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up-date: 2009, January

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LA MADONNA CONTADINA DI PREGAROLDI

Chissà perché quell’artista famoso che veniva da lontano,

un giorno di molti anni fa capitò proprio lì, in quel  paesino sconosciuto

ai margini della Valle Brembana e impossibile da trovare?

Chi sale oltre il paese di Bracca in direzione nord, attraversata la contrada Zubbioni e, percorsa la piccola strada asfaltata tutta tornanti tra prati verdi scoscesi, dopo avere incrociato il minuscolo abitato di Fieno, dal nome che ne racconta la storia, e superata l’ultima rampa in curva, di colpo si trova dentro all’abitato di Pregaroldi.

Oltre non si può andare in questa frazione a “cul de sac” che osserva discreta dai suoi settecento metri  un bel pezzo di Val Serina.Troppo concentrati a percorrere gli ultimi metri in salita, non si nota la piccola nicchia dentro al muro di contenimento, sulla sinistra della strada di accesso al paese.

Bisogna retrocedere alcuni metri a piedi dalla piazzetta per stupirsi davanti ad essa:

è la Madonna Contadina di Pregaroldi.

Ed ecco la sua storia.

Agli inizi degli ormai lontani anni’70, Pregaroldi era un piccolo villaggio di mezza montagna a prevalente economia contadina. La sua posizione negava ogni transito.

Era un punto di solo arrivo, o di sola partenza.

 

E in quegli anni c’era chi partiva a cercare lavoro in Svizzera, o in Francia, e chi rimaneva doveva confrontarsi con un lavoro duro quotidiano lungo i pendii troppo scoscesi della montagna. Il fieno, la legna, le bestie da accudire.

 

Furono certamente le donne, le piccole grandi donne di Pregaroldi, le vere protagoniste di quegli anni. Furono loro a organizzarsi per ottimizzare il lavoro in campagna, dove a turno ogni famiglia riceveva aiuto da tutte le altre famiglie unite. Si terminava prima e si faceva meglio: non hanno mai saputo, le donne di Pregaroldi, di avere scoperto con grande anticipo, il “team-work”.

 

E con la fatica del lavoro insieme, i legami aumentavano, e una volta l’anno, ad agosto, si faceva anche festa insieme. Chi preparava la polenta, chi i cotechini, chi preparava i dolci. Per tutti.

 

Si era così costituito un forte sistema sociale di alleanza, di solidarietà, di difesa, di protezione reciproca, e di progetti congiunti.  

In questo contesto, un bel giorno arrivò in paese, chissà come e perché, una coppia di stranieri, venivano dal Belgio con i loro due figlioli e si chiamavano Christine e Christian Leroy.

 

Nessuno sapeva chi fossero e perché erano venuti proprio lì. Di certo è che comprarono la casa che si affaccia sulla piazzetta e lì vi si stabilirono.  

 

“I Belgi”, così li chiamarono in paese, furono accolti con l’ospitalità senza moine e apparentemente fredda della nostra gente di montagna. Allora parlavano con gentilezza un’altra lingua, riconosciuta però da alcuni del paese che avevano lavorato in Francia o in Svizzera. E comunicare diventò più facile.

Da allora, “i Belgi” che si fermavano a lungo nei periodi di vacanza, tornarono sempre, ogni anno.

Impararono così l’Italiano, e perfino alcune espressioni in Bergamasco, sconosciute anche a molti “cittadini” di Bergamo.  

 

Christian Leroy era un artista, un professore all’Accademia di Belle Arti di Mons, e uno scultore molto affermato nel suo Paese, e l’inseparabile moglie Christine gli stava sempre accanto, organizzava le sue mostre, scriveva saggi e monografie sul pensiero e sulle opere del compagno.   

Con discrezione e garbo lo accompagnava ovunque, nelle stradine di Pregaroldi, nei prati e nei boschi. Quella che all’inizio poteva apparire una semplice curiosità intellettuale di artista per quel mondo così lontano dalla realtà della Vallonia, si rivelò ben presto per ciò che era veramente: desiderio di conoscenza.     

     

Per conoscere bisogna amare e per amare bisogna conoscere.

 

Ed ecco l’artista che “conosce” ciò che lo circonda, lo assume e lo restituisce in immagini e  coscienza, la gente, i fiori, le piante, gli animali, tutti ritratti vivi di cose vive.

Nelle sculture e nei dipinti realizzati da Christian Leroy in quegli anni a Pregaroldi, la gente del posto riconosce senza fatica se stessa e ciò che la circonda, quelle opere d’arte accessibili veramente a tutti, e finalmente conosce l’essenza di quell’uomo non più straniero. E lo ama.

 

A Pregaroldi non c’è mai stata una Chiesa, nemmeno piccola, e quando la comunità si riuniva a pregare, lo faceva davanti a una vecchia  “santina” all’ingresso del borgo.  Sullo sfondo della nicchia Maria Santissima, sui lati i Santi Gervasio e Protasio.

La devozione popolare superava senza sforzo l’incongruità tra le sacre figure di quegli affreschi di arte povera rurale.

Che rapporto vi era tra quella Vergine azzurra incoronata dell’iconografia sacra classica, circondata da nubi, eterea, distante e irraggiungibile, e quei due Santi ai due lati della nicchia, dai nomi e dall’agiografia noti forse solo a Pregaroldi?

Non importa. La fede di quella gente e la tradizione comunicavano un incrollabile rispetto e un grande senso di appartenenza per quel punto di preghiera.  

 

Si può quindi immaginare con quale perplessità la comunità ascoltò, nel 1984, la proposta di Christian di sostituire la Madonna esistente con una sua scultura, che aveva già in mente, e che voleva donare al paese.  

 

A piccoli gruppi, in campagna, nelle case o al bar del borgo, la gente ne discusse a lungo, e se non fosse stato per la stima, l’affetto e il rispetto acquisiti negli anni dallo scultore Belga, la proposta sarebbe potuta apparire una provocazione, e una trasgressione inaccettabili.

 

Con prudenza, lo lasciarono fare. Ciascuno si diceva in segreto che se non fosse piaciuta, si poteva tranquillamente tornare allo status quo.  

 

Un giorno d’estate di quell’anno, la strada d’ingresso al borgo non fu più la stessa. La nicchia era sempre là, ma la gente di Pregaroldi ci trovò dentro un’altra cosa.

I due Santi Gervasio e Protasio, visibilmente contenti per il pericolo scampato, stavano ancora al loro posto sui lati della nicchia, ma al posto della Vergine azzurra incoronata sbiadita dal tempo, sul fondo c’era una scultura cromatica in terracotta.

 

 

E tutti l’amarono subito, e la chiamarono La Madonna Contadina.

 

La Madonna era una Donna. Una donna seduta sui suoi larghi fianchi da contadina su una povera seggiola da contadina, senza corona né nubi intorno, con un fazzoletto bianco da contadina sul capo, con le mani grandi e forti da contadina, con i piedi grandi e saldi da contadina. Reggeva, proteggeva e offriva dalle sue ginocchia, quel Bimbo Gesù troppo simile ai bambini del paese, e la dolcezza, la fierezza e l’orgoglio di quell’offerta ben celavano il velo di rassegnazione del suo sguardo.

 

Fin dal primo momento ciascuno si riconobbe in quella scultura. Nemmeno per un istante fu disconosciuta Maria Santissima, era sempre Lei, solo che ora non era più eterea e irraggiungibile.

 

La Vergine era scesa al livello di tutte le donne di Pregaroldi, di colpo, e ogni donna si innalzava in dignità sacrale e umana.

Era avvenuto l’incontro tra la Madonna-Contadina e la Contadina-Madonna.

 

Chissà perché quell’artista famoso che veniva da lontano, un giorno di molti anni fa capitò proprio lì, in quel  paesino sconosciuto ai margini della Valle Brembana e impossibile da trovare?

 

Grazie, Christian Leroy.  

In omaggio a Christian Leroy.  

ec, luglio 2007     

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