Così vicini, così lontani

Prima Parte

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The way to love anything is to realize that it may be lost.
Gilbert K. Chesterton

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Sunnydale

Nelle guide turistiche Sunnydale era presentata come una ridente cittadina bagnata dal sole della California. Soleggiata era un altro aggettivo che usavano molto spesso. Un aggettivo da turisti. Perchè solo un turista poteva notare il sole in un posto dove il sole c'era sempre. Trecentosessantacinque giorni di sole l'anno. Per gli abitanti di Sunnydale il sole era una cosa scontata, come la forza di gravità, il lavoro in nero e i cimiteri infestati dai vampiri. Christine Karade, la procace bionda che leggeva il meteo usava lo stesso testo tutte le settimane. Lunedì sole, martedì sole, mercoledì sole e giovedì sole tanto per cambiare. Poi era arrivato il secondo venerdì di novembre. Quello in cui il cielo si era oscurato all'improvviso e aveva costretto gli abitanti di Sunnydale a guardare in su e a ricordare che il tempo metereologico è soggetto a cambiamenti, di tanto in tanto. La neve, da attrice consumata, aveva fatto un ingresso trionfale, solo che il suo non era stato un breve cammeo come tutti si sarebbero aspettati. Aveva continuato a calcare la scena per ore, le ore si erano trasformate in giorni e i giorni in settimane. Presto le giornate di sole erano diventate un vago ricordo, un pettegolezzo come un altro, una leggenda metropolitana, qualcosa che era capitato a un amico di un amico. E la neve aveva continuato a cadere lenta e imperterrita fino a che nessuno si era più stupito di doverla spazzare via dal vialetto o dal tetto della macchina e al centro commerciale i negozi avevano tolto i micro bikini multicolore dalle vetrine e avevano coperto i manichini anoressici con strati e strati di lana merino.

Da un mese a questa parte nessuno notava più la neve se non qualche raro turista che si avventurava nell'ex soleggiata Sunnydale per assistere alla più grande nevicata che la storia metereologica che la California ricordasse. Christine aveva sostituito i fogli ciclostilati nella sua cartelletta color pastello. Lunedì neve, martedì neve, mercoledì neve e giovedì ancora neve, tanto per cambiare.

Solo chi arrivava da fuori guardava con muto stupore la coltre bianca che ammantava le villette a schiera e i vialetti ordinati. Era così che i commercianti di Sunnydale riconoscevano i turisti, leggi il prossimo pollo da spennare. E di polli ne erano arrivati a camionate grazie a quell'insolita variazione metereologica. Sunnydale era diventata all'improvviso il posto più richiesto dai californiani con un debole per i vecchi film natalizi della Metro Goldwin Meyer, dove la neve non mancava mai di rivestire a nuovo la provincia americana. Del resto era più economica della vecchia Europa o del Nord America. Era così che Big Ed, il proprietario dello scalcinato Motel "Downtowner Apts. Motel", all'ingresso di Sunnydale, aveva visto triplicato il volume dei suoi affari e si era visto costretto ad affittare di nuovo la sua stanza preferita, la numero 7.

Naturalmente non la affittava a gente qualsiasi. Gli inquilini della 7 dovevano rispondere a criteri rigidi e precisi. Criteri che Big Ed aveva messo a punto in anni e anni di esperienza. Perché come recitava lo spot del suo reality preferito "non c'è successo senza merito".

Non appena aveva visto arrivare la brunetta tutta curve e bocca di rosa, strizzata in un paio di pantaloni di pelle nera che lasciavano ben poco spazio all'immaginazione, Big Ed si era girato verso l'armadietto delle chiavi dove erano rimasti solo due mazzi disponibili. Numero 12 e numero 7. Non aveva avuto bisogno di guardare un'altra volta la ragazza generosamente allungata sul bancone per scegliere a colpo sicuro la targhetta su cui campeggiava il numero 12. Perché quella *decisamente* non era una da numero 7.

Quando la vide tornare, non più di cinque minuti dopo, e agitargli le chiavi davanti al naso si limitò a indicare il cartello che recitava a chiare lettere "non si cambiano le stanze dopo il check in", senza staccare gli occhi dalla nuova rivista di wrestling che gli era stata recapitata con la posta del mattino. La ragazza gli sorrise mentre gli sfilava la rivista di mano e la scaraventava dall'altra parte della stanza.

-Hei!-

Senza smettere di sorridere gli prese una mano e vi depositò le chiavi della tanza numero 12.

-Le stanze non si cambiano, troppo stupida per leggere il cartello?-

-Non voglio cambiare stanza, voglio un paio di chiavi che aprano la stanza che mi hai dato. Troppo stupido per attaccare alla chiave di ogni stanza la targhetta giusta?-

Big Ed la guardò circospetto.

-La chiave non funziona?-

Per tutta risposta lei alzò un sopracciglio allungando la mano aperta verso di lui in attesa evidentemente di una chiave funzionante.

-Le chiavi sono in copia unica-

-Allora, bello, temo che dovrai infrangere il tuo rigidissimo regolamento e darmi un'altra stanza, mmh la numero 7 è ancora libera, no?-

Big Ed osservò di nuovo la ragazza, squadrandola da capo a piedi. Aveva un modo di stare in piedi e di guardarti come se tutto le fosse dovuto, i lineamenti morbidi e carnosi facevano decisamente a botte con il trucco marcato e l'abbigliamento sfacciato. Niente più che l'ennesima bambolina in cerca di avventure. Almeno così sembrava, ma come si dice l'apparenza inganna e se voleva la numero 7...bè, chi era lui per opporsi al destino?

Tirò fuori il registro da sotto il bancone e lo sfogliò fino ad arrivare all'ultima pagina compilata. Seguì l'elenco dei nomi con il dito fino ad arrivare al suo.

-Signorina Marion Crane?-

La ragazza assentì. Big Ed la fissò per qualche istante come per darle la possibilità di ritrattare perché ehi, anche lui aveva visto Psycho e più di una volta. Quella continuò a fissarlo senza la minima esitazione. Big Ed scrollò le spalle e cancellò con cura il numero 12 sostituendolo con il numero 7 prima di darle le nuove chiavi.

-Manca la tenda della doccia e le finestre sono rotte-

La ragazza si infilò le chiavi in tasca strizzandogli l'occhio.

-Sono sicura che ho visto di peggio-

Big Ed guardò la nuova inquilina uscire ancheggiando e pensò che nella vita non si poteva mai essere sicuri di niente.

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-Non dirai sul serio, vero?-

Buffy scrollò le spalle con un sospiro.

-Non vedo altre soluzioni-

Spike la squadrò da capo a piedi come se stentasse a riconoscerla.

-Non puoi *davvero* volerlo in casa tua-

Buffy alzò gli occhi al cielo prima di voltarsi verso Xander che era rimasto abilmente fuori dalla discussione.

-Xander vuoi dire qualcosa per favore?-

Xander si massaggiò nervosamente il collo.

-Ecco...Buffy...in questo caso, e sottolineo che si tratta di un caso più unico che raro, credo che Spike in fondo non abbia tutti i torti...-

Buffy li guardò entrambi come se fossero impazziti.

Forte della nuova e inaspettata alleanza Spike la guardò con aria di sfida.

-Mi rifiuto di stare nella stessa stanza con...*quello*-

Buffy puntò le mani sui fianchi. Voleva essere trattato come un bambino? Non c'era alcun problema da parte sua.

-D'accordo. Vorrà dire che mentre noi saremo riuniti a tavola a festeggiare come si deve questo Natale, tu consumerai la tua cena da solo sui gradini del portico. Al buio-

La voce di Spike risuonò ferita e incredula.

-Non posso credere che tu stia seriamente dicendo che preferisci avere *quello* in casa tua il giorno di Natale invece di me...-

-E io non posso credere che tu mi stia seriamente chiedendo di scegliere tra te e un albero di Natale!-

Spike indicò l'oggetto della contesa alle sue spalle senza neanche voltarsi a guardarlo.

-Non tra me e *un* albero di Natale. Tra me e quel...coso!-

Xander osservò per qualche istante la sagoma mostruosa che si stagliava dietro Spike, prima di tornare a rivolgersi a Buffy con tono speranzoso.

-Perché quest'anno non allestiamo un bel Presepe, eh? In fondo chi ha bisogno di un albero di Natale!-

Buffy li superò entrambi andando a mettersi accanto all'albero.

-Si può sapere cosa avete contro questo povero albero?-

I due si guardarono come se la risposta fosse ovvia. Spike allargò le braccia fissando con malcelato disgusto la pallida imitazione di un abete natalizio che si ergeva di fronte a loro.

-E' rosa!-

Ma lei sembrò non cogliere la gravità di quell'affermazione, così Xander si sentì in dovere di precisare.

-Rosa...rosa!-

-Rosa shocking per la precisione. E secondo la moda di quest'anno il rosa è il nuovo nero!-

Buffy sorrise con complicità al commesso del negozio di decorazioni natalizie prima di tornare a guardare Spike con un'espressione sognante.

-Hai sentito tesoro? Il rosa è il nuovo nero! E tu adori il nero, no?-

-Se poi contate il fatto che questo è l'unico esemplare che avevamo nel negozio capirete che con questo non rischiate di confondervi con la massa-

Spike fissò il commesso del negozio di decorazioni con stupore, stringendosi una mano sul cuore come se faticasse a contenere l'entusiasmo.

-E tra tutti gli alberi che avevate in negozio proprio questo esemplare unico è l'unico rimasto? C'è da non crederci-

Buffy gli rifilò una gomitata sotto le costole, ma il commesso non sembrava aver colto l'ironia malcelata in quel commento.

-Come ha giustamente notato, signore, questo esemplare unico è anche l'ultimo albero di Natale che ci è rimasto-

L'ometto sottolineò le ultime parole con sadico compiacimento.

Spike gli lanciò uno sguardo feroce prima di prendere Buffy per le spalle e fissarla negli occhi con estrema serietà.

-Siamo ancora in tempo, Buffy. Ci sono altri negozi...-

-Per la precisione, signore, questo è l'unico negozio in città ad avere ancora un albero di Natale, sa con tutta questa neve sono state annullate molte delle consegne previste-

Spike non si prese la briga di rispondere, concentrandosi su Buffy.

-Che ne dici di un abete vero? Andiamo nel bosco più vicino e ne abbattiamo uno con le nostre mani, pensa al fascino di un vero abete verde, il profumo di resina...-

-Non per contraddirla signore, ma non ci sono boschi di abeti in questa zona...-

Questa volta Spike guardò il commesso in un modo tale che gli fece passare la voglia di fare ulteriori commenti.

-Possiamo ancora prendere un aereo. Ci sarà qualche dannato bosco di abeti da qualche parte in questo dannato Paese-

-Spike, non voglio passare le vacanze di Natale su un aereo in cerca di un bosco di abeti. Voglio passarle a casa mia, con le persone che amo e un albero di Natale in salotto. E' chiedere troppo?-

Spike distolse lo sguardo tornando a fissare l'albero con ostentato disgusto e per un attimo Buffy pensò che non avesse realizzato quello che gli aveva appena detto di fronte a un perfetto sconosciuto, in un luogo pubblico dove chiunque poteva sentirla e soprattutto di fronte a Xander Harris.

Poi lo vide tirare fuori un paio di banconote e avvicinarsi al commesso che li guardava con malcelata soddisfazione, già proiettato verso il prossimo pollo da spennare, leggi cliente in ritardo sugli acquisti di Natale.

Mentre lo guardava pagare la spropositata cifra che campeggiava sul cartellino del prezzo appeso a quell'orribile albero di acrilico rosa, vide che gli tremavano le mani. Qualcosa dentro di lei si sciolse, un nodo allo stomaco di cui non si era accorta, un respiro che non si era resa conto di aver trattenuto così a lungo. E fu su di lui senza neanche aspettare che il commesso si fosse allontanato, nascondendo in quell'abbraccio il sorriso stupido che le si era disegnato sulle labbra e sembrava non voler più andare via.

Dawn non si girò neanche a guardare Xander che caricava l'albero sul retro del furgone. Incrociò le braccia sul petto e puntò i piedi contro il cruscotto. Buffy e Spike erano rimasti indietro, come al solito. Un sorriso le dischiuse le labbra. Tutti loro erano rimasti indietro, a dire il vero. Lei era l'unica davvero aggiornata. E pensare che neanche voleva aprirla quella porta.

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-Chi non muore si rivede-

Dawn lo fissò incerta, non dando segno di voler raccogliere la battuta. Forse non aveva voglia di ridere. E lui poteva biasimarla?

-Sei cambiata-

Assentì silenziosamente stupendosi di quanto poco tempo lui avesse impiegato per accorgersene. Ma forse dipendeva dal fatto che anche lui era cambiato. Si sentì in dovere di sottolinearlo.

-Anche tu-

Riley scrollò le spalle con noncuranza come se lei avesse soltanto constatato l'ovvio. E in effetti era così.

-Dov'è?-

-Ma come, non fingi di interessarti a me? Niente come va Dawn? Ti aiuto con i compiti Dawn? Ti porto al cinema Dawn? Finalmente chiedi l'unica cosa che ti interessa davvero? Lei dov'è?-

Non sembrò colpito da quelle accuse neanche troppo velate.

-Ho semplicemente smesso di fingere che amare qualcuno sia sufficiente a renderlo felice o a ricevere qualche briciola di affetto in cambio-

Dawn lo guardò piccata.

-Cosa vorresti dire con questo?-

Lui le sorrise puntandole addosso uno sguardo inquisitore.

-Sei sempre stata una ragazza intelligente Dawn, non sprecare il tuo tempo chiedendo cose che già sai-

Lei ricambiò il suo sguardo con aria di sfida.

-Non so davvero di cosa tu stia parlando-

Riley non si lasciò irritare dalla sua cocciutaggine, del resto l'aveva mai fatto? Lentamente salì anche gli ultimi due gradini e si lasciò cadere sul dondolo che scricchiolò debolmente sotto il suo peso. Ora il suo viso era indistinguibile e del suo corpo rimaneva solo una sagoma scura, nel buio della veranda. Ma la sua voce emergeva chiara e pacata dall'ombra.

-Le giornate sono terribilmente lunghe quando le passi aspettando qualcosa. I minuti sembrano dilatarsi indefinibilmente mentre sei disteso nel fango, le mani strette sull'impugnatura del fucile, l'umidità dell'aria che ti ha infradiciato i vestiti e gli insetti che ti si appiccicano addosso, attirati dal tuo sudore freddo. Vorresti alzarti, toglierti quella roba di dosso, mollare la presa. E invece rimani lì immobile e aspetti. Perché sai che il nemico è lì intorno. Da qualche parte. Deve esserci. Perché ogni giorno hai un corpo in più da sepellire. A volte neanche quello. Semplicemente hai un compagno in meno con cui dividere il rancio-

Dawn distolse lo sguardo infastidita, ma Riley continuò a parlare, come se non si fosse accorto del suo disagio. O forse cercava proprio quello sul suo volto, mentre la fissava dall'angolo buio del portico.

-Pensi che la cosa peggiore, quando ti mandano in territorio nemico a combattere, sia essere costretto a uccidere. Ma non è così. A quello sei pronto. Sei stato addestrato per questo. La cosa a cui non sei preparato è quell'attesa. Quel continuo aspettare di trovarti di fronte al nemico senza incontrarlo mai. Arrivi al punto di desiderare lo scontro, desiderare di trovartelo finalmente davanti quel maledetto nemico, desiderare di usarlo quell'inutile fucile. E intanto aspetti e pensi. Pensi a tutti quelli che hai lasciato indietro e ti chiedi che fine hanno fatto e se anche loro ti stanno pensando in quello stesso momento. E poi, di colpo, la risposta ti appare chiara davanti, tanto da accecarti-

Il respiro dell'uomo era calmo e regolare a dispetto delle sue parole pesanti.

-Di colpo capisci che in quel preciso momento, quell'attimo che precede l'attacco in cui con ogni probabilità perderai la vita perché sei troppo distratto dal loro ricordo, tu sei l'ultimo dei loro pensieri. Perché se mai gliene fosse fregato qualcosa di te, ora saresti con loro e non a sputare fango nell'ultima trincea rimasta libera dai cadaveri dei tuoi compagni-

Incredibilmente non aveva l'aria di una recriminazione, ma il tono di una constatazione.

La ragazzina si strinse le braccia attorno al corpo come percorsa da un improvviso brivido di freddo. Perché anche lei sapeva bene cosa significava aspettare qualcosa o qualcuno che non arrivava mai. Poi tornò a guardare l'uomo con un'aria di sfida.

-Perché sei tornato, allora? A parte per un'evidente tendenza al masochismo?-

Riley si strinse nelle spalle.

-Per una meno evidente tendenza a regolare i conti che lascio in sospeso-

Dawn lo guardò ammirata.

-Freddo e vissuto. Devo dire che non mi dispiace questa nuova versione stile eroe rinnegato, la barba incolta, la cicatrice...in effetti sembri quasi uno di quei Russel Crowe wannabe che si vedono in giro, ma dopotutto è la moda del momento...Solo...credo che Buffy fosse affezionata a quello stile da bravo ragazzo americano cresciuto a patatine fritte e hamburger, lo trovava così rassicurante...-

-Ti sbagli. Avrebbe voluto trovarmi rassicurante, ma la verità è che il mio essere "normale" la metteva in crisi. Le ricordava continuamente quanto poco lei lo fosse-

Inspiegabilmente lui sorrise. Questo Dawn riuscì a distinguerlo perfettamente nel buio. Perché inspiegabilmente il suo sorriso non era cambiato.

-Non ero io che la rassicuravo. Non era da me che veniva quando aveva un problema o quando voleva nascondere di averne uno, non era la mia presenza il suo punto fermo. Io ero uno di passaggio. Non era previsto che tornassi-

-E allora perché sei tornato?-

Riley si alzò con calma e scese uno a uno i gradini del portico.

-Continui a fare le domande sbagliate, Dawn. Invece di chiederti perché sono tornato dovresti chiederti per chi-

Dawn aprì un paio di volte la bocca per replicare, il nome Buffy le bruciava sulle labbra, ma sembrava che le lettere le si fossero bloccate in gola. E all'improvviso se ne accorse. Lui non le aveva chiesto di Buffy. Era stata lei a darlo per scontato. Lei a presupporre che Buffy fosse l'oggetto della sua ricerca, il suo fine, il suo tutto. Come lo era per gli altri. Possibile che...

Quando tornò a guardarlo lui stava già sparendo oltre il cancello. Avrebbe voluto fermarlo, ma sinceramente preferiva morire di curiosità piuttosto che dargli questa soddisfazione.

Se c'era una cosa che aveva imparato da sua madre, era a non avere paura di aspettare per ottenere quello che voleva. E poi era certa che l'attesa non sarebbe stata troppo lunga.

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Alcune notti il vento caldo e umido gli appiccicava addosso la divisa, lo sguardo fisso sul fondo acquitrinoso dell'abisso. Sapeva che avrebbe saltato prima o poi. Alcune volte voleva farlo. Altre volte non poteva evitare di farlo. Quelle erano le volte peggiori.

Non ricordava con precisione quello che era successo quella prima notte. Aveva guardato Samantha allontanarsi di corsa nella boscaglia, come spinta da un impulso irrefrenabile, senza voltarsi indietro. L'aveva chiamata più volte, prima di seguirla in quella folle corsa notturna, illudendosi per un attimo che quello fosse solo uno scherzo per allentare la tensione di quei giorni, convincendosi fino all'ultimo che sua moglie non era impazzita. No. Non come tutti gli altri. Aveva creduto fino all'ultimo che lei si sarebbe fermata all'improvviso e girandosi a guardarlo avrebbe riso delle sue inutili preoccupazioni. Aveva creduto fino all'ultimo che lei si sarebbe fermata e girandosi verso di lui gli sarebbe corsa incontro per abbracciarlo e tranquillizzarlo. L'aveva creduto fino a quando non l'aveva vista arrivare al limite del precipizio e saltare. Come se niente fosse. Senza neanche la minima esitazione. Come se non avesse aspettato di fare altro, da una vita.

L'altezza della caduta e la pressione dell'acqua dovevano averle dato la sensazione di atterrare sul cemento. Doveva essere morta sul colpo. Non aveva annaspato nell'acqua melmosa per salvarsi. Non era affogata. Era morta. E basta.

Ma quando lui aveva guardato giù pronto a seguirla, qualcosa doveva averlo frenato. Tutta quell'oscurità rigurgitante, sotto di lui, gli aveva dato l'impressione che non ci sarebbe stato atterraggio, che avrebbe continuato a cadere per sempre.

Non ricordava altro se non di essersi risvegliato il giorno dopo nella sua branda all'accampamento. I suoi commilitoni l'avevano ritrovato svenuto sull'orlo del precipizio, la divisa intrisa di melma e fradicia d'acqua. Senza alcun motivo, dato che non si era tuffato per salvare sua moglie. Questo almeno era certo. Perché sopravvivere a quel volo era impensabile per un comune essere umano. E lui lo era. Comune e umano. Come la paura di morire.

E poi era cominciato l'incubo. Puntuale e ricorrente. Non aveva la più pallida idea se fosse il frutto di ricordi reali o semplicemente qualcosa che la sua mente aveva partorito dopo l'accaduto. Sapeva solo che qualunque ne fosse l'origine, lo terrorizzava. Non c'era liquore o sostanza alcolica abbastanza potente da impedire all'incubo di tornare. Terribilmente vivido e reale. Ogni notte.

Si svegliava in un bagno di sudore freddo con la certezza incontrovertibile che questo, le pareti mobili della sua tenda da campo, o quelle dai colori impossibili dell'ultimo squallido Motel in cui si era fermato, o quelle asettiche della stanza che aveva affittato dopo essere tornato, questo era l'incubo, perché lui aveva saltato e questo era il suo purgatorio, continuare ad addormentarsi e svegliarsi da quell'incubo per l'eternità.

E così aveva smesso anche di bere. La paura adesso gli mordeva lo stomaco ogni singolo istante. Quella stessa paura che aveva cercato di soffocare entrando nell'Iniziativa e poi nel circolo di Buffy, quella stessa paura che lo aveva spinto ad annebbiarsi la mente vendendo il suo sangue e la sua anima, quella stessa paura che lo aveva spinto a buttarsi a capofitto in una missione senza speranza e tra le braccia di Samantha.

Solo che con lei era stato diverso. Con lei la paura non si era solo attutita, era sparita. Cancellata dai suoi occhi innamorati. I primi e gli ultimi che ricordava. Peccato che niente duri per sempre. Niente. Tranne la paura. Quella poteva sparire per un po', sconfitta da qualcosa di più grande e più forte. Ma tornava sempre. Tornava insieme a tutte quelle cose che aveva chiuso dentro lo stomaco in tutti quegli anni. Cose che non si riuscivano a superare, cose che si potevano nascondere ma che graffiavano e mordevano per uscire. Tutte quelle cose a cui non voleva, non poteva pensare. Neanche di sfuggita. Perché sarebbe stato come accendere un cerino accanto alla miccia di un esplosivo. Eppure preferiva pensare a quelle che all'incubo. Preferiva sentire la paura che tornare a sognare quella notte.

Qualche volta non si svegliava subito dopo essersi lanciato nel vuoto. E così scopriva di aver avuto ragione. Era come continuare a cadere all'infinito. Niente impatto con l'acqua dura come il cemento. Niente morte sul colpo. Solo un'inarrestabile caduta e i polmoni tagliati dall'aria troppo rarefatta e il cuore impazzito di battiti troppo forti. E questo non era quello che voleva. Non era morire. Continuava a pensarlo mentre qualcosa gli si avvinghiava addosso.

Le braccia di Sam.

Intorno a lui, coperte di melma verdastra, come il suo viso di cui riusciva a distinguere solo gli occhi liquidi e spalancati. Occhi antichi che lo guardavano da una distanza siderale. Provava a gridare, allora, ma l'acqua maleodorante gli riempiva la bocca e le narici facendogli bruciare i polmoni e l'ultima cosa che vedeva prima di lasciarsi stritolare da quell'abbraccio mortale era la bocca di lei che si apriva in un sorriso.

E così aveva smesso di dormire.

Non completamente, ovvio. Si concedeva brevi intervalli di dormiveglia. Non più di dieci minuti. Non abbastanza per cadere nella fase R.E.M. e rischiare di sognare. Abbastanza per consentirgli di rimanere in piedi. E di affrontare Buffy che gli veniva incontro a passo di carica, dopo essersi catapultata fuori da una sottospecie di furgone e...cos'era quello? Un albero di Natale di pelo rosa?

Doveva avergli chiesto qualcosa perché sembrava aspettarsi una risposta da lui e la sua postura rigida gli diceva che non avrebbe accettato una bugia qualunque.

-Riley!-

Dawn si accostò a Riley dandogli una generosa pacca sulla spalla e rivolgendosi al nuovo arrivato con tono leggero e gioioso.

-Hai visto che sorpresa, Xander? E non è ancora Natale!-

Poi a voce più bassa in modo che solo Riley potesse sentirla.

-Ecco qualcuno che potrebbe *davvero* essere felice di vederti-

E così dicendo tornò a guardare Xander che si era avvicinato a grandi passi superando Buffy e Spike, ma solo per fermarsi poco più avanti di loro.

-Riley?-

Dawn sorrise mentre fissava gli occhi grigi del soldato dando le spalle agli altri.

-Bè se non possiamo averli accontentiamoci di sorprenderli-

L'uomo abbassò gli occhi verso la ragazzina, ma non diede segno di voler raccogliere la sua provocazione.

Con una scrollata di spalle Dawn girò sui tacchi e tornò a sedersi in macchina in attesa che l'ultima scena del ritorno del figliol prodigo si esaurisse.

Continuavano a fissarlo cercando di convincersi che lo avevano già visto così, che lui era lo stesso ragazzo che aveva tradito tutto quello in cui aveva sempre creduto per rimanere al loro fianco. Riley non si sottrasse all'esame sostenendo gli sguardi di chi l'aveva un tempo amato e che lui aveva amato a sua volta e quello di chi l'aveva odiato e che lui aveva un tempo odiato a sua volta.

-E così sei sopravvissuto. Quando ho perso il segnale del chip ho pensato al peggio-

Spike sorrise senza allegria.

-Forse vuoi dire sperato-

Buffy rimase in silenzio, al suo fianco.

-Se vuoi davvero uccidermi, Capitan America, dovrai metterci più impegno la prossima volta-

Riley rispose al sorriso senza abbassare lo sguardo.

-Se avessi davvero voluto ucciderti, Spike, saresti già morto-

Spike assentì distrattamente.

-Già. Immagino che la prospettiva di lobotomizzarmi il cervello fosse più invitante-

-Ho solo disattivato il chip. Come mi avevate chiesto-

Riley spostò lo sguardo su Buffy.

-Pensavo fosse quello che volevi-

Buffy si morse un labbro costringendosi a ricambiare il suo sguardo.

-Il fatto è che, dopo che ti ho chiamato la situazione di Spike si è aggravata e...-

L'hai quasi ucciso. Non era questo che pensava? Perché non dirlo allora? Buffy socchiuse gli occhi un istante prima di continuare.

-E' quasi morto, Riley-

Riley scosse la testa incredulo. Riusciva ancora a stupirlo. Del resto non era sempre stato così? Lei lo lasciava senza parole. Ma non questa volta. Oh no.

-Vuoi dire che *io* l'ho quasi ucciso-

-E di nuovo hai fallito, Original Marine-

Sottolineò Spike. Sentì gli occhi di Buffy addosso, sapeva le domande che li stavano attraversando, ma scelse di ignorarle.

-Te l'ho già detto una volta, per quanto tu ti sforzi non avrai mai l'istinto del killer-

-Mentre a te non serve sforzarti, vero Spike?-

Spike serrò le labbra nascondendo in fretta quanto in profondità quel commento lo avesse colpito.

-Dong! Fine primo round-

Xander si parò tra i due contendenti invitandoli ad allontanarsi con la stessa aria flemmatica di un arbitro di pugilato.

-E' chiaro che lo spirito natalizio non ha ancora benedetto questi luoghi, ma sarebbe così terribile se prima di ricominciare l'incontro all'ultimo sangue mettessimo qualcosa sotto i denti? Non so voi ma io sto letteralmente morendo di fame e poi se volete davvero farvi male dovete recuperare prima le forze. E' stata una giornata lunga per tutti. Perciò che ne dite di uccidere il vitello grasso o qualunque altra cosa commestibile ci sia in casa e festeggiare il ritorno del figliol prodigo?-

Buffy gli sorrise con gratitudine con un sospiro di stanco sollievo. Non era ancora pronta ad assistere a quello scontro, tanto meno a partecipare in prima persona. All'improvviso le sembrava di aver dato fondo a tutte le sue energie. Spike sembrò percepire il suo cambiamento di umore perché sprofondò le mani nelle tasche e tornò verso il furgone senza lanciare o raccogliere altre provocazioni.

Riley continuò a seguirlo con lo sguardo.

-E' cambiato *davvero*, sai?-

-Sì. Questo discorso l'ho già sentito una volta-

Buffy serrò le labbra colpita e rimase a fissare il volto chiuso di un uomo che stentava a riconoscere fino a che lui non tornò a guardarla con un'espressione indecifrabile.

-Solo che adesso ci credo *davvero*-

Buffy assentì silenziosamente, il motore acceso del furgone come musica di sottofondo.

-E' meglio che vai-

Ma lei continuava a rimanere lì, in prestito, evidentemente incapace di prendere una decisione chiara. Sai che novità.

-Vai Buffy. Mi faccio io quattro passi col mio vecchio compagno di sventure. Ci vediamo a casa-

Buffy guardò Xander con riconoscenza prima di sorridere debolmente a Riley e tornare al furgone.

Riley continuò a fissare il furgone fino a che non fu sparito oltre l'angolo della strada e per tutto il tempo non provò altro che sollievo.

Le cose vanno raramente come speriamo, ma vanno sempre come devono andare.

Sam non si stancava mai di ripeterlo. E osservando un demone con il look di Billy Idol, una cacciatrice di demoni con un debole per i mostri e una chiave mistica imprigionata nel corpo di una ragazzina, allontanarsi su un furgone scalcinato trascinandosi dietro un albero di acrilico rosa, Riley Finn non poté fare a meno di pensare che come sempre sua moglie aveva avuto ragione.

+ + +

Edwin Barrows si fregò le mani soddisfatto. Era andata. Un albero di Natale rosa. Se solo pensava a tutti gli improperi che aveva ricevuto per quell'ordinazione sbagliata, fortuna che se ne era accorto prima che la ditta recapitasse gli altri 50 esemplari. Quella sì che sarebbe stata una tragedia. Già così aveva rischiato di perdere il posto, per fortuna aveva rimediato in tempo. E brillantemente, anche se non stava a lui dirlo. Già. Non stava a lui. Mentre un sorrisetto gli si allargava sulle labbra si diresse deciso verso l'ufficio del direttore. Aveva proprio voglia di un regalo di Natale anticipato. Un po' di scuse condite con qualche complimento le avrebbe gradite.
Sulla porta dell'ufficio il direttore gli fece cenno di aspettare. Era al telefono, probabilmente con sua moglie. Troppo occupato a discutere di quali centro tavola avrebbero scelto per il pranzo di Natale per concedergli un po' del suo tempo.

Schifoso dittatore.

Da quando lavorava lì non aveva mai rifiutato un doppio turno, mai chiesto un aumento di stipendio, mai fatto un'assenza ingiustificata. E quello non trovava cinque minuti per ascoltarlo? Avrebbe aspettato ancora un minuto e poi gliele avrebbe cantate a quel…

-Entri Barrows, stavo giusto per chiamarla-

Edwin sobbalzò. Non era ancora pronto. Forse avrebbe dovuto prepararsi un discorso. Un'introduzione. Qualcosa. Ma non ce ne fu bisogno. Il direttore, come sempre, sembrava avere le idee perfettamente chiare.

-Sa quanti alberi abbiamo venduto quest'anno Barrows?-

Edwin fece un rapido calcolo mentale prima di rispondere con un sorriso.

-Trecentocinquantacinque, signore. Compreso l'abete rosa-

Se si aspettava complimenti aveva bussato alla porta sbagliata, perché l'uomo lo guardò con disgusto.

-Lo trova divertente, Barrows? Sappia che per il suo piccolo scherzetto la ditta ha dovuto pagare una penale per la mancata accettazione della consegna-

Edwin abbassò il capo mortificato.

-Almeno compensa la sua distrazione con delle discrete doti matematiche. Ha detto bene trecentociquantacinque alberi. Esattamente un centinaio in meno dell'anno scorso-

-Il settore è in crisi, la recessione…-

-Io me ne frego della recessione, Barrows! Non mi importa se gli altri vivai chiudono, quello che mi importa è che il mio rimanga aperto e in attivo-

-Naturalmente signor direttore. E' quello che desideriamo tutti-

L'uomo sembrò colpito dalla remissione del dipendente perché si alzò e gli diede una pacca sulla spalla mentre andava alla finestra e si accendeva un sigaro.

-Sa qual è il problema, Barrows? La gente non ha più spirito natalizio. Preferisce farsi una settimana di vacanza in qualche atollo dimenticato da Dio invece che addobbare un albero di Natale e riempirsi come un tacchino. E come dargli torto? Le mie coronarie gridano già vendetta e non è neanche la Vigilia-

L'uomo aspirò una lunga boccata di fumo e la esalò nell'aria con calcolata lentezza. Edwin sentì le narici pizzicare e non riuscì a trattenere un colpo di tosse.

-Prima o poi gli alberi passeranno di moda, Barrows, o magari inventeranno qualche diavoleria che proietterà un albero di Natale già addobbato proprio nel centro del nostro salotto. Niente aghi da raccogliere niente palle che si rompono, letteralmente e non. Allora non potremo fare altro che chiudere i battenti-

Edwin ricacciò in gola un nuovo colpo di tosse. Quella conversazione non stava andando come aveva previsto. Affatto.

-Non ci girerò intorno, Barrows, la cosa è già abbastanza imbarazzante così. Come ha giustamente rilevato siamo in crisi e per rimanere in piedi dobbiamo tagliare i rami secchi. Se potessi tornerei indietro e ordinerei cento abeti in meno, ma non posso. Il danno è fatto, senza contare quello che ci ha aggiunto lei con quelle mostruosità di acrilico rosa. Perciò ora non mi resta che tagliare dove posso. Capisce dove voglio arrivare?-

Edwin non aveva la minima idea di dove volesse arrivare, ma assentì servizievole.

-Lei è un uomo intelligente Barrows. Sono sicuro che non avrà problemi a ricollocarsi-

Il direttore si lasciò ricadere sulla sedia di finta pelle nera e vergò una cifra irrisoria sul uo libretto degli assegni.

-Dopo le feste riceverà la sua liquidazione, ma intanto...-

L'uomo staccò l'assegno sotto gli occhi attoniti del suo dipendente.

-Lo consideri un premio di rendimento. Non vorrei mai che i suoi figli dovessero rimanere senza regali questo Natale-

Edwin Barrows prese l'assegno e se lo rigirò tra le mani, quasi non avesse mai visto qualcosa di simile.

-Non vuole che i miei figli rimangano senza regali di Natale. Il fatto di lasciarli senza un tetto sopra la testa invece non la preoccupa vero?-

Il direttore tossicchiò nervosamente.

-Adesso non drammatiziamo inutilmente. Diamine neanche le piaceva questo lavoro! Ora che è libero potrà finalmente cercare qualcosa di meglio-

-Io non voglio qualcosa di meglio!-

Il direttore gli diede una rassicurante pacca sulla spalla.

-Tutti vogliamo qualcosa di meglio, Barrows. Guardi, a conti fatti le sto facendo un favore-

Edwin scosse la testa incredulo.

-Un favore? Io non voglio favori, voglio il mio lavoro. Quello che ho fatto senza lamentarmi per dieci anni, quello che ho fatto meglio di chiunque altro in questa azienda per dieci anni! Voglio tornare a casa da mia moglie e poterle dire che anche il mese prossimo avremo i soldi per pagare il mutuo della casa e comprare da mangiare per i nostri figli!-

-Bè non sempre possiamo avere quello che vogliamo, vero Barrows?-

E così dicendo il direttore si alzò e fece per accompagnarlo alla porta.

Edwin sentì le sue mani grassocce e sudate serrarglisi sul braccio e la puzza dolciastra del sigaro appena fumato avvoglerlo in un aroma nauseabondo. E per la prima volta nella sua vita pregò per la morte di un altro essere umano.

-Io non sono uno dei suoi articoli invenduti, *signore*. Non può sbarazzarsi di me semplicemente rimandandomi al mittente-

-Senta Barrows sono stato più che disponibile con lei. Avrei potuto addebitarle la penale per quello stupido ordine e non l'ho fatto. Ora vada a raccogliere la sua roba prima di dire qualcosa di cui potrebbe pentirsi e vada a casa dalla sua famiglia, compri un dolce e del vino, abbracci i suoi bambini, insomma faccia le cose che si fanno a Natale. Domani, quando si sarà calmato capirà anche lei che questa è la soluzione migliore per tutti. Anzi guardi, se torna a trovarmi domani le scriverò anche una bella lettera di referenze-

Edwin scoppiò in una risata leggera che si spense prima di raggiungere i suoi occhi scuri.

-Ma certo, domani. Domani tornerò a trovarla-

E così dicendo uscì dall'uffico sbattendosi la porta alle spalle.

+ + +

Un mondo di luce. Quando la neve fresca si riversava sulla terra nascondendone le macchie dava davvero l'illusione che il mondo potesse essere un posto migliore.

Si appoggiò meglio contro il muro fissando lo sguardo su quella coltre bianca e lucida sotto il sole. Non avrebbe saputo dire a cosa stesse pensando in quel momento. Il riverbero era quasi fastidioso, la luce che lo produceva sembrava volerle penetrare il cervello attraverso gli occhi stanchi e le confondeva i pensieri disseminandoli lontani. Strinse gli occhi continuando a concentrarsi sulla luce che le impediva di pensare. Presto si sarebbero dovuti muovere. Presto avrebbero dovuto agire, portare avanti il piano, dare un senso a quel giorno. Ma la verità era che sarebbe stato solo un giorno come un altro. Solo l'ultimo in quella lunga fila di giorni che tradivano le attese. Era così da un pezzo ormai. Per lei i giorni avevano smesso di essere nuovi e pieni di promesse. Ogni nuovo giorno albeggiava sinistro e il sole la guardava dall'alto in basso prendendosi gioco di lei. Questo era solo un giorno come gli altri dieci, cento, mille già passati.

Voleva tornare a casa.

Quel solo breve pensiero penetrò nella coltre rarefatta della sua mente aprendo un varco per tutti gli altri. Quale casa? Non aveva nessuna casa a cui tornare da un pezzo. Forse non l'aveva mai avuta. Solo che non riusciva a ficcarselo in quella sua testa ottusa. Il solo fatto di desiderarla era più doloroso della consapevolezza di non averla.

Addio momento di pace.

Ma in fondo era solo un giorno come gli altri e come gli altri sarebbe finito presto.

Lo sentì uscire dalla porta e richiudersela alle spalle. Spense con la suola dell'anfibio la sigaretta che si era accesa sporcando la neve. Niente rimaneva puro per sempre. Così era la vita sulla terra.

-Sentito qualcuno di interessante?-

-Puoi dirlo, zucchero. Ma non quello che cerchiamo-

Per tutta risposta lei sbuffò incamminandosi nella direzione opposta. In pochi minuti lui fu al suo fianco.

-Sai dovresti fare qualcosa per tutta quella rabbia repressa-

-Avrei qualche idea su come sfogarla, o su chi-

Lui alzò le mani in segno di resa incondizionata.

-Calma, zucchero, calma. Ci sono un milione di altri modi per sfogarsi senza ricorrere alla forza bruta. Che ne dici di una serata karaoke al mio locale, sono sicuro che sarebbe rivelatorio per entrambi-

-Non canto, Verde-

-Tutti cantano con me, zucchero-

-Io.non.canto. Fattene una ragione e smettirla di *zuccherarmi* o mi verrà il diabete-

-Era solo per addolcire un po' quella tua immagine da cattiva ragazza. Sai la trovo un po' troppo costruita per essere credibile-

La ragazza si girò di scatto afferrandolo per il bavero del cappotto e puntandogli un pugno contro il naso pronunciato.

-Vediamo quanto mi troverai credibile dopo che ti avrò cambiato i connotati-

Lui le sorrise apertamente, senza mostrare il minimo timore.

-Sì, anche tu mi piaci-

Lo lasciò andare con un urlo frustrato e riprese a camminare a passi veloci davanti a lui, così non vide la sua espressione mentre gli lanciava contro l'ultimo colpo a tradimento.

-Deve fidarsi molto di te per averti mandato qui al suo posto e averti affidato la mia protezione. Sono merce rara, sai? Un esemplare unico se me lo consenti-

Si bloccò di nuovo alzando gli occhi al cielo prima di girarsi a guardarlo con sufficienza.

-Bè fiducia mal riposta perché credimi, se continui così non tornerai dal tuo angelo tutto intero-

Poi scrollò le spalle distogliendo lo sguardo.

-Del resto non aveva alternative, sono la sua ultima risorsa-

Il demone le lanciò un sorriso strano, ma lei, girata com'era, non lo colse.

-Sì, forse è come dici tu-

Riprese a camminare superandola.

-Sai sono anni che lavoro con Angel e ha fatto cantare per me tutti i suoi collaboratori, vecchi e nuovi. Perfino lui ha cantato per me una volta-

-Bè io non sono come gli altri-

Lorne si girò un'ultima volta a guardare la ragazza, il volto morbido chiuso in un'espressione dura.

-Sì, questo l'avevo capito quando Angel *non* mi ha chiesto di farti cantare-

La vide trattenere un respiro prima di replicare con la solita strafottenza.

-Non te l'ha chiesto?-

Scrollò le spalle prima di girare sui tacchi e continuare verso il prossimo negozio sulla lista.

-Ha detto che non ne aveva bisogno-

Non lo stava seguendo. I suoi passi si erano inchiodati sul terreno a qualche metro da lui.

-Coraggio, zucchero, non abbiamo tutto il giorno-

Lei si riscosse raggiungendolo in pochi secondi.

-Sono Faith, ricordi? F.A.I.T.H. Cos'è te lo devo tatuare in fronte?-

Lorne sembrò considerare la cosa per un attimo.

-Naaah. Sono già pieno di fiducia, non ho bisogno di un promemoria-

Faith lo guardò in tralice, poco convinta.

Proseguirono in silenzio per alcuni minuti, poi inaspettatamente fu proprio lei a riprendere la conversazione.

-E così...che canzone avrebbe cantato Angel?-

Lorne tossicchiò nervosamente.

-Questa, zucchero, è una di quelle storie che possono rovinarti il sonno-

+ + +

-Da quanto non dormi?-

Riley scrollò le spalle con noncuranza.

-Un paio di notti. Sai il jet lag-

Xander non staccò gli occhi dalla strada che si snodava davanti a loro, ma era chiaro dalla sua espressione che non l'aveva bevuta e che aspettava ancora la sua risposta. Riley si lasciò sfuggire un sorriso stanco. Non era più tanto sicuro che accettare la compagnia del vecchio amico lungo la strada di casa fosse stata una buona idea.

Bè sempre meglio che chiudersi in un furgone con Buffy, Spike e un albero rosa.

-Non lo so. Un paio di settimane-

O di mesi se vogliamo proprio essere precisi.

Xander lo guardò allora, la preoccupazione evidente sul volto.

-Tranquillo Xanman un po' di insonnia non ha mai ucciso nessuno-

-Ha fatto impazzire qualcuno in compenso-

Bel colpo.

-Bene. Grazie dell'informazione. Sai a ripensarci è meglio che me ne torni in albergo a dormire. Saluta gli altri per me-

Gli occhi di Xander si fissarono nei suoi senza mezzi termini.

-Dimmi una cosa Riley. Siamo ancora amici?-

Riley accennò un saluto distratto mentre si infilava nel primo vicolo disponibile. Non poteva parlarne con Xander. Non c'era niente da dire. All'inferno e ritorno. Nient'altro che questo. Non esattamente l'augurio che uno voleva sentirsi fare per Natale.

Era stato inutilmente scostante. Se ne rendeva conto perfettamente. Ed era stato inutilmente strafottente con Spike. In fondo nei suoi casini Spike centrava poco o niente. Non aveva motivo di avercela così tanto con lui. Non più. Anche se la serenità con cui se ne stava lì al fianco di Buffy, come se nulla fosse, era come mordere la buccia di un limone acerbo. La semplicità con cui le parlava, la facilità con cui riusciva a farla ridere o arrabbiare, la capacità che aveva di esasperarla e attirarla. Niente era cambiato. E lui invece doveva ancora elemosinare qualche ritaglio del suo tempo. Appunto. Niente era cambiato. Odiava Spike per questo. E odiava il fatto di odiarlo. Perché ormai Buffy era una storia chiusa e quando aveva scelto di andarsene sapeva perfettamente come sarebbe finita. L'aveva capito con totale chiarezza il giorno in cui era andato alla cripta di Spike per ucciderlo finendo per condividere con lui delusioni d'amore e una bottiglia di wiskey. Perché Spike era Spike. Potevi odiarlo, potevi amarlo, ma non potevi rimanere indifferente davanti a lui. Tanto meno resistere a quella sua dannata capacità di farti dire quello che covavi dentro da mesi, anni, magari dal momento della tua nascita, segreti e paure che neanche ti eri reso conto di aver mai avuto. Perché Spike non si accontentava di vederti, ti guardava dentro e fino in fondo, quando tutti gli altri si limitavano a darti un'occhiata di sfuggita.

Era questo che odiava di più di lui. Quel suo modo di guardarti come se sapesse qualcosa di te che tu stesso ignoravi.

Qualcosa si mosse appena fuori dalla sua visuale. Una vaga ombra nell'angolo del suo occhio sinistro.

Riley girò la testa di scatto in quella direzione.

Niente.

Nessuno gli si era avvicinato alle spalle. Nemmeno Xander. Il vicolo era perfettamente vuoto.

Mancanza di sonno. Ecco cos'erano quelle ombre che vedeva di tanto in tanto. Sintomi classici, secondo wikipedia. Nessun problema. Tutto a posto.

Anche se l'ombra aveva cominciato a manifestarsi dopo la morte di Sam. Molto prima che dimenticasse come si faceva a dormire più di dieci minuti di fila.

+ + +

Sistemò l'ultima decorazione su quel...coso di Natale e si allontanò di qualche passo per valutare meglio l'effetto. Niente da fare. Nonostante l'avesse coperto con qualunque cosa appendibile gli fosse capitata sotto mano sembrava ancora un albero di pelo rosa. Forse avrebbe dovuto accettare l'aiuto non ortodosso di Willow, una strizzatina di naso e quello sarebbe diventato un fantastico abete verde e profumato di bosco, già addobbato per l'occasione. Molto Vita da strega, la versione originale naturalmente non quel patetico remake con la Kidman. Ma lui aveva voluto fare a modo suo, in fondo aveva mangiato un decoratore di interni una volta...o forse anche due. E poi tentare di trasformare quell'obbrobrio rosa in un albero di Natale gli era sembrata un'impresa abbastanza impegnativa da impedirgli di rimuginare troppo sull'accaduto. Rimuginare. Un'altra cosa in cui non era mai stato bravo. Quella era sempre stata la specialità di Angel e ubi maior...forse l'avrebbe chiamato più tardi per chiedergli un paio di dritte. Magari Angel aveva un teschio di Yorik che gli avanzava.

Spike spostò lo sguardo su Buffy che si era incantata come un disco rotto davanti alla tavola mezza apparecchiata del salotto. A proposito di gente che rimuginava.

Il flash della macchina fotografica gli oscurò la vista per un attimo e quando le macchie luminose si diradarono vide Anya sbuffare davanti all'espressione corrucciata di Buffy.

-Cos'è vi siete dimenticati come si sorride? Riuscirò ad avere almeno una foto natalizia con qualcuno senza la fronte aggrottata?-

Spike si avvicinò alla donna dandole una leggera pacca sulla spalla.

-Non l'hai saputo, An? Il sorriso è fuori moda, un'espressione superata. Le smorfie da rimugino e la fronte aggrottata sono il nuovo trend, tutte le ragazze Cosmo lo sanno-

Buffy appoggiò l'ultimo piatto sul tavolo nascondendo ad Anya il sorriso che le era salito sulle labbra. Per tutta risposta il demone alzò le braccia al cielo e se ne andò nell'altra stanza.

La radio stava trasmettendo I'll be home for Christmas, versione Michael Buble. Spike sospirò alzando gli occhi a cielo. Divertente. Molto divertente. La voce di Buffy si insinuò tra le note morbide della canzone.

-Avrei dovuto fare finta di non vederlo?-

Spike la guardò mentre continuava a cercare una sistemazione per il centro tavola. Da almeno quindici minuti.

-Non mi pare di avertelo chiesto-

-Non sei mai stato bravo a nascondere quello che provavi. Inutile cominciare adesso, ti pare?-

Conta, Spike. Conta. Uno, due, tre...

-Non ho niente contro il nostro Boy Scout preferito, Buffy-

Lei si voltò e fissò gli occhi verdi nei suoi.

-Per questo non riesci neanche a chiamarlo per nome? Per questo lo guardavi come se fosse uno dei demoni che sei chiamato a distruggere?-

Lo osservò soffocare un'imprecazione mentre si allontanava verso la finestra dandole le spalle. Brava, Buffy, continua così. Sei assolutamente determinata a rovinare tutto, vero?

-Non ho niente contro *Riley Finn*. Meglio così?-

Buffy rise sinceramente divertita.

-Stiamo parlando dello stesso Riley che ti sei impegnato a distruggere pezzo per pezzo davanti ai miei occhi per oltre un anno?-

Lui scosse la testa senza voltarsi.

-Il tuo Riley si è distrutto con le sue mani, non ha avuto bisogno di nessun aiuto da parte mia. Non sono certo stato io a costringerlo a farsi prosciugare nella casetta delle vampiprostitute, mi pareva anzi che fosse più che consenziente-

-Ma non ci hai pensato due volte ad approfittare dell'occasione per dargli il colpo di grazia-

Spike fece per replicare, ma Buffy non gliene diede il tempo.

-E ti prego non rifilarmi di nuovo quel "credevo dovessi saperlo" o peggio "l'ho fatto per te" perché giuro che mi metto a urlare! Ancora non riesco a credere che tu mi abbia sbattuto in faccia il suo tradimento con tutto quello che stavo passando in quel momento...-

-E io non riesco a credere che stiamo davvero discutendo di questo con tutto quello che stiamo passando in *questo* momento!-

Spike si passò una mano sul volto stanco.

-Ti amo Buffy. E credevo ormai avessi capito che sono il tipo che è disposto a fare qualunque cosa per amore. Ho fatto cose per averti che non avrei mai pensato possibili, sono sceso a compromessi che non credevo sopportabili e durante il percorso ho anche giocato sporco, lo ammetto. Non sono perfetto, Buffy, non ho mai preteso di esserlo. E se vuoi un perfetto innamorato, uno che ti dia l'illusione di vivere in uno di quei telefilm stile Happy Days, bè forse hai fatto bene a invitare Finn a rimanere-

E con quelle parole se ne andò sbattendo la porta.

Molto intelligente. Una reazione matura e razionale.

Spike scese i gradini del portico rabbioso, assestando un calcio alla staccionata, tanto per buona misura. Tirò fuori le sigarette dalla tasca dei jeans e dove diavolo aveva lasciato l'accendino. E perché diavolo quando c'era nei paraggi Capitan America riusciva sempre a fare la figura dell'idiota? Come se tutta quell'assurda storia del Dottore non fosse bastata. No. Lui doveva tornare per incasinare ancora meglio tutto quanto. Stupida sottospecie di Big Jim.

Eccetto che l'unico vero stupido era lui, vero? Era lui che aveva provocato Buffy, non il contrario. Era lui che aveva voluto a tutti i costi tastarle il polso sulla questione Riley. Era lui quello geloso. E geloso di cosa poi? Non aveva detto a Riley che Buffy aveva un tipo e quello non era lui? Non gli aveva forse ripetuto più di una volta che non era uno destinato a durare nella vita della Cacciatrice? Di passaggio. Ecco come l'aveva chiamato. Solo che quello cominciava a essere un passaggio un po' troppo frequente per i suoi gusti. Già. Come una dannata ruspa che passava giusto di tanto in tanto a distruggere tutto quello che aveva costruito.

+ + +

-Quando hai parlato di inferno, credevo fosse un modo di dire. Non pensavo avrei dovuto rintronarmi le orecchie con la musica del diavolo tutto il tempo-

Faith si girò a guardare Lorne che fischiettava amabilmente appoggiato al muro accanto a lei.

-Dice che spavento i suoi aspiranti cantanti. Come se fossi io quella verde con le corna-

La voce di Angel le rispose calma e pacata.

-E cosa dovrei fare, aspettare che abbia provinato metà della città?-

Si chiese se non era Angelus a parlarle, perché solo quel bastardo avrebbe potuto volerla sottoporre a una tortura simile.

-Oh sì, l'albergo è favoloso. Non capisco come mai non gli abbiano assegnato cinque stelle. Insomma solo perché il proprietario ha la classica faccia da serial killer e le camere puzzano di cadavere...-

Faith sospirò concentrandosi sulle parole che scorrevano rassicuranti lungo il filo di rame e le arrivavano decise all'orecchio attraverso la cornetta unta del telefono pubblico.

-Non ho bisogno di angeli custodi-

Chiuse la comunicazione prima di poter sentire le inevitabili raccomandazioni che sarebbero seguite a quella provocazione.

-Sorridi e il mondo sorriderà con te, zucchero-

Faith sorrise malevola.

-Mai sentito parlare di limite umano di sopportazione?-

Lorne scrollò le spalle.

-Io sono un demone, zucchero. Non ho limiti...umani. E sono dotato di inesauribile pazienza-

-Io non canto, Verde-

-Tutti cantano con me prima o poi-

Faith incrociò le braccia ostinata.

-Certo, ma non sono io quella che devi far cantare prima, ricordi? Perciò perchè non vai a fare il tuo raid notturno mentre io mi godo la nostra favolosa sweet?-

Lorne si staccò dal muro con un sospiro aggiustandosi la sciarpa e il capello in modo da coprire al meglio il suo colorito non esattamente rassicurante.

-D'accordo zucchero, ma la nostra sessione di jammin è solo rimandata-

Faith gli regalò un sorriso a denti stretti mentre lo guardava allontanarsi.

-E smettila di chiamarmi zucchero!-

Per tutta risposta il demone alzò una mano in segno di saluto e sparì oltre la porta di ingresso del Motel.

+ + +

Sentì le sue braccia che lo circondavano da dietro. Curioso. Non l'aveva neanche sentita scendere i gradini, eppure sentiva perfettamente il suo profumo e il suo calore che lo avvolgevano.

-Sono un idiota-

-Allora siamo in due-

-No, hai ragione tu. Quando si tratta del nostro American Soldier il mio giudizio è un po' annebbiato-

-Un po' annebbiato-

Spike alzò gli occhi al cielo sbuffando.

-E va bene quando si parla di Riley Finn il mio cervello vaga nel banco di nebbia più denso e impenetrabile che si sia mai visto, meglio adesso?-

Buffy sorrise stringendosi al suo corpo e affondando la faccia contro la sua schiena.

-Meglio sì-

Spike cercò di godersi il momento di grazia. Lei era sua. In tutta la sua gloriosa bellezza. Morbida e arrendevole e...

Diglielo.

Sta zitto cervello.

Si passò una mano tra i capelli come a voler scacciare quella voce fastidiosa.

-Cos'è che ti preoccupa veramente? E non dirmi che è il ritorno di una mia vecchia fiamma perchè non ti crederei-

Spike aprì gli occhi fissandoli in un punto imprecisato di fronte a sé.

-Solo quell'orribile mostro dagli occhi verdi che ho visto quando abbiamo incontrato la tua *vecchia* fiamma in tuta mimetica-

Buffy si separò da lui con un sospiro.

-Se davvero fosse solo una questione di gelosia mi avresti portato di sopra ore fà per dimostrarmi che Riley non potrebbe mai reggere il confronto con te-

Spike si girò a guardarla, sinceramente colpito.

-Da quando ti sei appassionata a Shakespeare?-

Lei gli rispose piccata.

-Mi è sempre piaciuto Shakespeare-

Spike alzò un sopracciglio poco convinto.

-E va bene l'estate scorsa ho visto Shakespeare's in Love, soddisfatto?-

-Diciamo tranquillizzato. Sai posso sopportare solo un numero limitato di sorpese al giorno-

Buffy puntò le mani sui fianchi ostentando un'espressione offesa.

-Sicuro di voler proseguire sulla cattiva strada? Perché vedo una lunga e dolorosa astinenza profilarsi all'orizzonte-

Spike coprì lentamente la distanza che li separava, un sorriso a fior di labbra, e si fermò appena prima di stabilire un contatto fisico. Quando parlò lo fece direttamente all'orecchio di lei, lasciando che il suo respiro le sfiorasse il collo scoperto dai capelli raccolti.

-Saresti disposta a un tale sacrificio pur di guidarmi sulla retta via?-

Buffy sentì che il focus della sua attenzione si allontanava pericolosamente dal contenuto delle sue parole per fissarsi sul modo in cui gliele stava sussurrando, con quella sua dannata voce bassa e vibrata e quel suo modo di assaporarle sulla lingua come se fossero niente altro che corpose gocce di miele, ma incredibilmente il suo cervello riuscì ugualmente a processare il significato di quello che stava ascoltando. Sacrificio eh?

-Guarda che non sono io il Michael Douglas della situazione. Posso resistere almeno altri centocinquantasette giorni senza metterti le mani addosso-

Vide un lampo di sorpresa attraversargli lo sguardo. Cercò di ripensare a quello che gli aveva appena detto, ma era difficile fare valutazioni razionali quando gli stava così vicino.

-Sai *Catherine* solo chi ha una incontrollabile dipendenza conta i giorni che ha resistito senza cedere al suo vizio preferito-

Naturalmente. I giorni. Buffy si chiese come avrebbe reagito se avesse saputo che quel conteggio lo aveva fatto anche in ore e minuti. D'accordo forse era dipendente. Spike-dipendente. Forse c'erano delle comunità di supporto anche per quello. Tipo la Spike-dipendenti anonimi. Alle riunioni ti insegnavano a ignorare i brividi che ti correvano lungo la schiena ogni volta che lui ti guardava in quel modo, sì esattamente così, con gli occhi azzurri scuri di desiderio. Ti insegnavano anche a non lasciarti distrarre dal modo in cui quelle dannate maglie attillate sottolineavano sempre e inevitabilmente la sua muscolatura sinuosa e disegnavano i suoi addominali scolpiti come una seconda pelle. Infine ti insegnavano che era sbagliato, assolutamente deleterio, fissarsi sui suoi zigomi cesellati e le sue labbra morbide mentre lui continuava a parlarti e probabilmente di cose serie e urgenti e magari voleva anche una tua opinione in merito.

-Ma tutto sommato credo che tu abbia ragione-

Buffy rispose in automatico.

-Certo che ho ragione-

Lo vide reclinare la testa di lato e guardarla in tralice, un sopracciglio alzato e quel dannato sorrisetto sarcastico. Posa brevettata numero tredici. Mai un buon segno. Lo fissò circospetta.

-Com'è che mi dai ragione così all'improvviso?-

Per tutta risposta Spike le circondò la vita con le braccia attirandola contro di sè.

-Non all'improvviso. Hai passato gli ultimi dieci minuti a insistere che sono la creatura più sexy del mondo conosciuto. Avevo qualche dubbio prima, ma sei stata abbastanza esplicita da convincermi-

Buffy alzò gli occhi al cielo facendo del suo meglio per non ridere e dargli ulteriore spago.

-Ma il fatto che io sia oggettivamente bello non è una buona ragione per oggettivarmi. Il mio cervello è sexy quanto il mio corpo. Sai dovresti provare ad ascoltarmi di tanto in tanto...-

Buffy risalì con le mani lungo le sue braccia fino a intrecciare le dita dietro la sua nuca. Lo guardò da sotto in su con un'espressione imbronciata.

-Ma le parole che ti escono di bocca non sono mai belle come tutto il resto-

Lo vide lasciarsi andare a una risata sincera, il capo rovesciato all'indietro, e quando tornò a guardarla con gli occhi luccicanti come quelli di un ragazzino che avesse appena ascoltato la storia del secolo non potè fare altro che attirarlo contro di sè e baciarlo. Al diavolo la Spike-dipendenti anonimi e le sue stupide riunioni. Non c'era riabilitazione possibile.

Sentì vagamente una macchina slittare sulla neve a pochi passi da loro, ma era solo rumore di fondo perché lui ora stava ricambiando il suo bacio e ogni volta che lo faceva lei provava una certa sorpresa, perché era sempre come il primo bacio, pieno di attesa e farfalle nello stomaco. Roba da cinema, cento volte il primo bacio, o qualcosa del genere. Sempre se non consideravi il fatto che la prima volta che si erano baciati era andata a finire male. Malissimo. E che probabilmente non si sarebbero mai baciati la prima volta se le loro vite non si fossero incasinate in modo colossale e non fossero morti entrambi, a un certo punto del percorso minato.

O magari si sarebbero baciati comunque. Magari in qualche universo alternativo si stavano dando il primo bacio proprio in quel momento e questo stava per mettere in crisi la loro vita e le loro relazioni precedenti. Perché lei era evidentemente ancora fidanzata con un ragazzo dagli occhi scuri e dalle labbra sexy e imbronciate mentre lui aveva giurato fedeltà eterna a una ragazza dal fascino antico e la mente tormentata. Forse in quel mondo alternativo quel piccolo tradimento appariva tragico perché i loro alter ego non sapevano neanche cosa fosse una vera tragedia.

Ma qualunque cosa stessero facendo in qualunque altro mondo possibile, la cosa importante era che lì, in quel momento e in quella realtà, lui la stava baciando e le affondava una mano tra i capelli mentre con l'altra la stringeva contro di sé, incurante degli sguardi estranei e pieni di invidia che li circondavano.

La cosa importante era che ormai non avevano più bisogno di chiedersi scusa per il passato. Perché ogni momento che trascorrevano insieme, ogni passo che facevano l'uno verso l'altra, ogni volta che si guardavano in modo nuovo, si sentivano perdonati.

Spike si separò da lei ansimando. Giusto la necessità di ossigeno avrebbe potuto distrarlo. Maledetti polmoni. La sentì accomodarsi meglio tra le sue braccia e rovesciare il capo all'indietro per guardarlo. Ogni volta che lei lo guardava adesso era con una tenerezza che lo innervosiva. Avrebbe voluto di nuovo sentirsi invincibile, invulnerabile, avrebbe voluto tornare ad essere cinicamente indifferente al mondo. Ma quando lo guardava così non poteva fare a meno di sentirsi indifeso, vulnerabile e irrimediabilmente legato a quel mondo, a quella vita, a lei. Chi era quello dipendente tra loro?

-Allora vuoi dirmi che c'è o devo tirartelo fuori con la forza-

-Non hai bisogno di forzarmi a tirarlo fuori, lo sai che ti basta chiedermelo gentilmente-

Lei lo guardò con disappunto. Spike alzò gli occhi al cielo con un sospiro rassegnato.

-D'accordo, d'accordo non hai bisogno di chiederlo te lo darei comunque. Sono il tuo schiavo compiacente, ricordi?-

Buffy non riuscì a trattenere un sorriso mentre lui le baciava il collo, il mento, la guancia, le palpebre chiuse, evitando accuratamente le sue labbra. Tentatore.

-A volte ho bisogno che tu mi ricordi chi comanda qui-

Prendendogli il volto tra le mani rispose alle sue provocazioni accarezzandogli le labbra con le sue, trasformando lentamente quel contatto sfuggente in un bacio sempre più profondo, reclamando la sua completa attenzione. Due secondi ancora e le cose le sarebbero sfuggite di mano. Lo sentiva nel modo in cui il suo corpo istintivamente si proiettava contro quello di lui cercando una frizione, un contatto, qualcosa che desse sollievo al bisogno che sentiva crescere dentro. Lo capiva dal modo in cui le mani di lui avevano smesso di sfiorarla per cercare la sua pelle nuda sotto i vestiti. Con più forza di quanta credeva di possederne, Buffy si sciolse dall'abbraccio ottenendo per tutta risposta un sospiro frustrato.

-Sei ovviamente tu che comandi. Non ti sei ancora stancata di sentirtelo dire?-

Buffy finse di considerare la cosa, l'indice premuto contro le labbra a indicare un'attenta riflessione.

-No. Posso ancora sentirtelo dire almeno un centinaio di volte-

Spike sorrise tra i denti attirandola di nuovo contro di sè.

-Qualcuno dovrebbe fare qualcosa per questo tuo istinto da dominatrice-

Buffy si lasciò andare contro di lui assaporando le sue carezze sulla schiena.

-Immagino sarai tu a doverti fare carico di questo onere-

Spike si allontanò quanto bastava per guardarla meglio negli occhi.

-Nooo. Io adoro il tuo lato dominatore e poi sto ancora aspettando che tu soddisfi la mia fantasia di vederti arrivare una notte nella mia stanza vestita come Cat Woman-

Buffy sorrise intrecciando le mani dietro il collo di Spike e perdendosi per qualche istante nell'intensità dei suoi occhi che la guardavano come se non avessero mai visto niente di più bello.

-Sei stupendo, lo sai?-

-Lo so-

Buffy lo respinse indossando un'espressione di offeso stupore. Spike le rispose con un'espressione innocente e confusa.

-Cosa? Non era quella la mia battuta?-

Poi alzò le mani in segno di resa e ammise con una certa riluttanza.

-D'accordo. Anche tu sei stupenda-

Buffy non diede segno di accettare la tregua perchè incrociò le braccia sul petto e si mantenne a distanza di sicurezza.

-Inutile hai bruciato la tua ultima occasione di distrarmi, ora sei costretto a rispondermi-

Spike distolse lo sguardo serrando le labbra, così non la vide mentre si avvicinava di nuovo, ma sentì ugualmente la preoccupazione vibrare nella sua voce quando gli parlò.

-Sai, stare qui a scervellarmi su quello che non mi stai dicendo mi fa stare peggio che sentirtelo dire-

-Te l'ho detto, Buffy. E' quel mostro dagli occhi verdi che mi preoccupa-

Buffy sorrise amareggiata prima di voltarsi e cominciare a risalire i gradini del portico, ma la voce di Spike la bloccò proprio mentre stava per aprire la porta sul retro.

-Non è una metafora, Buffy-

Si voltò lentamente a guardarlo, ma lui teneva lo sguardo distante, le mani serrate sulla balaustra.

-L'ho visto. Accanto a Riley-

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Fine prima parte