La ragnatela del solipsismo
Una lettura della narrativa di Carlo Sgorlon

Undici romanzi in diciassette anni (1968-1985), due premi Campiello (1973 e 1983), un premio Strega (1985), un seguito costante e crescente di lettori, un'attenzione pronta della critica dei periodici; infine, due opere monografiche sull'intera produzione narrativa un autore, come si suol dire, di successo. Donde le radici di esso? Probabilmente, come si tenterà di dimostrare in questo scritto, da una perfetta equazione tra retorica ed ideologia sociale e da una altrettanto perfetta  omologia di strutture mentali tra autore e lettore, da identificarsi in un pubblico piccolo borghese, che ritrova nelle sue opere l'apoteosi e la celebrazione della medietà.
Le due monografie di Maier e della Nissim non si pongono il problema delle radici di tale successo, ma si limitano a registrarlo, dando credito alle intenzionali e profuse dichiarazioni di poetica di Sgorlon, dimenticando, per lo più, che "la coscienza rappresenta  soltanto un aspetto parziale del comportamento umano  e che nel caso dello scrittore  spesso accade che la sua aspirazione a una unità estetica gli faccia comporre un'opera la cui struttura globale... costituisce una visione diversa e spesso opposta al suo pensiero, alle sue convinzioni e alle intenzioni che lo animavano nel momento in cui aveva atteso alla sua stesura",  per non dire che Sgorlon è un abile public-relations man  della sua immagine di scrittore.
Maier, in particolare, sottolinea la sua eccezionale capacità fabulatoria, la sua estraneità a quelle che vengono definite " mode culturali ", il suo isolamento, la sua unicità: " libero scrittore ... non è inquadrabile in indirizzi, correnti, movimenti letterari e culturali ... Il nostro è e rimane uno scrittore personale, indipendente, anomalo " (p. 39). Il critico triestino, in verità, che con questo scritto suscita non poche perplessità in chi lo conosce come acuto e puntuale esegeta di Svevo, allude ad una continuità con la tradizione letteraria italiana classicistica (le donne " ariostesche ", le illusioni e il mito" foscoliani "): il successo parrebbe quindi derivare dalla restaurazione di un sano e robusto tradizionalismo (meglio se un po' sapido di Ottocento anche nell'aura creatrice che avvolge lo scrittore), che fa sì che, nel clima generale di ritorno all'ordine in cui viviamo, la sua si configuri  probabilmente come la narrativa giusta al momento giusto. Quale narrativa?
La definizione di Maier è essenzialmente in negativo:"" non certo il romanzo di consumo... né il romanzo volto ad enunciare tesi o messaggi variamente politici... né il romanzo di pura invenzione, facile a scivolare sul piano inclinato del divertissement ... nemmeno il romanzo interamente fondato sul linguaggio e sullo stile"" Quale narrativa, allora?
Sgorlon a questo proposito è più esplicito del suo interprete e nel romanzo Gli dei torneranno, vera e propria enunciazione di poetica, scrive: " Aveva letto in un libro (lo stesso in cui si diceva che non v'erano più né personaggi né eroi) che la parola era ormai consumata e logora, troppo sfruttata dall'uso, e che non poteva più essere adoperata come un tempo. Oggi chi l'avesse fatto (sembrava di capire tra le righe) avrebbe suscitato una smorfia d'ilarità all'angolo della bocca degli intenditori, o l'infastidito sbadiglio della noia. Adesso la parola andava sofisticata, manipolata, slogata e contorta, per poter essere resa appetibile ai palati, ormai desiderosi dello strano e dell'inusitato. Andava elaborata con ricette artificiali, drogata con spezie esotiche fino a cambiarne l'antico carattere e a renderla incomprensibile". La sua scelta è precisa e senza margini di dubbio non solo nei riguardi della letteratura italiana post"neoavanguardia, ma anche nei confronti dell'intera cultura europea contemporanea: (dell'Europa) conosceva l'intima vecchiezza, le nausee senili e il gusto sofisticato che si facevano strada nelle epoche di decadenza. I fumi velenosi, i miasmi di fogna della vecchia Europa e delle sue metropoli non l'avevano neppure sfiorato ". A questa decadenza e corruzione contrappone il modello della narrativa latino-americana nella quale, come al protagonista Simone rientrato dal Perù dopo anni di lontananza dal Friuli," la parola era sempre venuta giù liscia come un olio che fluisca senza rumore dal collo di una bottiglia. Sempre pastosa e sostanziosa, si collocava senza il minimo sforzo al posto giusto." L'ampiezza delle citazioni da questo romanzo è giustificata dal fatto che esso, a mio giudizio, rappresenta il punto più alto della coscienza del ruolo che lo scrittore, per tramite del protagonista, assegna a se stesso, soprattutto nella direzione del raggiungimento di un equilibrio, nei suoi modi e nella sua ideologia, e di una mediazione/conciliazione della contraddizione, centrale nella sua opera, tra soggetto individuale e soggetto collettivo:" al mondo esistevano uomini che parlavano al posto di altri, i quali non sapevano farlo. Che si assumevano il ruolo di portavoce, che formavano parole per gli altri, nei quali la ressa dei sentimenti faceva velo al pensiero e non sapevano esprimersi ". Lo scrittore quindi non deve " attingere da sé, ma dalla memoria collettiva dove tutto è raccolto, in modo oscuro e informe, fino quasi a perdere la propria consapevolezza". Affermazione questa fondamentale a farci intendere come la narrativa di Sgorlon rimanga ambiguamente involuta sul nodo non risolto del rapporto coscienza/inconscio, che determina, nei protagonisti, una difficoltà di " individuazione " ed uno scivolamento progressivo e regressivo nell'inconscio collettivo, come scorciatoia per superare la lacerazione nevrotica, che costituisce il centro motore della sua scrittura narrativa.
Il libro della Nissim, nato nell'ambito dell'attività del Laboratorio Internazionale della Comunicazione (attivato, congiuntamente, dall'Università di Udine e dalla Cattolica di Milano), sostanzialmente dipende dal primo, in quanto si propone soprattutto il fine ermeneutico di esplicitare il ricettario tematico e la cuisine dell'Autore, utilizzando lo schema attanziale di Greimas: col che si ottiene una percezione più analitica del livello di superficie dell'opera sgorloniana, ma sfuggono ancora i nuclei genetici del suo narrare e le ragioni del successo.
In verità, tra i due saggi sembrerebbe esserci una leggera divaricazione: mentre Maier stabilisce una netta cesura tra i due primi romanzi (La poltrona e La notte del ragno mannaro), dominati da un espressionismo violento e deformante (" un momento transitorio, una sperimentazione momentanea, una remora, un relitto negativo"), e i successivi che, con un diagramma ascendente, culminano nella Conchiglia di Anataj,"" il suo capolavoro", la Nissim accenna a delle punte negative in tale diagramma, con alcuni sporadici ritorni e ricadute nella "cupa tentazione del solipsismo" in Regina di Saba, con un"" ripiegamento verso forme di accentuato pessimismo" in La contrada e L'armata dei fiumi perduti, ma accetta comunque in toto l'assunto di Maier, per cui La luna color ametista rappresenta il" "punto nodale" della narrativa di Sgorlon. Esso si pone infatti come momento di passaggio dal cupo solipsismo... alla narrazione mitico fantastica, corale, aperta alla speranza dei romanzi successivi".
In realtà, come proverò di dimostrare, il solipsismo è l'unica forma della soggettività, sotto maschere e sembianze diverse, nella narrativa di Sgorlon. Comunque, proprio l'autore, abile confezionatore e propagandista di una ben definita immagine di sé, ha contribuito a suggerire tale linea di svolgimento della sua opera, pubblicando nel 1973, non solo dunque per motivi editoriali e commerciali, dopo La poltrona e La notte del ragno mannaro, per rinforzare l'impressione suscitata dalla Luna color ametista, Il vento nel vigneto, romanzo d'impianto naturalistico scritto nel 1960, che aveva già avuto (1970) una sua " traduzione " in friulano col titolo Prime di sere
Per sintetizzare un po' il mio punto di vista, quale è emerso in queste considerazioni iniziali, si può dire che è lecito inferire una particolare attenzione al mercato da parte di Sgorlon; anzi, ad un duplice mercato, nazionale e regionale, relativamente interdipendenti; e che si può attribuire il suo successo alla capacità di solleticare costantemente l'immaginario di un pubblico piccolo borghese di provenienza rurale, inurbato, antropologicamente non più contadino e non ancora cittadino, quindi non ancora integrato nella città (" contrada ", antindustrialismo), e che non ha completamente cancellato il repertorio delle immagini folcloriche dei luoghi di provenienza, destoricizzato e trasformato in favola atemporale. 
A questo punto, a proposito del Friuli, definito da Maier " rappresentazione ... del tutto interiorizzata, magica, fantastica, fiabesca e poetica" o "" metafora e simbolo della vita in generale", è necessario puntualizzare che esso è continuamente fuggito ed eluso, non"amato nella sua realtà e contraddittorietà dallo scrittore, che riesce a ' recuperarlo ' solo nel suo massimo slontanamento (Valeriano, il protagonista della Conchiglia di Anataj, rimane in Siberia a ricordare il Friuli) e solo nella direzione estremamente ideologizzata del patrimonio folclorico" popolaresco, dando forma narrativa al mondo e agli schemi entro i quali i ceti egemoni hanno costruito la loro visione delle classi subalterne.
Considerato da questo punto di vista, il mondo contadino mitizzato nei suoi romanzi si può leggere (con parola cara a Sgorlon) come un "archetipo"" di vita, fuori del tempo e della realtà, per una omologazione culturale di massa attorno allo stereotipo piccolo borghese, esemplato sul nozionismo scolastico, come dirò, e l'arcadia folclorica, sostenuto da una ideologia, per cui l'ineluttabilità del Destino altro non è che la metafora del conservatorismo sociale. Tale affermazione può essere puntualmente documentata attraverso la rassegna e la verifica dei topoi di tale narrativa (casa, famiglia, lavoro, rifiuto della storia e della società, irrazionalismo).
Ma torniamo all'assunto: i temi evidenziati dal tandem Maier-Nissim costituiscono, in effetti, l'aspetto più appariscente ed epidermico della poetica sgorloniana, le note "" rose a coprire l'abisso" ", solo che, in questo caso, i fiori sono un po' appassiti o artificiali.
Il livello profondo è costituito proprio dalla nevrosi, dalla dissoluzione dell'identità e dalla ricostituzione solipsistica della stessa, mascherata e mistificata dietro favole e "" favolosi amminicoli"?" di montiana memoria (ma il riferimento ad un dannunzianesimo di risulta sarà più pertinente).
Il punto di equilibrio (meglio sarebbe dire di " stallo ") nell'universo binario e dualistico della narrativa di Sgorlon (spesso l'oppositività è monca, in quanto la contraddizione il più delle volte viene superata con l'abolizione di uno dei due poli della contraddizione stessa), realtà/fantasia, storia/mito, mondo contadino/mondo industriale, risiede nella lingua o, più precisamente, come vedremo, in una figura retorica.
Il movente alla scrittura è dato dalla volontà di rimuovere e presentare come inesistente la scissione, la frattura; di eliminare la contraddittorietà dall'immaginario del lettore, di ridefinire quindi una identità psicologica e sociale per sé e per il gruppo sociale che egli rappresenta e di cui è, come scrive, lo " sciamano "; tutta la narrativa di Sgorlon si può intendere appunto (lo stesso Maier riconosce, più volte, che ogni protagonista si pone come "" virtuale proiezione autobiografica" dello scrittore) come una iterata autobiografia d'intellettuale alla ricerca della sua funzione e del suo ruolo. La restaurazione, a questo proposito, del continuum, dopo la rottura della tradizione letteraria e la crisi del centralismo politico"culturale, avviene soprattutto a due livelli: ricostruzione di una immagine tradizionalistica dello scrittore (l'aura del creatore solitario) e pratica di una scrittura tutta attenta, nella costruzione dell'immaginario, alla tipologia culturale dei lettori, bisognosi di certezze e di assoluti: con la proiezione dello specifico regionalistico in un universalismo atemporale, che valga come esorcismo della realtà (e la sua, in effetti, è, per parafrasare una frase del Duncan,? "l'esplorazione cosciente, attraverso l'immaginario, della impossibilità di azione dell'uomo nella società"), propone un paradigma universale di esistenza e di comportamento (a)sociale. Non solo, ma prospetta addirittura un modello gnoseologico, caratterizzato dalla derealizzazione e dalla riduzione del mondo alla sua rappresentazione: le parole"chiave ricorrenti sono:"pare"", " sembra"", " appare"","" avvertiva""; la forma verbale impersonale è dominante. Questa oscillazione tra realtà e immaginazione determina sul piano strutturale e della costruzione dei personaggi un tutto tondo screpolato e allucinato immerso in una assenza cronologica, che però dà la sensazione di un qualcosa di temporalmente e spazialmente definito e ordinato, pur nella totale assenza di qualsiasi principio ordinatore razionale: una antica attualità e una attuale antichità.
Ho accennato in precedenza a diversi " livelli " narrativi: le osservazioni e considerazioni che seguono sono finalizzate ad un loro approfondimento, fondato sulle invarianti che caratterizzano i protagonisti dei romanzi di Sgorlon, quindi su quei tratti del carattere e del comportamento sociale che non mutano col mutare delle tematiche e delle vicende.
Tratto dominante dei protagonisti (sia nella narrazione in prima che in terza persona) è il solipsismo; per esso il mondo viene ridotto a sua rappresentazione soggettiva e gli altri personaggi dei romanzi a proiezioni sublimate dei desideri, delle pulsioni, delle fobie, dei complessi del soggetto protagonista, narcisistico ed egocentrico (con questo, è chiaro che chi scrive nega ai romanzi di Sgorlon qualsiasi carattere di " coralità " ed " epicità ").
Tra il livello profondo del soggetto e il livello di superficie (scrittura e modelli culturali) si colloca un livello intermedio (cultura friulana) con tale rilevanza e predominanza da sfocare in secondo piano gli altri due, fin quasi a farli considerare marginali o non rilevanti, e su essi invece deve essere più attentamente portata l'attenzione critica; quella " friulanità metafisica, metaspaziale, metatemporale", che tende a mascherare e a negare la perdita di identità del soggetto intellettuale, ma non solo, che costituisce, come già detto, il vero nucleo generativo di tutti i romanzi di Sgorlon. L'effetto " alone " del mito"Friuli rischia di offuscare e di far perdere di vista sia la sostanziale consonanza di Sgorlon (che, quindi, non è affatto " isolato " e " libero scrittore ") con quella corrente di pensiero postmoderno, che esalta la " derealizzazione " e predica la fine delle ideologie (ma le pratica!) e della contraddizione soggetto/oggetto e tra soggetti sociali, sia gli esiti letterari delle sue opere. E queste, se è vero che non hanno, come scrive Maier, una cosciente ed esplicita "implicazione estetizzante o estetistica di tipo dannunziano"    (ma D'Annunzio aveva ben altre capacità di Sgorlon! ), è pur vero che appartengono a questa cultura decadentistica, irrazionalistica ed egotistica, nella sua variante epigona del superuomo di massa (il modo d'essere dei protagonisti sgorloniani); sopravvivenza, per un verso, storicamente e spazialmente dislocata, ma di estrema attualità e funzionalità, sintonizzata com'è sulla lunghezza d'onda di certe teorizzazioni della nuova destra e di coloro che si affannano a celebrare i funerali della ragione, esaltando la crisi della stessa, anziché indagare le ragioni della Crisi.
Ma vediamo in dettaglio, seppur sinteticamente, i tre livelli.
Livello profondo: il ricorso, quando non sia abuso, alla psicanalisi è senz'altro d'aiuto, quando essa ci aiuta a decifrare alcuni aspetti della personalità dei protagonisti, che abbiano delle conseguenze sul loro comportamento sociale e sulla loro Weltanschauung. Tale ricorso s'impone in questo caso, perché troppo insistente è il riferimento di Sgorlon a Jung, per non essere tentati di seguirlo su questo terreno; cum grano salis, ovviamente.
Il protagonista sgorloniano si presenta sostanzialmente come un soggetto bloccato, privo di autenticità, affettività, socialità; un soggetto ansioso, privo di identità individuale (simbolo, quasi, di una generazione senza padri, soggiogata dalla figura ipertrofica della madre) nonché del senso di appartenenza ad una identità collettiva, qual era quella di cui pare godesse questo soggetto nella società contadina, che sostanzialmente portava all'anonimia individuale; mentre il processo di formazione della identità imposto dall'industrializzazione deve necessariamente confrontarsi con la categoria dell'individualismo e con la necessità della " individuazione ", nel senso che costringe a superare l'indifferenziato.
La nevrosi e la psicosi che dominano i primi due romanzi si generano proprio da questi conflitti, esistenziali e sociali ad un tempo. Tale soggetto frantumato, rifiutando la trasformazione, tenta di ricostruire regressivamente (nel passato) la personalità e di ridarle quella unità che aveva prima della frattura; per fare ciò rimuove sia le pulsioni che la storia e utilizza slontanamento e mitizzazione come forma di superamento della contraddizione attraverso una tentata conciliazione, per lo più esortativa, prerazionale e simbolica degli opposti.
Livello intermedio: come già detto, qui si insedia e si dilata la retorica della friulanitas, di un Friuli totalmente rimosso nella sua realtà ed ' amato ' solo in quanto negato e rivissuto nostalgicamente attraverso stereotipi folclorici e paternalistici e attraverso una mitizzazione nella quale la storia - e in certi romanzi si hanno dei veri e propri sunti di storia locale - è dissolta in... storie, leggende, favole, con l'effetto, opposto a quello che pare proporsi lo scrittore, di annullare la memoria collettiva di un popolo, privandolo delle coordinate spaziali e temporali.
A proposito di" archetipo" mitico è opportuno fare una breve precisazione: l'archetipo nella teoria junghiana rimanda all'immaginario collettivo inconscio e si esprime in simboli e miti; il riferimento prevalente di Sgorlon è invece all'immaginario collettivo conscio, cioè al sistema di valori, norme, credenze, tradizioni elaborate da una certa civiltà in un certo momento della sua storia e introiettate dai singoli, che, decontestualizzate e destoricizzate, assumono l'aspetto di una smisurata esposizione museale, inerte ed un po' mortuaria.
Livello di superficie: la consonanza di Sgorlon con una cultura simbolistico"decadente epigona si manifesta soprattutto nell'accentuazione di un egotismo mai disgiunto da un esotismo manierato (nel quale non è difficile riconoscere le abitudini dei lettori ai voli"charter e ai depliant delle agenzie di viaggio). La scrittura si dipana in una lingua che scivola sopra le cose " come i pattini sul ghiaccio, disegnando arabeschi e ghirigori " (La contrada), lingua intessuta talora di termini e costrutti sintattici ' alti'. E questa scelta linguistica, come scrive Sanguineti a proposito di Pascoli (autore cui spesso Sgorlon fa riferimento), è essa stessa significativa:" Il principio di conciliazione, nella lotta di classe, si concreta stilisticamente nell'abolizione di ogni contrasto tra le classi delle parole: sublime d'en haut e sublime d'en bas operano riconciliati, in uno stile medio"sublime che naturalmente approda all'encomio medio"borghese". (Su un aspetto particolare dello stile - la similitudine - mi soffermerò ampiamente in seguito).
Definite, seppure sommariamente, le costanti, seguiamo ora la progressiva evoluzione del ruolo intellettuale nei romanzi. Se consideriamo la produzione di uno scrittore come un corpus unitario, seppur dinamico, per tracciare il diagramma della linea evolutiva si possono scegliere diversi indici di valutazione e di riferimento. Da quanto detto finora, va da sé che chi scrive respinge vuoi quello che dal solipsismo porterebbe alla coralità, quanto tutti i protagonisti sono solipsistici (sia che si proiettino negli altri sia che accentrino su di sé gli altri: l'eccesso di dedizione - come la Marta, protagonista dell'Armata dei fiumi perduti - in fin dei conti altro non è che una forma " nobile " di egocentrismo), vuoi quello della progressiva mitizzazione della realtà friulana, in quanto non basta abolire le coordinate temporali e spaziali per giungere, se esiste, all'archetipo e non bastano forzosi ed estrinseci simbolismi per costruire miti. Mancando anche la possibilità di seguire il percorso di un eventuale progresso di conoscenza, in quanto tutto, nell'universo sgorloniano, è predeterminato e retto da leggi che l'uomo non può modificare, ma solo accettare, non resta che quella di verificare come si realizzi o fallisca l'ipotesi di ruolo intellettuale che lo scrittore delinea nei suoi romanzi.
Non tenendo conto, a questo scopo, di Il vento nel vigneto (per i motivi già detti) e considerando gli altri dieci romanzi, osserviamo che, in effetti, solo tre si concludono " ottimisticamente " (Il trono di legno, Gli dei torneranno, La conchiglia di Anataj), sei in maniera tragica o con uno scacco o con un senso di totale impotenza verso la storia (La poltrona, La notte del ragno mannaro, Regina di Saba, La carrozza di rame, La contrada, L'armata dei fiumi perduti), mentre uno, La luna color ametista, non affronta il problema del ruolo bensì quello della funzione, in assoluto, dell'arte contrapposta alla vita e alla storia. I tre romanzi ' positivi ' accentuano, con moto ascensionale, il legame progressivo dello scrittore non con la realtà friulana ma con la immaginazione di essa, cioè con quel repertorio folclorico e fortemente ideologizzato che gli permette di esorcizzare la realtà: la conciliazione degli opposti, appunto, è ottenuta con l'eliminazione di uno dei due poli della contraddizione.
Per quanto riguarda i romanzi ' pessimistici ', i fallimenti sono ad un tempo esistenziali e sociali: tre (La poltrona, La notte del ragno mannaro, La contrada: gli ultimi due sono " uniti " dalla presenza del " ragno ", a conferma che la ragnatela del solipsismo non era un fatto momentaneo, ma sostanziale) hanno in comune il fatto di essere di ambiente cittadino; quello però che più importa sottolineare è che La contrada, attraverso il protagonista Matteo e gli altri, segna il punto di maggior coscienza che l'autore ha delle caratteristiche del suo pubblico reale (gli abitanti della contrada simboleggiano appunto quella piccola borghesia che vive alla periferia della società e della storia): la fine tragica di Matteo, attribuita alla vita e al destino, indica in realtà la brusca fine dell'illusione di essere uno scrittore " universale ", che possa parlare agli uomini di ogni tempo e di ogni luogo. La contrada rappresenta il punto di svolta nella narrativa di Sgorlon: conclude il processo di scoperta del proprio ruolo aperto dagli Dei torneranno e di assunzione di una identità esterna a quella collettiva e il processo positivo di " individuazione ", e apre la via alla ricerca di un " universale ", attingibile solamente con la rinuncia a se stesso e con l'annegamento della identità personale in quella collettiva: Valeriano della Conchiglia di Anataj non è più narratore esterno, ma il medium di una coscienza collettiva.
La dissoluzione regressiva e definitiva del soggetto individuale nel collettivo (popolo cosacco e popolo friulano) si ha nell'Armata dei fiumi perduti: tutto, in questa storia, finisce in tragedia, soprattutto perché l'annullamento di se stessi non dà pace e identità pacificata, ma solo morte, senza neppure le allucinazioni dei primi due romanzi.
In precedenza avevo fatto cenno alla " restaurazione della tradizione letteraria ": qual è lo strumento principe della sua conservazione" La scuola, ovviamente (Sgorlon nasce come narratore dalla professione d'insegnante medio, di cui conserva certo didascalismo). Egli della scuola recupera soprattutto certo nozionismo, attinge dai topoi di una tradizione letteraria destoricizzata (sapere valido per tutti i tempi e tutti i luoghi), dal deposito quindi, insieme al patrimonio folclorico, dell'immaginario di un lettore che si può facilmente identificare nell'inculturato della scolarizzazione di massa, intesa soprattutto come mezzo per la diffusione di una egemonia culturale piccolo"borghese. E proprio la similitudine ' scolastica ' ha una funzione centrale nella costruzione dell'universo ideologico sgorloniano. Esso infatti è figura retorica ' archetipica '.
In una lingua abbastanza scialba, descrittiva ed esornativa, emerge la risorsività quasi maniacale della similitudine. A questo proposito Maier scrive che " i paragoni sono attinti con deliberata coerenza... dal mondo contadino". Da una tabulazione, non elettronica ma ugualmente significativa, risulta che di gran lunga più importanti, come momento unificante dei tanti rivoli di cui è costituita l'ideologia dei romanzi di Sgorlon, sono le " similitudini scolastiche " (esse appunto sono il principale elemento di identità tra scrittore e pubblico); attorno ad esse si dispongono e si raccolgono a grappolo quelle tratte dalla storia friulana, dai mass media, dalla retorica folclorica e celebrativa, dalle favole, dal buon senso comune, dal mondo della natura: tante piccole e frammentarie ideologie unificate da una ur"ideologia. 
Si arriva talora all'iperbole della similitudine, come si può esemplificare con Regina di Saba: aveva trovato"" in una sola tutte le donne". Isabella era stata acerba e fresca come Nausicaa, impudica e piena di fascino come Circe, misteriosa come Calypso, serena e domestica come Penelope. Isabella (come) l'agane friulana, la veneziana, la triestina, l'ebrea, l'albina, era la donna eterna ".
Questo esempio, nella sua evidenza, rivela che il come sgorloniano è ben più che un semplice connettivo relazionale, mediatore tra due realtà, in quanto diventa il soggetto, il vero centro assiale della ideologia dei suoi romanzi, l'apoteosi della medietà, in fuga sia dall'esistenza che dalla storia, le cui rappresentazioni ideologiche ed epidermiche si rivelano dei puri specchi, sulle cui superfici riflette narcisisticamente se stesso un soggetto (narratore/ lettore) inaderente a se stesso e alla realtà, di cui evita l'esplorazione in profondità, trincerandosi nella banale saggezza di mezze verità.
Sgorlon, in conclusione, per parafrasare una nota definizione, è un abile "artigiano dell'immaginario " che, data la situazione attuale di molto artigianato, si è ritagliato un suo spazio nell'indotto dell'industria editoriale. E il successo? Probabilmente ha scoperto la via per una letteratura... nazional-scolastico-regionale.