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W R I T I N G S : NOVELS
 

"Il Caso Ambrosini" ch. 5, short novel


 
 
 

"IL CASO AMBROSINI" chapter 5 (1999). A short novel



La mattina successiva Salvi venne a prendermi in albergo con una macchina di servizio del Palazzo di Giustizia. La cosa mi fece piacere, e pregustavo un percorso meno affannato e asfittico di quello offerto dai collegamenti pubblici. La giornata era calda e soleggiata, nonostante la mezza stagione ed alcune improvvise raffiche di vento. Riguardavo con infantile curiosità questa metropoli che non mi riusciva di assimilare alla decadenza di altre città di mare italiane, né alla solarità delle località del litorale adriatico che ben conoscevo, o allo splendore di alcuni luoghi d'arte lì vicini, e nemmeno alla sedicente operosità dei centri industriali di quel nord-est italiano che, pur agli estremi limiti meridionali, includeva la stessa Ancona.
A metà del tragitto chiesi a Salvi di prendere tempo per un supplemento di colazione, e devo dire che mai lo vidi acconsentire con tanto entusiasmo ad una mia richiesta estemporanea, forse perché coinvolto nell'atteggiamento taciturno che avevo tenuto fino a quel momento.
Ci fermammo in un'affollata pasticceria che dava su una delle vie principali della città, a pochi isolati dal mare, e lì, tra la folla caotica, la brezza del mare che alzava la propria voce attraverso le grandi vetrine del locale, e il luminoso, indiscreto tormentone dei raggi del sole, trovammo casualmente un breve intervallo di gioiosa amicizia in una improvvisata conversazione nonsense.
Quando giungemmo, con pochissimo ritardo sulla tabella di marcia, al Palazzo di Giustizia, per un istante, e finché non mi ritrovai al posto di lavoro, pensai che questo poteva anche essere il mio paese natale, in fondo - una città di amici d'infanzia e di corse in bicicletta.
La mia disposizione d'animo era forse un po' condizionata dai piccoli particolari coreografici del lungomare e del porto della città in fermento mattutino, ma notai che anche Salvi guardava ben oltre il display che enumerava il caricamento dei driver dei dispositivi e le conferme all'accesso alla rete, e mi scrollai affrettatamente di dosso tutte quelle sensazioni estemporanee.

Col passare dei giorni il mio studio era diventato un occasionale punto di ritrovo per alcuni impiegati del Palazzo di Giustizia, che qui venivano a fumare la sigaretta della pausa lavoro come alternativa allo sgabuzzino delle macchinette del caffè. Alcuni cercavano Salvi per il bowling domenicale, altri Montecatini per le fotocopie di un centinaio di documenti, altri ancora erano solo di passaggio per vedere "come vanno le cose", ma tutti sembravano disposti a trattenersi amabilmente, non prima che ci si potesse addentrare, brevemente e senza molta opportunità, sul procedere delle indagini e sullo stato dell'autopsia al computer. Quel fine settimana poi era particolarmente caotico, e la gente andava avanti e indietro frenetica.
Nel laboratorio la pizza fumante dei cartoni take-away dava ormai gli ultimi aliti. Ancora un po', pensavo, e la mangeremo fredda e callosa, ma nello stanzone alla penombra delle lucine Beghelli, avvolte nei giochi psichedelici del filo di fumo dell'ultima sigaretta, non pareva che il nostro rancio serale riuscisse più ad attirare l'attenzione se non del mio stomaco brontolante. Le mie dieci dita che scivolavano frenetiche sulla tastiera per urgenti funzioni di catalogazione e "back-up" del lavoro di un pomeriggio, sembravano ancora esercitare, di tanto in tanto, un magico fascino sulla concentrazione di Salvi, altrimenti irrimediabilmente compromessa a metà dal pensiero di casa-dolce-casa, e per il resto dal cervello fuso dalla stanchezza. Salvi era tuttavia irriducibile, come il giovane collega, tal Mino Riotta, quest'ultimo designato ad attardarsi con il sottoscritto a staffetta degli obblighi di Salvi stesso.
Io non ero così ottusamente coscienzioso, non al punto da tirare le ore piccole per lavoro, ma mi resi conto che in quell'ambiente, nel Palazzo di Giustizia, la cosa non era affatto insolita, se non addirittura la prassi di molti.
Finalmente addentai il pezzo più in vista della pizza alla cipolla, che era ormai fredda, ma qualcuno nello stanzone aveva mischiato le bottiglie di vino con la birra, e Riotta, ad un lato della stanza, aveva persino acceso il piccolo televisore per seguire imbelle le farneticazioni di Music TeleVision, così il quadro si faceva più complesso, nella sua diffusa demenzialità, e tornai golosamente ad assaporare la farina semicruda della mia sbobba, pregustando anche, con largo anticipo sull'apertura del sacchetto, le delizie delle Rustiche San Carlo.
Mino mi osservò con solerte rispetto, e disse qualcosa del tipo : « Ma non era preferibile trasferire tutto il materiale nell'altro disco rigido sin dal principio ? »
Apprezzai l'osservazione scrupolosa, che veniva pur da un neofita, e così, con rinnovata verginità di pensiero, risposi : « Ho fatto un interminabile duplicato, traccia a traccia, già dal primo giorno. Spero di trovare qualcosa di utile, vivaddio, in questo desio. »
Riotta osservò con singolare contorcimento del capo lo scorcio del mio monitor, mostrandosi soddisfatto dalla risposta e, prima di tutto, dalla mia precisione. « Cosa potremo trovare là dentro, ad esempio ? » aggiunse immediatamente.
« Io » dissi « avrei delle idee assai precise, ma non intendevo sbilanciarmi, almeno finché non sarò arrivato ad un certo punto. »
Intendevo aggiungere che stavo preparando una serie di parole chiave, per l'amena ricerca che il pool di Montasi avrebbe condotto, finalmente, sui frammenti della vita elettronica di Ambrosini. Ma mi interruppi. Pensavo che avrei preferito un vecchio pezzo degli Stones, piuttosto che questo disordinato emulo dell'ultimo Battisti che passava or ora su Music TeleVision.
Finalmente Salvi, cotto e biscotto, uscì di scena con la discrezione che lo contraddistingueva - al limite della maleducazione, se non avessi imparato ad apprezzarlo a tal punto. Lo salutai vigorosamente, stringendo energicamente a pugno le dita della mia mano a mezz'aria, in un singolare gesto d'enfasi che non mi conoscevo. Salvi scomparve con la mano sinistra a stropicciarsi nervosamente gli occhi, ed io accesi infine una sigaretta in onore dell'attraente biondina che era apparsa all'improvviso nel piccolo schermo tivvù.
« Domani » dissi a Riotta « voglio svegliarmi presto, e fare una breve passeggiata in spiaggia. »
« Un'idea formidabile, » rispose immediatamente il ragazzino « mentre io vivo nell'entroterra ! »
Già, nell'entroterra ...
Tolsi la cassetta dall'unità di salvataggi dei dati, e la riposi nell'involucro protettivo. Spensi il computer, la lampada da tavolo e tutte le lucette Beghelli, poi inghiottii il fondo del bicchierino di carta del mio caffè espresso, e presi ad andarmene, lasciando tutti i componenti magnetico/elettronici alla solerte custodia di Riotta.

Il lunedì seguente somigliava alla piatta calma di tutti quei giorni della settimana precedente trascorsi nel laboratorio di informatica. Le fasi più appassionanti dell'indagine si erano già esaurite tra le scoperte del mercoledì e le analisi approfondite del giorno successivo. Durante tutta questa mattinata programmai un computer per il recupero dei frammenti, ed un altro per la catalogazione euristica dei dati, in modo che lavorassero per proprio conto, mentre io continuavo ad inserire improbabili parole chiave nelle procedure di ricerca all'interno delle stringhe di testo dei frammenti stessi. Ad un certo punto mi resi conto che il PC lavorava da alcune ore. Se fosse stato spento non avrebbe fatto alcuna differenza. Diedi un occhiata a Salvi, e notai che era assorto nel suo abituale limbo pre-notturno, ed io, cosa ancora più inquietante, consideravo vinta la partita, e le carte jolly già giocate da un pezzo. Versai nel bicchiere l'ultimo sorso di birra, e fui preso da un vago sconforto, perché sembrava che non ci importasse più nulla di quello che avevamo fatto sino a quel momento, e ben poco avrebbe potuto riportare ad un livello di media normalità l'attenzione di tutti noi due. Il fatto è che non sapevamo più cosa cercare, ed io ero ormai stufo di pensare ad un'ignota ipotesi che probabilmente, da parte del "pool", era identica a quella - prettamente procedurale - che impone di tracciare un cerchio col gessetto a tutti gli indizi grossolanamente individuati sul luogo di un delitto. Chiesi a Salvi una sigaretta della marca che fumava di tanto in tanto, ben più aromatica delle mie extra-lights, ma ricevetti invece un cenno negativo, perché, da buon fumatore occasionale, non aveva il pacchetto con sé. Presi finalmente tutte le mie cose, e dissi che me ne andavo in albergo e che domani sarei tornato a mettere a punto gli ultimi dettagli per presentare il lavoro già fatto. Aggiunsi che non si poteva fare molto più di quel che già c'era, quindi temporeggiai ancora per spiegare tutti i risvolti del caso, come li vedevo io - almeno - ma Salvi era ormai poco disposto alla loquacità. Stavo spegnendo l'ultimo elaboratore, quando giunse una finestra "pop-up" a ricordarmi che stavo cercando da tempo qualcosa che non avevo ancora trovato. Feci qualche doveroso controllo.
« Credo che abbia finito da un bel pezzo. » dissi a Salvi « Ce l'abbiamo fatta ! »
Ma sembrò che, lì per lì, Salvi non volesse neppure riflettere sulla cosa, ed io, appena nella mia stanza d'albergo, feci un bagno caldo, quindi mi buttai nel letto per seguire i titoli del TG3 delle diciannove, e lì subito mi addormentai.

 


 
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