Amare, donare e perdonare

Terza parte

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Whatever our souls are made of, his and mine are the same.
Emily Brontë

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Sentiva di non aver ancora misurato a fondo tutta la propria felicità. Ogni giorno era come se si sollevasse un po' di più una tenda che rivelava un panorama splendido. C'era solo una cosa che la tratteneva dalla felice corsa verso quel paesaggio, una nostalgia che non si riusciva a spiegare.

-Allora stesso menù, come sempre?-

Buffy lasciò ricadere la tenda ricamata della finestra e si voltò verso sua madre. L'anno precedente aveva rischiato di perderla per una brutta malattia, ma per fortuna tutto si era risolto nel migliore dei modi. E ora era lì, sdraiata sul divano del salotto, che l'aiutava a organizzare il pranzo di Natale, come se fossero state una famiglia normale.

Normale.

Non riusciva a spiegarsi perché di tanto in tanto il concetto di normalità la stupisse così tanto.

-Pensavo di fare qualcosa di diverso quest'anno-

-Diverso? Tesoro, sarebbe un peccato, lo sai quanto tuo padre adori il tuo pranzo di Natale. Non fa che dirmi che non vede l'ora di assaggiare di nuovo il tuo strepitoso pane alle banane-

Buffy sorrise al pensiero di suo padre che cercava di rubarle da sotto il naso il pane appena sfornato. A volte era un tale bambino...

Suo padre. Le sembrava così strano averlo così presente nella sua vita.

Forse dipendeva dal fatto che quando era piccola i suoi erano stati sull'orlo del divorzio. Ma alla fine tutto era andato a finire bene.

Come sempre.

-Diglielo anche tu!-

-Cosa?-

Sulla porta di ingresso suo marito si stava scuotendo la neve di dosso. Avrebbero avuto un bianco Natale anche quell'anno.

-Tua moglie si è messa in testa di rivoluzionare il menù di Natale e io sto cercando di convincerla che è una pazzia-

L'uomo sorrise a entrambe in quel suo modo naturalmente seducente prima di entrare definitivamente in casa.

-Bè Joyce. Credevo avessi capito che tua figlia è pazza-

Buffy guardò suo marito con uno strano senso di apprensione allo stomaco.

Pazza.

Sì. C'era già stato chi l'aveva considerata così a causa della sua...

Lui la abbracciò depositandole un bacio sulla fronte.

-Altrimenti non mi avrebbe mai sposato. Ma va bene così. Perché anch'io sono pazzo-

Buffy puntò gli occhi in quelli di suo marito e come sempre dimenticò ogni dubbio e angoscia.

Lui le sorrise, questa volta in un modo che era una sua esclusiva.

-Completamente pazzo. Di lei-

Sua madre disse qualcosa alle sue spalle. Una qualche battuta ironica, ma lei non riuscì a sentirla perché si era persa.

Chiuse gli occhi.

Nessuno la faceva sentire bene quanto lui.

Le sue mani che le risalgono lungo le gambe, la accarezzano. Le sue mani che la stringono, le sue dita che esplorano ogni centimetro del suo corpo. Quelle mani che l'hanno fatta sentire sua, quando pensava di non poter più appartenere a nessuno...neppure a se stessa.

Lo ricordava.

Si ricordava di lui. E si sentiva in colpa per questo. Perché quel lui non era suo marito.

E chi era poi? Forse solo una fantasia. Anche nelle migliori coppie succedeva, no? Tutti fantasticano.

A volte le sembrava di ricordare un altro mondo. Un altro posto. Un posto dove lei era Buffy. Ma una Buffy diversa. E dove non era sposata, ma era legata a lui. L'altro lui. Quello che popolava i suoi sogni ad occhi aperti.

Doveva smetterla di leggere quei romanzetti rosa. Perché in ogni protagonista maschile rivedeva lui. L'altro lui.

Buffy si portò le mani alla testa.

-Amore stai male?-

Tutti quei ricordi da dove venivano?

-Buffy?-

La voce di sua madre le arrivò alle orecchie preoccupata.

-E' tutto a posto. Solo un po' di mal di testa-

Suo marito le carezzò la testa con dolcezza, ma all'improvviso il suo tocco non le dava pace, solo ulteriore ansia.

-Vado di sopra a riposarmi per un po'-

-Vuoi che venga con te?-

-No! Voglio dire...no grazie. Davvero, ho solo bisogno di stendermi un attimo-

Suo marito non sembrava troppo convinto, ma la lasciò andare comunque.

Buffy risalì le scale imponendosi di non correre. Non voleva che avessero l'impressione che stesse fuggendo. Perché non era così. Da cosa avrebbe dovuto fuggire? Aveva una vita perfetta. La vita che qualunque donna avrebbe desiderato. Un marito innamorato. Una figlia adorabile. L'appoggio dei suoi genitori. L'affetto dei suoi amici. Superò la porta della sua camera da letto senza fermarsi e continuò lungo il corridoio. Il bagno. Lo studio. La stanza di sua figlia. Aprì la porta lentamente e gettò un'occhiata dentro. La bambina riposava tranquilla, la testa affondata nei cuscini.

Buffy inspirò a fondo. Cos'era allora quel senso di inquietudine. Era tutto a posto, tutto andava bene. Perché non riusciva a tranquillizzarsi?

Tornò in corridoio richiudendo la porta dietro di sè e si strinse le braccia attorno al corpo. Doveva calmarsi. Non c'era niente di strano o anormale in quella casa. La sua casa. Andava tutto bene. Non c'era niente di cui preoccuparsi.

E poi lo sentì.

Il muro di fronte a lei. Quello che dava sull'esterno.

Buffy scosse la testa come a volersi schiarire le idee. Ma continuò a sentirlo ugualmente.

Il muro di fronte a lei.

Urlava il suo nome.

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Spike diede un calcio alla panchina di pietra con un grido frustrato.

-Stai calmo, William. Sapevamo che sarebbe stato difficile-

Giles continuava a esaminare ogni anfratto del giardino in cerca di un varco invisibile. Xander tossicchiò nervosamente cercando di attirare la sua attenzione.

-Signor Giles...quando dice difficile non intende impossibile, vero?-

Giles si rialzò in piedi continuando a guardarsi intorno. Era davvero un bel giardino. del resto aveva sempre pensato che in fondo Spike avesse buon gusto. Solo che aveva l'abitudine di nasconderlo sotto spolverini di pelle sdruciti e troppa acqua ossigenata.

-Vedi Xander, anche se abbiamo trovato il varco dimensionale, solo Buffy può aprire la porta di contatto e lo può fare solo entrando in giardino-

Xander assentì soddisfatto.

-Insomma dobbiamo solo aspettare che a Buffy venga voglia di fare un po' di giardinaggio-

Giles fece per replicare, ma Xander lo bloccò.

-Aspetti, lo so. Non è così semplice-

L'Osservatore assentì silenziosamente tornando a ispezionare il giardino.

-Odio avere ragione-

Willow sorrise con leggerezza dando una pacca sulla schiena all'uomo.

-Non te la prendere Xanman. Tutti dobbiamo avere ragione prima o poi-

-Già...Ehi! Non sei affatto divertente-

Willow rise, questa volta più apertamente. Xander le fece una smorfia di risposta e tornò a concentrarsi su Giles.

-Signor Giles, quando dice che non è così semplice intende...-

-Intende che noi abbiamo trovato il varco ma se non lo trova anche Buffy non abbiamo modo di metterci in contatto con lei-

Spike si era seduto sulla panchina di pietra e si stava accendendo una sigaretta. Aspirò a fondo lasciando che il fumo gli riempisse i polmoni, poi esalò lentamente e guardò il fumo disperdersi nell'aria di fronte a lui.

Xander tossì rumorosamente agitandosi una mano davanti alla faccia.

-Sai Spike, prima o poi quella roba ti ucciderà-

Lo sguardo dell'altro lo gelò. Xander alzò le mani in segno di resa.

-Come non detto-

Giles si alzò lisciandosi i pantaloni e sistemandosi la giacca di tweed.

-Sono necessarie altre ricerche. Devo avere un altro paio di libri sui varchi dimensionali nel mio appartamento. Willow, vedi cosa riesci a scoprire sull'incantesiomo fatto da Emily esaminando gli ingredienti che ha usato, Xander pensi di riuscire a stilare una lista e recuperarli tutti?-

I due assentirono all'unisono.

-Bene. William...-

-Non prendo ordini da te-

Giles serrò le labbra, ma non replicò, limitandosi a uscire dal giardino. Willow si avvicinò al demone e gli passò una mano tra i capelli. Xander pensò che l'avrebbe scacciata, ma sembrò accettare quel contatto o forse era solo troppo stanco per reagire. In ogni caso Willow sembrava sapere come prenderlo.

-Vado a scrivere quella lista. Ci vediamo da Giles-

Willow assentì distrattamente senza neanche voltarsi a guardarlo. Xander sentì una fitta di gelosia in gola, ma la ricacciò indietro mordendosi le labbra. Non era il momento di comportarsi da bambini. Ci sarebbe stato tempo più tardi. Dopo aver riportato Buffy indietro.

-Devi tagliarti i capelli Billy o finirai per assomigliare a un damerino-

Spike si lasciò sfuggire un sorriso e strinse le dita di Willow tra le sue. La ragazza lo guardò fumare l'ennesima sigaretta, come se fosse l'ultima cosa che gli era rimasta da fare. E forse lo era.

Se Buffy non tornava in fretta lui era condannato.

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Anya si appoggiò allo stipite della porta con la grazia di una modella pronta a farsi scattare l'ennesima foto.

-Non è il momento-

Xander continuò a scrivere febbrilmente sul blocco che aveva davanti. Sapeva che era tutto inutile, che non c'era modo di contattare Buffy se non era lei a fare il primo passo e che sarebbe stato sempre più difficile che lo facesse. Più passava il tempo, più il legame con la sua realtà di provenienza si affievoliva. Ma sapeva anche che non avrebbe mai avuto la forza di stare fermo ad aspettare l'inevitabile.

Lui non era come Spike.

-Peccato-

Anya fece per girare sui tacchi ma la voce di Xander la trattenne.

-Cosa vuoi?-

Uomini. Così prevedibili.

-Hai mai sentito parlare degli inseparabili?-

Xander tornò a concentrarsi sulla lista. Proprio non riusciva a ricordare quale fosse l'ultimo ingrediente e non riusciva a trovare Dawn da nessuna parte.

-Non ho più tempo di giocare agli indovinelli, Anya-

Il demone sorrise facendo spallucce.

-Oh ma questo non è un indovinello, è più una domanda di ornitologia-

-Spiegati-

Anya rise divertita.

-Oh andiamo Xander, non mi cadrai proprio sugli uccelli...ops, frase ambigua-

-Ah ah. Molto divertente. E comunque so cosa sono gli inseparabili, una razza di pappagallini venduti in coppia che muoiono se separati. Ne avevo vinti due al Luna Park da bambino ma ho avuto la brillante idea di regalarne uno a Willow con ovvie conseguenze. Ma ancora non capisco cosa abbiano a che fare con noi-

Anya scrollò le spalle.

-Non con noi, con Buffy e Spike. Ecco ho sempre pensato a loro come a una coppia di quei pappagallini. Anche se sessualmente parlando sembravano più conigli e...-

-E sono assolutamente certo di non voler sentire altro-

-D'accordo, d'accordo. Lo sai Xander, tu uccidi il mio lato romantico-

Xander affettò un sorriso forzato sorvolando.

-Sono preoccupata, sai. Temo che ora Spike morirà di dolore-

Xander tornò a rileggere la lista.

-Per quanto io sia un uomo romantico, e lo sono, ti assicuro che gli esseri umani non muoiono solo perché vengono separati, anche se sono realmente innamorati. Queste cose succedono solo al cinema e più raramente in televisione-

-Ma non devi dimenticare che Spike non è un essere umano e il suo legame con Buffy non è un legame soltanto spirituale, è anche e soprattutto fisico-

-Di nuovo, risparmiami i dettagli-

Poi di colpo Xander osservò Anya con più attenzione.

-Cos'è che vuoi dirmi, An?-

Il demone riprese a studiarsi le unghie laccate come se non avesse altro di meglio da fare.

-Ma niente, cosa vuoi che ne sappia un povero demone di seconda classe come me di queste faccende di cuore. Ero venuta solo per fare due chiacchiere con te. Solo con te-

Xander capì all'improvviso il significato di tutti quei giri di parole. Guardò Anya che si sfiorò un orecchio con il dito.

Naturalmente. Erano al Magic Box. Spike aveva parlato di microfoni. Il Consiglio li spiava.

Fece un cenno di assenso ad Anya prima di riprendere la conversazione.

-Sai Anya, se vuoi informazioni su quei pappagalli non credo di essere la persona più adatta a dartele, ma perché non provi con questo?-

Xander allungò ad Anya il blocco e la matita e Anya scrisse sul foglio bianco le parole "Buffy", "sangue", "Spike" e "dipendenza". Xander la guardò senza capire. Il demone alzò gli occhi al cielo sbuffando.

-Non credo che questo sia il libro giusto, me ne servirebbe uno più specifico, qualcosa che parli del nutrimento necessario alla sopravvivenza di questi animali-

-Che ne dici di questo?-

Xander scrisse sul foglio l'equazione "sangue Buffy=sopravvivenza Spike".

-Esatto, è proprio quello che cercavo! Oh ma guarda! Qui dice che una volta che i due pappagalli stringono un legame per così dire di sangue possono sopravvivere solo se rimangono insieme, altrimenti uno dei due muore-

Xander si batté una mano sulla fronte. La guarigione. Ma certo. Buffy aveva dato il suo sangue a Spike e così aveva riattivato il legame e ora Spike dipendeva da quello per sopravvivere. Willow gli aveva detto che doveva ancora nutrirsi di sangue umano di tanto in tanto, ma adesso non sarebbe più stato sufficiente un qualunque donatore. Serviva Buffy.

Anya lo guardava come per assicurarsi che avesse davvero capito.

-Senti An...perché sei venuta proprio da me a parlare degli inseparabili?-

Anya lo guardò con un sorriso ambiguo.

-Solo perché di tanto in tanto incasini le cose non significa che sei inutile-

Xander si passò una mano tra i capelli ridendo.

-Già. A proposito di cose utili, credo che Willow ne sappia più di me di questa storia degli inseparabili. Ti va di fare un salto da lei?-

Anya sembrava sulle spine e non era da lei.

-Insieme?-

Xander assentì silenziosamente prima di prenderle una mano e trascinarla fuori dal Magic Box.

La porta si richiuse con l'abituale tintinnio.

Dawn uscì dall'ombra e si avvicinò al tavolo su cui i due cospiratori avevano abbandonato i loro messaggi in codice.

"Sangue Buffy=sopravvivenza Spike"

Accartocciò il foglio fino a ridurlo a una semplice pallottola e poi lo strinse nel pugno con rabbia.

Maledizione.

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Buffy strinse più forte la mano di Spike, sorridendo. La luna splendeva sopra le loro teste illuminando a giorno il cimitero. Da lontano potevano sembrare una qualunque coppia di innamorati in cerca di solitudine.

I suo occhi incontrarono quelli azzurri di lui e in un attimo erano di nuovo uno tra le braccia dell'altra, incapaci di resistere all'attrazione dei loro corpi.

-Due anime legate dal filo rosso del destino-

La voce profonda e vibrante li fece riemergere bruscamente dallo stato di incoscienza in cui erano sprofondati.

Estrasse un paletto pronta a lottare per la propria vita, di nuovo.

Una donna magra e scalza emerse dall'oscurità. Camminava lentamente, come se fosse parte di una solenne cerimonia di cui lei soltanto era consapevole. Il vento le incollava il vestito di organza bianca alle gambe.

Drusilla.

-Rinnegare ciò che sei non ti salverà dall'oscurità che porti dentro di te-

Buffy strinse più forte il paletto distanziandosi di qualche passo dal suo compagno.

Gli occhi della vampira erano due vacue ametiste che rendevano impossibile capire a chi si stesse rivolgendo. Per un istante pensò che non stesse neppure parlando con loro, ma con qualche spirito o essere che soltanto lei poteva vedere. Si teneva con tutte e due le mani i morbidi capelli neri che il vento le soffiava sugli occhi e procedeva lentamente come se stesse aspettando la loro reazione.

Nuvole grige sospinte dal vento avevano imprigionato la luna e nel buio improvviso che li aveva circondati Buffy poté soltanto udire la voce di Drusilla che si allontanava in una direzione oscura.

-Dovrai scegliere-

Buffy si voltò a guardare Spike che era rimasto immobile, dietro di lei, a fissare il punto in cui la vampira era apparsa. I suoi occhi azzurri erano gelidi.

Lo vide chinarsi dolcemente su di lei, mentre con la mano le carezzava il volto contratto. La sua voce le penetrò le orecchie, insinuandosi in lei come un incantesimo.

-Finché morte non ci separi-

Con un gesto lento e sinuoso le scostò i capelli dalle spalle lasciando il suo collo esposto alla luce della luna e al suo desiderio. Poi con uno scatto improvviso le affondò i denti avidi nella carne dilaniandola.

Buffy fu risvegliata bruscamente dal suono delle proprie grida. Si prese il volto tra le mani cercando di riprendere a respirare regolarmente. Si sentiva debole come se davvero si fosse lasciata dissanguare lentamente, senza reagire.

Le braccia di suo marito la strinsero con calore mentre la sua voce le soffiava parole di conforto nelle orecchie.

-Non è niente, soltanto un brutto incubo-

Un incubo.

Buffy ripensò a quelle immagini così nitide, a quelle voci così familiari e a quei nomi che le sembravano così scontati nonostante fossero così insoliti.

-Torna a dormire amore-

Dormire.

Sì. Era meglio tornare a dormire.

Ma per tutta la notte Buffy non fece che ripensare a quei nomi e a quel muro sul fondo del corridoio dell'ultimo piano, che gridava il suo.

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Era di nuovo sera.

Gli ultimi riverberi del sole appena tramontato regalavano una strana luminescenza alle villette disposte in file ordinate e interrotte solo da piccole chiazze di giardini verdi e ben curati.

Presto si sarebbe fatto di nuovo buio.

Robin Wood si appoggiò sul fianco della berlina nera parcheggiata a lato della strada, lucida e ordinata esattamente come tutto il resto.

Sembrava impossibile che dietro quell'insieme di case, cose e persone così normalmente innocue si nascondessero passioni e pulsioni così violente da risvegliare demoni il cui sonno durava da secoli.

Sembrava impossibile che proprio sotto i suoi piedi calzati in eleganti scarpe di pelle scura ribollissero i fiotti dell'inferno.

E del resto chi avrebbe mai potuto immaginare che dietro la curata immagine del preside della nuova Sunnydale High, così politically correct e molto Denzel Washington in completo Armani, si nascondesse l'orfano di una Cacciatrice, una creatura nelle cui vene scorreva lo stesso sangue oscuro e potente che aveva dato origine alla stirpe demoniaca.

Ma forse era proprio questo il punto.

Niente è quello che sembra.

Sua madre non si stancava mai di ripeterlo.

Già. Sua madre.

Robin si strinse nel cappotto antracite tagliato su misura e diede una rapida occhiata all'orologio da polso.

Mancavano pochi minuti all'appuntamento.

Come richiamata da quel pensiero, una sagoma sottile cominciò lentamente a delinearsi sul fondo del viale. La nebbia leggera che iniziava appena ad avvolgere il paesaggio circostante non gli impedì di riconoscerla all'istante.

Un sorriso sfuggì dalle sue labbra morbide rivelando una fila di denti bianchissimi in netto contrasto con l'incarnato scuro.

Lo vide ricambiare il sorriso, sicuro. Attese che fosse a pochi passi da lui prima di interpellarlo con voce serena.

-Hai preso una decisione?-

Lui scrollò le spalle alzando il mento e socchiudendo gli occhi, un gesto che doveva essergli abituale.

-Sono qui, no?-

Robin assentì silenziosamente prima di girarsi e aprire la portiera della Berlina, invitandolo ad entrare.

Spike si guardò intorno un'ultima volta, quasi a voler memorizzare la forma della città che l'aveva accolto sei anni prima e che tanto gli aveva chiesto in cambio. Si può provare nostalgia per qualcosa che ci ha fatto così soffrire? Il pensiero gli balenò nella mente mentre si accomodava sul morbido sedile di pelle e attendeva con pazienza che il suo compagno di viaggio girasse la chiavetta di accensione e facesse partire il motore. Si può provare nostalgia per qualcosa da cui si è sempre desiderato di fuggire? Se lo chiese distrattamente mentre osservava il cartello che segnava l'estremo confine di Sunnydale scorrere veloce e scomparire oltre il finestrino.

Poi smise di farsi domande inutili e concentrò lo sguardo davanti a sé, verso l'orizzonte che lo attendeva paziente.

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Buffy si sedette sul bordo del letto appoggiando la spazzola sul comodino. Sentì suo marito muoversi tra le coperte.

-Hai fatto tardi-

Buffy si torse le mani in grembo. Forse avrebbe dovuto parlargliene. Lui l'avrebbe capita. Perchè lui la amava, più di chiunque altro. E lei lo amava più di chiunque altro. Non era forse sempre stato così? Non era per questo che si erano sposati?

-E' che non ho sonno-

-Questo perché dormi tutto il giorno-

Si era definitivamente svegliato adesso e sentiva che si era seduto sul letto e la stava osservando.

-Davvero tesoro, vorrei capire cosa ti sta succedendo. Per giorni non hai fatto che dormire e ora non vuoi neanche più avvicinarti al letto-

Le strinse le spalle costringendola a voltarsi verso di lui.

-Cos'è che non va?-

Buffy sorrise senza gioia a suo marito che la guardava preoccupato.

-E se non riuscissi più a svegliarmi?-

L'uomo le diede un buffetto sulla guancia.

-Lo vedi? Dici cose assurde e questo perché non segui uno stile di vita regolare-

Buffy scosse la testa irritata.

-E' che quando mi addormento vedo cose...cose così diverse...ed è tutto così reale che...-

-Capisco, soffri di incubi notturni. Può capitare, lo stress delle feste, il Natale che si avvicina, tua sorella che sta per tornare dal College e la bambina-

L'uomo si alzò stirando i muscoli e avviandosi verso la porta.

-Ti porto del latte caldo, vedrai che ti farà dormire come un sasso fino a domani-

Poi le strizzò l'occhio e le regalò un sorriso caldo e sincero.

-E senza incubi di sorta-

Buffy si sforzò di ricambiare il sorriso e si strinse le braccia attorno al corpo. Non ebbe cuore di dire a suo marito che non erano gli incubi che la spaventavano. Ma i sogni dove provava sentimenti e passioni che nella sua realtà non la sfioravano neppure.

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Alla fine era rimasto solo. Si è sempre soli alla fine. Uno dei pochi concetti su cui suo padre aveva ragione. Si chiese quanto tempo avesse prima che il suo corpo andasse in crisi di astinenza. Forse un paio di settimane ancora. Magari qualche mese. O magari qualche ora. Che ironia. Per salvarlo, Buffy lo aveva condannato a dipendere da lei per sempre.

Non che le cose stessero molto diversamente anche prima.

Fin dalla notte in cui si erano scambiati quel primo bacio aveva capito di essere perduto. Lei era diventata la sua droga. E come ogni drogato l'ultima cosa che voleva era disintossicarsi. Inutile negarlo. Amore e morte, passione e perdizione, come nella migliore tradizione romantica. E come aveva detto con piena ragione sua sorella, lui era un romantico.

Spike si avvicinò all'ingresso della bottega con cautela, ancora indeciso se entrare o meno. All'improvviso la porta si spalancò di fronte a lui e un vecchio dal volto nero di fumo lo accolse sorridendo.

-Entra ragazzo. Ti stavo aspettando-

Al diavolo l'effetto sorpresa.

Non appena varcata la soglia Spike fu investito da un'intensa ondata di calore. Al centro della stanza troneggiava un'imponente fucina riscaldata da un fuoco enorme. Fosse stato ancora un vampiro sarebbe fuggito da quel posto a gambe levate. Invece rimase immobile e si guardò intorno studiando l'ambiente. Su un blocco di pietra vicino alla fucina due uomini reggevano una grossa barra di acciaio incandescente, mentre altri due la percuotevano a turno con dei pesanti martelli.

Il vecchio gli fece cenno di seguirlo e Spike obbedì docilmente affascinato dallo spettacolo che si disegnava lentamente davanti ai suoi occhi. Lo vide afferrare la barra di metallo rovente con un paio di pinze e ripiegarla su se stessa per ottenerne due strati, quindi ributtarla nel fuoco.

-Il metallo va piegato in questo modo molte volte fino a che non si ottengono centinaia e centinaia di strati-

Detto questo l'uomo si spostò verso un altro angolo della bottega dove due assistenti immergevano una lama già pronta in un bacino di acqua fredda producendo uno sfrigolio stridente.

-Qui il metallo viene temperato, all'acqua è stata aggiunta un'argilla speciale realizzata con una ricetta di mia invenzione. Lo scopo è quello di irrigidire al massimo la punta della lama pur mantenendone flessibile il corpo. Il risultato è una spada indistruttibile-

Spike assentì silenziosamente e il vecchio lo precedette oltre una piccola porta che si apriva su una stanza più fredda dove due uomini stavano lavorando alla lucidatura e all'affilatura delle lame.

Dopo aver scelto una spada tra quelle già pronte il vecchio si girò verso Spike puntandogliela contro. Il demone indietreggiò istintivamente. Sorridendo il vecchio estrasse una sciarpa di seta dalla tasca del Kimono e la lanciò in aria lasciandola ricadere sul taglio della lama. La stoffa sottile ricadde a terra perfettamente tagliato a metà.

Spike raccolse i due pezzi di stoffa osservandoli criticamente, poi ne porse uno al vecchio.

-Questa spada non taglia-

Uno degli assistenti si parò di fronte a lui guardandolo minaccioso.

-Come osi mettere in questione l'opera del maestro Musashi!-

Spike non si scompose, limitandosi a porgere il pezzo di stoffa al vecchio spadaio che lo sottopose ad un accurato esame. Il bordo tagliato dalla lama era leggermente sfilacciato. Con un sorriso il vecchio rialzò gli occhi sul demone prima di porgere la spada al suo assistente e fargli cenno di allontanarsi.

-Buttala. Questa spada non taglia-

Tornando a rivolgersi al demone il vecchio si inchinò con reverenza.

-Musashi Kanemitsu. Al vostro servizio-

Spike si inchinò a sua volta sorridendo.

-Più che altro speravo di fare due chiacchiere con voi Maestro-

L'uomo sorrise in tralice prima di condurlo fuori dalla bottega nei pressi di una piccola costruzione di legno e cartone. Dall'interno provenivano grida acute e rumori di battaglia.

-Questo è il nostro dojo. Qui i seguaci della via della spada vengono a imparare l'arte del primo Musashi-

Spike assentì silenziosamente guardando di sfuggita una ventina di ragazzini che si stavano allenando con spade di bambù e altre armi.

-La leggendaria spada nera e scarlatta è stata forgiata dai suoi antenati, la sua storia si tramanda di generazione in generazione nella mia famiglia-

Spike riportò di colpo l'attenzione sull'uomo.

-Allora saprai dirmi perché la vostra leggendaria spada non funziona più-

E così dicendo aprì la custodia della chitarra ed estrasse la spada dal doppio fondo.

L'uomo studiò l'arma con pazienza.

-E' inutilizzata da molto tempo-

Spike sorrise in tralice.

-Non ho abusato della mia licenza di uccidere se è questo che intendi-

L'uomo assentì silenziosamente fissando lo sguardo sulla lama nera trovandola insolitamente opaca.

-Il capostipite della nostra scuola, Miyamoto Musashi, ha combattuto più di sessanta duelli prima di compiere i trent'anni e ha sempre seguito la via della Spada. Non si è mai preoccupato della morte o della tecnica, ma solo di diventare tutt'uno con la sua spada-

Spike si sedette accanto al vecchio, apparentemente placato dalla sua voce serena.

-Per chi segue la Via non contano la grandezza, la forma o il materiale della spada. Il metallo arrugginisce, il legno diventa marcio. Ciò che conta è lo spirito della spada e lo spirito non muore mai-

-O quasi mai. Immagino che il mio caso sia l'eccezione che conferma la regola-

-Nessuna eccezione, cavaliere-

-Andiamo, sono sicuro che il tuo adorato nipote ti ha fatto un resoconto dettagliato dei miei ultimi fallimenti. Lo spirito di cui parli è morto e la tua preziosa spada è diventata una spada qualunque, buona per tagliare un pezzo di seta, ma non per affrontare i demoni che infestano la Bocca dell'Inferno-

L'anziano fece una pausa come se stesse riflettendo, ma Spike aveva la netta sensazione che quel discorso fosse pronto da anni e che anzi quelle parole si fossero tramandate identiche da padre a figlio in quella famiglia.

-Molti credono che la spada sia forgiata a immagine e somiglianza del suo portatore, che sia lo spadaccino a scegliere la propria arma. E spesso è così infatti. Ma ci sono armi, come questa, il cui spirito è così potente e indomito da non accettare un portatore qualunque. In altre parole è la spada a scegliere il cavaliere e a influenzarne il destino-

Spike scosse il capo ridendo piano.

-Non mi mancava altro che una spada che mi desse ordini. Sempre per via del libero arbitrio-

-Il legame tra la spada e il cavaliere non conosce subordinazione. Si tratta di sintonia non di possesso-

Spike si sporse verso verso il vecchio e abbassò il tono della voce come se volesse tenere quella parte di conversazione solo per loro.

-L'unico problema è che non si può essere in sintonia con qualcosa che è morto-

Il vecchio non si mosse.

-Lo spirito non è morto. Semplicemente non si trova più all'interno della spada-

Spike serrò le labbra. Sapeva dove sarebbe andata a parare quella conversazione. Diamine lo sospettava da parecchio tempo.

-Perché vuoi che ti dica cose che già sai?-

Già. Perché? Forse perché fino a che era solo un sospetto, una sua idea, poteva semplicemente pensare di essere pazzo o paranoico. Poteva convincersi che non fosse vero. Aveva bisogno di sentirlo da qualcun altro. Qualcuno che non fosse così coinvolto. Qualcuno che potesse mettere in piazza quella verità senza scomporsi. Lasciò che l'anziano continuasse a parlare dando voce ai suoi pensieri.

-Quando la spada cade in mani inadeguate il suo spirito migra al di fuori di essa e sceglie un ospite destinato ad accoglierlo. Il potere della spada si irradia in questo ospite e gli conferisce uno status d'eccezione, quasi un'invulnerabilità. Ma per quanto incarnati in forme diverse la leggenda dice che la spada e il cavaliere sapranno sempre riconoscersi a tempo debito e il loro schieramento congiunto determinerà le sorti del nuovo mondo-

L'anziano si alzò in piedi con movimenti misurati. Nessun muscolo nel suo corpo compiva uno sforzo che non fosse assolutamente necessario.

-Molti neppure sospettano la migrazione dello spirito e si concentrano sulla spada in quanto oggetto invece che sull'essenza del suo potere-

Spike lo guardò in tralice alzandosi a sua volta.

-Ma non è il tuo caso, vero?-

Kanemitsu Musashi piegò le labbra sottili in un sorriso consapevole.

-Ti aiuterò a riportare lo spirito della spada nel corpo dell'ospite, ridandogli la vita che è ora sospesa-

Spike scrutò il vecchio. Sapeva che tutta quella disponibilità nascondeva qualcosa. Sapeva che nessuno fa niente per niente. Avrebbe dovuto informarsi, contrattare, chiarire tutti i termini dell'accordo.

Avrebbe dovuto, appunto. Ma sapeva anche che non l'avrebbe fatto, perché in fondo c'era una sola cosa che lo interessava al momento.

-Allora cosa aspettiamo?-

Il vecchio fece un mezzo sorriso, come se non si fosse aspettato altra risposta che quella. Batté le mani due volte in modo secco e deciso. Sulla soglia comparve una donna dai lineamenti orientali. Gli occhi e i capelli, neri e lucidi come le ali di un corvo, sembravano capaci di splendere anche nell'oscurità. Pur non avendola mai vista, Spike la riconobbe all'istante. Un demone originario, di una purezza che fino a quel momento aveva soltanto intravisto, mescolata com'era ad altre esperienze e sostanze.

-Portate il corpo-

Non passarono che pochi istanti prima che Hiro e Robin, preceduti dal demone di sembianze femminili, entrassero sorregendo il corpo di Buffy per poi depositarlo sul pavimento di legno, al centro della stanza.

Spike provò un fastidioso senso di ineluttabilità osservando quella scena.

-Come...-

Come avete saputo dov'era il corpo? Come avete fatto a prenderlo senza che ce ne accorgessimo? Come sapevate che avrei chiesto il vostro aiuto? Come avete capito che avrei dato qualunque cosa per riportarla qui?

Spike lasciò che tutte quelle domande gli inondassero violente la coscienza, ma non diede voce neppure a una di loro. Perché ormai era tardi per fare quel tipo di domande. Ormai c'era una sola cosa che aveva senso chiedere.

-Come devo fare?-

+ + +

Buffy spostò lo sguardo dal volto di sua madre al tavolino da salotto su cui troneggiava una confezione di antidepressivi. Per l'ennesima volta. E ancora non sapeva cosa rispondere. Né tantomeno cosa fare.

Sua madre le prese una mano tra le sue, con una stretta sicura.

-Tesoro, si tratta solo di un breve periodo. Giusto fino a che gli incubi non passeranno-

Buffy non riusciva a sentirsi confortata. All'improvviso le mani di sua madre le sembravano una morsa che la imprigionava piuttosto che un porto sicuro a cui approdare, come era sempre stato.

-Sono sicura che passeranno...da soli. Con un po' di tempo io...-

Vide i suoi genitori seduti di fronte a lei scambiarsi uno sguardo di intesa. E come sempre si sentì esclusa da quell'intesa. Era come trovarsi in mezzo a una folla di gente che parlava di te come se tu non ci fossi. Odiava quella sensazione.

Fu suo padre a riprendere il discorso non senza essersi prima alzato e averle circondato le spalle con un braccio deciso.

-Tua madre e io pensiamo che non sia il caso di aspettare che la situazione peggiori. Ricordi anche tu cosa è accaduto l'ultima volta che abbiamo trascurato questa...cosa-

Questa cosa. Buffy sorrise involontariamente. Non riuscivano neanche a parlarne esplicitamente, figurarsi se potevano affrontarla. La "cosa" di cui parlava suo padre, quel mostro enorme che sedeva tra loro e che tutti fingevano di non vedere, quella malattia che le annebbiava la mente non stava erodendo solo lei dall'interno, ma anche i legami esterni che aveva con quel mondo. Il suo mondo.

Schizofrenia.

Non era così difficile dirlo in fondo. Non era neanche una parola particolarmente complicata da pronunciare.

I suoi medici curanti l'avevano ripetuta così tante volte nel corso degli anni che ormai era parte di lei. Lo sarebbe stata sempre. Eppure aveva sperato, anzi si era illusa che quella compagna ingombrante fosse diventata improvvisamente infedele. Che se ne fosse andata a tormentare qualcun'altro.

Le dita di suo padre si serrarono sulla sua spalla riportandola alla realtà. La sua realtà. Quella dove doveva decidere da che parte stare. Di nuovo.

Non che si trattasse di una vera scelta. Era evidente che c'era un'unica cosa da fare.

Buffy prese la confezione di pillole e si alzò dal divano sotto gli sguardi rasserenati dei suoi genitori.

-Allora vado a riposare un po' prima di cena-

I suoi genitori si scambiarono uno sguardo preoccupato.

Sua madre assentì commossa e le andò incontro per abbracciarla.

-E' la soluzione migliore tesoro. Vedrai che quando ti sentirai meglio sarai d'accordo con noi-

Buffy assentì distrattamente prima di sciogliersi da quell'abbraccio mai così opprimente.

Salì le scale lentamente, un'improvvisa stanchezza nelle ossa. Quandò arrivò finalmente nella sua stanza le sembrò di aver conquistato la vetta di una qualche montagna sacra. Si buttò sul letto senza grazia sprofondando tra i cuscini color crema perfettamente intonati alle tende di organza. Chi l'aveva scelto quel colore?

Girò la testa su un lato fissando lo sguardo sul comodino. Un bicchiere d'acqua fresca su un vassoio da colazione insieme a una mela e i suoi biscotti preferiti. Aveva preparato tutto, come se già sapesse quale decisione avrebbe preso. A volte la spaventava la facilità con cui sua madre prevedeva le sue azioni. O forse quello che la spaventava era il fatto che le orientava?

Cosa c'era di male a voler cambiare il menù di Natale. Le sembrava quasi che tutti i problemi fossero cominciati da lì.

Strinse le pillole tra le dita sentendo il cartoncino della confezione che si deformava lentamente.

Perché non poteva fare di testa sua per una volta?

Perché la tua testa non funziona a dovere, tesoro.

Buffy serrò le labbra, chiudendo gli occhi con ostinazione.

Poteva farla funzionare. Era solo una questione di volontà. Poteva funzionare. Tutto poteva funzionare. Lei poteva funzionare.

Riaprì gli occhi fissando l'acqua immobile e trasparente nel bicchiere di vetro, le pillole ancora strette nella mano.

Sapeva di poterlo fare.

Poteva addormentarsi e sognare e ritornare nel suo mondo.

Doveva solo decidere qual era.

+ + +

Giles assentì silenziosamente continuando a fissare il vuoto di fronte a sé. Lo faceva da diversi minuti ormai e non sembrava avere intenzione di smettere.

Ma Xander ne aveva abbastanza di aspettare con pazienza che gli eventi facessero il loro corso.

-Bè che aspettiamo? La benedizione divina? Notizia flash, stiamo probabilmente per sovvertire l'ordine universale e violare le leggi che regolano la vita e la morte, per la seconda volta. Perciò dubito che lassù qualcuno ci ami-

L'Osservatore si voltò a guardare il gruppo di persone in piedi alle sue spalle.

-Voglio essere certo che abbiate compreso pienamente la portata di questo rituale. Qui non si tratta semplicemente di trasferire uno spirito da una dimensione ad un'altra, cosa che già di per sé comporta una serie di rischi e conseguenze che non sono nuovi a nessuno di noi...qui si tratta di ancorare uno spirito ad un altro, di subordinare l'esistenza di una creatura a quella di un'altra e senza possibilità di ritorno-

Xander si alzò in piedi scrollando le spalle.

-Cominciamo?-

Anya si lasciò sfuggire un sorriso. Era sempre così con Xander. Faceva sembrare tutto semplice. Ma guardando negli occhi l'uomo, il demone poteva leggere tutto il coraggio necessario a nasconderela paura. La stessa paura che provava anche lei al pensiero di legare il proprio destino a quello così fragile di una cacciatrice.

-Non sto cercando un volontario, Xander. Vorrei solo che fossimo tutti consapevoli di quello che stiamo per fare-

-Per riportare qui lo spirito di Buffy dobbiamo legarlo a uno di noi. Se una volta tornata Buffy dovesse morire, chiunque di noi abbia scelto di diventare il suo punto di ancoraggio morirà con lei. Io direi di giocarcela alla morra cinese. Sasso, carta o forbice?-

L'osservatore lo guardò duramente.

-Come ti dicevo, non sono in cerca di un volontario e tanto meno ho intenzione di affidare una questione di tale importanza alla sorte-

Xander sbuffò alzando gli occhi al soffitto.

-E allora Signor Giles come pensa che dovremmo scegliere?-

-Non c'è nessuna scelta da fare, Xander. La questione che vi ho posto non entra nel merito di chi farà da ancora a Buffy, volevo soltanto verificare che foste ben consapevoli di quello che mi aiuterete a fare-

Willow serrò le labbra, ma non riuscì comunque a trattenersi.

-E' così e basta, vero? Ha deciso di sacrificarsi per la sua cacciatrice come un bravo e morigerato osservatore. Sono questi i nuovi ordini del Consiglio?-

Giles la fissò negli occhi senza scomporsi.

-A dire il vero il Consiglio ritiene che la soluzione migliore sarebbe attivare una nuova Cacciatrice, data l'attuale indisponibilità di Buffy-

Willow fece per replicare, ma l'uomo non gliene diede il tempo.

-Da parte mia ho manifestato il mio totale disaccordo con la loro linea di condotta-

Giles si aggiustò gli occhiali sul naso, come d'abitudine.

-Mi è stato risposto che in quanto semplice Osservatore non ero nella posizione di contestare gli ordini dei membri anziani-

Xander si avvicinò all'osservatore.

-E lei che ha fatto signor Giles?-

Rupert Giles si alzò dalla poltrona in cui era rimasto seduto fino a quel momento. Poi guardò uno a uno tutti i presenti e rispose esattamente quello che tutti si aspettavano.

-Li ho mandati al diavolo-

Anya guardò Xander e vide il suo volto illuminarsi del primo vero sorriso da quando lo spirito di Buffy era per così dire emigrato in altri lidi.

-Sono con lei su tutta la linea signor Giles. Andiamo a fare gli eroi-

-E' troppo tardi per fare gli eroi-

Tutti si voltarono verso l'ingresso dove era apparsa Dawn, come dal nulla.

Xander le sorrise con calore.

-Dawnie, ce la faremo vedrai. Arriveremo in tempo-

Dawn scrollò le spalle e ricambiò il sorriso.

-In tempo forse, ma non prima di Spike. Mi spiace deludervi ma l'eroe del giorno sarà lui-

Giles si avvicinò alla ragazzina studiandone lo sguardo ma lo trovò insondabile. La cosa lo turbò più di quanto avrebbe dovuto.

-Stai dicendo che Spike ha deciso di compiere il rituale da solo?-

-Sto dicendo che essere l'eroe del giorno non dipende da quello che facciamo, ma dal fatto che lo facciamo prima degli altri-

+ + +

Avevano legato i loro polsi recisi con un nastro di velluto color porpora. Mentre sentiva il suo sangue defluire e mescolarsi a quello della ragazza distesa accanto a lui, Spike pensava che tutto questo era molto simbolico. Tipica scena da romanzo di Anne Rice.

Naturalmente in un romanzo di Anne Rice lui e Buffy sarebbero stati distesi tra lenzuola di seta nere, magari con una profusione di candele ad illuminare tenuamente la stanza dall'arredo barocco. Possibilmente nudi. magari avvinghiati. Sicuramente non circondati da almeno dodici persone che andavano e venivano come se quello fosse stato il corridoio di un pronto soccorso. Un po' di atmosfera che diamine. E per la cronaca il pavimento trasudava umidità.

Incontrò lo sguardo di Robin seduto sul fondo della stanza. Non sembrava convinto come voleva far apparire con i suoi discorsi da "salveremo il mondo e festeggeremo con una bottiglia di whiskey d'annata". Puntò di nuovo gli occhi verso il soffitto di legno.

In fondo non era poi tutto questo granché. Giusto uno scambio di sangue. Certo non era la prima volta. Certo in questo caso invece di conquistarsi l'immortalità ci stava rinunciando. Ma il prezzo era sempre lo stesso. Una vita. Solo che in questo caso, invece di perdere la sua stava ridando a Buffy quella che le avevano strappato già più di una volta.

E ringraziando Dio se fosse successo di nuovo lui non sarebbe stato lì a piangere sul suo cadavere. Sarebbe stato l'altro cadavere accanto a lei.

Tutto sommato nel cambio ci stava guadagnando.

Il soffitto diventava sempre più opaco mentre le travi di legno si confondevano una sull'altra intrecciandosi in modi strani e assolutamente innaturali.

Pensò che probabilmente stava svenendo, ma prima che quel pensiero si completasse nella sua mente si ritrovò seduto sulla panchina del giardino.

Il suo giardino.

Si trattava di capire se si trovasse sopra il tetto della sua casa a Sunnydale o sopra quello di una villa vittoriana a Londra.

O magari era da tutt'altra parte.

In fondo quel giardino ormai era una porta dimensionale, non si poteva essere certi di quale fosse il mondo su cui si apriva la sua porta di ingresso.

-Chi sei?-

Spike si voltò di scatto in direzione della voce femminile e di colpo seppe che dovunque si trovasse in quel momento era nel posto giusto. Perché lei era lì. Sulla soglia del giardino a non più due metri da lui. Due metri che sembravano duecentomila chilomentri.

La vide trattenere il respiro.

-Sei tu-

Non riusciva a risponderle. Non sapeva cosa risponderle. Non sapeva cosa vedeva in lui, ma certo dal suo sguardo sembrava qualcosa che la terrorizzava a morte.

-Sei tu che mi tormenti-

Buffy fece per rientrare in casa e chiudere la porta.

-Aspetta!-

Spike si stupì delle sue stesse parole. Socchiuse gli occhi un istante, prima di continuare.

-Se chiudi quella porta portresti non avere più la possibilità di riaprirla-

Buffy si fermò sulla soglia senza osare voltarsi.

-Cos'è che vuoi?-

Te. Ecco come le avrebbe risposto Spike. Il demone che popolava i suoi sogni. La creatura che ora si trovava alle sue spalle, in quel giardino che non sapeva di avere. Magari avrebbe accompagnato quella dichiarazione con uno sguardo sensuale e predatorio, così che non fosse chiaro fino a che punto quella risposta fosse un tentativo di seduzione o una minaccia di morte.

Come aveva fatto la notte in cui l'aveva minacciata di morte nel vicolo dietro al Bronze. E all'improvviso tutto le si schiarì davanti agli occhi.

-Sono reali, vero?-

Lui rimase in silenzio, come se non avesse capito la domanda.

-Quei sogni che faccio...il mondo che vedo nella mia testa quando chiudo gli occhi...esiste davvero-

Spike serrò i pugni lungo i fianchi.

-Esiste almeno quanto il mondo che si trova oltre quella porta-

Buffy strinse le labbra come a trattenere un fremito. Di rabbia o di paura, Spike non avrebbe saputo dirlo.

-Perché sei venuto a cercarmi?-

Glielo chiese dolcemente, ma lui rabbrividì ugualmente distogliendo lo sguardo, come un accusato consapevole della propria colpevolezza.

-Se le cose che ricordo sono accadute davvero, tra noi...dopo tutto quello che ci siamo fatti...il modo in cui ci siamo feriti. Perché non sei rimasto lontano?-

Lontano. Come avevano fatto gli altri. Lontano. Come Angel e Raley. Lasciandola a tentare inutilmente di raccogliere i pezzi del suo cuore.
Ma non Spike. Anche dopo tutto quello che lei gli aveva fatto e anche dopo tutto quello che lui aveva fatto a lei. I loro cuori avevano continuato a cercarsi. Anche in quel mondo perfetto che la sua immaginazione aveva allestito per lei, anche lì aveva sentito la sua mancanza.

Un battito delle sue lunghe ciglia scure, quel suo modo così familiare di reclinare la testa e fissarla come se fosse l'unica creatura esistente al mondo.

-Non riesco a lasciarti-

Il calore del suo sguardo le bruciò il viso, e Buffy fu costretta ad abbassare gli occhi, concentrandoli sulle sue mani.

-Ci ho provato. Più volte. Ho tentato di dimenticarti, di convincermi che saresti stata meglio senza di me...che io sarei stato meglio senza di te-

Spike scrollò le spalle, un sorriso leggero e inevitabile sulle labbra.

-Ma ho vissuto senza di te già una volta. E non mi è piaciuto-

E come sempre la colpì, dritto al centro del cuore. Ogni volta era come essere sollevati verso il cielo, un cielo pieno di stelle e sentirsi una stella di quel cielo, un punto luminoso nell'oscurità. E per la prima volta, Buffy non lottò contro quella sensazione, ma vi si abbandonò completamente, lasciando perdere tutto il resto.
Impossibile muoversi o pensare. Si poteva solo ricordare. Piccoli frammenti di tempo le scivolarono davanti agli occhi come le immagini di un vecchio film. Una mano sulla sua spalla, una carezza incerta che la consola, sui gradini del suo portico.
Buffy sentì che il respiro le si bloccava in gola, annebbiandole la mente e impedendole di comprendere le parole che lui le stava rivolgendo.
I suoi pensieri continuavano a concentrarsi sulle piccole cose, i dettagli che avrebbe dovuto notare, i dettagli che solo ora le si schiarivano davanti agli occhi.

-Adesso rispondi tu a una domanda-

Buffy lo vide trattenere il fiato e lo incoraggiò a continuare.

-Sei felice?-

Lo disse semplicemente, aspettando che lei rialzasse lo sguardo per incontrare il suo, prima di continuare.

-Io non so in che mondo tu sia finita, non so che tipo di vita stai vivendo, ma se sei felice...se pensi di avere finalmente la vita che vuoi...rientra in casa e chiuditi quella porta alle spalle per sempre-

Lei gli sorrise allora, anche se stava piangendo. Un secondo prima di oltrepassare la soglia e chiudersi la porta alle spalle.

+ + +

Si svegliò di soprassalto nel suo letto.

Per un attimo ebbe paura di non essere riuscita a oltrepassare la soglia, di essere tornata di nuovo nel mondo dove era una semplice ragazza che aveva sposato un semplice ragazzo e conduceva una semplice vita normale.

O forse era peggio e si trovava in un altro universo ancora, un mondo di cui doveva ancora imparare le coordinate.

-Dove sono?-

-Sei a casa-

Vide Dawn ai piedi del letto e sospirò di sollievo. Perché era chiaro che sua sorella esisteva solo nel suo mondo anormale e disfunzionale.

-Grazie a Dio-

Sua sorella si strinse nelle spalle.

-Credo che Dio c'entri poco in tutto questo-

Buffy le carezzò una guancia con dolcezza.

-Hai ragione. E' voi che devo ringraziare-

La ragazzina sembrò a disagio di fronte a quella manifestazione d'affetto. Buffy si morse un labbro. C'era tempo. Sarebbe stato difficile, ma voleva recuperare il loro rapporto. A ogni costo.

E a proposito di rapporti da recuperare.

-Spike è...-

-Con Willow. A quanto pare ha deciso di riunirsi alla compagnia dell'anello...o della spada e del paletto...insomma...-

-E' tornato a casa-

Dawn guardò la gioia accendersi sul volto di sua sorella. E l'odio le salì alla gola sgorgandole naturalmente dalle labbra.

-E che altro avrebbe potuto fare? In fondo dipende da te ormai-

-Cosa vuoi dire?-

Dawn scrollò le spalle come se stesse constatando l'ovvio.

-Spike ha bisogno del tuo sangue per sopravvivere, è così da quando glielo hai dato volontariamente. Tanto più adesso che ha rinunciato all'immortalità per riportarti qui-

Buffy scosse la testa come inebetita, mentre Dawn la fissava incredula.

-Ma come...non è questo che ti ha detto per convincerti a tornare qui?-

Buffy scosse la testa di nuovo.

-Non voleva convincermi a tornare...Mi ha detto che se ero felice in quel mondo dovevo rimanerci-

-Che razza di idiota! Possibile che non gli sia ancora passata la vocazione al martirio?-

Dawn si sentiva ribollire di rabbia, poi un pensiero la colse all'improvviso. Un pensiero fastidioso.

-E tu perché sei tornata? Quello era il tuo mondo perfetto...il mondo dei tuoi sogni!-

Ti avevo aperto la porta del paese delle meraviglie dannazione.

-Allora perché?-

Buffy fu colpita dalla semplicità con cui la risposta le si formò nella mente.

Perché lo amo.

Eccola la rivelazione. L'epifania finale.

Lo amava.

Buffy ama Spike.

Riusciva a vedere perfettamente la scritta intagliata sul tronco di un vecchio albero, magari all'interno di un bel cuore trafitto da una freccia. Anzi le frecce erano almeno un centinaio.

E sì, naturalmente coglieva la contorta ironia di tutta la situazione.

Ma il punto era che non le importava.

Non le interessava se il loro amore fosse giusto o sbagliato, sano o disfunzionale. Non le interessava dove li avrebbe portati. Se li avrebbe salvati o perduti.

Lo amava. Punto.

Egoista ed egocentrica?

Salve, qui è Buffy Summers che parla. Dov'è la novità?

Non avrebbe saputo dire da quando, né quanto. Ma lo amava.

E naturalmente, in perfetto stile Buffy Summers, la rivelazione le arrivava ora che il mondo era sull'orlo della più grande Apocalisse che la storia ricordasse. Un tempismo perfetto. Come da copione.

All'improvviso le venne da ridere. Inutile trattenersi. Si lasciò andare senza remore, mentre sua sorella la guardava come se fosse impazzita.

-Buffy, ti senti bene?-

Scosse la testa senza riuscire a smettere di ridere.

-Forse dovresti...-

Guardò negli occhi sua sorella, ogni residuo di ilarità improvvisamente dimenticato.

-Sì hai ragione. Devo dirglielo-

Dawn la trattenne per un braccio cercando di farla ragionare.

-Dirgli cosa? E a chi?-

Naturalmente già conosceva le risposte a quelle domande, ma sentirle pronunciare da sua sorella diede alla cosa un che di inevitabile.

-Dire a Spike che lo amo-

La fermò di nuovo che era già sulla soglia della stanza, pronta a scendere.

-Aspetta Buffy, sei confusa...sei appena tornata da una dimensione alternativa...probabilmente il tuo comportamento è ancora influenzato da quello che ti è successo in quel mondo...-

-Giusto-

Dawn tirò un sospiro di sollievo. Forse aveva momentaneamente evitato il peggio. Sua sorella le stampò un bacio in fronte.

-Devo sbrigarmi prima di tornare la zitella acida che ero-

E con quelle parole si precipitò fuori dalla stanza.

-Non ti preoccupare questa volta andrà tutto bene!-

Le urlò prima di uscire sbattendo la porta.

-Tutto bene-

Dawn si lasciò ricadere sul letto. Esausta. Aveva sperato che Buffy, costretta a tornare in quel mondo che odiava per colpa delle necessità di Spike, avrebbe finito per odiare anche lui. Ma aveva sottovalutato il loro legame. E ora...

-E' finita-

-Non dire sciocchezze, tesoro-

Dawn rise sommessamente.

-Gli dirà che lo ama, lui le rivelerà di non avere mai smesso di amarla e tutti vivranno felici e contenti-

-Questa non è una favola, Dawnie-

Dawn scosse la testa irritata.

-Ho perso, mamma. E' inutile fare finta che non sia vero-

-Hai perso certo. Ma una battaglia. Non la guerra-

Dawn guardò il volto sorridente di sua madre e per la prima volta ebbe paura di lei. E di se stessa.

-Cosa vuoi dire?-

-Tesoro, se te lo dicessi adesso ti rovinerei la sorpresa!-

+ + +

Stava per arrivare. Stava per arrivare da lui. E si sentiva viva e confusa, nello stomaco un groviglio di sensazioni senza senso. E non era da lei. Ma non importava. Perché stava per arrivare.

Non aveva la minima idea di cosa gli avrebbe detto.

Una volta le cose erano più semplici. Si sarebbe semplicemente lasciata scaldare e spogliare. E il mondo, i problemi, i doveri, gli amici e tutto il resto, sarebbero solo diventati uno sfondo sfumato, appena distinguibile dietro i loro corpi avvinghiati.

Ma ora era pronta. Era pronta per tutto il resto. Solo che non era pronta a vederlo così.

Aveva attraversato la soglia e oltrepassato un'attonita Willow senza neanche prendersi il tempo di salutare. Era salita su per quelle scale facendo i gradini a due a due fino a raggiungere il tetto dell'edificio. Aveva spalancato la porta di quel giardino che ormai conosceva a memoria come se fosse stato di sua proprietà.

E ora si ritrovava lì, di nuovo su quella soglia. Ansimante. E assolutamente impreparata a vederlo così.

In pieno sole.

Il tetto di vetro di quella che era diventata una serra più che un giardino lasciava filtrare pienamente la luce di quel pomeriggio d'inverno e il calore che avvolgeva quel luogo era stranamente confortante e familiare.

Lui era appoggiato allo schienale della panchina di pietra, rilassato. Aveva gli occhi chiusi, come per assaporare meglio tutta quella luce. Il suo volto, il suo corpo le sue mani, tutto di lui tornava ad essere presente e reale di fronte a lei. Si rese conto all'improvviso che aveva vissuto il loro precedente incontro come una sorta di sogno a occhi aperti. O incubo a dirla tutta. Sì. Era quasi riuscita a convincersi che quello che era accaduto non fosse reale o quanto meno appartenesse a una realtà distorta e fittizia. Ma questo. Oh. Questo era reale. La sua intollerabile bellezza era reale. Il suo modo sfrontato di starsene lì fermo a godere di quel momento come se non ci fosse un domani.

Se si fosse di nuovo comportato come la notte in cui l'aveva rivisto, allora avrebbe saputo che il suo distacco era reale. Eppure, anche con quella pesante consapevolezza sulle spalle, Buffy sentì la morsa che le aveva stretto lo stomaco da quando lui l'aveva lasciata sciogliersi di colpo.

Dio, per la prima volta capiva cosa doveva aver provato lui in tutti quei mesi. Era terrificante. Dipendere così da qualcuno per provare qualcosa...per essere felici o semplicemente vivi. Era terrificante. E al tempo stesso era come una droga di cui non si poteva fare a meno.

Lo vide aprire gli occhi e girarsi verso di lei, come se in qualche modo l'avesse sentita, nonostante lei fosse rimasta in silenzio. Come se avesse percepito il suo moto interiore, nonostante fosse rimasta immobile.

Rimasero lì a fissarsi, il blu oltremare dei suoi occhi riversato su di lei, come un torrente in piena.

Il silenzio sembrò incantarli con la sua durata senza tempo. Lo spazio intorno a loro divenne rarefatto come l'aria di quell'inverno.

E quando sembava che non ci fosse più nient'altro da dire, Spike parlò.

-Quello che ti ho detto in giardino...l'altro giardino. Il fatto che io sia tornato in città-

Distolse lo sguardo, come cercando di trovare la frase giusta. Ma non c'era un modo dolce per scaricare qualcuno. Lui lo sapeva meglio di chiunque altro.

-Non è un modo per tornare insieme. Questo lo capisci vero?-

D'accordo. Immaginava che non sarebbe stato facile. Per qualche istante Buffy rimase intrappolata nell'intensità del suo sguardo.

-Sai qual è il mio difetto peggiore?-

Lo disse con la voce percorsa da un'emozione sottile, ma senza mai distogliere gli occhi dal volto di lui.

-Non so rassegnarmi-

I suoi occhi mostravano una sicurezza che non provava.

-Neanche di fronte all'evidenza, neanche se capisco che sarebbe meglio per me e per le persone che mi stanno accanto-

Si passò le mani sulla giacca stirando pieghe inesistenti.

-Non ci riesco-

Lacrime di rabbia le bruciavano dietro gli occhi ma le ricacciò in gola.

-Continuo a insistere e a combattere fregandomene di chi ferisco o del prezzo che dovrò pagare alla fine-

Spike sentiva le mani percorse dall'istinto irrefrenabile di stringerla, di accarezzarla, di consolarla. Perché era una Buffy diversa quella che aveva di fronte, una Buffy che non sapeva come trattare.

-Mentre ero in quel mondo perfetto, amata e serena, senza un solo problema al mondo...ho capito quanto sei importante per me, più di quanto potessi immaginare. Perché nonostante avessi tutto quello che credevo di volere, tutto quello che avevo sempre pensato di desiderare...continuavo lo stesso a sentire la tua mancanza-

Continuò a guardarlo senza lasciare che l'emozione del momento le facesse tremare la voce. E poi lo disse. Semplicemente.

-Ti amo-

Ti amo.

Due parole che avrebbero dovuto far crollare il mondo. O far sciogliere i ghiacci del Polo Nord. Magari con una musica di refrain in sottofondo. Spike restò in attesa, ma tutto rimase immobile intorno a lui, come se niente fosse successo.

-Tu mi ami-

-Ti amo. Sono tua. Vedi? Hai tu il potere adesso-

La guardò per diversi istanti, senza sapere cosa diavolo si era aspettato di sentirsi dire.

-E cosa dovrei fare *adesso*, gettarmi ai tuoi piedi e adorarti per il resto della mia vita?-

La sua voce era densa di sarcasmo, ma una parte di lui avrebbe voluto fare esattamente quello. Arrendersi, abbracciarla, amarla, gioire del suo amore, magari telefonare ad Angel e sbattergli in faccia che la Cacciatrice aveva scelto lui dopotutto. Eppure qualcosa lo frenava, una sensazione inafferrabile ma incombente che gli impediva di abbandonarsi a quel momento.

Buffy gli sorrise disarmante.

-Non è necessario inginocchiarsi, puoi anche rimanere in piedi se vuoi-

La guardò disgustato. O almeno tentò di farlo, ma aveva come l'impressione di apparrire più smarrito che altro. Aveva bisogno di una sigaretta.

Buffy si avvicinò ma senza superare la distanza di sicurezza.

-Puoi anche chiedermi di andarmene se vuoi. Te l'ho detto, hai tu il potere adesso-

E all'improvviso capì. Voleva che se le riprendesse. Tutte le cose che aveva detto. In quell'attimo di cruda lucidità riuscì ad ammettere a se stesso che non era Buffy il problema. Era lui. Non si fidava più di se stesso, soprattutto quando si arrivava a lei. Non la voleva così vulnerabile. Non nelle sue mani. Quel potere di cui lei parlava. Non lo voleva.

-Torna a casa Buffy-

Le indicò la porta.

-Conosci la strada-

Non rimase a guardare per vederla andare via, si concentrò invece nella ricerca di una sigaretta. Ovviamente lei non si mosse. Era furioso. E non riusciva a capire il perché.

-Credevo avessi detto che avevo io il potere-

Il sarcasmo impregnava ogni sua sillaba mentre imitava la voce di lei.

-Credevo avessi detto che potevo chiederti di andartene-

Gettò a terra il pacchetto di sigarette che aveva appena trovato. Scosse la testa lasciandosi cadere sulla panchina e distogliendo lo sguardo. La sua voce risuonò calma e quasi annoiata quando parlò di nuovo.

-Non ti ho mai chiesto di venire a cercarmi e se sono tornato non è per stare con te-

Lo pensava davvero questo. Perché stare con lei sarebbe stato di nuovo incasinato e doloroso. E non sarebbe sopravvissuto. Non una seconda volta.

Non riusciva a starle lontano, questo ormai era appurato. Ma poteva obbligare lei a stargli lontana. Solo che si stava rivelando più difficile del previsto. Le fece di nuovo cenno di andarsene, ma lei si ostinava a rimanere lì a subire le sue parole frustrate. Senza replicare. E questo lo faceva impazzire più di tutti gli insulti che gli aveva sempre lanciato contro. Quelli se non altro erano rassicuranti. Li rivoleva dannazione.

-Ovviamente dopo averti visto piagnucolare dietro al vecchio Angel per anni, avrei dovuto capire che non eri una facile da scaricare-

Spike abbassò la voce come se quello che stava per dire fosse una confidenza che doveva rimanere tra loro.

-E vuoi sapere una cosa, Buffy? Non sei per niente attraente quando piagnucoli-

Non fu sorpreso quando quell'ultima stupida provocazione la fece reagire. Nominare Angel voleva sempre dire andare sul sicuro.

La vide dirigersi verso la porta che aveva lasciato aperta, senza voltarsi indietro.

Spike mantenne la sua aria indifferente, mentre i suoi occhi seguivano ogni suo movimento. Sapeva che quando l'avrebbe vista andare via questa volta sarebbe stato per sempre. Magari non fisicamente, avrebbero dovuto rivedersi per forza di cose. Ma emotivamente sarebbe stata più lontana che mai. La sua rabbia si trasformò lentamente in qualcos'altro.

Panico.

La vide fermarsi e stringere la maniglia tra le dita.

Istintivamente socchiuse gli occhi. Si preparò a sentire il suono della prota che si chiudeva insieme a quello delle sue parole d'addio. O magari si sarebbe risparmiata la fatica di parlare e gli avrebbe semplicemente chiuso la porta in faccia. Non sarebbe stata la prima volta.

E la porta si chiuse infatti, con un rumore secco e deciso. Spike riaprì gli occhi giusto in tempo per vederla chiudere la serratura e tornare a voltarsi verso di lui.

Sorrideva con una punta di provocazione negli occhi. Spike si chiese se quello non fosse per caso il Buffybot. Avrebbe spiegato diverse cose.

-Ho detto che potevi chiedermi di andare via, non che io me ne sarei andata-

La sua voce risuonò ancora più calma in contrasto alla rabbia che aveva vibrato in quella di lui.

-Non mi hai ascoltata prima? Non so rassegnarmi-

Spike non riusciva a trovare altre parole. Non riusciva a credere che lei avesse davvero intenzione di rimanere. Non dopo tutto quello che le aveva detto.

-Cosa ci fai qui, Buffy?-

La sua voce era ridotta a un sussurro, svuotata di tutto il sarcasmo e la rabbia che vi avevano vibrato solo qualche istante prima.

-Perché insisti a rimanere?-

Buffy gli sorrise paziente prima di avvicinarsi di nuovo. Sembrava che non avessero fatto altro per anni. Solo questo costante allontanarsi e avvicinarsi. Solo che ora non era più come fare un passo avanti e due indietro. Ora sentiva che la distanza diminuiva ogni secondo di più.

-E tu perché hai rinunciato alla tua immortalità per riportarmi indietro?-

Spike si lasciò sfuggire una risata sommessa.

-E' per questo allora? Ti senti in debito? Vuoi ripagarmi per il bel gesto altruistico che ho fatto? Risparmiati la fatica Buffy. Non l'ho fatto per te, l'ho fatto per me, perché volevo sentirmi migliore per una volta-

-E lo sei-

Spike scosse la testa rassegnato.

-No, non lo sono. E sai cosa ho capito? Qualunque cosa faccia non lo sarò mai. Perché io non agisco per il bene dell'umanità. Non agisco perché è la cosa giusta da fare. Non seguo voci interiori o superiori. Agisco e basta. Seguo il mio istinto. E basta-

Buffy assentì silenziosamente.

-E basta. Sì. Il tuo istinto basta. E' incredibile e inspiegabile. E irritante. Il fatto che tu non abbia bisogno di affidarti alla morale comune, di seguire le regole della società, di credere in una missione o in un destino superiore per fare qualcosa di buono. Cosa importa se non lo fai pensando al bene dell'umanità, cosa importa se non lo fai per un'ideale di giustizia superiore? Tu lo fai comunque, Spike. E' questo che ti rende migliore-

Spike rise sommessamente. O forse quello era un singhiozzo. Non riusciva quasi più a cogliere la differenza. La verità era che conosceva solo due tipi di relazione: il tipo in cui qualcuno lo feriva e il tipo in cui lui feriva qualcuno. E non era questo che voleva con lei. Per lei. Ma voleva qualcosa. Era inutile negarlo. Voleva lei. Anche se sapeva che con ogni probabilità ci sarebbe stato un prezzo da pagare. Anche se sapeva che probabilmente non sarebbe stato per sempre.

Magari erano davvero fatti l'una per l'altro, magari se si davano un'altra occasione le cose avrebbero funzionato, magari poteva davvero essere una persona migliore. Migliore per lei. Magari. O magari era geneticamente programmato per mandare a puttane la sua vita e quella di tutti quelli che avevano a che fare con lui.

-Cosa ci fai qui, Buffy?-

Non riusciva a smettere di farle quella domanda. Non importava quello che lei gli rispondeva. Non le avrebbe creduto fino a che non gli avesse detto quello che lui già sapeva da un pezzo.

-Cosa ci fai qui con me?-

Era un domanda reale, non una di quelle sospese tra il retorico e l'ironico che si divertiva a fare per mettere in crisi il suo interlocutore. Quella domanda metteva in crisi lui. Perché non riusciva a capire come facesse lei a non vedere la realtà dei fatti.

-Non sai riconoscere la merce avariata quando la vedi?-

Le sue parole erano studiate per allontanarla, per strapparle quel velo che doveva esserle calato sugli occhi. Eppure le sue braccia vibravano sotto l'impulso di attirarla a sé e stringerla come se non ci fosse un domani o un dopo. Traditrici.

Buffy si strinse nelle spalle.

-Potrei farti la stessa domanda-

Con passi misurati si diresse verso la panchina e si sedette accanto a lui.

-Credi di essere tanto speciale? Siamo tutti merce avariata, Spike. Tutti vorremmo essere diversi da come siamo, sentirci migliori o semplicemente meglio di come ci sentiamo. Ma questo non significa che non possiamo amare. Anche se non so perché sono viva o se merito di stare al mondo, so che posso amare-

Si voltò a guardare il suo profilo netto, gli zigomi affilati come ghiaccio cesellato.

-So che posso amare te-

Gli prese una mano intrecciando le dita con le sue.

-Una volta hai detto che il giorno in cui avessi finalmente deciso quello che volevo ci sarebbe stata una sfilata, venti dannati tromboni o qualcosa del genere-

Spike si lasciò sfuggire un sorriso mentre si voltava a guardarla e Buffy lo ricambiò con una serenità che non credeva potesse più appartenerle.

-Bè richiama la banda perché ho deciso. Ho deciso che quello che voglio...la vita che voglio, non posso averla senza di te-

Una raffica di vento invernale le fece volare ciocche di capelli biondi davanti alla faccia e in un gesto istintivo Spike glieli raccolse dietro un orecchio.

Buffy smise di respirare nel momento esatto in cui le dita di lui le sfiorarono la guancia. La faceva sentire bene. Ricordava le sue mani. Ricordava quando le risalivano lungo le gambe, la accarezzavano. Ricordava quando la stringevano ed esploravano ogni centimetro del suo corpo.
Anche lui ricordava queste cose quando la toccava così?

Spike chiuse gli occhi.

-Non voglio ferirti-

La sua voce era poco più di un sussurro.

-Perciò non lasciare che lo faccia, d'accordo?-

E come una stupida Buffy iniziò a piangere. Sommessamente da principio, cercando di trattenersi per non tradire quel momento di debolezza. Cercando di mantenere un minimo di autocontrollo per la miseria. Ma era tutto inutile. Era preparata ad affrontare i suoi insulti, i suoi attacchi verbali. Ma non quello. Quella sua tenerezza le toglieva le forze, faceva cadere ogni sua resistenza. Era quello il potere di cui gli aveva parlato. Un potere che aveva sempre avuto su di lei, anche se forse non se ne era ancora reso conto. Anche se si ostinava a non volerlo riconoscere.

Fece quell'ultimo passo, coprendo la distanza che ancora li separava, e gli appoggiò la testa contro il petto. Per un attimo, in quella minuscola porzione del suo cervello che dava ancora segni di vita, si chiese se lui non l'avrebbe allontanata, respinta. Ma poi il suo profumo la avviluppò, ricordandole tutto quello che le era mancato in quei lunghi mesi lontana da lui, tutto quello che avrebbe potuto perdere per sempre. E ogni rimasuglio di razionalità venne spazzato via dal fiume di lacrime che le sgorgò dagli occhi inondandole la faccia e il collo.

"La mia fontanella". Così la chiamava suo padre quando era piccola. Ogni volta che scoppiava in lacrime per qualche stupidaggine le diceva che era proprio come una fontana zampillante, incredibile pensare che una creaturina così piccola avesse tante lacrime in corpo. E poi la abbracciava e la baciava sulla testa e all'improvviso lei non riusciva più a ricordarsi perché stesse piangendo. Ma poi lui se ne era andato e quando si era messa a piangere sua madre non l'aveva abbracciata ridendo. Si era messa a piangere con lei. E così aveva smesso. Di piangere. All'inizio davanti agli altri. E poi quasi del tutto. E ora, proprio ora, doveva ricominciare?

Spike riaprì gli occhi e abbassò lo sguardo su di lei. Non poteva vederla in faccia ma riusciva a sentire ognuno dei suoi singhiozzi vibrare contro il suo petto. Proprio come li aveva sentiti quella notte, sotto il portico, quando l'aveva trovata smarrita al pensiero di perdere sua madre. E proprio come avrebbe voluto fare quella notte la abbracciò. Senza paura, senza pretese e per la prima volta senza prepararsi a essere respinto. La abbracciò, semplicemente. E quando la sentì rilassarsi contro di lui, come se non avesse aspettato altro, qualcosa scattò.

Una connessione che era stata recisa, distrutta o forse non era mai esistita se non nelle sue fantasie, acquistò all'improvviso consistenza.

Buffy percepì il cambiamento nel suo respiro sorpreso e alzò gli occhi su di lui cercando di sorridere tra le lacrime. Patetica. Era l'unica parola appropriata al momento. Si tirò un poco indietro come a volersi dare lo spazio per osservarlo meglio, chiedendosi fino a che punto la sua piccola crisi di nervi avesse cambiato gli equilibri del mondo. Lui la lasciò andare, ma il suo sguardo intenso non rivelava nessuno dei suoi pensieri.

-Immagino che tornare a interpretare la parte della Cacciatrice fredda e senza cuore sia fuori discussione adesso-

D'un tratto le gambe sembravano non avere più la forza di reggerla. Si lasciò cadere sulla panchina, lì accanto chiedendosi se lui l'avrebbe seguita o sarebbe semplicemente rimasto ad osservarla da lontano, come prima. Come sempre.

E invece lui si avvicinò. I primi movimenti che faceva nella sua direzione da quando tutto quel casino era cominciato. Si fermò alle sue spalle e si appoggiò con le mani allo schienale di pietra, a pochi centimetri da lei, ma abbastanza lontano per non rischiare di sfiorarla.

-Non sottovalutarti-

Glielo disse con condiscendenza in un tono soffiato, costringendola a girarsi di alto e a rovesciare il capo all'indietro per percepire pienamente tutte le sue parole.

-Quella parte la reciti ancora benissimo, solo non con me-

Buffy rise stranamente sollevata. Per la prima volta non provava terrore all'idea che qualcuno avesse accesso a una parte così intima di lei.

-Perché ti sei innamorato di me?-

La domanda le scivolò dalle labbra prima che potesse fermarla e d'un tratto le parole erano lì sul tavolo, in attesa di una risposta. L'aveva detto come se il suo amore per lei non fosse mai stato messo in dubbio, come se fosse niente più che un dato di fatto...e naturalmente non mancava quella classica punta di superbo orgoglio che le veniva così naturale. Egocentrismo il tuo secondo nome è Buffy Summers. Dio, sembrava Brenda in una brutta puntata di Beverly Hills. E quanto la diceva lunga sulla sua cultura il fatto che le fosse venuto in mente questo episodio in questo particolare momento?
Per un attimo Buffy pensò che non era poi tanto sicura di volerle quelle risposte. Forse sarebbe stato meglio non averla mai fatta quella domanda. Appoggiò le mani sulla panchina dietro di sé, la testa ancora reclinata per guardarlo negli occhi.

Spike le rivolse uno sguardo indecifrabile.

-Tu davvero non ne hai idea, vero?-

Buffy fece per abbassare la testa ma quegli occhi azzurri puntati su di lei la costrinsero a non distogliere lo sguardo.

-Tu sei la ragione, Buffy-

E all'improvviso era di nuovo lui. Lui che non era mai stato come gli altri, così chiusi e rigidi riguardo le proprie emozioni. Lui che non aveva mai nascosto i propri sentimenti, li aveva gridati al cielo e sfogati contro la terra. Lui con il suo volto che era sempre stato un libro aperto, con le sue emozioni scritte nel leggero tremore delle sue labbra e nel bagliore dei suoi occhi.
E quando si fermò a leggere di nuovo in quegli orizzonti azzurri, Buffy riuscì a distinguere sonetti e liriche profondi come l'amore che li illuminava. Le braccia le cedettero e si lasciò scivolare contro il bracciolo della panchina, cercando un nuovo punto di appoggio, mentre le sue parole la trascinavano lontano.

-Il modo in cui combatti per le persone che ami, senza mai darti per vinta, ma anche il tuo dannato orgoglio che spesso ti impedisce di chiedere aiuto anche se sai di averne un bisogno disperato. Il tuo sguardo e i tuoi sorrisi, perché quando li regali a qualcuno è come se si aprissero tutte le finestre in una casa che era sempre stata chiusa, ma anche il tuo smisurato egocentrismo che ti fa credere di essere la sola al mondo e di avere dalla tua parte tutte le ragioni anche quando sai benissimo di avere torto. E il modo in cui ti ostini a vestirti come se dovessi partecipare a una sfilata di moda anche se devi solo fare una ronda o peggio ancora sventare l'ennesima apocalisse-

Spike sorrise mentre si piegava su di lei, una mano che si spostava sul bracciolo della panchina, fino a sfiorarle le spalle, l'altra che rimaneva stretta sulla schienale, e il volto illuminato da un calore nuovo eppure così familiare.

-Mi sono innamorato del pacchetto completo Buffy Summers. Né più né meno. Perché con tutte le tue qualità e con tutti i tuoi indubbi difetti, ti trovo...rifulgente-

E all'improvviso Buffy non aveva più voglia di piangere. All'improvviso aveva voglia di essere felice.

Aveva voglia di lui.

Lui che era a un soffio da lei, tanto vicino che poteva guardarlo negli occhi fino a perdere il senso dei contorni e dei contrasti del suo viso.

Ne ho bisogno amore. Ho bisogno dei tuoi baci.

E all'improvviso tutto è vivido e presente.

Lui che respira il suo profumo prima di baciarle le guance, la fronte, le tempie, le palpebre come se con ogni bacio ritrovasse una parte di lei che credeva perduta. Questa volta voleva averla lentamente e dolcemente. Dopo essersi scaldati con quei baci. Lentamente e dolcemente. Magari in un letto. Tanto per cambiare.

Lei che lo guarda chiudere gli occhi mentre si avvicina e riempie con il suo respiro quell'ultima distanza. Lei che non li chiude gli occhi, perché non riesce a smettere di guardarlo, non vuole, mentre aspetta quel bacio, quello vero, quello che non si sono mai scambiati perché non c'era tempo. E sa che sarà diverso. Lo legge sul suo volto rilassato. Lo sente nel proprio corpo che si abbandona nella certezza che non c'è più bisogno di essere forti e presenti. Non ora. Perché lui è dolce mentre la sfiora. Dolce come un ballo lento.

Sì sulla bocca. Così. Con una tenerezza che non c'era mai stata o che lei non aveva mai voluto. E' come incontrarsi per la prima volta, scoprirsi adesso per la prima volta, con quei baci.

Può mancarti così tanto qualcosa che non hai mai avuto?

Buffy dischiuse le labbra invitandolo a entrare, offrendosi a lui completamente. Lasciandogli decidere il tempo. Niente battaglie, niente assalti, nessuna resistenza. Dolce come lui è sempre stato, come lei non lo ha mai voluto.

Ma lo voleva. Voleva sentire tutto. Il suo sapore e i suoi respiri. E le carezze. Lungo il collo, sulla schiena, sui fianchi, mentre si ritrovavano a vicenda.

Sentiva per la prima volta che potevano essere più di quello che il mondo si aspettava da loro.

Ma non era abbastanza. Senza sapere come si ritrovò sotto di lui, le gambe intrecciate attorno ai suoi fianchi, le mani che armeggiavano con la cerniera dei suoi jeans. E grazie a Dio si era messa una gonna quel giorno.

Spike la serrò contro di sé. Più vicino. Ancora di più. Per ritrovare il gusto della sua pelle sotto la lingua e il suono dei gemiti strappati con le mani. E poi la sua giacca a terra insieme alla maglietta che non ricordava di essersi sfilato. O era stata lei? Smise di chiederselo nel momento in cui sentì le sue dita disegnare le linee del suo torace scendendo giù lungo lo stomaco fino al bordo dei suoi jeans. Fare le cose lentamente a questo punto era fuori discussione.

Perché non era abbastanza. Anche se lei gli aveva fatto scivolare i jeans lungo le gambe con le mani e i piedi, sollevandosi contro di lui in cerca di un contatto, con movimenti che tradivano la sua sete di lui. E non era ancora abbastanza. Anche se le aveva fatto risalire la gonna su per i fianchi un centimetro alla volta, assaporando ogni ansito e ogni preghiera che le strappava dalle labbra. Anche se lei rovesciava la testa all'indietro offrendogli la gola, il collo, l'incavo della spalla da baciare e soffocava un urlo mordendogli una spalla quando le sue dita trovavano dentro di lei la strada giusta, quella che non avevano mai dimenticato.

Se c'era una cosa che gli faceva perdere il controllo era guardarla in faccia mentre facevano sesso, sebbene lei il controllo lo perdesse difficilmente anche in quei momenti. Ma c'erano delle volte, delle volte in cui era troppo anche per lei, e lui aveva venerato quei momenti, momenti in cui il piacere o qualche emozione troppo intensa avevano momentaneamente aperto una breccia nel muro che si era costruita intorno e aveva potuto illudersi che lei stesse guardando in lui con la stessa profondità con cui lui si immergeva in lei. C'erano delle volte in cui lei era stata morbida e arrendevole, silenziosa ma rilassata, e aveva visto flash di come sarebbe potuto essere. Solo lampi, rapidi bagliori, balenii. Ma adesso. Adesso lei lo guardava dritto negli occhi e si lasciava andare, aggrappandosi a lui con le mani e le unghie, premendo la fronte contro la sua, per guardarlo ancora di più, ancora più da vicino. Assicurandogli con quello sguardo che sì, era proprio lui che voleva. Adesso. Inspiegabilmente questo gli fece riacquistare un minimo di autocontrollo. Abbastanza per spingerla a sentire quello che lui sentiva, per portarla in alto almeno quanto lui si trovava in quel momento.

E ora lui aveva quello sguardo, *quello* sguardo. Quello che la faceva sentire liquida e calda e accelerava i battiti e all'improvviso il sangue pulsava in ogni parte del suo corpo che lui arrivava a toccare. E le sue mani erano forti e leggere e la sfioravano e la toccavano e la massaggiavano senza che lei riuscisse a seguirne il percorso o ad anticiparlo. E così ogni suo tocco era una sorpresa e allo stessa tempo una risposta alle sue attese. E ogni volta il suo corpo reagiva istintivamente, fuori controllo. No. Sotto il suo controllo. La percorreva, la sfiorava e la studiava con le dita come uno strumento complesso e pieno di melodie nascoste, sperimentando ogni volta nuove vibrazioni e spingendo in profondità, oltre la superficie, oltre i facili picchi che arrivavano rapidi e intensi, fino a raggiungere quel piacere denso e sotterraneo che una volta liberato le scorreva prepotente nel sangue e le scuoteva ogni fibra del corpo come una scossa elettrica che si ripeteva e si ripeteva e si ripeteva ancora.

Poteva farlo. Lentamente e dolcemente. Aveva il controllo. Non c'era fretta. Avevano tutto il tempo del mondo. Più o meno. E anche se non l'avevano a chi importava? E poi la sentì aggrapparsi al suo collo e le sue labbra erano su di lui e mentre la baciava di nuovo e si distendeva in quel bacio perdeva anche la cognizione dei movimenti che faceva, sentiva che i loro corpi si spostavano avvinghiati in una qualche direzione ma non aveva importanza quale fosse, fino a che restavano così. Vicini. Fino a che non sentì il pizzo della biancheria che lo aveva separato da lei scomparire improvvisamente e si ritrovò di colpo a contatto diretto con lei che era come seta umida e calda e invitante. E allora ruppe il loro bacio per respirare, scosso dalla forza del suo stesso sangue che pulsava veloce come il suo cuore. E quando riaprì gli occhi lei gli lanciò uno sguardo aperto e sinuoso come il canto di una sirena mentre lo accarezzava e lo stringeva tra le dita e si apriva per lui come un fiore invitandolo a entrare. In quell'istante ebbe la precisa certezza che il controllo ce l'aveva lei. Come prima, come sempre. Anche quando si lasciava andare, anche quando si lasciava guidare, anche quando si lasciava amare. Lei controllava i battiti del suo cuore. Certo il suo cuore batteva adesso. Certo il suo sangue scorreva più veloce e più intensamente di quanto non credesse possibile. Certo gli sembrava di vederla per la prima volta ora che la guardava mordersi il labbro inferiore tra i denti mentre si preparava a spingersi dentro di lei, ed era questione di un istante, il battito d'ali di una farfalla come quello delle sue ciglia sugli occhi che non smettevano di trasmettergli elettricità.

Il cuore le batteva così forte che riusciva a sentirlo nelle orecchie, nella testa e dove i loro corpi si sfioravano più intimamente. E poi di colpo smise di battere. Nel momento esatto in cui lo sentì entrare dentro di lei e i suoi muscoli si chiusero intorno a lui strappandogli un gemito. Strinse le gambe più forte intorno ai suoi fianchi aprendosi con lui e per lui, accogliendolo nel profondo del suo corpo e della sua anima. Gli strinse le braccia intorno al collo mentre lui le nascondeva il volto nell'incavo del collo, cercando il suo profumo sulla pelle. Lasciò che si spingesse dentro di lei seguendo un ritmo che non apparteneva a lei o a lui, ma all'unione dei loro corpi. Un ritmo che nasceva e si nutriva di quella congiunzione. Niente battaglie per la supremazia, niente sfiancanti ricerche del piacere estremo, niente lotta per le posizioni, niente sfide per vedere fino a che punto si aveva il controllo dell'altro. Con il verde delle foglie d'edera sopra di lei a riempirle gli occhi insieme all'azzurro terso del cielo ritagliato dalle fronde delle piante si chiese se Eva avesse provato qualcosa di simile nel suo Eden. Un piacere così semplice e caldo e primitivo. E poi lui tornò a guardarla e lei vide il paradiso che cercava nel suo sguardo liquido di desiderio. Desiderio di lei. E respirare divenne qualcosa di cui aveva letto da qualche parte. Respirare non era importante perché interferiva con la possibilità di baciarlo infinitamente. E baciarlo era diventato essenziale alla sua sopravvivenza.

E c'è un dio nel ritmo di tutto questo.

Il modo in cui lei si muoveva con lui e contro di lui e intorno a lui. La sua bocca che lo cercava e soffocava tra le sue labbra, sulla sua pelle e nelle sue mani gli ansiti e i gemiti di ogni nuova spinta. Ed era qualcosa di nuovo e qualcosa di antico quel salire e salire sempre più in alto, picco dopo picco, insieme. E guardarsi negli occhi una volta arrivati al limite con lei che gli stringe il volto tra le mani e gli sussurra tra le labbra il suo ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Senza bisogno di conferme perché è già tutto detto nel bacio che segue e nell'altro e nell'altro.

E poi l'istinto. Quello puro. Lei che lo stringe più forte trattenendo un respiro. Lui che si chiede se è per farlo rallentare o accelerare fino a che lei non gli morde la spalla. Forte. Mentre tutto si stringe e si espande dentro di loro e tutto intorno.

E allora si arresero. Lasciandosi trascinare via da quell'onda gonfia e intensa che attraversa i loro corpi e li lascia senza fiato, stretti l'uno nell'altra, gli occhi che cercano di rimettere a fuoco il mondo e il tempo che li circonda, il cuore che batte forte nelle loro tempie.

Mentre le cellule del suo cervello riprendevano lentamente a funzionare Spike intrattenne il pensiero che forse avrebbero dovuto spostarsi, cercare un posto più comodo, magari un letto. Il suo tanto per cambiare. Oltre il tetto di vetro della serra, sopra di loro, riusciva a distinguere il cielo cambiare rapidamente i suoi colori e virare al rosso con l'avvicinarsi della sera. Si chiese da quanto tempo erano lì. Non si sorprese quando realizzò che non ne aveva la più pallida idea. Era sempre così con lei. Il tempo e lo spazio diventavano ininfluenti nell'universo dove esisteva solo lei, lei, lei. E ancora lei. Spostarsi. Spostarsi significava separarsi, allontanarsi, uscire dal suo corpo e la sola idea gli sembrava inconcepibile.

Buffy sbatté le palpebre una, due, tre volte, per scacciare le macchie luminose che aveva davanti agli occhi e riuscire a guardarlo. Si sentiva come se il suo corpo fosse nient'altro che cera calda, le ossa e le articolazioni che servivano a tenerla in piedi, solo un lontano ricordo. Ma non importava perché lui le sorrideva e lentamente rovesciava le loro posizioni accogliendola sopra di sé, offrendole il suo corpo caldo per riposare invece della pietra ruvida della panchina che si trovava ora sotto la sua schiena.

Non riusciva a staccarle neanche gli occhi di dosso e lei sembrava avere lo stesso problema. Quando rabbrividì era quasi certo che non fosse per il contatto della sua schiena nuda con la lastra di pietra sempre più fredda ma per il modo in cui lei lo stava guardando.

E poi come colpita da una rivelazione improvvisa Buffy si separò da lui scivolando lungo il suo corpo e rimettendosi in piedi. Giacca, maglietta...dove diavolo aveva lanciato le scarpe?

-Dawn è sola a casa-

Come se questo l'avesse fermata prima. O tutte le altre volte. Spike si passò una mano sugli occhi con un sospiro cercando inutilmente di allontanare il senso di deja vue che lo attanagliava. Poi si girò verso di lei sollevandosi su un gomito e rimanendo ad osservarla mentre si preparava ad andarsene. Valutò le molteplici opzioni che aveva. Tutte con uno stesso scopo. Farla rimanere. Patetico? Sì bè dov'era la novità?

La guardò rintracciare trionfante anche la seconda scarpa e poi voltarsi a guardarlo.

-Hai intenzione di rimanere lì?-

Spike si allungò sulla panchina stirandosi i muscoli come un gatto, perfettamente a proprio agio nella sua nudità.

-Non so, il panorama è piuttosto buono da qui-

Sottolineò le parole strascicate indugiando sul corpo di lei, ancora seminuda. Prima degli addii c'era ancora tempo per divertirsi un po'.

Lei lo guardò in modo strano.

-Bè, direi che non è cambiato niente-

Spike nascose il senso di delusione che lo aveva colpito allo stomaco con un sorriso sornione.

-Ah no?-

La vide sollevare un sopracciglio come sfidandolo ad affermare il contrario.

Spike scoppiò in una risata amara. E con uno scatto di rabbia si alzò cominciando a raccogliere i suoi indumenti e a rivestirsi sommariamente. Non sarebbe stato al suo gioco. Non questa volta. Già visto, già fatto e francamente era stufo marcio dei deja vue.

Sentiva il suo sguardo addosso. In attesa. E di cosa poi? Si infilò la maglietta con gesti affrettati. Se niente era cambiato perché diavolo non se la dava a gambe come al solito? Lo fissava come se stesse valutando qualche parametro di cui solo lei era a conoscenza e quell'esame lo infastidiva. Si voltò verso di lei, già pronto a sputare un po' del veleno che gli scorreva nel sangue, solo per ritrovarsi a pochi centimetri dalle sue labbra e dai suoi occhi. Occhi che continuavano a fissarlo in un modo che non riusciva a decifrare, ma che riuscivano ancora ad incendiarlo. Così vicino. Sentire il suo respiro tranquillo sulla faccia, il suo profumo mescolato all'odore del sesso appena consumato. La sua pelle che ora sapeva di lui. Si sentiva come se tutte le ossa del suo corpo si stessero improvvisamente sciogliendo di fronte al calore di quello sguardo, piegandolo ai suoi voleri. Non era lo schiavo di un amore qualsiasi. Era lo schiavo del suo amore. Lei lo guardava serena, evidentemente consapevole del potere che aveva su di lui. Come sempre. Cosa c'era peggio di un deja vue? Un ralenti in cui la stessa scena si ripete identica centinaia di volte.

-Sai ho sentito dire che ci sono questi...come li chiamano...letti. So anche che molte coppie li usano abitualmente. Ti va di provare il mio invece di rimanere qui a congelare?-

Il senso di deja vue lo abbandonò di colpo. Perché non ricordava l'ultima volta che Buffy si era rivolta a lui in quel modo. Gentilmente. Non ricordava l'ultima volta che Buffy gli aveva chiesto qualcosa senza dare per scontato che la sua risposta sarebbe stata inevitabilmente sì.

-Non mi ero accorto che avessi freddo-

Considerò inutilmente. La frase gli sembrò fuori luogo già mentre la stava pronunciando e quando l'ebbe espressa compiutamente rimase lì a fissarla volteggiare nell'aria come un'idiota. Sembrava impossibile che qualcuno potesse farti sentire un dio capace di qualunque cosa e al tempo stesso il più umile degli schiavi, incapace perfino di articolare un discorso di senso compiuto.

Buffy gli rivolse uno strano sorriso.

-Ma io mi sono accorta che ne avevi tu-

Spike la guardò come se la vedesse per la prima volta. E forse in un certo senso era così. Perché era la prima volta che la vedeva mettere le esigenze di un altro prima delle sue. Soprattutto in una relazione sentimentale. Soprattutto se l'altro in questione era lui.

-E dici che non è cambiato niente-

Buffy scrollò le spalle senza smettere di sorridere.

-Intendevo dire che sei sempre bravo a convincerti di non avere bisogno di nient'altro quando sei con me. Come se stare disteso nudo su una panchina di pietra in pieno inverno con tutto il mio peso addosso fosse la posizione più comoda in cui potessi trovarti-

-Non è neanche la più scomoda in cui mi sono trovato-

Spike le rivolse uno dei suoi sorrisi brevettati, in un tacito invito a lasciar cadere l'argomento, ma lei non sembrava disposta a farsi distrarre.

-Non hai bisogno di nascondere quello che vuoi...o che non vuoi, quando sei con me...o per stare con me-

Lui stava per replicare, ma Buffy non gliene diede il tempo.

-Ho capito da un bel pezzo che la mia vita non è un film in cui i due eroi si baciano e il resto non conta, sparisce. Neanche voglio che lo sia. So che hai bisogno di altre cose, oltre a me, per essere felice. E lo stesso vale per me. Non voglio dimenticare tutto il resto quando sono con te e non voglio che tu dimentichi tutto il resto, o peggio te stesso, quando sei con me. Voglio che tutto il resto lo condividiamo insieme-

E all'improvviso Spike vedeva nei suoi occhi tutto quello che aveva sempre voluto e anche altre cose che non aveva mai creduto di volere ma di cui ora sapeva di non poter più fare a meno.

-Ti amo-

E ormai non importava chi dei due l'avesse detto perché scendevano le scale insieme e salutavano Willow prima di andarsene come se quella loro intimità fosse la cosa più normale del mondo.

-Quando parli di condividere tutto il resto non intendi anche quelle interminabili riunioni con gli insegnanti alla scuola di Dawn, vero?-

Buffy gli diede una pacca rassicurante sulla schiena prima di chiudersi la porta alle spalle.

-No, tranquillo. A quelle ti lascerò andare da solo-

+ + +

Aveva lasciato squillare il telefono a vuoto per tutto il pomeriggio, avrebbe anche lasciato suonare il campanello. Prima o poi si sarebbero stancati o avrebbero pensato che non fosse in casa o magari avrebbero finalmente capito che non gliene fregava niente di tutti loro. E se era Buffy che si era dimenticata per l'ennesima volta le chiavi...bè peggio per lei. In fondo poteva sempre dormire a casa del suo nuovo grande amore.

L'idea di Spike e Buffy nello stesso letto la colpì come un pugno allo stomaco.

All'improvviso desiderò che fosse davvero sua sorella che era tornata a passare la notte a casa, magari perché si sentiva in colpa per averla lasciata sola per ore. Sarebbe tornata con uno di quei disgustosi hamburger come offerta di pace. Si sarebbe scusata e l'avrebbe abbracciata giusto per placare il suo momentaneo senso di colpa, solo per poi tornare a fare esattamente quello che l'aveva fatta sentire in colpa da principio. Era il tipico circolo vizioso alla Buffy Summers.

Doveva fare freddo là fuori. Buffy non aveva neanche preso una giacca tanta era stata la fretta di uscire. Erano anni, magari secoli che Sunnydale non vedeva un inverno così rigido.

Decise che poteva aspettare ancora un po'.

Dawn si concentrò sul libro escludendo ogni rumore esterno e dopo alcuni minuti il campanello dell'ingresso smise di perforarle i timpani. Uno dei vantaggi di frequentare il liceo nel mezzo di due apocalissi era che si raggiungeva una capacità di concentrazione invidiabile.

Quando il campanello smise di suonare scaraventò il libro a terra e si precipitò giù dalle scale. Non voleva che tornasse da lui.

Spalancò la porta e uscì sotto il portico prima di intravedere una sagoma che scendeva le scale dell'ingresso.

-Hei!-

Le ci vollero circa cinque secondi per capire che non si trattava di Buffy e altri cinque per capire che aprire la porta e uscire al buio sul portico senza prima accertarsi dell'identità del visitatore era stata una mossa per lo meno avventata. Soprattutto a Sunnydale. Soprattutto di notte.

-Hei-

Dawn deglutì faticosamente, le sembrava di avere in gola della carta vetrata. Erano in stallo. Lui sul secondo gradino della scala e lei con la porta aperta alle spalle. Solo pochi passi e sarebbe stata di nuovo al sicuro, oltre la soglia di casa. Solo pochi passi e lui avrebbe potuto raggiungerla, senza difficoltà.

Lo sentì girarsi verso di lei e mentre il vento si alzava intorno a loro le nuvole cominciarono a correre nel cielo notturno scoprendo per qualche istante la luna piena. La luce fredda e lattea illuminò in pieno il volto del visitatore notturno scoprendone le linee nette e decise, giocando con le ombre per farlo apparire ancora più squadrato e rivelando il solco di una cicatrice che gli attraversava una guancia. I capelli gli ricadevano sulla fronte con una casualità che rivelava una certa noncuranza così come la barba non rasata. Di certo dimostrava più degli anni che aveva e i suoi occhi scuriti dal buio sembravano pozze d'acqua intorbidita dal passaggio di troppe tempeste.

Un nome le vagava nella mente ma le sembrava all'improvviso fuori luogo, inadeguato alla creatura che le stava davanti. Eppure lo pronunciò comunque.

-Riley-

L'uomo le sorrise nel buio, risalendo gli ultimi due scalini fino a torreggiare su di lei.

-Chi non muore si rivede-

+ + +

Note Nerd:

Musashi è tornato! Bè almeno è tornato un suo erede. E finalmente ci ha protato qualche risposta sulle origini e lo spirito della spada...

E finalmente è arrivata quella scena. *Quella* scena direbbe la cara Carmilla con tono felicemente sorpreso. Avevo detto che sarebbe successo qualcosa di determinante per Spike e Buffy...e io non mento mai...

Dai che in fondo ve lo aspettavate il ritorno di Riley. Del resto il nostro Big Finn non aveva forse detto che era ora di tornare a casa?

 

 

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