Madri e figli

Seconda parte

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Non è facile pensare alla strada, è meglio percorrerla, magari a ritroso, verso il passato quand'anche ciò non dovesse servire che a tornare nel presente con un po' di fulgore negli occhi.
Hermann Schreiber

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Sunnydale

Novembre 2002

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Spike osservò la sagoma del demone che prendeva lentamente forma di fronte a lui, sfigurando nel processo quello che era stato il corpo di una donna.

Ancora pochi minuti e la trasformazione sarebbe stata compiuta. E irreversibile.

Se solo fosse riuscito a comprendere la causa della trasformazione forse...

Spike respirò a fondo prima di fissare gli occhi in quelli del demone e cercare lo sguardo dell'essere umano che l'aveva evocato.

Una donna.

Un'insegnante.

Una madre.

Una madre che osservava impotente suo figlio allontanarsi da lei.

Come osi rivolgerti a me in questo modo? Jacob, non voltarmi le spalle! Jacob torna subito qui! Jacob!

All'improvviso le grida dolorose della donna gli riempirono la mente fino quasi ad annebbiarla.

Spike riaprì gli occhi di scatto e tornò a guardare la creatura deforme di fronte a lui. Un essere umano deformato dalla frustrazione e accecato dall'odio.

-Maggie-

La creatura reagì impercettibilmente al suono di quel nome e per un attimo la metamorfosi si arrestò. Spike si avvicinò a lei di un passo.

-Maggie. So che puoi sentirmi, perciò ora ascoltami. Quello che vedi è solo quello che il demone vuole farti vedere. Non è la verità, Maggie-

Con un urlo gutturale il demone si scagliò contro di lui. Spike si mosse rapidamente su un lato, senza però riuscire a evitare che le unghie affilate del suo avversario che gli lacerassero gli abiti e la schiena. Il sangue cominciò lentamente a colare lungo il suo corpo. Con calma Spike si rimise in piedi e si avvicinò di nuovo al demone.

-Tu non odi Jacob. Non è vero, Maggie? Hai solo paura che sia lui a odiarti-

La creatura riprese i suoi attacchi con rinnovato vigore. Spike sentì distintamente le costole spezzarsi sotto i colpi ripetuti del demone. Non ricordava quanto potesse essere fragile un corpo vivo. Lanciò uno sguardo alla spada conficcata nella parete dietro di lui, se ne sarebbe potuto impadronire facilmente. Tornò a guardare la creatura che era ora immobile di fronte a lui. Ancora un tentativo.

-Ricordi quanto sei stata orgogliosa di lui quando ha imparato a leggere? E il giorno del suo dodicesimo compleanno? Anche quello è stato un bel giorno. Ricordi cosa gli dicesti, Maggie?-

Con un urlo stranamente umano la creatura si raccolse la testa tra le mani. Spike tossì un fiotto di sangue sul pavimento. Faticosamente si rimise in piedi, fissando il demone negli occhi.

-Gli dicesti...qualunque cosa tu faccia sarai sempre il mio adorato... figlio...-

La creatura rialzò la testa di colpo e per un attimo nei suoi occhi si riaccese lo sguardo della donna che Maggie Ryan era stata. Con dolcezza sfiorò il volto di Spike, in una carezza materna e fu con la voce di Maggie Ryan che pronunciò le sue ultime parole.

-E qualunque cosa accada non smetterò mai di amarti, Jacob-

Spike guardò con orrore e sorpresa una lama d'ebano trapassare le carni mostro. Non appena la luce negli occhi della creatura si fu spenta completamente, un flusso di energia nera le squarciò lo stomaco, formando un vortice sopra la sua testa. Lentamente la nebbia densa e scura cominciò a disperdersi nell'aria circostante, mentre il corpo di Maggie tornava gradualmente alle sue sembianze umane. Spike lo osservò impotente accasciarsi a terra di fronte a lui, come un sacco vuoto.

Rialzando lo sguardo si trovò a fronteggiare un uomo completamente vestito di nero, il volto nascosto da una maschera che ne rendeva irriconoscibili i lineamenti. Tra le mani stringeva con maestria l'impugnatura della spada nera e scarlatta, grondante del sangue della sua ultima vittima.

-Perché diavolo lo hai fatto?-

Lo sconosciuto sembrò oltremodo sorpreso se non dalla presenza di Spike, almeno dalle sue parole furenti.

-Perché?-

Con calma misurata raccolse uno dei brandelli del vestito che era appartenuto a Maggie Ryan e ripulì la lama. Poi, senza rivolgersi a nessuno in particolare, continuò.

-Perché era necessario-

Spike serrò i pugni con rabbia.

-Non era affatto *necessario* me la stavo cavando benissimo da solo, non avevo nessun bisogno del tuo intervento!-

Con una risata leggera l'uomo gettò a terra lo straccio sporco di sangue.

-Questo lo so. Non è certo per aiutare te che ho ucciso quella creatura-

-E allora perché diavolo lo hai fatto?-

L'uomo lo squadrò con sufficienza prima di rispondere.

-Naturalmente per testare la spada-

Le sue mani agili e forti soppesarono l'arma.

-E come avevo immaginato non funziona-

Gli occhi di Spike corsero istintivamente alla spada nera e scarlatta.

-Cosa significa...che non funziona?-

L'uomo scrollò le spalle con noncuranza.

-Onikirimaru non è un semplice strumento di morte, non si limita a uccidere l'essere umano all'interno del quale l'Oni si è insediato. Il suo reale potere è quello di purificare il portatore distruggendo il demone. Benché questa spada sia un manufatto pregevole, lo stato di quel cadavere dimostra chiaramente che non si tratta della spada dell'Eletto-

Spike tornò a guardare il corpo di Maggie. Era come se fosse stato divorato dall'interno. Neanche una goccia di sangue fuoriusciva dalla ferita al centro del petto e la pelle appariva disseccata. E poi c'era stato quel flusso di energia nera liberatasi dal suo corpo...proprio come era successo con Timothy.

-Come sai della spada...-

L'uomo scrollò le spalle con noncuranza.

-Il Consiglio degli Osservatori e il Concilio dei demoni sono sulle tracce della spada da secoli. Capita che io lavori per entrambi. Non c'è informazione sulla spada a cui io non abbia accesso-

Spike reclinò la testa di lato, gli occhi chiari accesi da un lampo di riconoscimento.

-Una spia del Consiglio degli Osservatori, un guerriero al servizio del concilio demoniaco...o il rispettabile preside di una scuola superiore. Chi diavolo sei veramente?-

L'uomo in nero si tolse la maschera, affettando una sorpresa che chiaramente non provava.

-E io che credevo che ti fossi già dimenticato del nostro breve incontro-

Spike non ricambiò il sorriso.

-Tendo a ricordare le facce di quelli che vogliono uccidermi-

Robin Wood sorrise ambiguamente.

-Ufficialmente sono qui per studiarti, non per ucciderti. Entrambi i miei datori di lavoro vogliono essere certi di aver puntato sul cavallo giusto-

Spike si avvicinò all'uomo, incurante della punta della spada che era arrivata abbastanza vicina da sfiorargli il petto.

-Se eri qui solo per osservarmi, che bisogno avevi di uccidere quella donna?-

-Non c'era altro da fare-

-Poteva ancora salvarsi-

L'uomo osservò poco convinto il fagotto informe di carni e ossa deformate, ai suoi piedi.

-Quella donna ha scelto il suo destino quando ha espresso all'Oni il suo desiderio. Il suo corpo era ormai posseduto, non c'era più niente da fare-

-Ma la sua anima era ancora viva! La sua anima...quella potevo ancora salvarla!-

La risata dell'uomo riempì il corridoio.

-William il Sanguinario che parla di salvare le anime degli innocenti! C'è una certa ironia in tutto questo...-

Con un gesto improvviso spostò la lama contro il collo di Spike.

-Peccato che tu mi abbia fatto passare la voglia di ridere molto tempo fa-

Con un sorriso Spike prese la lama tra le mani e la allontanò da sé.

-Strano, mi hanno sempre detto che il senso dell'umorismo era la mia migliore qualità-

Con un balzo si allontanò dal nuovo avversario frugando il pavimento con lo sguardo, in cerca di un'arma.

-Ma del resto voi americani non avete mai saputo apprezzare l'umorismo inglese-

Con un pugno deciso ruppe il vetro di una bacheca in cui era conservata il prezioso bastone da Hokey di Tommy Matheson, "campione di inverno per cinque anni consecutivi", recitava la targa in bronzo.

-Hai detto che i tuoi datori di lavoro vogliono solo studiarmi, ma non mi hai ancora detto cosa vuoi tu da me-

Wood cambiò presa sulla spada preparandosi ad attaccare.

-Per tutta la mia vita non ho fatto altro che cercarti. Capirai anche tu che non posso lasciarti andare, ora che ti ho trovato-

Spike sollevò un sopracciglio mentre sul suo volto si disegnava un'espressione strafottente.

-Scusa amico, ma non sei il mio tipo-

Lo sguardo dell'uomo non lo abbandonò per un istante mentre le sue labbra contratte pronunciavano la frase che aveva tormentato i suoi sonni da quando era solo un bambino.

-Tu hai ucciso mia madre-

Spike tese i muscoli del corpo, pronto a combattere.

-Non posso ricordare tutte le persone che ho ucciso in più di un secolo di vita. Comunque ti credo sulla parola-

Le labbra scure di Robin Wood si allargarono in un sorriso e guardandole Spike ebbe la precisa sensazione che la sua esistenza stesse davvero giungendo al termine. E tutto quello che riuscì a provare fu un inaspettato senso di sollievo, insieme al rammarico per non aver potuto dire addio alle persone che aveva amato. Ma forse era meglio così.

-Sono sicuro invece che lei la ricordi bene. Anni Settanta. Una Cacciatrice. La seconda della tua lista a quanto ho sentito-

Spike lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Annichilito.

-Nikki...sei il figlio di Nikki-

E all'improvviso tutti i tasselli scivolarono al loro posto. Il cerchio finalmente si chiudeva.

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New York

Novembre 1977

Il parco giochi era vuoto. Solo un altalena cigolava pigramente mentre le prime luci della sera illuminavano le case circostanti. Un bambino di colore, dai profondi occhi scuri, continuava a dondolare avanti e indietro senza curarsi del silenzio e dell'oscurità che lo lambivano.

-Cattivi pensieri...-

Il bambino alzò lo sguardo su un uomo di media statura, i capelli di un biondo artificiale e due occhi azzurri penetranti come punte di metallo.

-La mamma non vuole che parli con gli sconosciuti-

Le labbra dell'uomo si allargarono in un sorriso consapevole.

-E scommetto che non vuole neanche che rimani in giro fino a quest'ora-

Il bambino abbassò gli occhi fissandoli sulle punte delle scarpe impolverate.

Sentì i passi dell'uomo avvicinarsi e l'altra altalena cigolare, sotto il suo peso. Chissà perché sentì il bisogno di giustificarsi.

-Tanto non viene mai a casa prima di mezzanotte-

-Non è questo il punto-

La durezza della voce dell'uomo lo colpì costringendolo ad alzare di nuovo lo sguardo sul suo volto volitivo.

Si fissarono per qualche istante e il bambino ebbe l'impressione che quegli occhi cristallini gli stessero scrutando l'anima.

-Tua madre sembra un tipo intelligente. Com'è che si ritrova un figlio così stupido?-

Il bambino strinse le labbra sollevando il mento in un moto di orgoglio.

-Non sono stupido! Ho anche imparato a leggere...e tutto da solo. E la mia maestra dice che sono terrificante!-

L'uomo soffocò una risata e i suoi lineamenti marcati si addolcirono.

-Se sei così intelligene vedi di ubbidire a tua madre e torna a casa prima di incontrare qualcuno di davvero terrificante-

Il bambino diede una spinta all'altalena e si lasciò scivolare giù dal sellino con un salto.

Fece qualche passo in direzione dell'uscita del parco poi si girò verso lo sconosciuto che era rimasto seduto, accanto all'altalena vuota che continuava a dondolare spinta dall'inerzia.

-Tu non mi fai mica paura sai...-

Con uno scatto repentino l'uomo si alzò dall'altalena e si avvicinò al bambino ringhiando, le braccia alzate nell'atto di ghermirlo.

Il bambino cacciò un urlo stridulo e cominciò a correre di filato verso casa.

Spike lasciò ricadere le braccia lungo il corpo e tornando a sedersi sull'altalena cigolante si accese una sigaretta, ascoltando i rumori della sera.

Non avrebbe saputo dire cosa l'avesse spinto a risparmiare la vita di quello strano bambino. Ma aveva la precisa certezza che quella storia fosse appena cominciata.

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-Robin! Si può sapere dove sei stato fino a quest'ora? Quante volte te lo devo dire che voglio vederti rientrare a casa prima che faccia buio!-

Robin si lasciò cadere sul divano sdrucito, ancora ansimante per la corsa.

-Sei tornata presto...mangiamo insieme allora? Compriamo la pizza!-

Un lampo di tristezza attraversò gli occhi scuri della giovane donna.

-Lo sai che la mamma deve lavorare la sera...-

Il bambino sbuffò incrociando le braccia sul petto.

Nikki Wood sospirò esausta. Non c'era nulla al mondo che avrebbe desiderato più che passare quella serata con suo figlio. Robin stava crescendo in fretta e lo faceva senza di lei. Ma in città era arrivato un nuovo gruppo di vampiri. Nei bassi fondi si vociferava che il loro capo avesse già ucciso una Cacciatrice e che fosse venuto apposta per lei. Avrebbe fatto volentieri a meno dell'onore.

Guardò il volto imbronciato di suo figlio e gli passò una mano fra i riccioli scuri. Non poteva permettersi di sottovalutare il pericolo. Ogni vampiro che lasciava libero poteva essere quello che avrebbe ucciso suo figlio.

-Quando torno ti vengo a rimboccare le coperte, d'accordo?-

Vide il bambino serrare le labbra trattenendo le lacrime e poi annuire piano.

-E Robin...non mi piace che tu vada al parco da solo la sera, è pericoloso-

-Non ero solo...ero con un mio amico-

La donna lo guardò stupita. Da quando si erano trasferiti Robin non era riuscito a legare con nessuno. Passava tutti i suoi pomeriggi in casa a studiare o al parco assorto in chissà quali pensieri. Almeno così aveva creduto fino a quel momento. Da dove diavolo saltava fuori questo nuovo amico?

-E come si chiama questo tuo amico?-

Il bambino rispose sicuro, quasi si fosse aspettato la domanda.

-Teddy-

-Teddy?-

Lo sguardo della donna si addolcì. Chissà perché quel nome l'aveva tranquillizzata. Proprio non riusciva a immaginare che una persona con quel nome potesse essere pericolosa.

Non sapeva quanto si sbagliava.

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-Teddy?!-

Il bambino assentì senza mostrare la minima apprensione di fronte al tono irato del compagno.

-E da dove diavolo ti è venuto fuori il nome *Teddy*?!-

-E' il nome del mio orsacchiotto-

-Il nome del...-

Fantastico. Adesso aveva il nome di un orso di peluche. All'improvviso l'aggettivo "terrificante" gli sembrò quanto mai approppriato per descrivere quel bambino.

-Non ho avuto molto tempo per pensarci. Non potevo mica dire alla mamma che non sapevo come ti chiamavi, avrebbe pensato che le stessi raccontando una bugia e che ero solo al parco e mi avrebbe fatto lavare i piatti della colazione per una settimana. Lo fa sempre quando le dico una bugia. E poi anche Teddy ha gli occhi azzurri-

Spike sospirò sconfitto. Come sempre i ragionamenti di quel bambino mostravano una logica ineccepibile, per quanto contorta.

Robin si alzò dalla panchina e cominciò a camminare seguendo chissà quale sentiero immaginario, le braccia alzate come un equilibrista. Forse era proprio quello che si sentiva in quel momento. Un equilibrista sospeso a centinaia di metri da terra pronto a stupire il suo pubblico con la sua ultima strabiliante esibizione. Spike aveva imparato presto che la fantasia di quel bambino non conosceva limiti e la sua capacità di ricreare intorno a sé realtà alternative era decisamente fuori dal comune. Sapeva anche che tentare di parlargli mentre era immerso in uno dei suoi mondi immaginari era del tutto inutile.

E da quando sapeva queste cose? Anzi da quando si interessava a qualcos'altro oltre che ai cento modi per uccidere una Cacciatrice?

Dal giorno del loro primo incontro si erano visti quasi quotidianamente in quel parco. Dato che non si accordavano mai sul luogo e sull'ora, i loro incontri erano sorprese volute dal caso. Si salutavano come se fossero semplicemente entrati in una stanza. Quel parco semi deserto era la loro stanza, piena di cianfrusaglie interessanti e oggetti magici. Quel parco era tutto il loro mondo. Un mondo privato dove Spike smetteva di essere un vampiro assetato di sangue e di morte e Robin smetteva di chiedersi incessantemente se sua madre gli volesse davvero bene.

Spike non avrebbe saputo dire cosa trovasse di così interessante in quel bambino da spingerlo a lasciarlo tornare a casa sano e salvo ogni sera. Non riusciva neppure a spiegarsi perché tornasse ogni volta a incontrarlo, né perché non si stancasse mai di ascoltare i racconti dei suoi viaggi immaginari.

-La tua mamma ti vuole bene?-

La domanda cadde dal nulla, pesante come un macigno.

Spike guardò il bambino che continuava a tenere gli occhi fissi sul selciato polveroso mentre si dondolava prima su un piede e poi sull'altro.

L'immagine di sua madre gli danzò davanti agli occhi, inaspettata. La scacciò dalla mente quasi infastidito.

-Mia madre è morta...da molto tempo-

Spike pensò che con una risposta come quella il discorso potesse considerarsi chiuso, ma il bambino riformulò la domanda senza scomporsi.

-Quando era viva la tua mamma ti voleva bene?-

Spike non poté fare a meno di rileggere quella lettera, nella mente. L'ultima che sua madre gli aveva scritto. Poche frasi vergate con una scrittura minuta ed elegante, su di un foglio stropicciato.

"Come può una madre guardare negli occhi di suo figlio e vedere un mostro? Ma ora ti vedo per quello che sei. Ti vedo come ti vedeva tuo padre, finalmente".

Il vampiro scrollò le spalle, cercando inutilmente di cancellare dalla mente quelle scarne sillabe, prima di rispondere al bambino.

-No-

Robin non sembrò particolarmente colpito dal suo tono secco.

-Perché no?-

Stupidi bambini. Sempre a chiedere il perché e il percome delle cose.

Non sono mai riuscito a farmi amare da nessuno. Ebbe l'istinto di rispondere.

Ma sarebbe stata una menzogna e lui aveva smesso di mentire a se stesso da molto tempo. La sua mano corse istintivamente al medaglione d'argento che portava al collo e i suoi occhi si persero in orizzonti lontani e invisibili.

C'era stato qualcuno che lo aveva amato, senza paura e senza dolore. Incondizionatamente. Qualcuno che lo aveva amato di un amore tanto vero e forte da rimanere immutato, nonostante ogni cosa fosse cambiata.

Emily.

Sangue del suo sangue.

Luce della sua luce.

Speranza della sua speranza.

Emily.

Emily che aveva accolto tra le sue braccia tanto l'uomo quanto il demone.

"Ora sei a casa Will, penserò io a te"

Emily che gli aveva offerto la possibilità di credere di nuovo in se stesso perché lei per prima credeva in lui.

"Io mi fido di te"

Emily che gli aveva restituito la sua volontà, nutrendolo con la propria forza.

"Anche se lo condividi con un demone questo corpo è ancora tuo. Tu sei ancora qui, la tua mente e il tuo cuore sono gli stessi di un tempo. E tu puoi essere più forte del tuo demone. Io ne sono certa"

Emily che gli aveva restituito il libero arbitrio, rimettendolo nella condizione di poter scegliere il proprio destino.

"Sarai un mostro solo se vorrai esserlo, William"

E lui aveva scelto.

In una fredda notte di inverno.

La notte in cui Emily era morta, pagando con la vita l'amore che gli aveva donato.

Quella notte lui aveva scelto.

Aveva scelto di essere un mostro.

-Perché la tua mamma non ti voleva bene?-

Spike riportò lo sguardo sul bambino, improvvisamente conscio della sua presenza. Con una strana tranquillità nella voce diede finalmente risposta alla sua domanda.

-Perché non si può amare qualcosa che ci fa paura-

La frase e le sue implicazioni colpirono certamente più lui del bambino che continuò a sollevare i piedi e a disegnare strane figure sul selciato con aggraziate mosse laterali, simili a quelle di una danza lenta.

-La mia mamma dice che non esistono mamme che non vogliono bene ai loro bambini e che non importa quanto i bambini sono cattivi, le loro mamme li ameranno sempre-

Spike serrò le labbra desiderando per la prima volta di essere da tutt'altra parte. Persino i discorsi farneticanti di Drusilla erano meglio di questo.

-Forse la tua mamma non ha mai conosciuto persone davvero cattive-

Gliene potrei presentare un paio che le farebbero cambiare idea, continuò nella sua mente.

-Secondo te io sono molto cattivo?-

Il vampiro si ritrasse stupito. Osservò per qualche istante il volto serio del bambino e i suoi occhi scuri puntati su di lui.

-No. Sei solo un po' *terrificante*, ma ho visto di peggio-

Robin assentì poco convinto. Con un sospiro, Spike si lasciò cadere su una panchina di fronte a lui. La questione sembrava più seria del previsto.

-Perché credi di essere cattivo?-

Il bambino abbassò il capo contrito.

-Oggi ho picchiato Josh a scuola...-

-Josh chi?-

Spike scacciò dalla mente la fastidiosa voce che gli chiedeva insistentemente cosa diavolo gliene importasse di sapere chi era Josh e si concentrò sulla risposta di Robin.

-Un mio compagno di scuola...mi sa che gli ho rotto il naso perché sanguinava un sacco...quando la maestra è arrivata ha detto che i bambini buoni non fanno certe cose e mi ha messo in punizione. Questo vuol dire che sono un bambino cattivo?-

Spike scrutò il volto contratto di Robin prima di rispondere.

-Perché hai picchiato il tuo amico?-

Robin serrò i pugni al petto, in un involontario gesto di rabbia

-Lui non è mio amico...lui...mi ha detto che non valgo niente...che sono solo una scimmia stupida come tutti quelli della mia razza...-

Spike si accorse di riuscire a comprendere con spaventosa chiarezza la frustrazione e il dolore che pulsavano nel sangue di quel bambino.

"Non siete alla mia altezza, William"

"Siete...inferiore"

"Vali meno di niente"

"Sei solo un piccolo demonio"

Caste, razze, classi sociali. Sembrava impossibile che dopo tutti quei secoli, dopo tutto il sangue che era stato versato in nome di pregiudizi insensati, gli esseri umani ancora non riuscissero a guardare oltre le apparenze. Dopo tremila anni di vita il genere umano continuava a credere che degli stupidi dettagli fisici e delle fortuite circostanze di nascita potessero determinare il valore di una persona. Forse l'unica cosa veramente mostruosa al mondo era proprio la tragica ottusità degli uomini.

-Non devi permettere a nessuno...a *nessuno*...di dirti chi sei o fin dove puoi arrivare-

Spinto da un impulso improvviso Spike posò una mano sulla testa di Robin, in una carezza incerta.

-Solo tu sai quanto vali davvero, Robin. Quello che dicono gli altri non conta-

Robin rimase immobile, sorpreso. Nessuno, all'infuori di sua madre, gli aveva mai regalato un gesto di affetto così gratuito e necessario. Di colpo sentì i propri muscoli tesi e pieni di rabbia sciogliersi e rilassarsi. Con un sospiro lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi.

-Fa male però...-

Spike tornò a guardare Robin, scompigliando i suoi riccioli scuri prima di interrompere la carezza.

-Hai ragione. Fa male da morire. Ma sai come si dice, quello che non ci uccide ci rende più forti-

Il bambino assentì solenne come se gli avessero appena svelato un segreto di fondamentale importanza.

Poi cominciò lentamente ad allontanarsi e Spike comprese che per quel giorno il loro incontro era finito.

Si guardò attorno e si rese conto che doveva essere più tardi del solito.

Osservò l'oscurità inghiottire lentamente la sagoma di Robin. Con un sospiro frustrato si alzò dalla panchina seguendo i suoi passi. Non aveva più dubbi. Era impazzito. O forse nel sangue di una delle sue ultime vittime circolava qualche sostanza stupefacente che gli stava annebbiando il cervello.

-E' buio-

Il bambino non si voltò, né sembrò sorpreso quando sentì la presenza conosciuta al suo fianco, ma sollevò una manina e la nascose in quella grande e bianca del compagno.

William il sanguinario che accompagnava a casa un bambino per assicurarsi che non incappasse in qualcuno come lui. Sembrava una barzelletta. Di quelle che non fanno ridere.

-Arrivati?-

Il bambino annuì tirando fuori una grossa chiave colorata dalla tasca della giacca. Prima che potesse inserirla nella toppa la porta venne letteralmente spalancata.

-Robin! Dove diavolo sei stato fino a...-

Si riconobbero immediatamente. Il vampiro e la Cacciatrice. Si erano cercati per settimane dopo il loro primo incontro, senza mai trovarsi. Inspiegabilmente.

Ma ora erano una di fronte all'altro, tra loro solo il corpicino minuto di un bambino.

-Robin. Entra in casa. Ora!-

Spike sentì la voce della donna fremere di rabbia e impotenza. Percepì il demone urlare dentro di lui e per un attimo esitò, la mano del bambino stretta nella sua. Aveva un biglietto d'ingresso per la casa della Cacciatrice. Sarebbe stato facile farsi invitare. Ancora più facile farla uscire. Aveva vinto alla lotteria.

-Mamma lui è Teddy-

La frase ruppe la tensione e le due creature della notte si guardarono di nuovo, come se si vedessero per la prima volta.

-Ciao, mamma di Robin-

Spike guardò la donna rispondere al sorriso sornione che le aveva lanciato con una sicurezza che di certo non provava. E l'ammirò.

Il vampiro lasciò la mano del bambino che entrò in casa sotto lo sguardo della madre. Riusciva a vedere la tensione di ogni singolo muscolo sotto la pelle scura e lucida della donna. Il suo corpo era teso allo spasmo, pronto ad attaccare, e al tempo stesso appariva completamente rilassato. Gli ricordò una pantera, una pantera nera e pericolosa.

-Può entrare Teddy?-

-No!-

Avevano risposto all'unisono e ora si osservavano stupiti. Spike sarebbe stato quasi divertito dalla situazione se non fosse stato per la profonda sorpresa che la sua stessa risposta aveva suscitato in lui. Di certo non poteva essere maggiore di quella della Cacciatrice.

-La mamma e *Teddy* ora devono parlare Robin. Sali in camera tua-

-Ma mamma!-

Il bambino incrociò le braccia sul petto corrugando la fronte. Spike lo guardò per qualche istante prima di parlare. E Dio solo sa cosa lo avesse spinto a farlo.

-Ti ricordi cosa abbiamo detto dei bambini intelligenti?-

Robin intrecciò gli occhi con quelli azzurri del suo nuovo compagno di giochi. Con un sospiro ripeté le parole che si erano scambiati durante il loro primo incontro come se fossero quelle di una poesia che era stato costretto a imparare a memoria.

-Che ubbidiscono alla loro mamma-

Nikki spostò lo sguardo dal vampiro a suo figlio che aveva cominciato a salire i gradini del soggiorno mormorando tra i denti delle imprecazioni che di sicuro lei non gli aveva mai insegnato.

Serrò i pugni. Suo figlio preferiva ubbdire a un vampiro piuttosto che a lei. E cos'erano queste lezioni di comportamento che lui sembrava avergli impartito? Da quanto andava avanti questa storia? Tentò di ricordare la prima volta che aveva sentito nominare Teddy.

-Non lo avrai mai-

Spike la guardò, sorpreso della calma piatta del suo tono di voce.

-So cosa avete in mente, tu e gli altri tuoi compagni, ma sappi che dovrai passare sul mio cadavere prima di poter anche solo concepire l'idea di usare mio figlio-

Se possibile lo stupore di Spike aumentò. Il soppracciglio destro sollevato a sottolineare la sua incredulità.

-Il suo potere non è cosa per voi, è destinato a essere usato per la luce e questo non potrete mai cambiarlo-

La donna sembrava sicura di sé e Spike decise che, nonostante tutti quei discorsi gli risultassero totalmente incomprensibili, le avrebbe dato il beneficio del dubbio.

-Oh non ti preoccupare tesoro. Io ci ballerò sul tuo cadavere-

Un sorriso inquietante gli illuminò il volto per un attimo e Nikki percepì in quella frazione di secondo la portata del pericolo che suo figlio aveva corso.

-Ma il bambino non mi interessa. Non avevo idea che fosse tuo figlio-

Nikki lo guardò come se fosse impazzito e Spike si rese conto all'improvviso che le sue parole sembravano quasi delle scuse. Lui che si scusava!? E per cosa poi?

Strinse i denti e lasciò che il suo volto scivolasse nella maschera della caccia. Quella situazione stava diventando ridicola.

-Credevo che le cacciatrici non avessero tempo per certi...svaghi. Ad averlo saputo prima avrei organizzato una strategia un po' diversa. Ma comunque...ora che ci siamo incontrati aspetto con ansia il mio giorno di gloria Cacciatrice-

E così dicendo scomparve nelle ombre della notte.

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Sunnydale

Novembre 2002

Spike non mosse un muscolo mentre l'uomo lo scaraventava a terra. Si lasciò sormontare da quella massa di muscoli nera e guizzante. Rimase immobile, mentre il suo avversario alzava la spada sopra la testa, puntandogli contro quegli occhi neri come la notte. Gli occhi di Nikki.

-Fermo!-

Robin si girò in direzione della voce che aveva interrotto il corso della sua vendetta personale.

Un uomo sui quarant'anni, sufficientemente distinto per non passare inosservato, ma non abbastanza appariscente da attirare l'attenzione.

Ovviamente un Osservatore.

Accompagnato da una ragazzina dai capelli rossi e gli occhi troppo profondi.

Ovviamente una strega.

Sorrise sornione in direzione dei nuovi arrivati stringendo con sicurezza l'elsa della spada, bloccata a pochi millimentri dal petto di Spike.

-Da parte mia sono molto curioso di vedere come andrà a finire questa storia-

Rupert Giles si aggiustò gli occhiali sul naso, senza tradire particolari emozioni.

-Per la sua stessa incolumità le consiglio di posare a terra quella spada e di allontanarsi da quell'uomo-

Wood non sembrò minimamente impressionato, né particolarmente propenso a cedere le armi.

-Cos'è questa? Una minaccia?-

La ragazza dai capelli rossi avanzò di un passo e parlò con voce calma e misurata.

-Se non ti allontani immediatamente da Spike ti riduco in poltiglia in meno di mezzo secondo-

Sorridendo, scrollò le spalle.

-Questa è una minaccia. Quello del signor Giles invece era un consiglio amichevole. Riesce a cogliere la differenza?-

Robin ricambiò il sorriso senza scomporsi.

-Mezzo secondo hai detto? Direi che basterà a conficcare questa spada dritta nel cuore del tuo amico-

Willow strinse le labbra impotente. Erano in una situazione di stallo. Gli occhi dell'uomo le dicevano che non avrebbe esitato a sacrificare la sua stessa vita pur di avere in cambio quella del demone.

In una frazione di secondo Spike afferrò la spada in una morsa di acciaio guidando la punta della lama al centro del suo petto, fino ad avvertire la dolorosa sensazione del metallo che penetrava nella sua carne.

Robin si girò sorpreso tornando a fissare gli occhi in quelli cristallini della creatura che fino a pochi minuti prima era stata in suo potere.

-Cosa stai aspettando Robin? Ubbidisci a Teddy e finisci il lavoro di tua madre-

Un lampo di riconoscimento attraversò gli occhi scuri dell'uomo mentre si rialzava di scatto come se fosse stato scottato dalle parole del vampiro.

-Come sai...dove hai sentito quel nome?-

E Spike capì di aver compiuto un imperdonabile errore. Sapeva bene, mentre si rialzava da terra, che era troppo tardi per tornare indietro. Eppure, con l'ostinazione che lo contraddistingueva, tentò comunque.

-L'avrò sentito da qualche parte, cosa vuoi che ne sappia. Forse me l'ha detto tua madre prima che le spezzassi il collo, in quella metropolitana-

La frase suonò anche più falsa di quanto non fosse. E Spike capì di avere perso l'occasione di pareggiare i conti.

-Dove hai sentito quel nome?-

Robin Wood aveva la certezza di non voler conoscere quella verità, eppure non poté fare a meno di pretenderla.

-Voglio la verità, adesso!-

Gli occhi azzurri di Spike diventarono all'improvviso di un blu profondo e oscuro, come quello di un cielo in tempesta.

-Credimi, amico, questa è una storia che non vuoi sentire-

Wood alzò la spada puntandola contro il petto dell'altro.

-Parla, o giuro su Dio che ti uccido prima che tu abbia il tempo di muovere un muscolo-

Spike lo squadrò per qualche secondo. Poi le sue labbra si distesero in un sorriso sarcastico e provocatorio.

-Tu non vuoi la verità. Nessuno la vuole veramente. E di certo io sono l'ultima persona da cui la otterrai. Perciò coraggio zio Tom, sto aspettando...e non muoverò un muscolo-

Robin fu tentato di rispondere a quella che era un'evidente provocazione. Ma era troppo intelligente per farlo. Voleva ascoltare quella storia e non aveva bisogno del permesso di un stupido demone per ottenerla.

-Ci sono tanti modi per farsi raccontare la verità, Spike. Alcuni più dolorosi di altri-

Sul primo momento Spike non capì le intenzioni dell'uomo. Si girò istintivamente verso la strega e l'Osservatore, controllando che fossero ancora al sicuro, lontani da lui. E fu un'esitazione fatale. Senza dargli il tempo di reagire Wood ridusse la distanza che li separava a pochi centimentri e appoggiò una mano sul suo petto.

Willow e Giles non poterono fare altro che osservare con orrore la mano di Wood penetrare nel petto di Spike senza incontrare alcuna frizione. Le urla del demone dilaniarono il silenzio della notte mentre una corrente di luce passava dal suo corpo a quello dell'uomo di fronte a lui.

-Signor Giles!-

La voce di Willow riscosse l'Osservatore che si scagliò di impulso contro i due uomini, nel disperato tentativo di separarli. Un fiotto abbagliante di energia lo scaraventò indietro annebbiandogli la vista.

In un attimo Willow fu al suo fianco, aiutandolo ad alzarsi.

-Sono circondati da una barriera protettiva molto potente...magia bianca!-

Rupert Giles tornò a concentrare l'attenzione sulla sfera di luce che aveva avvolto i due avversari e ne rendeva ormai indistinguibili le forme.

La voce rotta di Willow gli arrivò alle orecchie debole e indistinta.

-Cosa possiamo fare signor Giles?-

L'Osservatore intrecciò i suoi occhi grigi con quelli verdi della strega e quando rispose, le sue parole trasudavano tutta la sua frustrazione.

-Possiamo solo restare a guardare-

+ + +

New York

Novembre 1977

-Potrei ballare tutta la notte con te, dolcezza-

Nikki schivò un colpo e assestò un calcio nello stomaco del suo avversario.

-Risparmia le *dolcezze* per il tuo pubblico di invasati-

Spike rise di gusto, incurante del sangue che gli colava da uno zigomo.

-Credevo che ti fosse piaciuto il concerto-

Nikki saltò sui sedili della carrozza evitando per un soffio la presa del vampiro.

-E' stato...come dire...mortalmente noioso-

Approfittando di una piccola esitazione lo scaraventò contro la parete del metrò e poi gli spinse la testa fuori dal finestrino.

Il suono roboante di un'altra vettura si diffuse nell'aria mescolandosi all'urlo del vampiro. Nikki non poté fare a meno di rabbrividire riconoscendo più gioia che paura in quel grido.

Un secondo prima che i due metrò si incrociassero, il vampiro si liberò dalla presa della Cacciatrice sbattendola contro la parete opposta.

-Adesso mi hai offeso. E pensare che ero così contento quando ti ho visto tra il mio pubblico-

Nikki si rialzò lentamente senza staccare gli occhi dal suo nemico mortale che giocava con un asta di ferro facendola ondeggiare con la stessa grazia di un giocoliere.

-Sono venuta per ucciderti, non per sentire la tua musica-

Spike scrollò le spalle con noncuranza.

-Dettagli. E poi già che c'eri potevi almeno fare lo sforzo di ascoltare, quella canzone l'avevo scritta per te-

Nikki alzò gli occhi al cielo esasperata. Ci mancava solo che la sua vita fosse tormentata da un vampiro con manie di protagonismo e l'animo di un poeta ribelle. Perché non poteva avere la vita di una Cacciatrice *normale*? Perché il suo avversario non poteva essere il solito vampiro sanguinario e senza morale? No, lei doveva ritrovarsi a combattere con un vampiro che riaccompagnava a casa suo figlio e le dedicava canzoni Punk durante un concerto, oltre naturalmente a minacciarla di morte in tutte le suddette occasioni.

Con un moto di frustrazione si scagliò su di lui ed evidentemente lo sorprese perché dopo una serie di colpi precisi e diretti riuscì ad atterrarlo.

Lo imprigionò sotto di sé, tra le sue coscie, in una macabra parodia di un atto d'amore e gli puntò il classico paletto dritto contro il cuore.

Esitò solo un istante e all'improvviso tutto si fece buio intorno a loro. Una galleria. Approfittando del suo attimo di smarrimento lui le catturò le labbra in un bacio così profondo e sensuale da lasciarla senza fiato.

Quando la luce tornò il vampiro era sopra di lei e la guardava con un sorriso sornione stampato su quelle stesse labbra che le avevano annebbiato i sensi.

Nikki sentì il proprio cuore fermarsi e i propri muscoli tendersi sotto di lui. E non avrebbe saputo dire se a farle quell'effetto fosse la consapevolezza di una morte imminente o la scoperta di quanto potesse essere caldo il bacio di un vampiro.

Lui la fissò, con quei suoi occhi chiari e limpidi, troppo belli per appartenere al volto di un demone. E Nikki si chiese stupidamente se l'avrebbe baciata di nuovo, perfettamente conscia che invece l'avrebbe uccisa.

E poi la metropolitana si fermò di colpo, mentre una voce asettica e preregistrata annunciava il capolinea. Il vampiro guardò le porte aprirsi con un suono metallico, regalò alla Cacciatrice un ultimo sorriso e sparì nella notte da cui era venuto, lasciandola immobile e attonita sul pavimento di metallo.

Nikki lasciò ricadere la testa all'indietro, mordendosi le labbra e maledicendosi per la propria stupidità. Era stata così idiota da non pensare alle conseguenze.

-Idiota, stupida, deficiente-

Ormai conosceva il profumo e il sapore di quella creatura oscura, aveva scoperto quanto i loro corpi si adattassero l'uno all'altro e quanto poco le importasse di non sentire in quello di lui un battito cardiaco. Per la prima volta, sotto l'assalto sfrontato delle sue labbra fredde, aveva sentito bruciare la fiamma della propria umanità.

Nikki chiuse gli occhi con un sospiro sconfitto. Perché alla fine dei conti lui aveva vinto. Anche se non l'aveva uccisa fisicamente, la Cacciatrice era morta quella notte, sul pavimento di quel metrò, nel momento stesso in cui il bacio di quel vampiro l'aveva fatta sentire solo una donna come tante altre.

+ + +

Nikki guardò in basso. Il vento, incanalato tra i palazzi, sibilava sotto di lei sollevando il suo spolverino di pelle nera.

Lasciò vagare lo sguardo tra i grattaceli che illuminavano a giorno la città con le loro luci artificiali.

Com'era bella New York. Bella da togliere il fiato. Ma lei di fiato non ne aveva più da molto tempo.

Guardò di nuovo ai suoi piedi. Forse sarebbe dovuta salire di più. Il salto non sembrava poi così alto. Non poteva rischiare di sopravvivere. Non questa volta.

-Cacciatrice. Se mi avessi detto che ti piaceva il paesaggio notturno ti avrei portata a fare un giro sull'Empire State Building-

Nikki si voltò di scatto.

Il vampiro biondo se ne stava mollemente appoggiato al parapetto, un sorriso ammiccante sulle labbra sensuali. Quelle labbra che l'avevano condannata. I muscoli delle sue braccia guizzavano sotto la luce della luna. Portava i capelli sapientemente scompigliati e aveva gli occhi azzurri truccati, come una vera rock star.

Un idolo. Un idolo pagano e senza regole. Proprio come aveva detto quel ragazzo.

Per un attimo la donna sorrise. Di certo non poteva negare che lui avesse un certo stile, cosa non propriamente frequente tra i vampiri del ghetto newyorkese. Ma naturalmente non era quella l'unica cosa che lo rendeva diverso dagli altri.

Le parole di suo figlio le rimbombarono nelle orecchie, inaspettate.

"Ti sbagli mamma, Teddy non è cattivo...io ho sentito il suo cuore!"

Nikki aveva sentito parlare del dono oscuro, diverso per ogni vampiro. C'erano vampiri che avevano la capacità di librarsi nell'aria, come esseri incorporei, alcuni erano dotati di una velocità soprannaturale, altri sviluppavano un gusto quasi artistico per la violenza, trasformando gli omicidi in vere e proprie opere d'arte. New York pullulava di ogni specie di vampiro.

Ma mai, in tutta la sua vita di Cacciatrice, Nikki aveva incontrato un vampiro che avesse conservato la capacità di amare e con essa parte della sua umanità.

E lui neanche se ne rendeva conto. Neanche si chiedeva perché, nonostante la sua evidente superiorità fisica e la crescente debolezza di lei, non fosse mai riuscito a ucciderla. Non aveva neanche lontanamente immaginato che la ragione potesse essere un bambino dagli occhi scuri incontrato per caso in un parco. Non era ancora pronto ad accettarlo, occupato com'era a rinnegare il suo stesso dono, a nasconderlo agli altri, quasi fosse la sua maledizione.

-Conto su di te per proteggere Robin-

Spike le rivolse uno sguardo interrogativo. Poi nei suoi occhi azzurri passò un lampo di sorpresa e infine di comprensione. Contrasse la mascella prima di parlare, come faceva sempre quando era nervoso.

-Smettila di dire idiozie e vieni a combattere-

La donna lo guardò negli occhi e Spike si sentì nudo di fronte a lei, come se la sua abituale maschera si fosse infranta in mille pezzi.

-Davvero avrei voluto che fossi riuscito a uccidermi. Così Robin avrebbe avuto qualcuno da incolpare. Qualcosa per cui andare avanti, anche solo il desiderio di vendetta. E invece ho paura che il mio gesto gli toglierà la voglia di vivere-

Spike gettò a terra la sigaretta che aveva appena estratto dalla tasca dei jeans, con un gesto rabbioso.

-Vuoi morire? Sono qui per esaudirti Cacciatrice. Vieni a darmi il mio giorno perfetto!-

Nikki scosse il capo con amarezza.

-E' inutile Spike. Per quanto tu ti sforzi vedrai sempre Robin davanti a me. Ti ho dato più di un'occasione...se aspetto ancora sarà troppo tardi-

-Cos'è hai fretta di prendere il treno per l'inferno? Ti sei stancata di ballare con me?-

Spike si rese conto per primo che il suo tono esprimeva più rammarico che rabbia.

Nikki sorrise, il suo volto di guerriera addolcito da un sentimento che non aveva più senso nascondere.

-Avrei voluto ballare con te per tutta la mia vita, Spike-

Osservò la sorpresa disegnarsi sul volto del vampiro. Lo aveva lasciato senza parole e questa non era cosa da poco conoscendo il tipo, valeva la pena di approfittarne. Serrò i pugni con decisione, senza staccare gli occhi da quelli di lui, osservandoli cambiare espressione sotto il peso delle scomode verità che gli stava rovesciando addosso, in quella notte di traffico e stelle.

-Avrei voluto...ma sono malata. Sto morendo-

Spike la guardò attonito. Aprì più volte la bocca senza riuscire ad emettere alcun suono, finché le parole che gli bruciavano in gola uscirono strozzate dalle sue labbra.

-Non è vero...non puoi...tu...sei una Cacciatrice per Dio! Super poteri guaritori, forza soprannaturale e quelle cose lì! Voi non vi ammalate come gli altri! Non morite come degli stupidi esseri umani!-

Nikki sentì una lacrima scivolarle dagli occhi. E la sentì bruciare più di una ferita aperta. Perché voleva che lui la ricordasse come l'aveva vista la prima volta, forte e letale come una pantera.

Ma ormai era tardi anche per quello.

Era tardi per tutto.

-Ognuna di noi è diversa, Spike. Tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro. Il mio tempo sta per scadere, ma io non posso aspettare che la malattia mi corroda lentamente. Se lo facessi metterei la vita di Robin in pericolo e con lui quella di molti altri. Non sono più in grado di proteggere me stessa, figuriamoci mio figlio-

Mentre continuava a parlare si girò di nuovo a osservare il baratro che si apriva sotto di lei. Sarebbe bastato poco. Un movimento più brusco del normale, una perdita di equilibrio e tutto sarebbe finito. Eppure sapeva che sarebbe stato cento volte meglio morire combattendo. Morire per mano sua.

-Se però ora mi lascio cadere, qualcun'altra sarà attivata al mio posto. E allora il mondo e Robin avranno ancora una speranza-

-Scendi da quel parapetto. Adesso!-

La voce di Spike risuonò piena di rabbia e dolore nell'aria immobile della notte.

-No-

Nikki si sentì improvvisamente invadere da una calma profonda, quasi irreale. Era come se tutta la sua rabbia, la sua disperazione e la sua paura fossero evaporate lasciandola completamente vuota.

-Per ogni generazione c'è una prescelta che si erge contro i vampiri, i demoni e le forze delle tenebre. Lei è la Cacciatrice. Combattere è la sua ragione di vita-

Spike si passò una mano tra i capelli con un ringhio frustrato.

-E' così allora? E' più importante la tua stupida missione di tuo figlio? Credi davvero che potrà mai perdonarti per quello che vuoi fare? Ti odierà Nikki! E odierà se stesso...Penserà che sia stata colpa sua. Penserà che forse se fosse stato più buono, se avesse detto una parola in più o in meno, se fosse stato diverso da com'è tu non lo avresti lasciato! E' questo che vuoi per lui?-

Era questo che volevi per me, mamma? Spike scacciò bruscamente quel pensiero dalla testa insieme all'immagine di sua madre, come l'aveva vista l'ultima volta. Un irriconoscibile fagotto di stracci insanguinato, ai suoi piedi. Una donna che aveva preferito uccidersi piuttosto che sopportare di essere sua madre. Tornò a guardare la donna che stava in piedi sul parapetto, di fronte a lui. Un'altra madre che si sentiva troppo debole per amare. Un altro figlio che avrebbe perso la speranza di poter essere amato. Perché se neanche tua madre riesce ad amarti, per quello che sei, chi altro potrà avere la voglia o la forza di farlo?

-Perché vuoi fare una cosa simile?-

Nikki sentì le lacrime scorrere senza più freni sul proprio volto contratto.

-Lo faccio per lui. Non per la missione. Non per me stessa. Solo per lui. Perché possa vivere e crescere e amare. Perché possa avere un futuro che non sia solo disperazione e morte. Credi che sarebbe meglio per lui vedermi morire lentamente? Agonizzare in un letto di ospedale? E mentre sarò incapace di muovermi chi lo proteggerà da quelli che verranno? E verranno Spike, lo sai meglio di me. Non appena si spargerà la voce che la Cacciatrice non può più combattere verranno da ogni parte e non si accontenteranno di ucciderlo. Perché vedranno il suo potere e lo vorranno per sé. E lo trascinerranno nell'oscurità togliendogli tutto ciò che di buono è stato o potrebbe essere-

Con decisione si girò di nuovo verso il baratro sotto di lei, lo sguardo attirato dal vuoto.

-Oggi do la mia vita per la sua. Questa è la sola cosa che posso fare per lui. L'unico modo che il destino mi ha concesso per salvarlo. E credimi Spike, niente e nessuno al mondo mi impedirà di salvarlo. Neanche tu-

La voce di Nikki venne rotta dai suoi stessi singhiozzi. Morire combattendo. Si sarebbe accontentata di conservare un minimo di dignità.

-Scendi da quel parapetto, Cacciatrice-

La ragazza si voltò per incontrare gli occhi del vampiro. E sentì un brividò scorrerle lungo la schiena. Perché in quegli occhi azzurri aveva letto la risposta alle sue preghiere silenziose, aveva intravisto la via di fuga che non aveva osato chiedere.

Spike aprì le braccia per riceverla e lei si lasciò scivolare contro di lui, rilasciando un respiro che non si era accorta di aver trattenuto.

-Ho...preso accordi con il mio Osservatore...nel caso in cui mi fosse successo qualcosa...ha promesso di trovare una sistemazione sicura per Robin. E...le mie cose...l'appartamento è mio...vendendolo si possono pagare i debiti che ho fatto in questi anni...non voglio che Robin...-

-Shhhh-

Nikki lasciò che Spike la stringesse a sé soffocando i singhiozzi contro il suo petto.

-Ho paura-

Il vampiro portò le mani sul collo liscio e teso della donna.

-Non sentirai niente-

Nikki si scostò leggermente da lui fino a che riuscì a guardarlo negli occhi. Ed ebbe la certezza ineluttabile che lo stava spingendo di nuovo verso l'abisso da cui aveva faticosamente cominciato a risalire negli ultimi mesi. Sentì che quello che Robin aveva visto di buono in lui sarebbe morto con lei, quella notte.

-Perdonami-

Spike le sorrise. E Nikki si stupì nello scoprire quanto potesse essere triste un sorriso.

E fu mentre si guardavano negli occhi che lui le spezzò il collo con un movimento secco e deciso.

+ + +

Spike lasciò il corpo di Nikki di fronte alla casa del suo Osservatore. Lentamente sfilò lo spolverino di pelle dalle membra irrigidite e lo indossò. Poi cominciò a camminare in direzione del parco.

Naturalmente lo stava aspettando.

-Tua madre è morta ...-

Il bambino non rialzò il capo abbassato sulle ginocchia strette al petto.

Il vampiro rimase dietro di lui, stringendogli le spalle tra le mani.

-Adesso voglio che mi ascolti con molta attenzione. Non importa se quello che ti dico ti sembrerà strano. Non importa se non lo capirai. L'importante è che non lo dimentichi mai. Per ogni generazione c'è una prescelta che si erge contro i vampiri, i demoni e le forze delle tenebre. Lei è la Cacciatrice. Tua madre era una Cacciatrice ed è morta per mano di un vampiro. Il nome di questo vampiro è Spike. Devi crescere...e diventare forte. Presto l'Osservatore di tua madre ti verrà a prendere. Gli chiederai di addestrarti e quando avrai imparato tutto quello che c'è da sapere sui vampiri e sulle Cacciatrici andrai a cercare Spike e lo ucciderai-

Robin continuò a tenere gli occhi fissi sul selciato.

-Come...come troverò Spike?-

Il vampiro aumentò la stretta sulle spalle del bambino.

-Trova la nuova Cacciatrice e troverai lui-

Il bambino assentì in silenzio.

Spike si rimise in piedi. Il vento sollevava le falde dello spolverino di pelle, circondandolo.

Poteva sentire i passi dell'osservatore sempre più vicini. Forse avrebbe semplicemente dovuto aspettarlo e lasciare che lo polverizzasse.

Guardò Robin, seduto immobile sul selciato. Gli occhi lucidi di lacrime trattenute. E le parole di Nikki gli risuonarono nelle orecchie.

"Davvero avrei voluto che fossi riuscito a uccidermi. Così Robin avrebbe avuto qualcuno da incolpare. Qualcosa per cui andare avanti, anche solo il desiderio di vendetta."

Gli voltò le spalle e si incamminò verso l'uscita del parco.

All'improvviso lo sentì dietro di lui, doveva aver corso più forte di quanto pensasse possibile. Spike fece appena in tempo a girarsi e a riceverlo tra le braccia.

Sentiva i suoi singhiozzi soffocati contro lo stomaco, mentre lo spolverino di pelle nera impregnato del profumo di Nikki li avvolgeva entrambi in un abbraccio materno.

E cosa erano quelle che sentiva bruciare sul volto? Di certo non potevano essere lacrime. Perché dannazione i vampiri non piangevano. I vampiri non provavano rimorso. I vampiri non soffrivano per le tragedie umane.

Spike strinse a sé il bambino affondando le dita nei suoi riccioli scuri.

Quel bastardo di Angelus gli aveva rifilato proprio una bella fregatura.

Fu solo un sussurro, ma colpì le sue orecchie più violento di un urlo.

-Portami con te-

Spike serrò le labbra sforzandosi di allontanarsi, ma le mani del bambino si aggrapparono ostinate allo spolverino di pelle di Nikki. Non stava dicendo addio al suo unico amico, ma anche a tutto quello che rimaneva di sua madre.

-Portami con te!-

-Robin...-

-Sarò buono te lo prometto! Non ti accorgerai neanche che ci sono!-

Spike lasciò che l'abbraccio del bambino si stringesse intorno a lui, sentendosi stranamente consolato. Forse poteva davvero portarlo via con sé...in fondo Nikki glielo aveva affidato...non esplicitamente, ma...magari lo avrebbe tenuto con sé per un po'...solo per un po', in attesa di trovargli una famiglia giusta per lui, una famiglia che lo amasse come lo aveva amato Nikki...

-Ti prego, Teddy...fammi restare con te...lo cercheremo insieme Spike...lo uccideremo insieme...-

Uccidere Spike. Certo. Con un sorriso amaro sulle labbra il vampiro guardò il cielo denso di stelle per un istante, prima di separarsi dal bambino.

Lentamente si sfilò il medaglione d'argento dal collo.

-Questa è la cosa più preziosa che ho-

Robin concentrò istintivamente lo sguardo sull'oggetto seguendo il suo ondeggiare leggero.

-Apparteneva a mia sorella Emily-

Robin continuò a seguire il movimento ondulatorio del medaglione, lo sguardo imprigionato dai suoi riflessi argentei. All'improvviso si sentiva terribilmente stanco.

-Lei era...una persona speciale. Proprio come tua madre-

La voce di Teddy gli arrivava alle orecchie sempre più ovattata e lontana. Per quanto lottasse disperatamente Robin sentiva le palpebre calare inesorabilmente sui suoi occhi stanchi.

-Ora appartiene a te. Ogni volta che lo indosserai ti sentirai forte e coraggioso, proprio come lo erano tua madre...e Emily-

Spike fissò il bambino intensamente fino a che non vide le sue palpebre farsi pesanti e il suo sguardo diventare vacuo. Cento anni accanto a Drusilla sembravano aver dato i loro frutti, a quanto pareva i suoi trucchetti funzionavano davvero.

-Ascoltami bene Robin. Teddy non è mai esistito. E' stato solo frutto della tua immaginazione. Quando domani ti sveglierai saprai che Teddy non è che un fantasma della tua mente. Dimenticalo. Mi hai capito bene?-

Il bambino assentì silenziosamente. Con un movimento lento e sinuoso Spike infilò il medaglione al collo del bambino.

-Ora dormi e quando ti sveglierai ti ricorderai solo di Spike e di come ha ucciso tua madre-

Il corpo di Robin ricadde esausto tra le braccia di Spike che lo raccolse e lo adagiò sulla panchina su cui tante volte si erano seduti insieme.

Mentre si allontanava da quel parco, Spike sapeva bene che non vi stava lasciando solo Robin. Era certo che voltandosi avrebbe visto Teddy, seduto sull'altalena cigolante da cui tante volte aveva raccolto le confidenze e accolto l'affetto di quello strano bambino. Così come era certo che guardando verso quella panchina sgangherata avrebbe visto William, gli occhi rivolti al cielo pieno di stelle e ideali, la mano stretta in quella del bambino seduto accanto a lui.

E così non si voltò. Continuò a camminare nella notte, ignorando i fantasmi che si lasciava alle spalle. Perché era questo che erano. Solo fantasmi. Fantasmi di un tempo che non poteva più tornare, frammenti del suo cuore che erano andati persi per sempre. Perché William era morto la notte in cui aveva stretto per l'ultima volta il corpo esanime di Emily tra le braccia e Teddy, se mai era esistito, era morto quella notte, insieme a Nikki, sul tetto di un grattacielo di New York.

Solo Spike rimaneva. E Spike non aveva bisogno di voltarsi.

Spike non aveva nessuno a cui dire addio.

+ + +

Sunnydale

Novembre 2002

Il dolore si era fatto insopportabile e Spike non avrebbe saputo dire se la causa fosse la mano di Robin che si stringeva sempre più forte attorno al suo cuore o il peso di quei ricordi che lo tormentavano, ora più che mai.

Con un urlo lacerante Robin lasciò la presa e Spike crollò al suolo, esanime.

Nel momento in cui il contatto tra i due corpi fu reciso, la luce che aveva illuminato l'oscurità circostante svanì, insieme alle vivide immagini di un passato fin troppo presente.

Robin strinse istintivamente tra le dita il medaglione d'argento che portava al collo da quando era solo un bambino e distolse lo sguardo dal demone, incapace di affrontare il peso di ciò che aveva visto scorrere di fronte ai suoi occhi.

Willow non riusciva a muoversi, le mani ancora chiuse sulle spalle di Giles, gli occhi fissi su Spike.

Spike che giaceva a terra, di fronte a loro, in un lago di sangue.

+ + +

"I momenti cruciali della tua vita arrivano quando meno te lo aspetti, anche se non sei pronta per affrontarli".

Questo le aveva detto il Cantastorie, una notte di molti anni prima.

La notte in cui aveva ucciso Angel.

Solo che all'epoca sapeva che quella sarebbe stata una notte cruciale. Se lo sentiva nelle ossa. Certo non immaginava come sarebbe andata. Si era preparata ad uccidere Angelus. Invece aveva dovuto uccidere Angel e con lui una parte di se stessa che non aveva più potuto riavere, neppure dopo che lui era tornato.

"I momenti cruciali della tua vita arrivano quando meno te lo aspetti, anche se non sei pronta per affrontarli".

A questo aveva ripensato la notte che aveva deciso di gettarsi da quella torre, al posto di Dawn.

Solo che quando aveva scelto di andare a combattere contro Glory, per riprendersi sua sorella, sapeva bene che avrebbe dovuto fare una scelta. Una scelta cruciale. Naturalmente non aveva previsto come sarebbe finita. Credeva di dover scegliere tra Dawn e la salvezza del mondo. Invece aveva dovuto scegliere se salvare se stessa o sua sorella. E nonostante tutto non si pentiva di quella scelta. Non si pentiva del suo dono.

"I momenti cruciali della tua vita arrivano quando meno te lo aspetti, anche se non sei pronta per affrontarli".

Chissà perché quelle parole le tornavano alla mente, proprio adesso.

Buffy si alzò per andare incontro al medico. Doveva avere più o meno la sua stessa età. Forse anche lui era un praticante dell'ospedale. Di certo assomigliava terribilmente a Ben.

-Signorina Summers?-

Buffy assentì silenziosamente.

Il ragazzo sfogliò la cartella clinica che teneva tra le mani, evidentemente per darsi un tono. Perché non poteva semplicemente dirle quello che le doveva dire? Dio, quanto odiava gli ospedali.

-La sua amica sta bene. Ha subito solo un leggero trauma cranico. La terremo in osservazione questa notte per assicurarci che non sorgano complicazioni. Come ha detto che si è ferita?-

-Stavamo appendendo dei festoni, a scuola. E' caduta dalla scala-

Il ragazzo la guardò poco convinto.

-E' uno strano orario per addobbare le pareti di una scuola...-

Buffy si preparò mentalmente ad inventare una nuova scusa, ma il cercapersone del medico si mise a squillare insistenetemente. L'uomo lesse velocemente il codice riportato nella barra a cristalli liquidi, poi tornò a guardarla con un espressione contrita sul volto.

-Purtroppo devo interrompere il nostro colloquio, signorina Summers. C'è un'emergenza. Che ne dice se riparliamo della cosa domani mattina, quando verrà a riprendere la sua amica?-

Buffy si limitò a sorridere comprensiva al medico che, senza attendere una sua risposta, stava già cominciando ad allontanarsi lungo il corridoio.

Tipico. Era sempre così con i medici degli ospedali. Davano sempre l'impressione di avere qualcuno o qualcosa di più importante di cui occuparsi, anche mentre ti stavano parlando. Dio quanto odiava i medici.

Con un sospiro Buffy si avviò verso l'uscita, l'odore di disinfettante che le impregnava le narici. Dawn la stava aspettando seduta nella sala d'attesa antistante il pronto soccorso.

All'improvviso le apparve di nuovo piccola e indifesa, seduta in quelle poltroncine di plastica grige, intenta a sfogliare una rivista che evidentemente non le interessava. Un modo come un altro per non vedere le persone intorno a lei. Un modo come un altro per non leggere sui loro volti l'angoscia dell'attesa.

Sembrava non fosse passato neanche un minuto dall'ultima volta che si erano trovate in quella stessa stanzetta, ad aspettare delle risposte che non arrivavano, a pregare un miracolo che non ci sarebbe stato.

Buffy ripensò a quel periodo e a quanto la malattia di sua madre l'avesse avvicinata a Dawn.

Ma forse non era stata la malattia.

Era stata la forza di Joyce Summers nel combatterla ad aver avvicinato le due sorelle.

"Promettimi che ti prenderai cura di lei, Buffy. Non importa chi ce l'abbia mandata. Lei è nostra"

Dio, quanto le mancava sua madre. Quanto ancora sentiva di avere bisogno di lei. C'erano tante cose ancora che avrebbe voluto chiederle.

"E tu continua a chiedergliele"

Spike l'aveva guardata in quel modo. Quello che le diceva che si stava preoccupando inutilmente. Quello che la faceva sentire come se davvero tutte le angosce che le toglievano il respiro fossero destinate a evaporare, come neve al sole. E aveva continuato a guardarla anche quando aveva ricominciato a parlare.

"Non importa se lei non può più risponderti. Basta che immagini il suo sorriso...basta che ricordi il modo in cui ti faceva sentire"

Buffy sentì le lacrime bruciarle gli occhi, come le aveva sentite quella notte, la notte in cui aveva lasciato che un demone vedesse il dolore di una figlia, oltre la maschera della cacciatrice. Si fermò un istante e respirò a fondo, concentrandosi sull'arredamento della sala.

Almeno quello era cambiato. Niente più divanetti, solo una serie di pratiche e asettiche sedie di plastica grige. E su una di quelle sedie stava seduta sua sorella.

Con un sospiro, Buffy la raggiunse, stampandosi un sorriso rassicurante sulle labbra.

-Bethany si riprenderà completamente. Già domattina potrà uscire dall'ospedale-

Dawn alzò gli occhi dal giornale, senza mostrare particolari emozioni. Appoggiò la rivista sul tavolino accanto a lei e fece per alzarsi, quando qualcosa, dietro le spalle di Buffy, attirò la sua attenzione. Buffy seguì il suo sguardo, con aria interrogativa fino a che non la vide.

Willow Rosenberg, alias Big Bad di Sunnydale estate 2002.

Solo che in quel momento sembrava tutto fuorché la potente e malvagia strega che era stata a un passo dal distruggere il mondo. In quel momento sembrava poco più di una ragazzina smarrita. Sembrava quasi la Willow che aveva conosciuto il primo anno di scuola a Sunnydale.

Per la prima volta, dopo tanto tempo, le sembrò di riconoscere la sua migliore amica.

-Willow-

La vide avvicinarsi, con un sorriso incerto.

-Buffy-

E il modo in cui Willow pronunciò il suo nome le confermò di essere stata a sua volta riconosciuta. E negli occhi chiari della strega si vide di nuovo come la ragazzina innocente e piena di sogni che era stata un tempo.

Forse avrebbe dovuto abbracciarla...forse avrebbe dovuto dire qualcosa...ma all'improvviso quel silenzio non le sembrava più vuoto e teso, come un tempo. All'improvviso quel silenzio tra loro le sembrava pieno di tutte le cose che si erano già dette, quando tutto era più semplice e regolare, e di tutte quelle che non si erano più dette, dopo che tutto era diventato confuso e frammentario.

-Perché sei qui?-

La voce di Dawn le sembrò più dura e fredda del solito. Willow abbassò lo sguardo per un attimo, forse colpita dal rancore che leggeva in quello della ragazzina, poi tornò a guardare prima lei e poi Buffy.

-E' per Spike-

In una frazione di secondo il volto di Dawn mutò completamente.

-Perché sei qui?-

La sua voce risuonò stridula nel silenzio del corridoio, attirando l'attenzione di alcune delle persone in attesa.

Willow sembrava indecisa sul da farsi e attese qualche secondo prima di parlare.

-Non è niente Dawn, davvero...lui...-

Dawn scosse il capo con ostinazione.

-No, Willow. Non provarci neanche. Non voglio sentire una di quelle storielle che tu e gli altri vi eravate abituati a raccontarmi per *proteggermi* dalla verità. Voglio sapere dov'è Spike e lo voglio sapere adesso!-

Buffy si voltò a sua volta verso Willow, una strana sensazione che le attanagliava lo stomaco.

"I momenti cruciali della tua vita arrivano quando meno te lo aspetti, anche se non sei pronta per affrontarli".

La strega socchiuse gli occhi, prima di tornare a guardare le due sorelle.

-Venite con me-

E senza dire altro le precedette lungo il corridoio dell'ospedale.

+ + +

-Come ci si sente?-

Robin Wood rialzò la testa di scatto. L'Osservatore se ne stava in piedi, di fronte a lui, una strana espressione nello sguardo.

-Come ci si sente dopo essersi finalmente vendicati. Come ci si sente una volta che si è ottenuto quello per cui si è combattuto tutta una vita?-

Robin scosse il capo, un sorriso amaro sulle labbra.

-Non è questo quello che volevo...non era questa la vendetta che cercavo-

Rupert Giles assentì proseguendo con sarcasmo.

-Ma certo, immagino che sia una terribile delusione per lei, il fatto che William non sia morto immediatamente. Eppure credevo che la sua vena sadica sarebbe stata solleticata dall'idea di vederlo morire lentamente, in un letto d'ospedale...o forse aveva in mente qualche tortura più creativa?-

Robin si alzò dalla sedia stancamente.

-Tutta la mia vita...è stata solo una menzogna...credevo che uccidere l'assassino di mia madre mi avrebbe reso libero...lo odiavo per avermi costretto a vivere in una gabbia...una gabbia indistruttibile come la mia sete di vendetta...-

Con un sospiro puntò lo sguardo sul fondo del corridoio verso la stanza dove Spike giaceva immobile, in coma irreversibile.

-Ma la verità è che a volte siamo noi stessi a costruirci delle gabbie invisibili intorno. Lottiamo tutta la vita per uscirne...e alla fine scopriamo che la chiave per aprire la porta che ci teneva prigionieri, l'abbiamo sempre avuta noi-

Una risata soffocata scosse il petto dell'uomo che si passò una mano sul volto massaggiandosi le tempie.

-L'uomo che ho odiato da quando ero solo un bambino era lo stesso a cui mia madre aveva affidato la sua vita e la mia...lo stesso che mi ha impedito di odiarla...e di odiare me stesso. Non riesce a cogliere il lato divertente in questo?-

Giles si aggiustò gli occhiali sul naso.

-Per soddisfare la sua personale smania di vendetta ha probabilmente condannato se stesso e il resto dell'umanità all'estinzione. Devo ammettere che non colgo nessun lato divertente in questo-

Robin Wood serrò i pugni lungo i fianchi, senza staccare gli occhi dalla porta oltre alla quale Spike lottava tra la vita e la morte.

-Non avete nessuna prova certa che lui sia davvero l'Eletto-

Giles assentì infilando le mani nelle tasche della giacca di tweed.

-Così come lei non ne ha nessuna che stabilisca il contrario-

L'Osservatore fissò gli occhi in quelli dell'uomo di colore.

-Ma mi dica una cosa, signor Wood, se Spike dovesse morire stanotte, crede davvero che provare ai suoi superiori che non era l'Eletto la farebbe sentire meno in colpa per averlo ucciso?-

Robin Wood serrò le labbra con amarezza, prima di voltare le spalle all'Osservatore e allontanarsi lungo il corridoio.

-Non vada fuori città, preside Wood. Sono sicuro che la polizia avrà molte domande da farle se William Appleton non dovesse superare la notte-

+ + +

"I momenti cruciali arrivano, non puoi evitarli, ma è quello che fai dopo che sono arrivati che conta. E' allora che scopri che tipo di persona sei veramente "

Buffy rimase immobile, accanto al letto, per diversi minuti. Semplicemente guardandolo. Poi alzò una mano e fece per posargliela sul petto. Esitò qualche istante, la mano sospesa a mezz'aria, a pochi centimetri da lui, come se in tutto il tempo in cui erano stati lontani avesse perso il coraggio di toccarlo.

Sentiva gli sguardi di Giles, Willow e Dawn bruciarle sulla schiena.

Lentamente rilasciò un respiro che non si era accorta di aver trattenuto e appoggiò la mano sul suo petto.

Era caldo e sotto le dita poteva sentire il battito regolare del suo cuore. Tornò a guardare il suo corpo graffiato e lacerato giacere immobile, nel letto dell'ospedale. Aveva le braccia abbandonate lungo i fianchi e le mani erano fasciate fino ai polsi. Se le era ferite stringendo la lama affilata di una spada, proprio come quella volta...durante la battaglia con Glory...quando l'aveva salvata dalla spada di uno dei cavalieri di Bisanzio.

Lentamente la sua mano si rilassò a contatto con il suo corpo, come se avesse finalmente riconosciuto un territorio familiare.

Senza voltarsi, si rivolse alle persone che continuavano a osservare la scena dietro le sue spalle.

-Andate via-

-Buffy...-

-Andate via. Per favore-

Sentì il sospiro contrito di Giles. Poteva praticamente vederlo nella sua mente, mentre si aggiustava gli occhiali sul naso e lasciava la stanza con calma misurata. Poi sentì i passi leggeri di Willow allontanarsi rapidamente, senza esitazione. Solo Dawn sembrava non riuscire a decidersi.

-So che non ho nessun diritto di chiedertelo...so che probabilmente lui preferirebbe che ci fossi tu qui al suo fianco...ma ti prego, Dawn...dammi un minuto...solo un minuto...da sola...con lui-

Poteva quasi sentire le rotelle lavorare alacremente nel cervello di sua sorella. Poi uno sbuffare leggero seguito dai suoi passi irritati, le annunciarono che la decisione, per quanto svogliatamente, era stata presa.

Buffy recuperò una delle sedie del corridoio, la spinse vicino al letto e si appoggiò sul cuscino, accanto al suo volto, le braccia incrociate sotto il mento.

Le parole di Willow, le spiegazioni di Giles, le accuse di Dawn, tutte quelle frasi confuse le giravano in testa come schegge impazzite.

"E' arrivato in capo al mondo per tornare quello che era"

"Un caso assolutamente senza precedenti. L'anello di congiunzione tra la razza umana e quella demoniaca. Un ibrido perfetto"

"E' colpa tua!"

"Credeva che sarebbe tornato umano. Non ricordava nulla delle sue origini demoniache"

"Un corpo umano in cui scorre sangue demoniaco purissimo"

"Lo hai lasciato da solo a morire!"

"Lo ha fatto per te, per essere degno di te"

"Su di lui gravano enormi responsabilità...il Consiglio, tutti noi ci aspettiamo grandi cose da lui"

"Se non si sveglierà più sarà solo colpa tua!"

Sapeva che si sarebbe dovuta sforzare di capire. Percepiva l'enormità di quello che era accaduto così come intuiva la potenziale gravità di quello che stava per succedere.

Sapeva che avrebbe dovuto fare altre domande, chiedere altre spiegazioni.

Solo che in quel momento non le interessava.

Non le interessava sentire parlare di nuove apocalissi, di nuovi destini, di spade sacre e creature elette per impugnarle.

In quel preciso momento l'unica cosa che le interessava sapere era quando lui si sarebbe svegliato.

Perché sul fatto che si sarebbe svegliato non aveva dubbi. Non voleva averne.

Accanto a lei, Spike respirava così debolmente che era praticamente impossibile sentirlo, ma era vivo.

Era davvero vivo.

Il suo volto, benché completamente rilassato in quello che sembrava un sonno profondo, era vivo. La sua pelle, benché pallida di stanchezza, era viva. Il suo corpo, benché esausto e ancora troppo debole per risvegliarsi, era vivo.

Come aveva potuto essere tanto cieca da non accorgersene, quando l'aveva incontrato la prima volta, dopo il suo ritorno? E la seconda...e la terza...

Buffy osservò il volto di Spike, mentre tornava a posare una mano al centro del suo petto per sentire di nuovo il battito del suo cuore.

"Non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire"

Era un proverbio che sua madre le aveva ripetuto spesso, durante la sua infanzia, a rimprovero della sua testardaggine.

Solo ora le sembrava di coglierne pienamente il senso.

Il ritmico suono dei macchinari disposti accanto al letto di Spike le confermava continuamente il fatto che il suo cuore batteva. Un monitor posto alla sinistra del letto riportava un'immagine regolare assicurandole che il battito era debole, ma costante.

Eppure non le bastava.

Sentiva il bisogno di toccarlo quel battito, di cercarlo febbrilmente con le dita, sotto il suo petto. Solo sentendolo vibrare sotto le mani riusciva a sentirsi rassicurata del fatto che lui fosse ancora vivo. Ancora vivo.

Spike.

Spike.

La sua mente era come una di quelle macchine che si continuano ad accendere, ma che non riescono mai ad ingranare.

Spike.

Continuava a ripetere quel nome, dentro di sé, senza riuscire ad andare oltre.

Era così che lui si era sentito quando lei era tornata in vita? Quando l'aveva osservata attonito e immobile, per la prima volta a corto di parole, dal fondo della scala di casa Summers?

Buffy raccolse la mano destra di Spike tra le sue, accogliendone il calore tiepido.

"Hai i piedi freddi"

Si era lamentata una di quelle rare volte che era rimasta con lui, troppo sfinita per muovere anche solo un muscolo, dopo una delle loro maratone di sesso nella cripta.

"Vampiro, ricordi?"

Aveva sorriso lui abbracciandola, incurante delle sue poco convinte resistenze.

"Tu invece sei così calda"

Le aveva affondato il volto nell'incavo del collo così che le sue ultime parole erano state sussurate contro la sua pelle, abbastanza debolmente da permetterle di fingere di non averle sentite.

"A volte, quando ti abbraccio, mi sembra quasi di sentire di nuovo il sole sulla pelle"

Come probabilmente lui si aspettava lei non aveva risposto. Ma naturalmente le aveva sentite, quelle parole. Le aveva sentite bruciare nel cuore così intensamente che l'avevano terrorizzata.

Lo aveva evitato per giorni, dopo quella volta.

Ogni sua confessione, ogni sua dolcezza verso di lei e la sua famiglia era stata punita con assenze e silenzi e accuse.

Buffy si portò la mano di Spike alle labbra chiudendo gli occhi.

Quante occasioni perse. Quante.

Sentì una lacrima solitaria scorrerle lungo la guancia e fu in quel preciso istante, in quella stanza d'ospedale, cullata dal suono degli sterili macchinari che la circondavano, che riuscì a dirgli quello che avrebbe dovuto e voluto dirgli troppe volte, durante quell'ultimo terribile anno.

-Perdonami-

E una volta che quella parola fu finalmente liberata dalle sue labbra, le sembrò di non poter fare altro che ripeterla ancora e ancora e ancora.

Perdonami per aver deriso i tuoi sentimenti.

Perdonami per aver negato che potessi provare qualcosa.

Perdonami per aver sfogato su di te le mie frustrazioni.

Perdonami per averti lasciato da solo in quel vicolo.

Perdonami per averti usato.

Perdonami per averti trattato come una cosa senza valore.

Perdonami per averti allontanato.

Perdonami per il male che ti ho fatto.

Perdonami per il male che ti ho permesso di farmi.

Perdonami. Perdonami. Perdonami.

Dawn continuò a osservare la scena, dalla soglia della stanza. Il modo in cui Buffy aveva stretto tra le sue la mano di Spike. La lacrima dolorosa che le era sfuggita dalle ciglia. Il tono con cui continuava a ripetere quell'unica parola. Sempre la stessa, incessantemente.

Forse Buffy poteva ancora ingannare se stessa, credere che quello che provava nei confronti di Spike fosse solo senso di colpa per aver spinto sul fondo di un abisso una creatura che, attraverso l'amore per lei, anelava alla luce. Forse avrebbe anche potuto continuare a ingannarsi per tutta la vita. Ma guardandola ora, china su quel corpo addormentato, in quella asettica stanza di ospedale, Dawn non poteva avere dubbi sui reali sentimenti di sua sorella.

Ogni volta che Buffy diceva a Spike "perdonami", il suo cuore gli sussurrava "ti amo".

+ + +

"I momenti cruciali arrivano, non puoi evitarli, ma è quello che fai dopo che sono arrivati che conta. E' allora che scopri che tipo di persona sei veramente"

Robin Wood si ritirò nell'ombra, seguendo con lo sguardo l'Osservatore e la strega che camminavano lenti lungo il corridoio dell'ospedale.

-Dawn ha protestato?-

-All'inizio sì, ma quell'infermiera è stata irremovibile "l'orario di visita è finito, non sono ammesse eccezioni alle regole sul mio piano". Sembrava uno di quei secondini di Alcatraz...sa tipo quelli del film con Robert Redford...-

-Già...ma tutto sommato questo darà modo a Buffy e Dawn di riposarsi. E' stata una notte lunga. Xander è già venuto a prenderle?-

-Sì, probabilmente sono già sulla strada di casa. Dawn si è fatta promettere che la riporterà in ospedale domattina non appena riapriranno le visite-

-Mi sembra ragionevole. I dottori ti sono sembrati sospettosi riguardo il quadro clinico di William?-

-Sono tutti originari di Sunnydale. Credo che dopo tutti questi anni ci sia ben poco che possa ancora stupirli-

-Bene. Credi che Buffy abbia capito l'importanza di...-

Le voci dell'uomo e della ragazza si persero sul fondo del corridoio, ma Robin Wood non aveva bisogno di sentire altro. Sapeva già tutto quello che gli serviva.

Spike era da solo, nella sua stanza.

Con cautela uscì dall'ombra e attraversò rapidamente il corridoio. I passi di un'infermiera lo costrinsero a rifugiarsi in uno degli sgabuzzini. La maniglia della stanza girò lentamente e la sagoma dell'infermiera si proiettò sul vetro smerigliato della porta. Robin trattenne il respiro per qualche istante cercando con gli occhi un ulteriore nascondiglio. Inutile. La stanza era troppo piccola...

-Mary, la caporeparto ha chiesto di te-

Sentì l'infermiera sbuffare di fronte alla porta e la sua mano allentare la presa sulla maniglia.

-Che cavolo vuole ancora quell'arpia?-

La risata dell'altra donna riempì il corridoio.

-Non lo so ma sembrava parecchio alterata-

Con un sospiro l'infermiera lasciò andare del tutto la maniglia e si allontanò verso il fondo del corridoio, insieme alla compagna, inveendo contro le donne frustrate e la meno pausa.

Robin Wood tirò un sospiro di sollievo prima di uscire lentamente dallo sgabuzzino.

Il corridoio era completamente libero.

In pochi secondi si trovò di fronte alla porta della camera di Spike. Con un sorriso girò la maniglia ed entrò.

Era una fortuna che gli avessero dato una stanza singola. In questo modo poteva agire indisturbato.

Si avvicinò al letto, senza staccare gli occhi dal corpo che giaceva abbandonato tra le coltri bianche.

Dal fondo della stanza, lei gli sorrise compiaciuta, lo spolverino nero che avvolgeva come una seconda pelle il suo corpo forte e sinuoso. Il corpo di una guerriera.

"Guardalo. Fragile e indifeso come un bambino. Non rimane molto del demone che ha terrorizzato mezza Europa e ucciso due Cacciatrici"

Robin Wood assentì in silenzio, senza guardarla. Del resto il suo volto lo conosceva a memoria. Era un volto che lo aveva ossessionato per anni.

"Sarebbe così facile finirlo adesso. Forse gli faresti perfino un favore...di certo renderesti felice me"

La donna avanzò verso il letto con ampie falcate, si fermò solo quando fu a pochi centimetri dall'orecchio destro di Wood.

"Guardalo come dorme tranquillo. Mentre le sue vittime marciscono sotto terra. Ti sembra giusto?"

Robin scosse la testa, senza distogliere lo sguardo dal volto di Spike.

"Allora fai tu la cosa giusta, Robin. Rendimi orgogliosa di te"

Con calma Robin estrasse dalle falde del cappotto un coltello. Lo impugnò, sfilando nel contempo la guaina di pelle che ne proteggeva la lama affilata.

La donna sorrise compiaciuta disponendosi di fronte a lui, dall'altro lato del letto.

"Cosa hai intenzione di fare adesso?"

Robin Wood alzò gli occhi scuri sulla donna di colore che stava ora in piedi di fronte a lui, vestita come la notte in cui Spike l'aveva uccisa.

-Ho intenzione di renderti orgogliosa di me, mamma-

E mentre pronunciava quelle parole strinse l'impugnatura del coltello, preparandosi ad agire.

L'Oni si lasciò andare a una risata scomposta e gongolante.

"E bravo il mio bambino".

+ + +

 

Note Nerd:

Il titolo del capitolo è ispirato al primo titolo che la Mutant Enemy aveva pensato per l'episodio Lies My Parents Told Me ovvero Mothers and Sons. All'epoca dei primi spoiler, questo primo titolo mi aveva immediatamente ricordato la canzone di Cat Stevens, una delle mie preferite, Father and Son.

Il ragazzo che parla con Nikki durante il concerto di Spike è come avrete immaginato Billy Idol . Il famoso cantante Punk risponde effettivamente al nome di William Broad e nel 1976 fondò il suo primo gruppo, i Generation X. I Sex Pistols erano i suoi idoli dichiarati. Ho immaginato che il suo look e il suo nome potessero essere stati ispirati da un certo cantante di strada che lui qui definisce "l'idolo delle folle"...per la cronaca Billy è il tipico soprannome che viene dato dagli anglo-americani a chi si chiama William. Perciò Billy+idolo= Billy Idol. Ebbene sì, Spike cantava in un gruppo Punk e la sua musica ha ispirato Billy Idol...cos'è avete dei dubbi sulla veridicità dei fatti o quanto meno sulla loro probabilità? Bè questa è una fanfiction mica un libro di storia §^o^§

La canzone che Spike dedica a Nikki è ispirata a Behinde Blue Eyes dei Limp Bizkit.

Lo so, lo so...nella serie originale le cose sono andate un po' diversamente e Nikki Wood è morta in quel metrò...io però ho preferito trasformarla in una morte simbolica e spostare la sua morte fisica un po' più avanti per rispondere, come si dice, a delle esigenze narrative...del resto vi avevo avvertito...questa è una stagione assolutamente alternativa!!!!!

Allora ricapitoliamo. Il preside Robin Wood è il figlio di Nikki Wood, la seconda cacciatrice uccisa da Spike. Ma è anche "l'uomo in nero", quello che parlava con il nonno di Hiro (nonché membro del concilio dei demoni) e a cui è stato affidato il compito di osservare Spike (ovvero il potenziale eletto). Ma è anche un collaboratore del Consiglio degli Osservatori...eh eh...come complicarsi la vita in meno di cinque mosse!

Questo capitolo finisce con uno di quei tanto famigerati Cliffhanger...so che ora mi odiate e state probabilmente progettando la mia morte...ma non dimenticate che in Slayers niente è quello che sembra...e nell'attesa vi invito a ripetere il mantra:

mi fido di Saki

mi fido di Saki

mi fido di Saki

§^___-§

 

 

+ + +

 

 

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