Le
emorroidi possono essere classificate in “INTERNE”
ed “ESTERNE”, in relazione
alla loro posizione rispetto alla ”linea
dentata” che è una linea orizzontale
irregolare formata dalla continuità tra le
valvole anali e la base delle colonne
rettali.
Al di sopra della linea dentata sono
localizzate le emorroidi interne che,
rivestite da mucosa, si presentano come dei
rigonfiamenti, a mò di cuscinetti, che
rivestono il canale anale. Sono costituite
dai plessi emorroidari, formazioni
anatomiche normalmente presenti nella
sottomucosa del canale anale, e formati da
tessuto angio-cavernoso (arterie e vene)
sostenuti da tessuto elastico e muscolare.
Al
di sotto della linea dentata sono
localizzate, sul bordo anale, le emorroidi
esterne, composte dai vasi che
costituiscono il plesso venoso sottocutaneo,
e rivestite da cute. Le due componenti sono
in comunicazione vascolare. Al di sotto
della linea dentata è inoltre presente una
innervazione sensitiva dolorosa, di solito
assente al di sopra della linea stessa.
Questa innervazione è di grande importanza
nella pratica della chirurgia ambulatoriale
delle emorroidi, in particolare nella
metodica delle legature elastiche. Le
emorroidi interne vengono inoltre distinte,
in base alla classificazione di Goligher
(1975) in 4 gradi:
1°
grado:ectasie vascolari del canale
anale, possono sanguinare ma non prolassano
2° grado:prolasso emorroidario con
la defecazione, spontaneamente riducibile
3° grado:prolasso emorroidario con
la defecazione riducibile solo manualmente
4° grado:prolasso emorroidario
permanentemente esterno, irriducibile
La “MALATTIA EMORROIDARIA” si
caratterizza istologicamente per la
frammentazione del connettivo e delle fibre
muscolari di sostegno, con conseguente
prolasso (scivolamento) di questi cuscinetti
ed iperafflusso vascolare causato da uno
squilibrio tra l’afflusso arterioso e il
deflusso venoso, che risulta ostacolato dall’angolatura
dei vasi a causa del prolasso. Tra le cause
principali di malattia emorroidaria un ruolo
preminente spetta alla stipsi;oltre a questa
incidono le errate abitudini alimentari;le
epatopatie croniche, la gravidanza, la
ridotta attività fisica.
I sintomi più frequenti della
malattia emorroidaria sono:sanguinamento
(80-90%) di colore rosso vivo;sensazione di
malessere locale (65%) descritto come una
sensazione di pienezza nell’ano;prurito
anale (62%) prolasso (50%) ovvero
scivolamento dei cuscinetti emorroidari, che
rappresenta uno stadio più avanzato della
malattia; gonfiore (45%) ;dolore (35%)
;perdite di muco ( (30%). I sintomi della
malattia emorroidaria si manifestano e
scompaiono con peggioramenti e remissioni
anche spontanee e possono essere associati
fra di loro. La frequenza dei sintomi
costituiscono un fattore importante ai fini
della malattia, e vanno attentamente
valutati dal PROCTOLOGO.
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LA
TERAPIA DELLA MALATTIA EMORROIDARIA
Negli
ultimi anni vi è stata una marcata tendenza
ad abbandonare l’emorroidectomia, in
favore di metodi di trattamento più
conservativi. Questo cambiamento di tendenza
è dovuto in gran parte alla sviluppo di una
varietà di tecniche che consentono di
curare il paziente ambulatorialmente. La
scelta del trattamento dipende dal tipo di
sintomi, dalla loro frequenza e gravità, e
dall’esperienza del Proctologo. Accanto a
delle norme igieniche locali e dietetiche
appropriate alla patologia, il proctologo
potrà prescrivere una terapia medica che si
basa a secondo dei casi, sull’impiego di
farmaci ad azione protettiva sulla parete
venosa (flavonidi), ad una azione
antiossidante locale (Vit. E), o
anti-infiammatoria (es. cortisonici). Molto
importante è peraltro il controllo della
stipsi, spesso associata alla malattia
emorroidaria
Le
linee guida del trattamento delle emorroidi
in relazione alla loro gravità sono state
messe a punto dalla Società Italiana di
Chirurgia ColonRettale che si è espressa in
tal senso:
Emorroidi di 1°grado:trattamento
conservativo dietetico e farmacologico
(grado di raccomandazione B). Solo nei casi
resistenti alla terapia medica viene
consigliata la legatura elastica, o la
scleroterapia o la fotocoagulazione (grado
di raccomandazione C)
Emorroidi di 2°grado:legatura
elastica (grado di raccomandazione A),
legatura arteriosa transanale ecoguidata,
HAL e THD, (grado di raccomandazione B),
emorroidopessi con stapler, scleroterapia
(grado di raccomandazione C).
Emorroidi di 3°grado:emorroidopessi
con stapler (grado di raccomandazione A),
Emorroidectomia (grado di raccomandazione
B), legatura elastica e HAL/THD (grado di
raccomandazione C).
Emorroidi di 4°grado:emorroidectomia
(grado di raccomandazione B),
emorroidectomia con stapler (grado di
raccomandazione C)
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LEGATURA
ELASTICA DEI GAVOCCIOLI EMORROIDARI
La
legatura elastica delle emorroidi interne è
una tecnica indolore, praticata
ambulatorialmente, senza anestesia. Può
essere eseguita nelle emorroidi di 2° e 3°
grado. Tale metodica consiste nel far
assumere al paziente la posizione di Sims, e
mediante l’ausilio di un anoscopio, si
afferra con una pinza il nodulo emorroidario,
nella zona insensibile al dolore, ovvero al
di sopra della linea dentata. Si posiziona
quindi, alla base del gavocciolo
emorroidario, un elastico. Il paziente
subito dopo il trattamento può far ritorno
a casa o recarsi al lavoro, senza aver
bisogno di alcun ricovero. Nel giro di 4-8
giorni si realizza la necrosi del nodulo
emorroidario legato, e la sua spontanea
eliminazione. Viene legato un solo nodulo
emorroidario a seduta. Possono essere dunque
necessarie più sedute per completare il
trattamento. Nei giorni successivi il
paziente non dovrà eseguire attività
sportiva. Al momento della caduta del nodulo
emorroidario legato potrà verificarsi, ma
non necessariamente, un minimo sanguinamento.
Quali
sono le possibili complicanze legate a
questa tecnica?
1)
Il dolore, dopo l’applicazione dell’elastico
dovuto per lo più ad un non corretto
posizionamento dello stesso, o ad una
intolleranza del paziente. In tale
situazione l’elastico viene rimosso. In
caso di una modesta dolorabilità locale, ci
si può avvalere di analgesici orali.
2) Una eventuale modesta perdita ematica,
che si può manifestare alla caduta della
cicatrice del nodulo legato, e che non
necessita, solitamente, di alcun
trattamento.
3) raramente sono riportati nella
letteratura casi di infezione post-legatura
(con conseguente instaurazione di terapia
antibiotica mirata), riconducibili peraltro
a casi di 2 o 3 legature eseguite in un’unica
seduta. Ciò è spiegabile come la
conseguenza di una eccessiva necrosi
tessutale da legature multiple che favorisce
l’infezione da parte di germi anaerobi.
Questo è il motivo per cui è consigliabile
la legatura di un gavocciolo emorroidario a
seduta.
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TRATTAMENTO
SCLEROSANTE CON INIEZIONI
Le
Iniezioni sclerosanti possono essere
eseguite nelle emorroidi di 1° grado, e
nelle emorroidi di 2° e 3° grado in
presenza di ipertono sfinteriale.,
soprattutto se sanguinanti, o quando è
controindicata la legatura elastica in
presenza di emorroidi sviluppate in basso
verso la linea pettinea. Il trattamento
sclerosante può inoltre essere utilizzato a
complemento della legatura elastica. Nei
casi di trattamento eseguito in pazienti
sanguinanti, le proctorragie possono cessare
il giorno stesso dell’applicazione, o
nella settimana successiva.
Controindicazioni:
nella
malattia di Crohn, nelle emorroidi ad
impianto molto basso, in presenza di
criptiti e/o papilliti.
Complicanze:
dolore
o bruciore al momento dell’iniezione;in
casi eccezionali intolleranza alla sostanza
sclerosante;raramente sanguinamento e dolore
da ulcerazione post-necrosi o complicanze
infettive con sviluppo di ascessi.
Nel
trattamento di eventuali recidive la
metodica non risulta efficace come nella
prima applicazione ed è gravata da maggior
possibilità di complicanze, per un limite
di questa terapia, che determina aree di
tessuto indurite e poco distendibili, là
dove si è praticata l’iniezione della
sostanza sclerosante.
TERAPIA
SCLEROSANTE CON COAGULAZIONE ALL’INFRAROSSO
La
metodica si basa sull’effetto emostatico e
coagulativo determinato da raggi infrarossi,
con conseguente sclerosi dei vasi
emorroidari e formazione di tessuto
cicatriziale. La procedura non richiede
anestesia, permette di dosare l’estensione
e la profondità della coagulazione, è
indolore. La reazione infiammatoria risulta
inoltre circoscritta. I risultati che si
ottengono con la coagulazione all’infrarosso
risultano superiori a quelli del trattamento
con iniezioni sclerosanti nelle emorroidi di
1° grado, mentre non ci sono significative
differenze con la tecnica delle legature
elastiche dei gavoccioli emorroidari di
2°-3° grado. Il metodo non è indicato
nelle emorroidi di 4° grado, nelle trombosi
emorroidarie, né in presenza di altre
patologie proctologiche associate.
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CRIOTERAPIA
La
metodica è applicabile nelle emorroidi di
1°, 2°, 3° grado, può essere utilizzata
in associazione alla legatura elastica,
nelle emorroidi marginali e nella trombosi
emorroidaria. E’ consigliabile eseguire
una buona preparazione intestinale
preoperatoria mediante clistere.
Il
trattamento crioterapico dei gavoccioli
emorroidari, non necessita solitamente di
anestesia in quanto questa viene ottenuta
immediatamente grazie alle bassissime
temperature che si raggiungono localmente
all’inizio dell’applicazione della sonda
criogenica sui gavoccioli emorroidari. In
alternativa si può eseguire una semplice
anestesia locale. Nell’immediato
postoperatorio il paziente può accusare
dolore e bruciore, che si riducono
spontaneamente nel breve volgere di 1-2 ore.
Dopo
l’intervento, che non necessita l’ospedalizzazione,
il paziente può tornare alle proprie
attività. Occorre mantenere le feci morbide
seguendo una dieta ricca di fibre ed acqua,
e curare molto l’igiene locale. Infatti a
causa del congelamento che distrugge il
microcircolo locale, il trattamento
crioterapico provoca nei primi giorni
postoperatori perdite sierose o
sieroematiche maleodoranti (soprattutto dopo
il trattamento di emorroidi esterne) che si
riducono progressivamente fino a scomparire
nel termine di 2-4 settimane. In caso di
secrezioni abbondanti si può verificare,
oltre al prurito, macerazione della cute
perianale. E’ pertanto consigliabile che
il paziente trattato indossi un pannolino
protettivo. Possibili complicanze sono,
seppur in basse percentuali, le infezioni,
la depigmentazione della cute perianale, la
ragade anale, l’ulcera cronica e la
proctalgia.
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LA
TERAPIA CHIRURGICA
L’evoluzione
del trattamento chirurgico delle emorroidi
Il
trattamento chirurgico delle emorroidi
risulta essere stato uno dei primi
interventi praticati nella storia della
chirurgia, fin dai tempi dell’antichità.
Nell’antico Egitto vengono descritte nel
papiro di Chester Beatty del 1200 a. C. che
risale alla XIX-XX dinastia, le prime
tecniche chirurgiche di emorroidectomia, che
si basavano essenzialmente, sull’utilizzazione
di unguenti caustici che applicati
localmente, causavano l’essiccazione del
gavocciolo emorroidario, e la sua
eliminazione per caduta. Un altro metodo
descritto è la cauterizzazione dell’emorroide
mediante l’introduzione di apposite
cannule nel canale anale. Nell’antica
Grecia tecniche di terapia chirurgica delle
emorroidi vengono descritte da Ippocrate.
(460 a. C. ) di Cos, isola delle Sporadi,
nota in tutta l’antichità per la sua
Scuola di Medicina. Ippocrate, ”Filosofo
della Natura” e diciassettesimo
discendente del grande Medico Asclepio,
suggerisce alcune metodiche chirurgiche di
emorroidectomia: la legatura della base d’impianto
dei gavoccioli emorroidari con successiva
loro caduta;la cauterizzazione ;l’escissione
dell’emorroide con strumento tagliente con
successiva applicazione di polvere
cicatrizzante ottenuta tramite l’evaporazione
al sole dell’urina, il cui residuo veniva
calcinato. Nell’antica Roma una figura
rilevante nell’arte proctologica, è senza
dubbio quella di Aulo Cornelio Celso (30 d.
C. ) che nel “De re medica”descrive
esaurientemente le tecniche chirurgiche di
emorroidectomia, tra cui la legatura dei
gavoccioli più piccoli alla base e la loro
escissione o l’asportazione diretta dei
gavoccioli più voluminosi la cui base
veniva poi legata con l’utilizzo di ago e
filo. Nel Medio Evo vengono descritti
interventi di emorroidectomia che
consistevano nel legare, senza anestesia, il
gavocciolo emorroidario comprendendo nel
laccio cute e mucosa, e nell’escissione
dell’emorroide al di là del nodo. L’intervento
era molto doloroso e mal sopportato dai
pazienti. Il trattamento chirurgico
emorroidario evolve nell’era moderna
grazie a Frederick Salmon (1796-1868)
fondatore nel 1835 a Londra del St. Mark’Hospital
per il trattamento specifico delle malattie
del retto. L’intervento di emorroidectomia
da Lui proposto prevedeva l’estirpazione
dell’emorroide a partire dalla giunzione
muco-cutanea, nel legarla alla base e
tagliarla al di là del nodo. Questa
variante rispetto al passato determinava un
decorso postoperatorio meno doloroso.
Tuttavia provocava facilmente a causa di
aree estese di cruentazione, delle stenosi
anali che richiedevano successive
dilatazioni. Per ovviare a questa
complicanza nel 1934 Lockhart-Mummery ideò
una variante della tecnica di Salmon
consistente nel fissare alla cute anale con
un punto le code del laccio di legatura. Fu
Miles (1919) che propose di praticare l’incisione
non dalla giunzione muco-cutanea, bensì
nella cute anale procedendo verso la
giunzione mucocutanea ma non oltre la
stessa, praticando quindi rispetto all’intervento
di Salmon una legatura bassa. L’emorroide
quindi non veniva asportata al di là del
nodo, ma lasciata cadere per proprio conto.
Fu nel 1937 che i Chirurghi Milligan e
Morgan descrissero, prendendo spunto dall’intervento
di Miles, una tecnica di legatura bassa del
gavocciolo emorroidario. L’intervento
consiste in un’incisione a V a partire
dalla cute perianale e procede con la
dissezione della mucosa e del plesso
artero-venoso fino alla linea pettinea.
Quindi si passa un punto trafisso alla base
del lembo scollato che viene annodato nel
laccio ed asportato al di là del nodo. Tra
le colonne emorroidarie escisse rimangono
dei ponti cutaneo-mucosi da cui si avvia la
rigenerazione epiteliale, con completamento
della guarigione delle ferite chirurgiche da
4 a 6/7 settimane. In questa tecnica
definita “aperta”, i peduncoli
emorroidari vengono mantenuti fissi alla
porzione inferiore del canale anale dalle
fibre longitudinali dello sfintere anale
interno, impedendo così la risalita della
mucosa ed una minor estensione dell’area
di cruentazione. La copertura mucosa inoltre
determinerebbe, a loro giudizio, un
deterrente alla formazione delle stenosi
anali descritte nelle tecniche di legatura
alta.
La tecnica di Milligan-Morgan è ancor
oggi la più utilizzata dai Chirurghi
Proctologi
Nel
1956 Parks propose una nuova tecnica
di emorroidectomia, ovvero una
emorroidectomia sottomucosa con legatura
alta. La tecnica viene eseguita interamente
all’interno del canale anale praticando
previa infiltrazione della sottomucosa e del
sottocute con soluzione adrenalinica, una
incisione longitudinale a racchetta, il cui
manico è posto sul versante mucoso. Quindi,
sezionato il legamento sospensore della
mucosa, si disseca il gavocciolo
emorroidario fino al margine del canale
anale. Il peduncolo viene legato e si esegue
l’emorroidectomia al di là del nodo. I
lembi scollati possono essere riuniti con
punti staccati. I vantaggi di questa tecnica
sono costituiti da una minor intensità del
dolore post-operatorio ed in una minor
estensione delle zone cruentate., quindi
minor incidenza di stenosi. Gli svantaggi
sono soprattutto determinati dalla
difficoltà tecnica di separare il
gavocciolo emorroidario dalla mucosa, con
sanguinamento anche copioso, ma soprattutto
da una percentuale di recidive più alto
rispetto a quelle registrate dopo l’intervento
di Milligan-Morgan.
Tra
le tecniche che prevedono l’ectomia dei
gavoccioli emorroidari e la successiva
sutura (tecniche chiuse) va menzionato l’intervento
di Whitehead (1882) che ideò e
descrisse l’ectomia completa dell’intera
area emorroidaria del canale anale, seguita
dalla sutura del margine inferiore della
mucosa rettale con la cute del canale anale.
Tale tecnica determina durante l’esecuzione
una considerevole perdita ematica, e a causa
dell’asportazione della porzione sensitiva
della mucosa anale e rettale inferiore,
disturbi del normale meccanismo di
continenza, di tipo sensitivo. Inoltre la
tecnica è gravata da un’elevata incidenza
di stenosi anale. A. B. Mitchell di
Belfast (1903) propose una tecnica che
prevedeva l’escissione dei singoli
gavoccioli emorroidari mediante il loro
clampaggio alla base prendendo sia la zona
rivestita da mucosa sia quella cutanea,
seguita dall’ectomia dell’emorroide, e
successiva sutura continua. Con tale
metodica non permanevano zone cruentate.
Mitchell tuttavia non fornì mai notizie
precise sui casi trattati. Earle
(1911) modificò la tecnica, tagliando
subito la cute per preparare il gavocciolo
emorroidario, che veniva quindi clampato e
suturato come nell’intervento di Mitchell.
Nel 1947 Bacon di Philadelphia
modificò ancora la tecnica, utilizzando una
sutura continua a materassaio non sotto ma
sopra il clamp, con positive ripercussioni
sul controllo del sanguinamento.
Ferguson
e Heaton nel 1959 hanno proposto una
emorroidectomia completa con legatura alta e
sutura immediata senza eseguire il
clampaggio. Lord nel 1968 affermò
che le emorroidi interne sono dovute alla
presenza nel tratto inferiore del retto o
del canale anale di bande fibrose circolari
che determinerebbero un impedimento alla
regolarità dell’alvo, con conseguente
aumento della pressione intrarettale e
congestione venosa. Sulla base di questa
teoria (le bande fibrose non sono mai state
evidenziate) propose una divulsione forzata
dell’ano e del retto basso. Tre sono le
complicanze descritte in tale tecnica:fissurazione
della cute anale e perianale;prolasso
mucoso;incontinenza anale.
Nel
1993 un Chirurgo Italiano, A. Longo,
ha proposto una nuova tecnica nel
trattamento chirurgico delle emorroidi, che
ha trovato larghi consensi in tutto il
mondo. L’intervento da Lui ideato non è
una emorroidectomia, bensì una
emorroidopessi, ovvero la correzione del
prolasso mucoso ed emorroidario mediante l’escissione
di una banda trasversale di mucosa anale
prolassata utilizzando una suturatrice
circolare di 33 mm (P. P. H. ). La tecnica
si basa sui seguenti principi enunciati dall’Autore
: la correzione del prolasso ripristinando
un normale rapporto tra mucosa anale e
sfinteri determina un miglioramento del
deflusso venoso e comporta il
riposizionamento dei cuscinetti emorroidari
nel canale anale, migliorando la continenza.
Inoltre, afferma l’Autore della tecnica, l’interruzione
dei rami terminali dell’arteria
emorroidaria superiore, comporta l’eliminazione
dei fattori determinanti il sanguinamento.
La diminuzione del dolore postoperatorio è
dovuto al fatto che viene eseguita una
sutura muco-mucosa in una zona povera di
recettori sensitivi, risparmiando mucosa
anale ed anoderma. Le indicazioni che il Dr.
Longo diede inizialmente per l’applicazione
della metodica erano le seguenti: prolasso
emorroidario di 2°, 3°, 4° grado, ad
eccezione dei casi di un singolo cuscinetto
emorroidario prolassato di 2° e 3° grado,
e nel prolasso di 4° grado quando l’anoderma,
a causa di processi fibrotici, non possieda
la necessaria scorrevolezza per essere
ricondotto nel canale anale. Possibili
complicanze dell’intervento sono le
recidive del prolasso emorroidario
(percentuali molto variabili a sec. dei
varii Autori), e l’urgenza defecatoria
(2%). E’ da tener presente che l’emorroidopessi
con stapler non asportando i cuscinetti
emorroidari non permette il loro esame
istologico. Pertanto in casi di emorroidi
polipoidi, dure o ulcerate in modo sospetto,
o ricoperte da lesioni leucoplasiche,
soprattutto in pazienti HIV positivi, è
preferibile l’emorroidectomia classica,
che permette di eseguire l’esame
istologico dei gavoccioli asportati.
Un’ulteriore
tecnica recentemente proposta per il
trattamento chirurgico della patologia
emorroidaria è la dearterializzazione
trans-anale emorroidaria doppler guidata (T.
H. D. )
La
tecnica consiste nel localizzare mediante un
anoscopio dotato di una guida doppler, le
branche terminali dell’arteria
emorroidaria superiore, che vengono quindi
allacciate con punti transfissi a 2-3 cm.
dalla linea dentata. La metodica viene
proposta per il trattamento delle emorroidi
di 2°, 3° e 4° grado, soprattutto se
sanguinanti. Le controindicazioni sono
costituite da emorroidi inveterate di 4°
grado ed in caso di un marcato prolasso
mucoso. Il dolore post-operatorio avvertito
dai pazienti così trattati è minimo, così
come il sanguinamento post-intervento, dal
momento che non asportando tessuti, non
rimangono ferite chirurgiche, mentre i
cuscinetti emorroidari vengono riposizionati
nella loro sede naturale, mediante una
mucopessia.
Per tutte queste caratteristiche la T.H.D.
può essere, a ragione, definita come 'tecnica
mini-invasiva' nel trattamento chirurgico
delle emorroidi. La ripresa della normale
attività lavorativa avviene in pochi
giorni.
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LA
TROMBOSI EMORROIDARIA
La
trombosi emorroidaria costituisce una
complicanza frequente della malattia
emorroidaria. La trombosi emorroidaria
interna, che rimane confinata all’interno
del canale anale, si presenta come una
tumefazione rosso-bluastra che determina una
viva sintomatologia dolorosa che può durare
da qualche giorno a 2 settimane, mentre a
volte si esaurisce con una emorragia
spontanea La terapia è medica, ma in molti
casi è necessario praticare una incisione
in anestesia locale con evacuazione del
trombo. La trombosi del prolasso
emorroidario può essere limitata ad un
singolo gavocciolo emorroidario prolassato o
coinvolgere più gavoccioli
contemporaneamente. I gavoccioli trombizzati
si presentano voluminosi, induriti, con aree
scure, dolorosi ed irriducibili, con edema
della cute perianale. Se opportunamente
riconosciuti e trattati con un’adeguata
terapia medica, possono evolvere alla
guarigione in 15-20 giorni. L’incisione e
l’evacuazione del trombo in anestesia
locale determina una pronta risoluzione
della sintomatologia dolorosa. La trombosi
emorroidaria esterna si può verificare
anche in assenza di emorroidi visibili
clinicamente. Se ne identificano due forme:
la trombosi esterna semplice (ematoma
perianale) che si evidenzia in seguito
ad un eccesso alimentare, o dopo uno sforzo
di defecazione, o in seguito ad un
prolungato periodo in posizione seduta. Si
manifesta come una tumefazione bluastra,
tesa e dolente localizzata sul margine
anale. La terapia medica ne determina la
guarigione in un periodo di 2-3 settimane,
con una residua marisca. L’incisione e l’evacuazione
del trombo in anestesia locale determina un
subitaneo beneficio. L’edema perianale è
più voluminoso, e può essere
costituito da più trombi immersi in un
tessuto edematoso. La guarigione è quindi
più lunga rispetto a quella dell’ematoma
perianale, inoltre l’incisione e drenaggio
non sono seguiti da un immediato beneficio.
E’ anche possibile un’evoluzione verso
la formazione di una piccola fistola o di un
ascesso perianale. |
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