TITO MANIACCO (Neuterio della lontra, in TuttoUdine, febbraio 1991)

Esce un racconto di Ermes Dorigo, autore friulano sicura promessa della letteratura.
Per una complicata situazione sociale il passato pesa sul presente come una forza morta; lo scrittore in Friuli ha una posizione ambigua, in parte determinata dal bilinguismo, per il suo troppo esile rapporto con il lettore. Quando esso non ha stabilito legami consistenti con il pubblico nazionale ( e i casi sono così rari da poter dire che l'eccezione conferma la regola) non gli resta altro che un intenso e drammatico confronto con se stesso. In un tessuto sociale normale l'editore è il tramite naturale tra lo scrittore e il suo pubblico, ma in Friuli l'editore è una cosa eterea, la cui consistenza è in diretto rapporto con l'aiuto preventivo dell'ente pubblico.
Ci sono, è vero, degli editori che si autopropongono rappresentanti e della rara fauna di chi stampa libri per mestiere e dell'ancor più rara fauna degli scrittori. Smoderata ambizione cui solo i giornali locali danno eco; il resto è silenzio. Se si esclude Studio Tesi di Pordenone, che ha sporadici rapporti con la letteratura locale (qui si parla di letteratura naturalmente), l'unico corretto collegamento con la realtà letteraria nazionale è possibile solo attraverso il costante impegno dell'Editore Campanotto di Udine. E da questo editore esce ora un lungo racconto di Ermes Dorigo, Neuterio della lontra, primo classificato al XII Premio Casentino. Il libro ha un'interessante lettera-presentazione di Claudio Magris e la rara caratteristica di una traduzione in lingua friulana condotta da Giuseppe Cargnello. E' cosa che merita attenzione e rappresenta un'inversione di tendenza notevole, che può essere ben più di un segnale.
Naturalmente la cosa comincia a diventare interessante, quando a condurre l'impresa è uno scrittore, poeta ed organizzatore culturale come Dorigo, del quale non si può dire sia un mediocre e acritico esaltatore del Friuli e del friulano. Ancor più interessante diviene il fatto quando si entra in contatto con Neuterio della lontra o Neutêri de lontre, e ci si accorge dell'alta tensione culturale che lo percorre e della misura 'grande' con cui lo scrittore affronta la vicenda di Neuterio, al quale si voleva imporre il nome di Deuterio, il secondo, visto che il padre e la madre litigavano, e che fu invece chiamato proprio con questo Neuterio, né l'uno né l'altro.
La complessità dell'intreccio del racconto è notevole. In esso, giustamente, la giuria vede ascendenze calviniane e volponiane, se non altro per quel continuo fare perplesso che ogni volta richiede un ragionamento filosofico sugli eventi che compaiono nel loro incastro di presente e di passato. Se questo è assolutamente vero, forse servirebbe risalire ai veri 'modelli'.
La struttura del mondo in cui avviene la storia può essere quella di un mondo parallelo, ma può anche essere quella di un mondo di un futuro che sta dietro all'angolo, un mondo la cui nitidezza angosciosa proviene dal maligno fascino di Kafka, dentro il quale, però, l'affabulazione sul destino è fatalmente collegata alla continua domanda sulla natura dell'uomo che proviene da Dostojevskij. Fra l'altro, se ci si ricorda di Bachtin, questo racconto rivela nettamente una struttura polifonica. Infatti non si riesce a cogliere un tema dominante - non induca la 'Lontra' astuta all'equivoco ecologico - quanto un insieme simultaneo di eventi o di memorie su cui domina, forse, come leitmotiv generale, quel che Magris osserva sul racconto come favola-apologo di una resistenza alla dispersione, laica, si potrebbe aggiungere come variante alla religiosa resistenza dostojevskijana. 
Ogni segmento della vicenda ha un senso, diventa cioè funzionale alla complessità della storia, è a sé e risponde a sue regole tonali, ma unendosi agli altri segmenti è polifonico, ed è regolato nella sua totalità dall'armonia che rappresenta la struttura formale, letteraria, quella insomma che ci induce ad un giudizio come prodotto artistico. Le alte possibilità espressive contenute nel racconto sono delle strutture valigia, ognuna delle quali contiene una complessa sequenza di significati che risuonano solo a certi livelli, mentre ad altri stanno significanti ma silenziose. Tutto consiste nella capacità di mettere in funzione quei dispositivi che un'acuta conoscenza dell'arte del racconto e dei suoi meccanismi ha collocato lungo il percorso.
E' in questo livello che scatta il meccanismo che rende il testo così interessante per quanti vivono in Friuli: l'immagine kafkiana di un mondo burocratico-folklorico-poliziesco che non è stato e non è poi tanto "parallelo". E' l'immaginazione che deve far superare certe difficoltà stilistiche. ardue come ardue sono le avanguardie migliori, perché là dietro sta il significato, l'arditezza della composizione di un lavoro il cui destino non è l'oblio.
Attraverso un'eco di specchi che si rifrangono l'uno dentro l'altro, deformandosi ed alternandosi nel paesaggio, una sorta d'incubo orwelliano, un ipotetico e possibile 1984, viene disvelandosi con il metodo dell'effetto di straniamento, attraverso il viaggio che il protagonista, Neuterio, compie dal Friuli ancora nel riverbero del ricordo del terremoto, con la lontra ben nascosta, verso l'altro polo del mondo dello scrittore, quella Urbino che sovrasta il fiume in cui l'animale dovrà immergersi, per una problematica salvezza. La lontra è una sorta di magnete, una raccolta di simboli e di allegorie che la seguono nel suo appartamento (in quella stanza, come in quella di Raskolnikov, si raccolgono i tempi musicali del racconto-sonata).