Luciano Morandini (Ermes Dorigo, fuoco, invenzione, riflessione, corporeità in Il Friuli, 21 giugno 1996 )

Dopo "Le ceneri di Pasolini", del 1993, un articolato poemetto in tre parti (Favola degli inferi siderei; Le Kere della notte; Raphaela), un poetico fuoco d'artificio d'invenzione, riflessione e corporeità, Ermes Dorigo pubblica ora, sempre presso Campanotto, Nello specchio incrinato: Paolo Volponi e Pier Paolo Pasolini.
Stavolta sono 'Nove quadri teatrali', nei quali si formano e crescono, fino alla pienezza del ritratto interiore e intellettuale, due personalità, due vite, due destini di scrittura: di Volponi, appunto, e Pasolini. Uno, Volponi, maestro di vita e scrittura impegnata, l'altro, Pasolini, attraente come "un gorgo scuro", per Dorigo in  una giovinezza promessa disillusa "d'una sintonia panica con la natura e dell'armonia di essa nella società". Un maestro Pasolini, del quale, per istinto e contraddittoriamente, Dorigo ha finito per diffidare. Era viscerale, fibra corporea vibrante, ma infantilmente regressivo, costretto nella gabbia dell'io, eppure anche da amare per quella sua forte vena di poeta civile, per quell'amore lucido, per quel legame incomparabile con l'umile Italia, da maestro conosciuta e rappresentata,
Nel libro è un primo accenno di consonanza/dissonanza che si obiettiva poi e trova la strada della sua storia nel Pasolini. E' proprio qui che inizia la rappresentazione. Da lì in poi, il Collagista, personaggio-capocomico, una sorta di conduttore, un regista coinvolto, s'incarica di aggiungere qualche elemento suggestivo al discorso-confessione dei protagonisti: con suggerimenti di luci, citazioni di lettere, rappresentazioni in video di paesaggi friulani e marchigiani, con brani di poesia e ricordi.
Apparati che inquadrano, chiariscono, illustrano, sintetizzano eventi e circostanze. Leggendo i nove quadri, ci si muove sempre ambientati e accompagnati con puntualità dentro i due itinerari culturali, creativi ed esistenziali, itinerari che si incrociano, si riconoscono e divaricano.
Volponi inizia nel quadro secondo la storia del suo rapporto con Pasolini: a lui l'autore marchigiano deve il suo primo romanzo. Pasolini gli aveva infatti tolte certe paure di inadeguatezza, per altro solo psicologica. L'unica cosa necessaria, gli ripeteva Pasolini, era "di avere l'ansia di scrivere, di possederne l'esigenza interna, il tema, la forza, l'indignazione".
Fin qui Pasolini è figura di maestro e amico fraterno, ma il rapporto è, per Volponi, senza alcuna sudditanza, c'è solo grande rispetto per l'autorevolezza dell'amico. Ma chi è padre, chi figlio tra i due? Tutti e due sono, uno dell'altro, in parte padre, in parte figlio: Pasolini "padre quasi idealizzato", socratico, è la parola poetica che armonizza soggetto, natura, storia. Volponi "padre industriale dell'adolescente rurale Pasolini". E nel muoversi in questo gioco di paternità, mentre esso emerge, pure il Collagista-Dorigo definisce sempre meglio le ragioni del suo essere culturalmente, fraternamente figlio dello scrittore urbinate, di una letteratura, cioè, del mondo della natura, niente affatto privata, senza regressioni verso il grembo materno, quella degli uomini in mezzo agli altri uomini, che esprime, lucida, rabbie e ragioni, che sussulta, che si realizza tra esseri "confederati e solidali", senza egoismo e narcisismi.
A rafforzare la distinzione tra Pasolini e Volponi, e a meglio chiarirla, intervengono in un dialogo immaginario Leopardi e Pascoli: per indicare una sofferta maturità Leopardi-Volponi e la regressione all'infanzia, al sogno, alla "sospensione" sul pelo della storia e della natura Pascoli-Pasolini.
Ma anche nella differenza è limpida l'amicizia tra Volponi e Pasolini. Essa è legame, è reciproca stima mai scalfita. Di quadro in quadro, passano al vaglio di Volponi, in lunga e calda memoria, occasioni di incontro, ricostruzioni di dialoghi, giudizi acuti sulle opere dell'amico, frammenti di storiche discussioni letterarie e di pasoliniane confessioni: le amarezze, le stanchezze, le esaltazioni di un geniale poeta di continuo braccato e vilipeso, fino alla morte violenta, assassinato.
Il discorso, nel suo svolgimento, sottolinea di Pasolini, al di là di ogni sua altra attività creativa, la poesia. E' lì che Pasolini compiutamente s'incarna. "Considero Pasolini soprattutto un grande poeta civile, forse il più grande della nostra letteratura dopo Leopardi... un intellettuale che nella sua poesia ha affrontato i temi della nostra società...", anticipando quanto nel nostro paese sarebbe poi accaduto.
Nell'ultimo quadro, il nono, ambientato nell'aula di un tribunale, Volponi è testimone a favore di Pasolini. Il giudice è figura di un mondo opposto a ogni voce o atto che risuoni o sembri essere di sinistra. "Questi intellettuali di sinistra, che pensano di salvare il Paese, come dicono loro, con le loro fumisterie letterarie! ... Siamo noi che teniamo in piedi l'Italia, per fortuna ... ".
Nel serrato dialogo tra il giudice e Volponi si ripropone la questione del delitto Pasolini come delitto politico. Le parole sono tese, vibranti, l'ennesima testimonianza pubblica di un Volponi a Pasolini ancora vicino nonostante la diversità intellettuale. Due destini finiscono così accomunati, "perché la sottocultura tende ad annullare Pasolini nello scandalo e Volponi nel silenzio disteso sopra la sua opera", ma in quei due autori, afferma il Collagista, esiste l'alfabeto per una cultura democratica.
Un lavoro, questo di Ermes Dorigo-Collagista, un "teatro" originale tutto da leggere, che conduce proficuamente all'interno di tempi, personalità e problemi più che mai attuali, sintetizzati in quadri ricchi di fili e motivi ideali offerti alla riflessione di quanti abbiano interesse per una letteratura fonte di coscienza e capace di progetto e passione civile.