Intervista di Luciano Morandini ( in Messaggero Veneto, 23 febbraio 1994)

L'impegno morale ispiratore di poesia

 Dorigo è poeta e scrittore d'area neovanguardistica, in quanto opera con sensibilità culturale e tecniche linguistico-espressive che tendono a superare la tradizione, ciò che d'essa si riflette ancora nella scrittura inventiva, ma in lui senza atteggiamenti manichei, repulsivi dell'altro. Di lui è ora uscita presso Campanotto la raccolta di poesie - in verità un poemetto articolato in tre parti - intitolata Le ceneri di Pasolini. Essa - com'è proprio dell'avanguardia - attraverso la complicazione e la commistione linguistiche e la dissociazione della visione e delle forme, sollecita il lettore a superare i limiti della logica comunicativa tradizionale e a disegnare percorsi poetici d'affabulazione diversa.

- Per prima cosa, Dorigo, qual'è la ragione del titolo?

"Il riferimento evidente a Le ceneri di Gramsci è complesso, in quanto Pasolini è sì evocato ma anche eluso, per quanto c'è in lui di edipico, narcisistico, regressivo. La mia poesia si fonda sulla 'riduzione dell'io': questo devo soprattutto alla neovanguardia e alcune tecniche di scrittura. Non mi sento di appartenere a essa, anche se l'ho attraversata: sono un tradizionalista d'avanguardia, sperimentalista, legato alla tradizione italiana ed europea, più attenta al 'mondo interiore' e all'espressionismo linguistico-ideologico che a certi formalismi. Riferimento complesso, dicevo: il problema è quello di verificare che tipo di poesia civile sia possibile oggi, quando il disastro antropologico profetizzato da Pasolini sembra essersi avverato, in una società dove l'io è sempre più 'plurale' e 'nomade' e i soggetti sempre più 'trasparenti', nel senso che scompaiono lo spessore della interiorità e la memoria storica, in un eterno presente dominato dal neonichilismo: a esso, al degrado e ai disvalori credo ci si possa opporre solo con una scrittura a forte tasso etico, con una poesia di tendenza, che costringa a prendere posizione. Non è, insomma, un libro su Pasolini, ma 'al modo di Pasolini' come impegno civile e, perchè no?, pedagogico, in una costellazione di immagini diversa, anche se alcune problematiche socio-culturali sono affini".

- Se ho ben capito, la tua, per particolari tuoi percorsi formativi e culturali, è una poesia 'atipica', nel senso di non facilmente etichettabile: utilizzi diversi apporti e li plasmi con una carica emotiva tutta tua, soprattutto nella versificazione e nella metrica. Quindi, nel contrasto Pasolini/neoavanguardia tu diresti che quest'ultima è stata una necessità, ma che anche Pasolini aveva le sue ragioni. Vuoi chiarire questo e anche il senso 'antidecadente' del tuo libro?

"La mia formazione è stata sistematica e selvatica a un tempo; culturalmente rigorosa e psicologicamente dispersiva: questa tensione struttura il mio poetare soprattutto negli aspetti formali: trovi l'endecasillabo e la sua parodia, il prosastico e un'intensa-irritante sonorità, secondo l'urgenza, come diceva Leopardi, di assecondare i 'moti del cor', al di fuori di ogni schema prestabilito: mi sento affine a lui anche per una certa mia estraneità alla contemporaneità e per la sua polemica contro il 'pargoleggiare' degli italiani. Anch'io individuo nell'infantilismo il male della nostra società, e nella 'stupidigia', un misto di superbia e ingordigia. Il primo soprattutto, che falsa i rapporti tra generazioni, amplifica l'egotismo e la prepotenza arrogante sugli altri e rende irresponsabili, lo identifico in due tipi umani, esemplificati da D'Annunzio e Pascoli, unificati dal narcisismo, del piacere uno del dolore l'altro; calamitosi, perché hanno plasmato il carattere medio di una generazione, dalla quale la mia ha subito influenze nefaste: verso esso non c'è indulgenza, ma sdegno e indignazione, per i danni psicologici, morali e sociali provocati. In varie forme allegoriche - non simboliche - la rappresentazione di una società degradata, particolarmente nei cuori e nelle menti, unifica i tre poemetti. Oltre alla testimonianza di Montale agisce dentro di me e nei miei versi la lezione civile che ho appreso dall'opera e dall'amicizia di Paolo Volponi, che mi ha insegnato a liberarmi dalla gabbia dell'io e, soprattutto, il coraggio della paura, cioè di cercare sempre la verità anche se dolorosa. Ma non posso dimenticare due altre mie guide determinanti: Claudio Magris, che mi ha reso consapevole della mia condizione di frontiera tra cultura mediterranea e cultura nordica, aiutandomi a vivere con 'candore' la contraddizione, e Siro Angeli, che ha riacceso il mio legame con la tradizione letteraria italiana, che per lui portava sempre a Firenze: lui più verso Petrarca, io più verso Dante e il plurilinguismo".

- Quali sono i nuclei tematici del tuo libro?

"Il tema centrale è quello della responsabilità. Il percorso conoscitivo, che si articola in tre momenti, prende l'abbrivo dalla 'paternità' - la nuova nascita ad adulto, la scoperta dell'altro e del tempo, la pochezza del maschio nei confronti della maternità - in una dimensione prevalentemente interiore ed esistenziale: qui mi faccio prendere per mano da Dante e da Leopardi e compio un attraversamento di me stesso, come in un 'inferno', scoprendo con dolore mie angosce, sofferenze e insufficienze, con un ritmo discendente-ascendente che mi porta a uscire da me stesso, aprendomi agli altri e anche alla fiducia che, attraverso la solidarietà e la partecipazione si posano eliminare almeno i 'mali storici' del vivere: il poemetto termina con l'immagine del 'rododendro', che allude alla ginestra leopardiana. Il secondo movimento è più caratterizzato da problematiche culturali e storiche: l'infantilismo assume forme politiche e filosofiche; gli antidoti culturali sono Montale e Volponi, e si conclude con la collocazione precisa nell'hic et nunc. Il terzo poemetto è una sorta di psicodramma: una giovinetta in formazione sperimenta tutta la volgarità della società su di sé, attraverso l'esperienza del corpo, che è l'identità e la memoria dell'io; c'è un gioco di sdoppiamenti speculari: da un lato una donna e un uomo che assumono dei comportamenti responsabili nei confronti dei figli, quindi della società, dall'altro un uomo prigioniero dei suoi traumi e dei suoi rancori, che trasforma la sessualità in pornografia in sintonia con una società degradata, della quale la parodia dell'inno nazionale rappresenta la condanna sarcastica: qui l'impegno etico e civile è più evidente nelle sue motivazioni e necessità di fondo..."

- Fare poesia oggi, che cosa significa?

"Per me è un fatto resistenziale, oltre che terapeutico. Se è vero che 'il libro scrive il suo autore', nel senso che lo plasma e lo costringe ad assumere certi comportamenti interiori, interpersonali e sociali, allora fare poesia significa tener sempre vive le ragioni della vita e della dignità umana e opporsi a tutto ciò che tende a umiliarle e mortificarle".