Il 'Dante' di Anzil            

Il Dante di Anzil -copertina- Ha un significato il fatto che un artista a settantacinque anni impegni tutto se stesso in un confronto serrato con Dante? Che per due anni sia totalmente invaso dal "daimon" di impossessarsi - quasi fagocitare - di alcuni passi della Divina commedia, appropriandosene con la sua traduzioni in lingua friulana e ricreandoli dal suo punto di vista e col suo stile, scegliendo proprio quegli episodi e quei personaggi e non altri? E' possibile individuare una metafora di fondo, un itinerario conoscitivo e un percorso estetico-esistenziale? Artisticamente è sempre il solito Anzil, rientra in certi cliché critici, o possiamo individuare uno scarto, una novità al culmine della sua vasta e alta opera pittorica?
Questi e altri interrogativi mi hanno suscitato le 63 tavole a tecnica mista e i 52 disegni preparatori esposti nella mostra a palazzo Frisacco a Tolmezzo ; un corpus unitario, che non può essere interpretato come la 'casualità' di singole opere di soggetto diverso tra loro.
A me pare che la grande protagonista, unificatrice del viaggio anziliano, sub specie Danctis, sia la meditazione sulla vecchiezza (sul tempo, sulla morte), che con il suo straniamento dalla contingenza permette una visione panoramica e disincantata della storia e della vita. Dante, secondo un critico svedese, guarda al mondo "con gli occhi di Dio", il che gli consente la distanza ma anche la piena partecipazione ad esso senza farsene però travolgere; Anzil guarda al mondo "con gli occhi dell'uomo che si appresta a essere esistito" e come tale, in un salustri composto di tanti fotogrammi, ripercorre le tappe fondamentali della sua vicenda terrena, trasformandola metaforicamente nell'allegoria della condizione umana universale: da questo punto di vista, è paradigmatico il quadro del naufragio del vecchio Ulisse, che fissa la vertigine della vita sull'orlo dell'inabissamento, l'attimo in cui si percepisce tragicamente, nel mare del cuore in tempesta, di essere ingoiati nel nulla. Ulisse
Le sue tavole sono popolate di vecchi, inermi, malvagi, maliziosi, sdegnati, morbosi, minacciosi, incattiviti, inebetiti, ischeletriti in mostri sbigottiti e offesi della fine, che ti guardano - spesso sono in posizione frontale - e ti interrogano dal loro aldilà tutto terreno e mortale: la morte come presenza pervasiva e termine ad quem detta l'impulso interno a rimeditare, attraverso il racconto pittorico di un viaggio negli inquietanti abissi di una memoria tormentata, la condizione esistenziale della finitezza dell'uomo, ma anche le aberrazioni della storia, prima tra tutte la superbia prevaricatrice, matrice d'inciviltà, com'è stato spesso il Novecento.
Il percorso espositivo pare, allora, proporsi come una sorta di via crucis e ogni quadro come una stazione, per riflettere e farsi un esame di coscienza sul nostro modo di esistere in relazione a noi stessi e agli altri, sui disvalori del mondo contemporaneo. La vecchiezza da metafora si fa anche sostanza stilistica, forma del contenuto, per il suo essere e non essere, incerta tra forma e dissoluzione di essa; talora corpo implodente su se stesso e nello stesso tempo esplodente su uno sfondo informe, rosso di sofferenza e dolore, nero di disperazione; identità schizoide, sdoppiata, coartata in rigidi contorni e volumi o schizzata e disintegrata; talora puro graffito pieno di assenza: pluristilismo, che permette di sperimentare tutte le prospettive, la distorsione ottica, la proliferazione incontinente di immagini e fantasmi interiori, di incubi e sogni di luminosità, e di ripercorrere quasi ossessivamente la zona di confine tra reale e onirico; e dal visionario emergono, prendono forma, se pur criptati, i desideri profondi e i sogni rimossi dell'artista: la luce, l'armonia, la bellezza, la catarsi estetica. Intendo dire che la torsione espressionistica di Anzil è generata dalla rabbia per un desiderio e un sogno inappagati di classicità, resa incandescente dalla negazione e perversione sistematica dei valori etici, in cui egli crede profondamente; le avverse circostanze della vita e la malvagità della storia hanno coartato l'artista - il suo stile dominante non è stato, quindi, una libera scelta ma una necessità -, per dare la sua testimonianza civile, pasolinianamente con passione e ideologia e con tutto se stesso fin nelle viscere, a esasperare l'espressionismo e le tinte fosche e cupe e a vivere come assenza e mancanza il suo desiderio profondo: il 'nordico' è stata la forma imposta dalla contingenza storica alla sostanza mediterranea della sua anima e della sua cultura: qui sta, secondo me, l'esemplarità della sua rappresentazione dell'immaginario collettivo friulano, che non è qualcosa di archetipico, ma culturalmente determinato dalla tormentata contraddittoria compresenza di queste due anime. Anzil, schiavo del dovere morale, dell'imperativo categorico di denunciare le violenze e brutture della storia si impone uno stile che lo lacera e lo fa soffrire, una Medusa che rischia di impietrirlo e dalla quale lo difende l'inestinguibile fuoco sotterraneo di attingere, quando che sia, la bellezza che monda e pacifica. Al fondo, mi pare agisca inconscio nella psiche anziliana un modello cristologico: i veri ritratti della sua interiorità sono le crocefissioni, mentre gli autoritratti rappresentano una idealizzazione, un dover o voler essere, una tregua, un lenimento illusorio alla sofferenza, la pietas per se stesso.
Un'ipotesi di lettura, ovviamente, perché non è semplice, non solo dal punto di vista estetico (sperimentalismo, ironia, grottesco, sberleffo, dolcezza, veemenza), interpretare e cercare di capire 'Il Dante', vuoi perché ci troviamo di fronte un gigante, Dante, ed un grande, Anzil; vuoi perché entrambi si offrono a noi per interposta persona - il poeta attraverso il pittore, il pittore attraverso il poeta -: v'è un continuo interscambio tra essi, un gioco degli specchi e di rimandi, un tentativo di sfuggire l'uno all'altro, per mantenere la propria individualità, o di incontrarsi e fondersi in un condiviso universo di valori.Emigranti
Il credente e il laico guardano e giudicano la storia umana con gli stessi occhi cristiani (però il Cristo dei Vangelo secondo Matteo di P.P. Pasolini tuona: "Non sono venuto a portare la pace, ma la guerra") e si riconoscono nell'impegno etico e civile della loro opera: su questo piano etico- del rispetto del prossimo, della carità, della responsabilità, della razionalità, della denuncia della violenza e della brutalità degli istinti, delle passioni e del potere - s'incontrano metafisica e storicità della condizione umana (ancora con Pasolini, deve essersi chiesto Anzil: "Perché dobbiamo lasciare il monopolio del bene ai preti?").
E' il male il tema centrale della riflessione, che li accomuna e dal quale vogliono mettere in guardia. Il male che è dentro e fuori di noi, nelle distorsioni della psiche e della storia, del corpo e della mente, della natura e della cultura; male esemplificato nella terribilità di Lucifero: chi richiami alla mente la rappresentazione rassicurante e bambocciosa, che ne dà Gustavo Doré, si renderà conto della distanza abissale di quest'ultimo da Dante e della consonanza, invece, di Anzil nella visione tragica, terribile e orrida del male, della deformità e cattiveria con cui si manifesta e delle sofferenze che esso produce.Arpie
Il male ha due radici - sono questi, a mio avviso, i due itinerari principali del viaggio di Anzil - : negli istinti deviati e nella società classista, che distorce ogni buona inclinazione e fa emergere i lati peggiori dell'individuo, la "matta bestialitate" del Minotauro, gli incubi e la ferocia delle Furie e delle Arpie. Sulla scorta di Dante Anzil rappresenta attraverso una lente deformante e una tavolozza sconvolta e delirante la crudezza dei peggiori vizi e delle aberrazioni individuali, che hanno una dolorosa e devastante ricaduta sociale; da laico non gli interessano i simoniaci (ovvia, quindi, la loro esclusione), ma i tiranni (Hitler, Stalin, Pio XII), i barattieri, gli scismatici, gli indovini, gli ipocriti e, nel Purgatorio, gli invidiosi, gli iracondi e violenti, gli avari, i golosi. A proposito di questa cantica non mi sembra che la gamma cromatica e la cifra stilistica siano sempre eguali a quelle dell'Inferno; com'è caratteristica di questo luogo mediano, sospeso tra terra e cielo, s'alternano luminosità, azzurri, rosa con la violenza espressionistica delle pene dei penitenti. 
Beatrice L'altro percorso è quello dell'istinto erotico; esso, canonicamente rappresentato all'inizio dall'ambiguità "maculata" della Lonza, può declinarsi, attraverso ruffiani e seduttori, nella volgarità di Taide o nella perversione di Mirra ma, se sublimato spiritualmente- il passaggio è segnato dall'invettiva di Forese contro le scostumate donne fiorentine -, assume la bellezza e la dolcezza di Beatrice, di Matelda, di Piccarda, della scandalosa Cunizza da Romano, con la quale l'artista conclude il suo viaggio in Paradiso nel cielo di Venere, dell'Amore, che produce l'ultimo stupendo quadro, Quasi una conclusione, dove bellezza, luminosità, equilibrio, armonia si fondono in una immagine di mistica terrestrità, nelle luminose e sinuose anse del Tagliamento, fiume simbolo del Friuli, cui la mostra e il libro-catalogo sono espressamente dedicati, ma anche allegoria della vita e della purificazione-rinascita, anticipata nella dolcissima rappresentazione di Matelda, che immerge e ricrea, nuova madre, Dante nel Lete e nell'Eunoè.
Anzil, come Dante, non vuole rassicurare, ma inquietare, scuotere le coscienze, svelare, far riflettere sui disvalori, affinché ogni uomo orienti eticamente e civilmente la propria azione; in questo senso è, come il Poeta, didascalico, impegnato, vibrante nella sua denuncia, apocalittico talora, impietoso contro i sopraffattori, i malfattori, i violenti, i tiranni, gli uomini imbestiati (il male fa perdere ogni traccia di umanità), ma anche pieno di affettuoso pathos per i deboli che cedono, che non sanno resistere ai propri impulsi, come Paolo e Francesca, come gli invidiosi, i golosi, i lussuriosi dei Purgatorio.
Conclusione Ciò che, comunque, ancora mi preme sottolineare è che il viaggio di Anzil ha un punto di partenza ed un punto di passaggio precisi: La sera, il buio, la tenebra dell'Inferno e L'alba, la luce, il cielo, la brezza marina dei Purgatorio: i poli oppositivi della dialettica tra nordico e mediterraneo, che si risolve a favore di quest'ultimo nella "tavola del Tagliamento", dove l'artista abbandona infine la maschera di "stregone del nord" e fa emergere la profonda consonanza della sua anima e di quella dei Friuli con la cultura mediterranea, su cui incombono certo le scure montagne del nord: Dante - il suo chiaroscurato ordine interiore e la cultura che il Poeta simboleggia - rappresenta l'agognato porto, dove approda la lunga navigazione artistica di Anzil.

(Messaggero Veneto, 16 ottobre 1998)