NOCS: Operazione "Dozier"

Padova, 28 gennaio 1982: i NOCS irrompono nella "prigione del popolo", liberano il generale Dozier e arrestano cinque uomini delle Brigate Rosse. Il tutto in 90 secondi, senza sparare un colpo.

Verona, 17 dicembre 1981. Alle 17 in punto il generale di brigata James L. Dozier lascia Palazzo Carli, quartier generale delle forze terrestri NATO per il Sud Europa (FTASE). Il piantone aziona elettronicamente il pesante portone di ferro e Dozier esce nella sua 132 blu con autista. Dozier è sottocapo di stato maggiore della FTASE e dirige i servizi logistici e amministrativi in Italia. Cinquant’anni, alto e magro, con il viso affilato e le orecchie a sventola. Dozier è un veterano del Vietnam, ed è considerato un duro. E’ giunto in Italia nel giugno del 1980. E’ cortese, ma un po’ "orso": ed è forse anche per questo suo carattere schivo che dopo un anno e mezzo non capisce ancora bene l’italiano.

Quel pomeriggio di dicembre il cielo è sereno e il traffico scorrevole, malgrado l’imminenza del Natale. Per arrivare al n. 5 di Lungadige Capena ci vogliono solo cinque minuti. Dozier abita al 6° piano, in un appartamento con un grande living e una mansarda, insieme con la moglie Judith, poco più giovane di lui. La coppia ha anche un figlio e una figlia, che però non vivono in Italia.

Il genarale congeda l’autista ed entra nel portone, senza minimamente insospettirsi per la presenza di un furgoncino parcheggiato nelle vicinanze. E’ un pulmino blu con una striscia attraverso il radiatore, ma senza scritte sulle fiancate. La moglie di Dozier arriva un po’ più tardi: ma il pulmino è sempre lì. Verso le 18, due uomini un tuta blu si avvicinano al portone: le Brigate Rosse sono entrate in azione. Uno dei due "idraulici" è il capo del commando, Antonio Savasta: 27 anni e 17 omicidi. "La cosa più semplice - racconterà dopo la cattura - era entrare nell’appartamento con un pretesto. Quindi io e ‘Daniele’ ci eravamo travestiti da idraulici. Il portone era sempre chiuso, ma avevamo scoperto che nell’androne c’era un negozio di articoli sportivi. Così Giorgio doveva suonare il campanello fingendosi un cliente. Io e ‘Daniele’ saremmo saliti allora sino all’appartamento; mentre ‘Rolando’ e ‘Fabrizio’ sarebbero rimasti sulla rampa delle scale; ‘Martina’ e ‘Giorgio’ si sarebbero fermati in strada per corirci con i mitra in caso di necessità; e ‘Federico’ non si sarebbe mosso dal posto di guida del pulmino".

I brigatisti salgono sino al 6° piano e Savasta suona il campanello. "Siamo dell’acqua potabile - dice attraverso la porta - e abbiamo notato che al piano di sotto c’è una perdita. Dobbiamo dare una controllata". Dozier apre la porta con una disinvoltura che farebbe inorridire gli istruttori del corso antisequestro da lui seguito al Pentagono. I BR fanno un giretto nell’appartamento per essere sicuri che non c’è nessun altro, poi estraggono le pistole. "Siamo le Brigate Rosse, e se ti muovi ti uccidiamo", dice Savasta nel suo inglese stentato. Dozier cerca di reagire, ma ‘Daniele’ lo colpisce al capo con il calcio della pistola, facendogli perdere i sensi.

Anche la moglie viene immobilizzata, poi ‘Fabrizio’ scende a prendere nel pulmino la grande cassa dove sarà sistemato il corpo di Dozier. Nel frattempo i brigatisti setacciano l’appartamento e si impadroniscono di tutte le carte del generalePer souvenir - come dirà poi Savasta - si mettono in tasca anche i gioielli di Judith.

La cassa, con dentro Dozier ancora privo di sensi, finisce nel pulmino, mentre Judith viene rinchiusa nel bagno di servizio, ammanettata e imbavagliata. "Dopo aver caricato la cassa - ricorderà ancora Savasta - diamo l’OK con un walkie-talkie a ‘Rolando’ e ‘Daniele’ che sono rimasti nell’appartamento. Se ne andranno più tardi, per evitare che qualcuno possa dare l’allarme mentre siamo ancora in strada. In una specie di galleria fra due palazzi trasbordiamo la cassa su una ritmo, a cui abbiamo levato il sedile posteriore. Poi io e ‘Giorgio’ abbandoniamo il pulmino e prendiamo il treno per Padova. ‘Rolando’ e ‘Daniele’ partiranno invece più tardi per Milano".

La prima rivendicazione del sequestro da parte delle BR giunge all’ANSA verso le 23, per telefono. L’indomani, alle 14, c’è un’altra conferma, sempre telefonica, ma più particolareggiata. Una voce maschile con accento veneto, detta: "Qui, le Brigate Rosse, colonna Anna Maria Ludmann, ‘Cecilia’. Rivendichiamo il rapimento del boia della NATO, James Dozier, che sarà rinchiuso nelle carceri del popolo e sottoposto al giudizio del proletariato".

L’azione si inserisce nella strategia anti-NATO che l’euroterrorismo sta perseguendo in tutta Europa già da parecchio tempo. Il presidente americano Reagan, colto di sorpresa dalla notizia del rapimento al termine di una conferenza stampa, reagisce con violenza, accusando i brigatisti di essere ‘cialtroni vigliacchi’, senza il fegato necessario per affrontare il generale ‘da uomo a uomo, in uno scontro leale’. I primi agenti della CIA arrivano discretamente a Verona il 18 sera. Seguirà una task-force ufficiale, composta da 7 agenti speciali scelti tra il fior fiore della CIA e del FBI (più alcuni ‘tecnici’ di origine siciliana per indagare sulle possibili collusioni fra BR e mafia).

A Roma, intanto, la direzione delle indagini è stata affidata all’Ufficio Centrale per le Investigazioni Generali e le Operazioni Speciali (UCIGOS), che coordina l’azione delle divisioni provinciali (DIGOS, ex Uffici politici) operanti su piano locale. Anche l’Arma dei Carabinieri partecipa alle ricerche. I reparti speciali, invece, attendono il loro momento, in disparte. Le ‘teste di cuoio’ italiane sono state create al tempo del sequestro Moro, nel 1978. Sono i ragazzi dei Nuclei Operativi Centrali di Sicurezza (NOCS) alle dirette dipendenze del ministero degli interni; a questi si affiancano i Gruppi per Interventi Speciali (GIS) dei Carabinieri. Su questi corpi si sa poco: solo che stanno addestrandosi da circa tre anni e che sono ritenuti in grado di affrontare qualsiasi emergenza.

Subito dopo il sequestro, la NATO aveva precisato che il generale Dozier non era depositario di alcun segreto militare, ma la verità era un po’ diversa. Come responsabile dei servizi logistici e amministrativi, infatti, Dozier conosceva perfettamente la struttura complessiva delle basi NATO in Italia. Forse non era al corrente dei dati più segreti relativi al ‘parco nucleare’ puntato verso Est: ma le informazioni di cui era in possesso bastavano per destare inquietudini in seno all’Alleanza, qualora le BR avessero deciso di ‘passarlo’ ai tecnici dello spionaggio sovietico.

I rapitori si fanno nuovamente vivi due giorni più tardi, questa volta con un messaggio scritto. Altri quattro seguiranno, a intervalli di 8-10 giorni. Con il comunicato n.2 del 27 dicembre viene diffusa anche una foto dove si vede il generale, sullo sfondo della stella brigatista a cinque punte, mentre regge un messaggio a lettere di scatola, con il viso segnato da grosse ecchimosi.

Dozier era stato trasferito a Padova, sin dalla sera del sequestro, in un appartamento di via Ippolito Pindemonte n.2 alla periferia della città: cinque stanze al primo piano di un condominio popolare, proprio sopra un grande supermercato. Proprietario della ‘prigione del popolo’ era un ignaro medico, Mario Frascella, che aveva lasciato l’appartamento a disposizione della figlia secondogenita Emanuela (nome di battaglia ‘Daniela’ o ‘Lucia’), una studentessa di vent’anni incensurata. Nel salone, insonorizzato, i brigatisti avevano montato una tenda verde da campo: ed è lì che Dozier avrebbe passato i 40 e passa giornidella sua prigionia, su un materassino di gomma, e con i ferri ai piedi. I comunicati delle BR sono tutti firmati con una sigla nuova, ‘Brigate Rosse per la costruzione del Partito comunista combattente’ che fa pensare a uno scontro in atto tra fazioni brigatiste, e lascia capire che Dozier è finito in mano all’ala più ‘dura’. La svolta decisiva nelle indagini avviene a Verona fra il 26 e il 27 gennaio. Tra i fermati c’è un sospetto brigatista che si chiama Ruggero Volinia, detto ‘Spillo’ per la sua somiglianza con il calciatore Altobelli. Sottoposto a stringente interrogatorio, alla fine s’accascia: "Se vi dicessi dov’è Dozier - chiede - che garanzie mi dareste?"

Sono le tre del mattino. Volinia - è lui il ‘Federico’ che ha guidato il pulmino - si offre di guidare sul posto la polizia. Un’Alfetta parte pochi minuti dopo. A bordo c’è anche il commissario Salvatore Genova, membro del Comitato di coordinamento per le indagini sul sequestro. "Quando l’Alfetta passa dinnanzi alla casa - ricorderà in un libro di memorie - abbiamo un secondo per guardare in alto. Tapparelle abbassate, luci spente: ma dietro le stecche occhi vigili montano la guardia. Per questo l’Alfetta non cambia marcia, nè rallenta o si ferma. Suscitare un qualsiasi sospetto sarebbe fatale. Dopo un quarto d’ora un’altra rapida occhiata poi difilato in Questura". Volinia disegna una pianta approssimativa dell’appartamento. C’è stato solo una volta, ma ricorda tutto con precisione, e fornisce due dettagli della massima importanza. Il primo è che la porta d’ingresso, non blindata, può essere sfondata con facilità. Il secondo è che il ‘codice di comportamento’ delle BR dopo la strage di via Fracchia sconsiglia gli scontri a fuoco nel caso di irruzioni della polizia.

I preparativi per l’azione cominciano ll’alba del 28 gennaio. L’intervento è affidato a 10 NOCS, coperti da agenti della polizia in borghese. Via Pindemonte è una strada popolare, piena di gente tranquilla, e bisogna agire con cautela. Nei pressi viene messo in funzione un buldozer che con il suo frastuono coprirà ogni possibile rumore, e che giustifica la deviazione di tutto il traffico dalla ‘zona calda’.

Genova racconta: "Mi infilo un giubbotto antiproiettile e faccio scattare il tamburo della mia Smith & Wesson. E’ OK. Alle 11.15 in via Pindemonte arriva un camion della ‘Domenichelli Trasporti’. E’ carico di NOCS con il loro incredibili e ingombrante armamentario: tute mimetiche, mute subacquee, una bi-bombola con erogatore, sagole e cordami, arnesi da rocciatori, caschi e armi pesanti, che hanno l’ordine di portare sempre con sè. Sono in piena forma, grazie ai loro allenamenti quotidiani di judo, pugilato, karate, lotta, pesi; ma anche tiro con armi lunghe e corte, discesa con corde da elicotteri e lungo le facciate dei palazzi, guida veloce di auto con catapultamento esterno, tecniche di irruzione in luoghi aperti e chiusi, azioni antiguerriglia urbane e extraurbane, e chi più ne ha più ne metta.

Sul marciapiede un ragazzo e una ragazza, mano nella mano, tubano come i fidanzatini di Peynet. Sono due poliziotti: lui ha una Smith & Wesson alla cintura, lei un’automatica nel reggicalze. Altri poliziotti stazionano qua e là con disinvoltura, confondendosi con l’ambiente. Un cenno e, come in un film d’azione, grappoli di NOCS e poliziotti si catapultano verso il fabbricato. I primi divorano le scale sino all’ingresso dell’appartamento; gli altri si allargano a ventaglio sul marciapiede. I NOCS sono armati sino ai denti, con il volto coperto dal passamontagna che lascia vedere solo gli occhi. "Tranquilli, siamo della polizia" dicono a chi, vedendoli, rimane paralizzato dallo stupore. Una spallata, una sola, e la porta si schianta. I ragazzi rimbalzano dentro. L’attimo di sorpresa dei cinque BR è il loro punto di forza. Sotto la tenda da campo, un brigatista punta una rivoltella alla tempia di Dozier. Le frazioni di tempo sono vitali. Un NOCS allunga una gamba in una mossa di karate e riesce a far volare via l’arma. Poi prende il terrorista per le spalle e l’immobilizza. I BR non hanno letteralmente il tempo di premere il grilletto. I NOCS danno fondo al loro repertorio, senza mai usare le armi. Io, altri tre investigatori e un agente della DIGOS, siamo rimasti fermi sul pianerottolo disposti a ventaglio. Abbiamo il compito di coprire le spalle all’avanguardia NOCS e siamo disposti a tutto. Ma dall’interno una voce grida "Tutto OK"Sono passati esattamente 90 secondi".

I 5 carcerieri sono portati fuori ammanettati. Ci sono 3 dei brigatisti che hanno sequestrato Dozier: Antonio Savasta, la sua fidanzata Emilia Libera (‘Martina’) e Cesare Di Lenardo (‘Fabrizio’, più il terrorista che ha puntato la rivoltella contro Dozier (Giovanni Ciucci, detto ‘Saverio’) e la proprietaria dell’appartamento, Daniela Frascella. Dentro, i poliziotti stanno liberando Dozier, in tuta, barba e capelli lunghi, una catena alla caviglia e una cuffia stereo incollata alle orecchie. I BR l’hanno obbligato ad usarla quasi ininterrottamente, per isolarlo dal mondo: e la musica rock, trasmessa a tutto volume, gli ha provocato una lesione interna all’orecchio destro, che sarà poi giudicata inguaribile. Le prime parole del generale sono "Wonderful, police!", ma poi confesserà di aver temuto - per un attimo interminabile - di essere caduto nelle mani di un gruppo brigatista rivale.