivano i segni dolorosi delle dita. E mentre usciva sbattendo la porta d'ingresso Buffy seppe di aver perso la sua battaglia personale. Su tutti i fronti.

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La ragazza camminava con sicurezza tra le tombe addormentate. Il suo incedere era quello di un guerriero pronto a sferrare un attacco mortale e i lunghi capelli rifulgevano come fiamme sotto la luce artificiale dei lampioni.

Era completamente sola. Sapeva che nessun nemico l'avrebbe attaccata e che nessun amico l'avrebbe raggiunta. Intorno a sé riusciva a sentire solo il rumore dei propri passi che riecheggiavano nell'aria fredda. E nonostante tutto, nonostante tutta la solitudine e tutto il silenzio che la circondavano, solo durante quelle passeggiate notturne riusciva a sentirsi parte del mondo in cui era stata spinta a forza. Essere circondata dal pericolo, vivere nella consapevolezza che da un momento all'altro una delle creature che la osservavano attraversare i sentieri polverosi avrebbe potuto decidere che la sua ultima ora era giunta, sentire l'adrenalina risvegliare e possedere ogni fibra del suo corpo. Solo così riusciva a sentirsi viva.

Era come camminare sull'orlo di un baratro, ogni notte, aspettando di compiere quel passo falso, di ricevere quella spinta che l'avrebbe finalmente fatta precipitare.

Era l'unico modo per affrontare un altro giorno uguale agli altri. Un altro giorno da passare in mezzo a quella folla di volti conosciuti sentendosi ogni minuto di più un'estranea. Un altro giorno in cui avrebbe finto di non sentirsi esclusa o inutile. Un altro giorno speso nel disperato tentativo di dimostrare che non era una qualsiasi.

"Voglio mostrarti il mondo", le aveva detto Buffy. Sì, come no.

Dawn si strinse nella giacca leggera cercando di ricordare quando era stata l'ultima volta che aveva desiderato di vederlo quel mondo.

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1 Novembre 2001

Si chiuse la porta alle spalle stringendosi nello spolverino di pelle.

Con un sospiro di frustrazione si passò le dita tra i capelli. Non funzionava. E lui non era il tipo che si raccontava favole.

Naturalmente non si aspettava che sarebbero vissuti felici e contenti per il resto dei loro giorni. Aveva imparato da tempo che nella realtà una storia d'amore non si risolve mai con un bacio finale sullo sfondo di un tramonto fiammeggiante. Perché nella vita reale l'amore e la passione devono fare i conti con la quotidianità. La cronica mancanza di soldi, l'ostilità della gang nei suoi confronti, l'inquietudine di Dawn, l'impossibilità di dare a Buffy ciò che avrebbe meritato, senza dimenticare la continua lotta contro la propria natura di vampiro.

Sapeva fin dall'inizio che non sarebbe stato facile. Ma pensava che amarla sarebbe stato sufficiente.

E all'inizio era davvero sembrato che potesse bastare. Ma naturalmente era andato tutto orribilmente storto.

Si lasciò cadere sulla poltrona con la precisa sensazione che la situazione stesse sfuggendo al suo controllo.

La porta d'ingresso risuonò di una serie di colpi secchi.

Spike si alzò stancamente indeciso se aprire o meno. Non era dell'umore giusto per affrontare altri creditori o qualcuno dei vampiri che avevano deciso di eleggerlo a nuovo nemico pubblico numero uno.

La porta venne di nuovo investita da una serie di colpi.

-Spike? Lo so che ci sei! Apri!-

Non poteva essere. L'aveva lasciata addormentata nel suo letto, al sicuro, non più di mezz'ora prima. Aprì la porta con violenza e la ritrovò sulla soglia della sua cripta. Ancora una volta.

-Briciola?-

-Ti prego non mandarmi via! Ho assoluto bisogno di parlare con qualcuno!-

Spike osservò per un momento i grandi occhi di Dawn spalancati su di lui in una muta richiesta di aiuto. Con un sospiro si fece da parte lasciando che la ragazzina entrasse. L'ultima volta che si era rifugiata da lui era riuscito a calmarla raccontandole le sue terrificanti avventure notturne alla luce incerta di una candela, ma aveva la precisa sensazione che questa volta qualche storia dell'orrore non sarebbe servita a distrarla.

Dawn si accomodò sulla poltrona di velluto scuro. I lunghi capelli ramati le ricadevano morbidi sulle spalle e i suoi occhi azzurri sembravano ancora più grandi nella luce morbida della cripta. Sul suo viso sottile era disegnata un'espressione troppo seria per appartenere a una bambina.

Ma forse era proprio questo il punto. Di fronte a lui non c'era più la bambina che sorrideva divertita quando lui la chiamava Briciola, seduta sulla sua poltrona c'era una giovane donna che cercava disperatamente di uscire dall'ombra ingombrante proiettata da sua sorella.

Dawn si sentiva nervosa. Si passò le mani tra i capelli assicurandosi che avessero mantenuto la piega che aveva passato due ore a dargli. Non riusciva ad alzare gli occhi dalle punte delle scarpe, sapeva di essere arrossita e non voleva che lui se ne accorgesse. Cercò le parole che aveva studiato davanti allo specchio, ma sembrava incapace di ricordarle.

Stava perdendo tempo. Non sarebbero arrivati da nessuna parte se continuava a comportarsi così. Sentiva il suo sguardo fisso su di lei. Perché era tanto difficile? Cosa c'era di sbagliato in lei? Le parole continuavano a scivolarle via dalla mente, incapaci di raggiungere le sue labbra.

Rialzò lo sguardo su di lui e vide che i suoi occhi azzurri la fissavano con dolcezza, la incoraggiavano, le sorridevano in quel modo così unico e raro. E si sentì improvvisamente forte e sicura.

-Ti voglio bene Spike-

Vide il volto del vampiro rilassarsi.

-Anch'io ti voglio bene Briciola e proteggerò te e Buffy fosse l'ultima cosa che...-

-No!-

Si accorse di avere gridato. Sul volto del vampiro si disegnò un'espressione sorpresa e ferita.

-Non vuoi che vi protegga?-

Dawn si allontanò da lui dandogli le spalle. Inspirò profondamente prima di girarsi di nuovo.

-No...Voglio dire...sì, certo, voglio che tu mi protegga ma...non è questo che volevo dire...-

Lui la guardava con un attenzione totale e incondizionata. In quel momento lei era il centro del suo mondo. Nient'altro importava. Non le pareti umide che li circondavano. Non il mondo che girava e gridava oltre la soglia di quella cripta. Dawn sapeva che in quel momento lui non vedeva altro che lei. E lei, da molto tempo, non riusciva a vedere nient'altro che lui. Il suo volto segnato dal dolore e dall'amore eppure cristallizzato in un'eterna e falsa giovinezza. Falsa come quella che lei vedeva ogni volta che si guardava allo specchio.

Fissò quegli occhi di un blu impossibile. Occhi in cui brillavano forza, insicurezza, coraggio, tenerezza e un misto di mille altre emozioni indecifrabili. E per la centesima volta si chiese come poteva Buffy non voler passare il resto della sua vita semplicemente guardando il mondo che si rifletteva in quelle pozze azzurre e profonde.

-Quello che voglio dire, Spike, è che voglio passare la mia vita con te...voglio condividere con te il dono oscuro...voglio essere il tuo childe-

-Molto divertente Briciola e ora che ci siamo fatti quattro risate sarà meglio che tu torni a casa-

-No...io dico sul serio, davvero!-

Lo vide reclinare la testa di lato, in quell'attegiamento così abituale, come se quel piccolo gesto potesse aiutarlo a vedere la situazione da un'altra prospettiva.

-Tu non sai neanche di cosa parli. Diventare un vampiro ti sembra una cosa affascinante, vero? Un'esperienza trascendente, un modo per elevarsi al di sopra del mondo e delle sue regole. Tutto quel potere e l'immortalità per spenderlo...-

Gli occhi di Dawn scintillarono di desiderio e attesa. Ma il tono di Spike era duro e il suo volto contratto in una piega dolorosa.

-Sai cosa significa essere immortali? Significa veder morire le persone che hai amato, una dopo l'altra, senza poter fare niente per impedirlo. Significa vedere tradita la tua fiducia tante di quelle volte che alla fine non riuscirai più a credere neanche a te stessa. Significa rimanere fermi mentre tutto intorno a te scorre instancabilmente. Significa rimanere soli. E' questo che vuoi? Perché, credimi Briciola, è tutto quello che otterrai-

Dawn scosse la testa con forza.

-Ma...se io non fossi sola...se noi fossimo insieme, per l'eternità...-

-Per l'eternità...-

Il vampiro si avvicinò alla ragazza fino a che potè sentire il suo respiro incerto sul viso. Dawn serrò i pugni cercando di rallentare i battiti del suo cuore.

-Sai quanto è lunga l'eternità Dawn?-

La ragazza scosse il capo sotto lo sguardo bruciante del vampiro, incapace di pronunciare anche una sola sillaba.

-Immagina una sfera di ferro incandescente, grande come la terra. Immagina che ogni cento anni un'aquila venga ad affilarsi il becco sulla sua superficie. Quando quella sfera sarà completamente consumata, l'eternità di cui parli non sarà neanche cominciata-

Dawn sentì le ginocchia cedere, ma non distolse lo sguardo. Inspirò profondamente prima di rispondere.

-Il mio spirito ha già attraversato i secoli. Non ho paura di viverne altri...se sarai con me-

Spike ruggì esasperato, allontanandosi da quello sguardo troppo sicuro, troppo fiducioso. Appoggiò stancamente le mani alla parete umida, rilassando le spalle e il collo.

-Sei così giovane...così ingenua...credi di sapere tutto della vita...ma neanche immagini quanto si può soffrire...-

Dawn sentì la tensione lasciare improvvisamente il proprio corpo.

-Sarò giovane e ingenua, come dici tu, ma credimi so cosa vuol dire soffrire...non ho fatto altro da quando sono stata scaraventata su questa terra-

Spike si girò di scatto e fece per replicare, ma il volto contratto di Dawn gli fermò le parole in gola.

-Dici che non capisco la vita e forse hai ragione...non capisco perché devo continuare a rimanere qui e soffrire quando sarebbe così facile e dolce lasciarsi andare...finirla....ogni giorno combatto la mia guerra personale contro lo specchio perché non sopporto la persona che ci vedo riflessa...non la riconosco...ma poi chiudo gli occhi e ti vedo...nei miei sogni...e capisco all'improvviso che tutto quello di cui ho bisogno sei tu...perché tu sei l'unico che riesce a guardare oltre questo corpo falso...questo stupido involucro in cui sono stata rinchiusa...sei l'unico che mi vede per quello che sono realmente e riesce a volermi bene comunque-

Le lacrime le avevano di nuovo inondato il viso stanco senza che potesse fare niente per fermarle. Eppure non si era mai sentita così libera e sicura.

Spike la guardò con dolcezza.

-E ti vorrò bene sempre Briciola, comunque vadano le cose...ma non devi mai dimenticare che anche tua sorella ti vuole bene, lei più di chiunque altro ti conosce e ti capisce e ...-

Dawn scoppiò esasperata.

-Buffy, Buffy, Buffy! Possibile che tutto ruoti sempre e comunque intorno a lei?! Cosa ha fatto per meritarsi tutta questa dedizione...tutto questo amore?-

Perché non puoi amare me come ami lei? Continuò Dawn nella sua mente.

-L'amore non è una scelta, Dawn. Non scegli quando o di chi innamorarti. Ti innamori e basta. Spesso contro la tua stessa volontà. Spesso della persona meno adatta a te, di quella che non avresti mai scelto se ti fossi basato su una serie di considerazioni pratiche e razionali. Allo stesso modo non scegli quando e come smettere di amare. A volte semplicemente non riesci a non amare qualcuno, nonostante ti renda benissimo conto che saresti molto più felice se potessi uccidere quell'amore e sepellirlo sotto terra. Altre volte ti svegli una mattina qualsiasi, senza che sia successo niente di trascendentale, e ti accorgi che non sei più innamorato. L'amore va oltre qualsiasi calcolo razionale, è incontrollabile. Non c'è niente che tu possa fare per ribellarti alla sua forza, più cerchi di divincolarti più la sua morsa si stringe attorno al tuo cuore e lo fa sanguinare-

Gli occhi azzurri del vampiro la fissavano intensi, come se volessero scrutarle l'anima. Ma era quello il problema, no? Lei non aveva un'anima. Neanche era reale. Dawn distolse lo sguardo infastidita.

-Io non credo che proverò mai qualcosa del genere...-

Spike le si parò di fronte constringendola a guardarlo.

-Credi che avrei mai pensato di potermi affezionare tanto a te? Credi che avrei mai immaginato che mi sarei innamorato della Cacciatrice che ero destinato ad uccidere? Solo due anni fà avrei riso in faccia a chiunque mi avesse pronosticato una cosa del genere...e poi probabilmente ne avrei fatto carne da macello...ma non è questo il punto...il punto è che è successo. E un giorno succederà anche a te, Briciola. Quando meno te lo aspetti... sarà come svegliarsi all'improvviso, aprire gli occhi e vedere il mondo in modo completamente diverso...perché quando c'è l'amore niente ha più lo stesso significato. E sarai felice e sarai disperata, vorrai ballare e piangere, tutto nello stesso istante. E non ti sarai mai sentita così viva...-

Dawn sorrise suo malgrado prima di coprire la distanza che li separava e nascondere il volto contro il petto immobile del vampiro e intrecciare le braccia attorno alla sua vita.

-Me lo prometti?-

Spike si passò nervosamente una mano nei capelli e quando ebbe superato la sorpresa per quell'inaspettata manifestazione di affetto, ricambiò il suo sorriso.

-Te lo prometto. E adesso ti riporto a casa prima che a tua sorella saltino i nervi-

Dawn si lasciò guidare da lui nell'oscurità, sulla strada che l'avrebbe riportata a casa. Sentiva la stretta della sua mano, forte e sicura. Lo vedeva camminare senza esitazioni, davanti a lei. Sapeva di potersi fidare. Eppure non riusciva a evitare di pensare che alla fine dei conti, lui non l'aveva voluta al suo fianco. E non riusciva a evitare di chiedersi se avrebbe reagito allo stesso modo se a fargli quella proposta fosse stata Buffy.

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1 Novembre 2002

Buffy si sedette sui gradini del portico con un sospiro. L'autunno stava lentamente lasciando il posto all'inverno e presto il freddo si sarebbe fatto pungente. Si strinse nel maglione leggero rimpiangendo di non aver portato una coperta. Certo sarebbe potuta rientrare e prenderla, ma non aveva nessuna voglia di muoversi.

Dawn era di nuovo in fuga. Da lei, dal mondo...da se stessa. Non era una novità. Eppure questa volta si sentiva inquieta.

Una folata di vento si insinuò tra le pieghe dei suoi vestiti e sfiorò l'albero del vialetto facendone cadere alcune foglie. L'albero di Spike. Quello sotto cui lui aveva passato infinite notti a guardare la finestra della sua stanza. Chissà quali pensieri gli erano passati per la testa mentre fumava una sigaretta dopo l'altra, intrappolato nell'oscurità della notte mentre i suoi occhi azzurri si riempivano della luce e dell'amore che in quel periodo si respiravano a casa Summers. Di certo c'erano stati pensieri a sfondo sessuale. Perché, ehi! Spike e il sesso? Decisamente due facce della stessa medaglia. Ma a volte si chiedeva se ce n'erano stati altri. Di pensieri. Chissà se guardando la porta dell'ingresso aveva pensato di poter un giorno varcare quella soglia come un ospite atteso e benvenuto. Chissà se guardando la finestra della sua camera da letto aveva aspettato semplicemente che lei si affacciasse per vederla un'ultima volta prima che il sorgere del sole lo costringesse ad andarsene.

Non si era mai preoccupata di chiederglielo. Come non si era mai preoccupata dei suoi sentimenti e delle sue esigenze.

Lo aveva semplicemente trattato come un oggetto.

Le ferite che gli aveva inflitto. Il modo in cui aveva svilito e deriso le sue gentilezze. Come gli aveva chiesto di dichiararle il suo amore, solo per poi rifutarlo, ogni volta.

Aveva semplicemente soffocato in lui ogni sentimento umano.

Ricordava bene come i suoi occhi si erano fatti vacui quando l'aveva spinta sul pavimento, tutta la disperazione e l'incredulità con cui l'aveva guardata dopo che lei lo aveva respinto. Lo aveva reso incapace di capirla. Perché nel linguaggio che aveva usato con lui in quell'ultimo anno i no avevano sempre significato sì, o al massimo più tardi. E quando gli aveva detto no seriamente lui non aveva notato la differenza.

Lo aveva semplicemente fatto impazzire.

Non era stato un cambiamento improvviso. E naturalmente Dawn aveva ragione. Lui aveva cominciato a cambiare solo dopo che lei era tornata. Gli occhi che l'avevano guardata con una luce così umana e vitale la notte in cui era riemersa dal regno dei morti si erano oscurati lentamente, un giorno dopo l'altro.

Era stato come nella favola della Bella e della Bestia. Solo che in questo caso la storia si era distorta a tal punto da trasformarsi in un incubo. Un racconto grottesco in cui la Bestia che è tornata umana per amore viene trasformata di nuovo in un mostro dall'odio della Bella.

Buffy si passò una mano tra i capelli. La frustrazione e la rabbia a stento contenute dal gesto nervoso. Dawn aveva ragione. Lo aveva allontanato irrimediabilmente da loro. E all'improvviso il senso più profondo della sua inquietudine si fece chiaro dentro di lei.

Si sentiva in colpa.

Non solo per come aveva trattato Spike. Non solo per la possibile felicità che si era ostinatamente negata.

Si sentiva in colpa per averlo allontanato da Dawn.

Osservò di nuovo l'albero che cresceva sotto la finestra della sua stanza. Anche nella vecchia casa c'era un albero simile a quello. Quando aveva solo dieci anni suo padre le aveva costruito una casetta di legno tra i rami di quell'albero.

-Questo sarà il tuo posto speciale, il tuo rifugio. Quando sarai triste o quando vorrai stare per conto tuo, potrai venire qui e quando tornerai a casa tutte le cose brutte che ti sono successe si saranno aggiustate o non ti sembreranno più così terribili-

Così le aveva detto suo padre. Insieme avevano portato nella casetta alcune delle sue bambole e sua madre aveva steso a terra una trapunta colorata. Poi erano tornati a casa mano nella mano ridendo del tetto che era venuto troppo spiovente e della scaletta che cigolava.

Si ricordava perfettamente quel giorno perché era stato uno degli ultimi momenti felici che aveva passato con i suoi genitori. Pochi mesi dopo suo padre se ne era andato di casa e lei aveva passato due giorni interi chiusi in quella casetta di legno, aspettando che le cose si aggiustassero, come lui le aveva promesso. Il secondo giorno sua madre l'aveva raggiunta portando con sé una coperta di lana e due tazze di cioccolata calda. Avevano passato la notte nella casetta e il mattino dopo erano tornate insieme a casa e avevano cominciato a fare i bagagli.

Passare la notte nella casetta di legno non aveva fatto ritornare a casa suo padre, ma le aveva fatto ritrovare sua madre e le cose in qualche modo si erano davvero aggiustate, anche se non nel modo in cui lei aveva sperato.

Ogni bambino avrebbe dovuto avere un posto speciale in cui rifugiarsi. Un luogo in cui il mondo esterno non potesse irrompere con la sua violenza prepotente. Un luogo in cui sentirsi al sicuro.

Il suo era stato una fragile casetta di legno costruita dalle mani di suo padre.

Quello di Dawn era stato una cripta umida in cui viveva un vampiro rinnegato.

A pensarci bene non c'era da stupirsi se sua sorella era diventata una ribelle. Spike era stato una pessima influenza per lei.

O almeno questo era quello che aveva sempre creduto.

E se invece Spike fosse stato l'unico capace di capirla? L'unico capace di farla sentire protetta...e amata? E se distruggendo lui, lei avesse distrutto anche l'unico rifugio di Dawn?

Buffy sentì le prime lacrime pungerle gli occhi. Se solo avesse ascoltato...se solo avesse provato a capire invece di ostinarsi a negare...se solo quel giorno...quel giorno...

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1 Novembre 2001

-Aveva solo bisogno di parlare-

-Allora che c'è di male a parlare con me?-

Buffy era esasperata. Sua sorella preferiva confidarsi con un vampiro morto da più di un secolo piuttosto che con lei! E naturalmente non aveva scelto un vampiro qualunque...

-Non riesce a parlare con te!-

Spike serrò la mascella. Perché diavolo stava affrontando quella conversazione? Il miglior risultato che poteva ottenere era quello di farsi conficcare un paletto dritto nel cuore.

-Ah lo sapevo! Ha ricominciato a rubare, vero? Lo sapevo!-

Buffy cominciò a misurare a grandi passi la stanza.

-Calmati Buffy!-

Con decisione Spike la prese per le spalle costringendola a fermarsi.

-Dawn voleva solo parlarmi di come si sente...è difficile per lei e...-

Con uno strattone Buffy si divincolò dalla presa. Non riusciva più a sostenere il suo sguardo. Ogni volta aveva la sensazione che riuscisse a decifrare i suoi desideri più nascosti e questo la terrorizzava...e poi adesso il problema fondamentale era Dawn, non la sua insana relazione con un vampiro morto da più di un secolo che continuava a ossigenarsi i capelli.

-E cosa ti ha detto?-

Spike rise divertito.

-Buffy, non posso dirtelo! Quello che mi ha detto Dawn deve rimanere tra me e lei...se te ne parlassi tradirei la sua fiducia, lo capisci questo?-

-Spike, non c'è nessuna fiducia! Non viene a raccontarti queste cose perché si fida di te, lo fa solo per ferire me, lo capisci questo?-

Buffy si prese la testa tra le mani. Perché doveva essere tutto così difficile?

-Capisco-

Lo sentì allontanarsi e rialzò istintivamente la testa. Se ne stava in piedi di fronte alla finestra, lo sguardo perso nelle luci che illuminavano la notte di Sunnydale.

-Sai, mi chiedo se avresti avuto la stessa reazione isterica se Dawn fosse andata a confidarsi con Xander...-

-Non isterica...preoccupata sì, alterata forse...non isterica...e comunque...che diavolo c'entra Xander adesso?!-

Si era alzata dalla sedia e lo aveva raggiunto.

Spike non si mosse, lo sguardo azzurro fisso sul paesaggio notturno.

Buffy fu ferita da quel silenzio molto più che da qualsiasi frase tagliente lui le avesse mai rivolto in passato. Si accorse che si stava mordendo le labbra solo quando sentì il sapore metallico del sangue sulla lingua. Aveva paura. E non era solo per gli incubi che continuavano a tormentarla.

Sentiva che qualcosa le stava inesorabilmente sfuggendo. Ed era una sensazione che aveva già provato. Con Angel...e Raley. Ma non poteva essere la stessa sensazione, vero? Perché qui non si trattava di amore. Qui si trattava al massimo di sesso. E di sua sorella che si divertiva a metterla in crisi. Almeno una volta a settimana. Preferibilmente di martedì.

-Per quanto mi sforzi non varrò mai abbastanza per te, vero?-

Le parole rimasero sospese nell'aria per qualche istante, come imprigionate in un cristallo immobile. Lui le aveva pronunciate a voce bassa, quasi che stesse parlando con se stesso.

-Vado bene per aiutarti a uccidere qualche demone. Per toglierti qualche prurito. Ma quando si tratta delle cose che contano...quando si tratta di Dawn...torno a essere solo un mostro senz'anima e senza sentimenti. Una creatura disgustosa e inutile-

Buffy lo guardò a lungo, incapace di intravedere il significato di quelle parole, eppure conscia del loro peso.

Spike si voltò verso di lei, con una mano le scostò i capelli dal viso, come a volerla guardare meglio. Non sorrise mentre la attirava a sé e lasciava che i loro istinti prendessero il sopravvento oscurando lentamente le loro coscienze tormentate.

Buffy chiuse gli occhi sentendo il proprio corpo reagire istintivamente sotto le dita di lui. Quasi non si accorse che le aveva letteralmente strappato i vestiti di dosso, ma sentì un brivido di piacere quando le sue labbra si chiusero sul suo seno.
Quanto lo aveva voluto. Quanto aveva desiderato sentire di nuovo la sua bocca, le sue mani sulla pelle.
Lentamente, troppo lentamente, Spike le sfiorò la schiena nuda con una carezza leggera. Buffy si lasciò andare contro di lui, mentre dei brividi caldi le attraversavano il corpo.
Assaporò il suo respiro sorpreso quando gli sfilò la camicia e lo morse tra il collo e la spalla, proprio come lui aveva fatto con le sue vittime, infinite volte. Affondò i denti nella sua pelle liscia e morbida fino a che non gli strappò un gemito di piacere. Allora fece aderire il corpo contro il suo, intrecciando le gambe attorno ai suoi fianchi. Spike le prese il viso tra le mani.

-Guardami Buffy-

Lei aprì gli occhi, non mostrando alcuna apparente reazione nel vederlo con la sua maschera di vampiro indosso.

-E' davvero questo che vuoi?-

La voce di lui era roca, il suo autocontrollo lo stava abbandonando e Buffy si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto. Il potere che aveva su di lui la inebriava. Era la sua droga personale.
Ma quegli occhi azzurri la scrutarono con un'intensità tale da farla sentire completamente disarmata. Stavano cercando di leggere delle risposte sul suo volto. Risposte che lei non era in grado di dare. Neanche a se stessa. Reclamò le sue labbra allora, cercando di cancellare con il suo bacio le domande che aleggiavano nell'aria e nelle sua mente.

-Voglio solo sentirti dentro di me, adesso-

Sussurrò contro la bocca di lui, stupendosi di ritrovarsi quasi senza fiato. Continuò a baciarlo mentre lo spogliava con mani esigenti. E rabbrividì di piacere quando furono pelle contro pelle. Finalmente. Poi i pensieri e le parole si confusero nella sua mente e la sua vista si annebbiò mentre lo trascinava con lei sul pavimento freddo.

Lui chiuse gli occhi per un istante, prima di lasciarsi scivolare dentro di lei. Buffy inarcò la schiena sentendo il desiderio di lui crescerle dentro, fino a diventare quasi troppo intenso, quasi doloroso.
E poi lui si fermò. Rimase a guardarla per qualche istante, con infinita dolcezza, accarezzandole i capelli e il volto.
Buffy inarcò di nuovo la schiena, incitandolo silenziosamente a mettere fine a quella dolce tortura, ma lui ignorò il suo invito. Se sperava di sentirla implorare...ma poi lui la baciò. Sugli occhi chiusi, sulle guance arrossate, sulla bocca ansimante. La baciò lentamente, assaporandola come il frutto più dolce. La baciò fino a che non sentì il suo corpo sciogliersi sotto di lui. E continuò a rimanere immobile, dentro di lei. E allora Buffy aprì gli occhi, stringendolo a sé con forza, cercando disperatamente di aumentare il contatto tra i loro corpi.

-Per favore-

E fu solo un sussurro.
Gli occhi azzurri del vampiro si oscurarono per una frazione di secondo, come un cielo terso improvvisamente attraversato da una nuvola grigia.

-Non c'è futuro per noi-

Buffy scosse la testa mentre sentiva la sua pelle prendere fuoco sotto le carezze di lui.

-Non mi importa...per favore-

Spike ricominciò a muoversi lentamente dentro di lei.

-Quello che cerchi non lo troverai qui...con me-

Buffy ansimò muovendosi contro di lui, aggrappandosi alle sue spalle e meravigliandosi ancora di quanto ogni volta sentirlo dentro di sé fosse come tornare a casa. La sua vera casa.

-Tu...sei tu che...-

Non trovò la forza di terminare la frase. Un brivido di piacere troppo intenso le attraversò il corpo, togliendole il respiro.
I loro occhi si incontrarono e Buffy lasciò che lui la guardasse fino a toccarle l'anima. I suoi movimenti dentro di lei, le sue carezze sulla pelle, i suoi baci aperti ed esigenti continuarono a spingerla sempre più in alto, in un volo che sembrava non dover finire mai. E poi lo raggiunse. L'apice. Il punto di non ritorno. E sentì il bisogno di aggrapparsi al suo corpo, di aumentare il contatto, di stringerlo dentro di sé trascinandolo in una discesa vertiginosa che le tolse il respiro e la fece gridare.

Non erano mai riusciti a parlarsi davvero.

Il sesso sembrava ancora l'unico modo che avevano per esprimere ciò che provavano, per raggiungere l'uno i pensieri dell'altra. E nei momenti in cui raggiungevano il contatto più intimo si sentivano così certi del loro legame e ciò che volevano dire appariva così chiaro nella loro mente. Ma quando tutto finiva era come se una barriera si frapponesse fra loro.
Un muro costruito con la diffidenza, i sensi di colpa, la paura e l'orgoglio.

Spike sospirò contro il petto di lei carezzandole la pelle con le labbra.

-Prima o poi sarai costretta ad affrontare la realtà-

Buffy chiuse gli occhi mentre sentiva la stretta di lui farsi più intensa.

Sebbene sapesse che il cuore di Spike non stava battendo, sebbene fosse conscia del fatto che lui era clinicamente morto, sebbene sapesse tutto questo, nei momenti in cui lo stringeva tra le braccia le sembrava così vivo. E lei stessa sentiva di vivere più intensamente quando era con lui.

Perché questo non poteva bastarle? Buffy cercò disperatamente di trattenere le lacrime, perfettamente consapevole che questo non sarebbe servito a nasconderle a lui.

-Devo andare-

Spike sollevò il volto e risalì lungo il suo corpo, accarezzandolo con la sua pelle fresca e liscia, finché il suo viso non fu a pochi centimetri da quello di lei.
Con un bacio asciugò la prima lacrima che le sfuggiva dagli occhi socchiusi. Poi adagiò il capo nell'incavo del suo collo e respirò il suo profumo inconfondibile.

-Non possiamo restare così per un po'? Solo un altro po'...-

Solo il tempo di illudermi che questa volta sarà diverso...che non mi guarderai disgustata prima di andartene sbattendo la porta...pensò, ma non riuscì a dirglielo.

Buffy serrò le labbra e riaprì gli occhi. Anche se aveva cercato di nasconderlo con un sorriso aveva riconosciuto la paura e la speranza nella sua voce. E per un attimo esitò. Forse potevano rimanere così per un po'...solo per un po'...Forse poteva...No. Non poteva. Non poteva permettergli di guardarla negli occhi e accorgersi che di lei non era rimasto altro che un involucro vuoto. Aveva bisogno che lui continuasse a credere che Buffy Summers era ancora viva dentro di lei. Aveva bisogno che lui continuasse a credere di poterla salvare. Come tutti gli altri. Più di tutti gli altri. Perché se riusciva a ingannare lui, il resto sarebbe stato facile. Perché i momenti che passava con lui erano gli unici in cui riusciva a sentire di nuovo l'anima della Cacciatrice dentro di sé. Perché nei suoi occhi riusciva di nuovo a vedersi integra e completa.

Si liberò dal suo abbraccio allontanandolo e Spike non tentò di trattenerla. Si rivestì in fretta, mentre lui rimaneva nudo e immobile sul pavimento. Lo guardò di sfuggita prima di uscire dalla stanza, ma lui si era coperto gli occhi con un braccio. E così si chiuse la porta alle spalle fingendo di non aver visto le lacrime che gli avevano rigato il volto.

+ + +

1 Novembre 2002

Era quasi arrivata. Per quanto si sforzasse non riusciva a evitare quel luogo. Ogni volta giurava che quella sarebbe stata l'ultima volta. Che non sarebbe più tornata. Perché in fondo non c'era nessun legame tra loro. Solo una finzione. Una bugia a cui avevano voluto credere.

Eppure era di nuovo lì. Come ogni notte.

-Ciao mamma-

Dawn si avvicinò lentamente alla tomba di Joyce Summers. E fu allora che lo notò. Un cero acceso di recente appoggiato sopra un foglio...un biglietto a dire il vero.

Si inginocchiò sull'erba e raccolse il foglio con mani tremanti. Poche frasi vergate in una calligrafia nervosa, ma elegante. E sul retro un'iniziale. W.

Dawn sorrise, mentre le parole le riempivano gli occhi di lacrime.

Come un raggio di sole
che filtra in un cielo di nuvole
sei scomparsa troppo presto

Eppure la tua luce
illumina ancora la mia notte

W.

Mentre correva stringendo tra le mani il pezzo di carta stropicciato, un unico pensiero le riempiva la mente facendole scoppiare il cuore in petto.

Spike era tornato.

Spalancò la porta della cripta senza bussare. Il demone saltò in piedi rovesciando a terra una ciotola piena di pop corn.

-Dawn!-

La ragazza ignorò il suo grido spaventato.

-Dov'è?-

Clem la guardò perplesso.

-Dov'è chi?-

-Oh non farla tanto lunga Clem! Lo so che è tornato, quindi dimmi dov'è!-

Il demone scosse la testa sconsolato.

-Mi spiace Dawnie, ma il gattino nero non si è più fatto vedere. Magari qualcuno lo ha visto aggirarsi per il cimitero e lo ha portato a casa...insomma non è detto che se lo siano giocato a carte...magari in questo momento fa le fusa di fronte a un bel fuoco scoppiettante mentre una vecchietta lo accarezza...o magari...-

-Non mi interessa sapere che fine ha fatto il gatto! Voglio sapere dov'è Spike!-

Clem si chinò a raccogliere i pop corn sparsi sul pavimento di pietra.

-Non ho idea di dove sia, Dawnie. Te l'ho già detto almeno un centinaio di volte. Ma sono sicuro che tornerà...non è il tipo che abbandona le persone a cui vuole bene-

Dawn ignorò la voce rotta dall'emozione del demone e gli sventolò davanti agli occhi il biglietto di Spike.

-E' inutile che fai la scena con me Clem. So che è stato Spike a lasciare questo messaggio sulla tomba di mia madre. E' un rituale che ripetevamo ogni settimana l'estate scorsa...prima che Buffy tornasse...scrivevamo un messaggio, lo posavamo sul terreno, davanti alla lapide, poi ci accendevamo sopra una candela e raccontavamo a mia madre le ultime novità mentre aspettavamo che la fiamma consumasse la cera e bruciasse il foglio di carta. Era una cosa che facevamo da soli...nessuno ne ha mai saputo niente, perciò non provare neanche a convincermi che non è stato Spike a scriverlo perché tanto non ti crederei...-

-Ma certo che lo ha scritto Spike...non è questo il punto...il punto è che non è stato lui a lasciarlo sulla tomba di Joyce...-

Dawn fece per ribattere, ma Clem la precedette.

-Sono stato io Dawnie-

-Cosa diavolo stai dicendo?-

Il demone gettò l'ultima manciata di pop corn nella ciotola trasparente.

-Prima di partire Spike mi ha lasciato quel biglietto e mi ha fatto promettere che lo avrei portato sulla tomba di Joyce il giorno di Ognissanti. Mi ha spiegato il rituale della candela e il resto e mi ha raccomandato di rimanere fino a che il foglio non fosse stato completamente incenerito...ma sai com'è...quella zona del cimitero è così buia e con le cose che succedono ultimamente...insomma ho avuto paura e sono tornato alla cripta prima che la candela si consumasse...ma adesso capisco che è stato un errore imperdonabile perché ti ho illusa inutilmente...e mi dispiace terribilmente Dawnie...davvero non sai quanto...-

Dawn scosse la testa ostinata.

-No, lui è tornato io lo sento. Forse non è stato lui a lasciare il biglietto...ma deve avere avuto una ragione precisa se ti ha chiesto di portarlo sulla tomba di mia madre proprio oggi...forse sapeva quando sarebbe tornato...forse aveva deciso di tornare questa notte, fin dall'inizio...-

-Dawnie, cerca di ragionare...se davvero pensava di tornare in tempo, perché mi avrebbe chiesto di compiere il rituale al posto suo?-

-Non lo so e non mi interessa! Quello che importa è che Spike è tornato e io non me ne starò qui ad aspettare che lui si decida a farsi vedere...io lo conosco meglio di chiunque altro...c'è un legame tra noi...dovunque si nasconda io riuscirò a trovarlo!-

Clem cercò di trattenerla per un braccio, ma la ragazza si liberò con uno strattone violento sparendo di corsa oltre la soglia.

-Dawn aspetta!-

Ma la sagoma di Dawn si era già fusa con l'oscurità. Il demone sospirò rassegnato prima di richiudere la porta della cripta e tornare a sedersi davanti alla tv. Non sapeva se Spike e Dawn fossero davvero legati, ma di certo avevano diverse cose in comune. Non erano del tutto umani. Non riflettevano più di due secondi prima di lanciarsi in una delle loro imprese impossibili. Sapevano essere terribilmente ostinati. E poi riuscivano sempre a fargli rovesciare i pop corn. Accidenti a loro.

+ + +

La guardò uscire dalla cripta con passi decisi e affrettati. Strinse a sè il gatto nero che rispose con fusa profonde alle sue carezze. Intorno a lui la notte mormorava racconti oscuri e segreti dimenticati. Incrociò lo sguardo verde del felino rannicchiato tra le sue braccia.

-Che ne dici, la lasciamo tornare a casa da sola?-

Il gatto emise un miagolio leggero e lui gli sorrise divertito.

-Sì. E' quello che pensavo anch'io-

Uscì dall'ombra della quercia a cui si era appoggiato e si incamminò nella stessa direzione della ragazza.

 

 

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