IL VENDITORE DI MANIGLIE 

da "Ordine e Disordine" di Luciano de Crescenzo

Rielaborazione e adattamento per teatro di Tito di Blasi

 

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La scenografia presenta lo spaccato di una camera studio per architetto: sulla parete di fondo c’è una libreria e un manifesto pubblicitario della Lloyd Security (tolto il manifesto, l’architetto vi può applicare la maniglia della porta invisibile); su quella di destra c’è una porta chiusa con la chiave nella serratura, e sulla parete di sinistra, una finestra aperta sul panorama di Roma.

In un angolo della stanza dovrebbe esserci un pantografo, ma per scarsità di mezzi si possono mettere un tavolo scrivania e due sedie d’epoca nell’angolo vicino alla platea. In un altro angolo, ci sarà uno stereo e un televisore piccolo.

Lungo il muro maestro della casa, sotto la finestra, corre una stradina: i passanti possono affacciarsi alla finestra dall’esterno, salutare e conversare con l’architetto intento a elaborare i suoi progetti.

A lato della stradina, ci sono alberi e una panchina sulla quale sostano i passanti via via che arrivano: i passanti salutano l’architetto affacciandosi alla finestra dall’esterno e poi si siedono a conversare fra loro.

Il primo ad arrivare, è un extracomunitario del Senegal, nero come il tonner di una fotocopiatrice; prima di sedersi sulla panchina, si affaccia alla finestra e saluta l’architetto:

 

- Salve archededdo, io bono bono, io Uru Uru…

- Buongiorno, Uru, sei il primo stamattina, vero?

- Io bono bono, io Uru Uru… Ora io siede lì e lavora…

 

Uru va a sedersi sulla panchina e stende un tappetino con gli oggetti da vendere.

 

Enzo Scaramella, l’architetto, è nello studio di casa sua e sta elaborando un progetto.

Lungo la stradina passa Casparino, uno spilungone scheletrico, tutto naso e occhiali. Di professione poeta, parla con le piante e va in giro a seminare poesie nel cavo degli alberi. Arriva arrotolando un foglietto di carta, conversa con un paio di piante, poi infila il foglietto arrotolato nella fessura di un albero accanto alla panchina, poi si affaccia alla finestra e saluta l’architetto:

 

-   Bella giornata, architetto, che ne dice?

-  Buongiorno Casparino, hai deposto nell’urna il tuo quotidiano pensiero poetico?

- Voi ridete, architetto… ma un giorno qualcuno le troverà e chiederà all'albero informazioni    sul mio conto… Va a sedersi sulla panchina dopo aver salutato con una pacca sulle spalle   il nerissimo Uru intento a contare i suoi pochi spiccioli.

 

L’unica rappresentante del gentil sesso è, una barbona di nome Adelaide. Gentile si fa per dire, dal momento che Adelaide, chiunque le chieda qualcosa, lo manda subito a quel paese. A dirla tutta, non dice proprio «quel paese». E’ la parola chiave di tutti i suoi pensieri: non riesce mai a chiudere un discorso senza averla pronunziata almeno una volta. Di età incerta - tra i trenta e i cinquanta, più trenta che cinquanta - non sarebbe nemmeno troppo male se di tanto in tanto si lavasse un po’.

Risale la stradina e si avvicina alla finestra grattandosi un fianco:

 

-  Buonagiornata architè… non affaticatevi troppo su quei progetti…

-  Oh, Adelaide! Salute a Voi, diva bellissima…

-  Bellissima poi! Dite un po’, architè, mica c’avete delle intenzioni… !

- Posso dirvi una cosa, Adelaide? Voi non sareste neppure troppo male se di tanto in tanto     vi lavaste un po’…

- E sapete che Vi dico io, architè… Se mi lavo, la gente subito se ne approfitta e me lo mette…

- Ferma lì, Adelaide, in casa mia no, non ve lo permetto…

- Ihi, come siamo delicati, architè… Adelaide fa un gesto con la mano e va a sedersi sulla panchina grattandosi il fondo della schiena: si mette a lavorare a maglia, conversando con gli altri due… Poco dopo Uru e Casparino si alzano e se ne vanno: resta soltanto Adelaide. ( I due uomini, infatti, dovranno fare la parte dei due operai della Zucchett e uno di loro dovrà fare la parte del papà di Enzo)

 

Nello studio dell’architetto squilla il telefono. Enzo Scaramella si alza per andare a rispondere, ma la porta d’ingresso si spalanca ed entra Inghe, la moglie di Enzo: è tedesca e ha un’inflessione spiccatamente anglosassone.

 

Inghe, correndo al telefono:

- Non tevi rispontere tu! Risponto io al telefono, aspetto una telefonata importante!

Enzo Scaramella allarga le braccia rassegnato.

Inghe risponde al telefono:

 

- Yawoll? … Pronto?… Pronto!!… Chi parla tunque!!… - ripone la cornetta del telefono e chiude la comunicazione - Devi tire a questi tuoi amici… o amicheti smetterla con questi scherzi ta impecille… capito?… una folta per tutte!… esce brontolando, richiudendo con violenza la porta alle sue spalle.

 

Enzo Scaramella allarga le braccia, fa per ritornare alla scrivania, ma si odono delle urla di donna provenire dalla porta d’ingresso, poi la porta dello studio si spalanca e, correndo, entra Inge, la moglie di Enzo Scaramella:

 

Aiuto! Un topo!… ( si butta fra le braccia del marito )

Che succede, Inge, calmati, …

- Presto, Enzo, fai qualcosa, no! ( si accorge di essere abbracciata al marito e, allontanandosi, si ricompone )

Per prima cosa calmati… vieni, siediti qui… le indica la sedia

Noooo! Non mi siedo… c’è un topo in questa casa, un topo ferocissimo, mi foleva manciare, pisogna scofarlo e ucciterlo!

Andiamo a vederlo questo ferocissimo topo!

No, non voglio feterlo… Eccolooo! Dalla porta entra saltellando un topo minutissimo che quasi non si vede, fa per infilarsi nello scaffale dei libri poi fa dietro front ed esce da dove è entrato

Ma è un topino innocuo, un povero topo campagnolo

Non è povero, è ferocissimo…

Tu vai di là, ci penso io …

Neanche per sogno, ora chiamiamo Zucchet e si fa deratizzare la casa, cominciando da questo studio che è pieno di porkizzie! Zucchet è specialista, sa come fare piazza pulita di topi… Che fergogna… Un topo in casa… in casa mia…

Ma come… fai mettere in subbuglio la casa per un topino innocente…

Non è suppuglio, è pulizia, pulizia cenerale e quello, un ferocissimo topo!

Ora calmati Inghe, ragioniamo…

Racioniamo un corno… prenti il telefono e chiama Zucchet… Supito, capito!

E va bene, chiamiamo Zucchetti… si avvia al telefono

Zucchet, non Zuchetti

Enzo Scaramella cerca il numero di telefono sulla guida telefonica, compone il numero e chiama:

- Sbrigati, non tercifersare

Pronto! Ditta Zucchet… Sono l’architetto Scaramella… No , non Caramela, Scaramella… Ecco sì, bravo… Dovreste venire a casa mia a stanare un topino…

(Inghe) No stanare, deratizzare!!!

A deratizzare… Beh, se potessero… Domani? Sì domani potrebbe…

Inghe: Occi, supito, non Tomani… dai qua, ci parlo io con Zucchet… Inghe toglie il telefono dalle mani del marito e comincia a parlare tedesco con quelli della Zucchet; alla fine ordina : Yawol ! Subito, io aspetto qvi! Hai fisto, ora arrivano. Su, cominciamo dai libri. Prendi tutti i libri e gettali via, in sacco spazzatura…

Ma sei impazzita, sono libri preziosissimi, la storia della letteratura italiana, i grandi scrittori latini, perfino De Crescenzo che ti è così simpatico…

In momenti come questi, i sentimenti vanno messi da parte…

Inghe, per carità, ragiona, è solo un topino, non è la peste…

Un topo in casa mia, chissà cosa diranno i vicini… In Cermania queste cose non succedono…

I miei libri non si toccano!

Questo lo dici tu… ( infila una mano tra i libri e li scaraventa a terra: insieme ai libri cade a terra anche un plico di lettere legate con filo rosso. Inghe le raccoglie e riconosce le lettere di Adriana, un amore giovanile di Enzo) Ancora queste porkerie, mi avevi detto di averle bruciate!

Ma insomma Inghe, sono passati vent’anni! Ormai, Adriana l’ho dimenticata, non c’è nulla di male a conservare un ricordo…

Dimenticata! Ricordo! Le conosco sai, le ho lette tutte! Sono solo porkerie, karta sporka… via, via, tutto a Zucchet! ( Inghe fa per stracciarle, ma il marito la ferma )

Guai a te sai!

Bussano alla porta ed entrano due operai in tuta, maschera antigas e guantoni

Ah, eccovi finalmente, quanto ci avete messo…

Ma frau Inghe…

Su via, non perdetevi in chiacchiere… prendete i libri e gettateli…

Possiamo disinfettarli se vuole… dov’è il topo?

Il topo è di là, prima sgomberate questa stanza e poi deratizzate, capito? Tutto al rogo, compresa questa Porkizia( con gesto di stizza getta il plico di lettere nel cestino della carta straccia )

Yawol frau Inghe!

Sbrigatevi… e tu vieni con me di là… andiamo a stanare il topo! Che fergogna, un topo in casa mia… Enzo e Inghe escono e mentre continua a sentirsi la voce di lei che impreca al topo e alla "porkizia", si chiude il sipario sul primo atto.

 

 

Fine del Primo Atto

Secondo Atto

 

Alcuni giorni dopo: Enzo Acaramella è nello studio di casa sua, naturalmente indossa abiti diversi, magari in camicia e gilè, lavora al suo progetto e canticchia. Sulla panchina c’è soltanto Adelaide. All’improvviso squilla il telefono. Enzo Scaramella va a rispondere. Ascolta annuendo, fa per parlare, ma non ci riesce e fa gesti di insofferenza. Finalmente riesce a prendere la parola e parla tutto d’un fiato, deciso e ad alta voce, scandendo bene le parole:

 

«Cavalier Santaniello, è un piacere ascoltarla! (fa gesti di scherno) Sì, sì…. Certo! Certo… come no… Penso che … Credo che… La globale? E certo… Sì, sì… La globale… Sì, la globale può andar bene… Se lo dice lei!… Veda, cavalier Santaniello… - Enzo Scaramella alza la voce e finalmente riesce a prendere la parola - Cavalier Santaniello!!!…. Oh! … Riprende il tono di voce disteso, ma con una certa ironia - Cavalier Santaniello, io con lei mi trovo proprio bene, sa? vuole sapere perché? Perché non la vedo come uno che mi vuole per forza impallinare. Negli affari, si sa, siamo tutti o lepri o cacciatori. Poi ci sono quelli come lei che, grazie a Dio, si sono dimenticati a casa il fucile... Ed ora devo salutarla, ho molto da fare. A presto cavalier Santaniello. Buongiorno!»

Enzo Scaramella fa per ritornare alla scrivania, ma in quel momento risale la stradina il professore che si affaccia alla finestra e saluta l’architetto:

Sempre al servizio dell’umanità, vero architetto?

Bene arrivato, professore, come state?

A parte la salute, l'unica autentica ricchezza dell'uomo è la libertà, il che, in termini pratici, vuol dire indipendenza dai bisogni. Sa che diceva Stobeo: "Se vuoi far ricco Pitocle, non accrescerne gli averi, ma sfrondane i desideri"

Un giorno mi direte chi è questo Stobeo, vero professore! Ma non state lì, entrate in casa, Via prego, che ho bisogno di Voi… esce dalla porta d’ingresso, va incontro al professore, si odono le loro voci dei convenevoli, poi Enzo e il professore riappaiono insieme nello studio. Il professore è un signore di mezza età con valigetta e cappello a cilindro:

Enzo Scaramella lo fa entrare nello studio:

 

- Ah, professore, che piacere vederVi, accomodatevi»

 

Il professore va a sedersi su una sedia e si mette comodo con gli occhi chiusi:

 

- Mi dica, architetto - dice il professore senza aprire gli occhi «come va con Ramazzini?»

 

Scaramella gli si siede accanto:

 

«Molto meglio, grazie: è almeno un mese che non lo vedo

«E morto?»

«No è a Milano: è andato a fare un corso di aggiornamento»

«A Milano vanno tutti di fretta. Io per questo me ne sono venuto a Roma.»

«Scusate, non ho capito.»

«Ho detto che a Milano i milanesi vanno tutti di fretta. Una volta ho visto un signore che aspettava di fretta.»

«Come sarebbe a dire?»

«Era alla fermata dell'autobus e aspettava di fretta.»

«E come avete fatto a capire che aspettava di fretta.»

«Perché fremeva: prima guardava l'orologio, poi il fondo della strada per vedere se arrivava l'autobus, poi di nuovo l'orologio».

«A Roma invece ... »

«Sono tutti calmi: hanno capito che anche se si agitano, l’autobus arriverà comunque, non un minuto prima e non un minuto dopo. I milanesi, invece, camminano in linea retta. »

«In che senso?»

«Nel senso che sanno dove vanno.»

«Ma perché: non dovrebbero saperlo?»

«Un vero uomo non cammina mai in linea retta, procede sempre agoràzain»

«Agoraché?»

«Agorazain, a zig zag, un po' a destra e un po' a sinistra.»

«Quindi, senza mai fermarsi?»

«Volendo, si può anche fermare, a patto, però, che resti agorazonta»

«E che vuol dire?»

«Che resti immobile ma con l'orecchio teso, attento a sentire quello che si dice intorno.»

«Ed è importante?»

«E importantissimo! Perché è così che nasce la risonanza creativa.»

«Questa della risonanza creativa è una fissa, professore. Me la volete spiegare come si deve, una volta per tutte.

«Molti si meravigliano che quasi tutti i greci importanti siano nati in poco più di un centinaio di anni e in una decina di chilometri quadrati. Dal più vecchio che era Eraclito al più giovane che era Epicuro passano meno di due secoli. L’umanità, in genere, non distribuisce i suoi frutti in modo regolare, né nel tempo, né nello spazio. Ha momenti di grande fertilità e altri più sterili. Temo che il prossimo secolo sia uno di questi ultimi.»

«Per la filosofia?»

«Per tutto. Tra il VI e il V secolo in Grecia nacquero decine e decine di geni, filosofi come Socrate, Platone, Antistene, Anassagora, artisti come Fidia, Policleto, Mirone, storici come Trodoto, Tucidide, Senofonte, tragici come Euripide e Sofocle, commediografi come Aristofane, medici come Ippocrate, oratori come ... »

«Basta, per carità ... »

«No, non basta: momenti analoghi l'umanità li ha conosciuti anche in Italia, quando abbiamo avuto il Rìnascimento, in Francia con l'Illuminismo, in Austria all'inizio del secolo ... »

- Sì, d'accordo, ma come nasce la "risonanza creativa?"

Chiacchierando! Quando due creativi s'incontrano, le idee dell'uno rimbalzano sulla testa dell'altro e tornano indietro amplificate. Poi ripartono di nuovo e tornano indietro ancora più amplificate di prima. In breve tempo i due creativi si moltiplicano e diventano quattro. Tre creativi diventano nove, quattro creativi diventano sedici e tutto ciò è possibile solo se c'è un luogo dove incontrarsi e quale luogo è più invitante di un agorà? Oggi, invece, abbiamo l'automobile e la televisione, gli uomini escono direttamente dai loro garage e non hanno alcuna voglia d'incontrarsi: preferiscono correre sull'autostrada. Ci sono interi quartieri senza nemmeno uno straccio di agorà... sì, insomma, senza nemmeno una piazza.»

Sì, ma anche viaggiando si cresce…

- Mai! Socrate, a chi gli proponeva di andare a fare una passeggiata fuori le mura per contemplare la campagna. rispondeva: "A me della campagna e degli alberi non importa un fico secco, giacché non possono insegnarmi assolutamente nulla. L’unico viaggio che ancora mi interessa è quello all'interno dell’animo umano, e, dal momento che qui ad Atene di uomini ce ne sono tanti, non vedo perché dovrei muovermi»

- Diceva proprio "fico secco "?

- No, non lo diceva, però il senso era quello.»

Professore, sapete che mi è successo? Gliela voglio proprio raccontare…

D’accordo, ma sia telegrafico…

Ieri c’è stato il finimondo. E’ accaduto un fatto inaudito: un topino, e sottolineo topino, è stato visto uscire dal bagno della donna di servizio e dirigersi verso questo studio. Con ogni probabilità doveva essere sbucato dalla tazza del gabinetto. Inge, mia moglie… la conoscete, vero?

No, non la conosco, ma si sbrighi, La prego…

Dicevo, Inghe, mia moglie, non riesce a darsene pace. Considera l'invasione del topo un'offesa personale: una casa linda come la sua, senza una briciola di pane, né una scagliettina di formaggio, dove tutto è allestito secondo le più rigide regole della tradizione mitteleuropea, ha conosciuto l'onta del topo! A questo punto non c'era tempo da perdere: l'appartamento andava disinfestato da cima a fondo, in particolare il mio studio. Ha chiamato una ditta specializzata, la Zucchet. Come prima cosa gli uomini del Pronto Intervento decidono di stanare il topo. Tutti i mobili del mio studio vengono spostati all'ingresso, comprese tre pile di libri che custodivo in un angolo. Sono ricordi del liceo: testi di storia e di filosofia, alcuni romanzi di Salgari, il manoscritto di una mia commedia mai andata in scena e una decina di lettere d'amore firmate Adriana. In casi del genere, dice Inghe, non bisogna farsi prendere dai sentimentalismi: i ricordi vanno gettati via prima che tutti i topi di Roma si diano appuntamento in casa sua. "Inutile conservare karta sporka. Così, libri e manoscritti sono finiti in un cassonetto dell'immondizia di via Campania. Mi precipito in strada e, rovistando a mani nude tra i rifiuti, riesco a recuperare almeno le lettere d’amore. Inghe, però, è stata irremovibile: io, a casa, con quelle porkerie, non avrei mai messo piede! Ed io, pur di non abbandonare le mie porkerie, sono andato a dormire in albergo.

«E ora le lettere, dove le ha messe?»

«Le ho portate in ufficio, almeno, là stanno al sicuro: non me le tocca nessuno. Soprattutto mia moglie non potrà più metterci sopra le mani»

«Io credo che lei abbia urgente bisogno di una delle mie maniglie.»

«Maniglie? Quali maniglie?»

 

Il professore non risponde: apre la valigetta nera e tira fuori una maniglia di plastica munita di ventosa.

 

«La vede questa? E una maniglia che risolve tutti i suoi problemi. E un mio brevetto: si chiama Oneiros. Costa solo cinquemila lire. Grazie alla ventosa, lei l’attacca dove vuole, su una qualsiasi parete, e quando si sente un pochino giù di corda, prova ad aprire.»

«Ad aprire che cosa?»

«Una porta ... »

«Non ho capito: quale porta?»

«Una porta immaginaria, se la raffiguri lei come vuole.»

«E si apre?»

«No, mai, però si può provare. Se poi vuol fare le cose ancora meglio, con un pennarello nero, la disegni lei stesso una porta sulla parete.»

«Una porta disegnata ... ?»

«Sì. E poi provi ad aprirla. Ora me ne voglio andare, La saluto, vengo a trovarla domani…»

 

Il professore si avvia alla porta dimenticando il cappello a cilindro.

 

V’accompagno, professore, buona giornata…

Non si incomodi, conosco la strada…

 

Scaramella s’accorge che il professore ha dimenticato il cappello, lo rincorre e lo chiama, ma lui è già lontano.

 

Enzo Scaramella di porte ne disegna due: una sulla parete di fondo, dietro il manifesto pubblicitario della Lloyd Security, e una sulla parete di lato. Decide di fare subito un tentativo: si chiude a chiave, stacca il manifesto, attacca la Oneiros e prova ad aprire. Ovviamente non si apre. Prova con l’altra porta. Nulla. Riattacca il manifesto al muro e riapre la porta d’ingresso che aveva chiuso a chiave.

Aveva appena finito, che gli sembra di sentire la Quarta di Mahler. Il terzo movimento per la precisione. Lo stereo è spento, e anche il televisorino della libreria è spento. Da dove provenisse quel suono non lo riusciva a capire. Poi volge lo sguardo verso il manifesto ed ha la netta sensazione che dietro la parete ci sia un violinista. Il cuore comincia a battergli più forte.

 

Vuoi vedere che è giunto il momento?

 

Si chiude a chiave, stacca il manifesto dal muro, incolla la maniglia alla parete e prova piano piano ad aprire...

Come previsto, la porta si apre dolcemente. Al di là della parete c'è un violinista in piedi, con la testa reclinata sullo strumento: è suo padre.

Enzo Scaramella lascia che finisca di suonare.

 

«Papà! »

«Finalmente» gli dice il padre, rialzando la testa e avvicinandosi, «ti sei deciso a venirmi a trovare: sono trent'anni che aspetto.»

«Ma io ti credevo in Paradiso ... »

«E con questo? Tu hai sempre pensato che il Paradiso fosse chissà dove, magari in cielo, tra le nuvole, e invece, come vedi, sta qui sulla terra, proprio di fianco al tuo studio. E come dire... adiacente: basta immaginarlo per poterlo vedere. A proposito, è vero che ti sei sposato?»

«Sì, ma non mi va tanto bene. Lei è una donna che ama l'ordine più di ogni altra cosa al mondo. Magari non sarebbe nemmeno cattiva, ma su certe cose non transige... E' tedesca... io, invece, adoro tutto ciò che è approssimativo.»

«Anche qui, in Paradiso, l'ordine è obbligatorio. Noi, però, abbiamo escogitato un trucco per evitarlo: ci salviamo con l'immaginazione.»

«Con l'immaginazione?

«E che cosa immaginate?»

«Di non essere perfetti, di commettere errori. Che bella cosa è l'errore! Se non altro perché ti métte in crisi e ti suggerisce nuove strade. L’uomo saggio non è colui che non commette errori, ma colui che li sa riconoscere e ne prende atto.»

«Questo, se ricordo bene, lo diceva anche Popper, ma tu, come violinista, hai commesso molti errori?»

«Come violinista mai, ma come padre moltissimi.»

«Quali, ad esempio?»

«Quello di pensare troppo ai concerti e troppo poco ai figli. Soprattutto il contatto con tua sorella mi manca. Temo di averla trascurata. Ero sempre in giro, avevo sempre qualcosa da fare, qualcosa che non mi sembrava rimandabile, mentre invece lo era. Vai mai a trovarla?»

«Francamente no. Da quando il marito è stato trasferito alla Procura di Palermo mi riesce difficile vederla.»

«Per favore, Enzo, fammi un regalo: valla a trovare e dalle un bacio da parte mia.»

«D'accordo. Però voglio anche regalarle una maniglia Oneiros. Chissà che anche lei non riesca ad aprire.»

 

Il padre svanisce e Scaramella rimette a posto il manifesto e riapre la porta che aveva chiuso a chiave. Ritorna alla scrivania e prosegue nella elaborazione del progetto canticchiando un motivo…

Quasi inavvertitamente, canticchia: un blues che gli ricorda una sua vecchia fiamma. Poi accende lo stereo e inserisce un CD. MUSICA….

Enzo Scaramella pensa, ricorda e poi si mette a ballare da solo come se stringesse fra le braccia la donna della quale è stato ed è ancora innamorato.

Improvvisamente sente bussare alla porta della parete di fondo. Enzo Scaramella attacca la Oneiros alla parete e la porta si apre dolcemente. Una ragazza bellissima entra: una ragazza completamente nuda ( tuta color pelle oppure abito di veli bianchi molto vaporosi).

 

«Adriana, tu qui! E che fai tutta nuda?»

«Per me è normale stare nuda. Lì, dove abito io, sono tutti nudi. »

«Vuoi dire che ... »

«Sì... è successo dieci anni fa.»

«Ma come?»

«Un incidente d'auto, sull'autostrada.»

«Oddio... quanto mi dispiace...»

«Non ci pensare. Dimmi, piuttosto, tu come stai?»

«Abbastanza bene, anche se oggi ho avuto una giornata difficile, ho anche litigato con Inge.»

«Sempre per la faccenda del topo?»

«Ma come? Sai anche questo?»

«Sappiamo sempre tutto, o quasi tutto. A proposito, hai ritrovato le lettere?»

«Sì, le ho recuperate, un po' sgualcite forse, ma le ho recuperate»

«Mi sarebbe veramente spiaciuto se le avessi perse.»

«Proprio oggi ne ho riletta una, quella dove mi scrivevi "ti amo" per sedici volte di seguito.»

«Uno per ogni anno che avevo. A sedici anni si scrivono solo sciocchezze.»

«lo non le chiamerei sciocchezze, anzi. Quello, però, che non ho mai capito è perché sparisti all'improvviso, senza nemmeno lasciarmi un saluto. lo piansi tanto che nemmeno te lo puoi immaginare.»

«Te lo ripèto: avevo sedici anni. Mi innamorai di un cadetto della Nunziatèlla. Poi mio padre si stabilì a Treviso e lì dopo due anni mi sposai. »

«Col cadetto della Nunziatella?»

«No, con un ingegnere. Ebbi due figli. Ma a essere sincera non fui molto felice: lui era un uomo tutto di un pezzo. Sapeva sempre cosa fare. In un certo senso, almeno come carattere, rassomigliava a tua moglie.»

«Conosci mia moglie?»

«Te l'ho detto: noi seguiamo tutti quéllì che abbiamo amato da vivi.»

«Pure tuo marito era un maniaco dell’ordine?»

«Non puoi immaginare quanto. Il suo principale difetto era quello di essere metodico.»

«In che senso?»

«Fai conto, per esempio, che una sera gli venisse voglia di fare l'amore con me. Ebbene lui, come prima cosa, spegneva la Tv, poi staccava il telefono perché non suonasse mentre stavamo insieme, poi si spogliava appoggiando i vestiti uno alla volta, e tutti ben piegati, su una sedia, poi indossava il pigiama, poi si toglieva l'orologio, e poi, dieci minuti dopo, mi diceva: "Cara, ti voglio bene»

«E che cos’è che ti dava fastidio?»

«Che non cambiasse mai l'ordine dei gesti. Quando lo vedevo alzare la cornetta del telefono, già sapevo che dopo dieci minuti esatti mi avrebbe detto: "Cara, ti voglio bene"»

«E invece tu ... »

«Io avrei voluto che almeno una volta mi prendesse all'improvviso e mi trascinasse sul letto, magari senza nemmeno togliersi le scarpe.»

«Si, ma queste cose le fanno solo gli amanti.»

«E io proprio per questo, dopo tre anni, mi feci un amante.»

«Tu, un amante?»

«Si, un amante, uno che per me era disposto a fare qualsiasi pazzia. Una volta, solo perché avevamo litigato, restò una notte intera, sotto la pioggia, per strada, sotto la mia finestra. Poi me ne feci un secondo, uno che lavorava nel cinema come stuntman, e poi un altro ancora, e la vita pian pianino cominciò a darmi delle emozioni. Purtroppo, tra le emozioni, ci fu anche quel maledetto incidente automobilistico. Ero con il mio terzo amante quando successe.»

«E i figli?»

 

Adriana non risponde. Resta muta e proprio in quel momento entra Inge. Enzo impallidisce, si era dimenticato di chiudere a chiave la porta dello studio. Si alza di scatto e come prima cosa si toglie la giacca per coprire il corpo nudo della ragazza. Inge, però, non dà alcun segno di meraviglia. Evidentemente lei, Adriana non la vede. Al massimo le sembra curioso che il marito si tolga la giacca per appenderla sullo schienale di una sedia.

 

- Che fai, perché ti togli la ciakka?!

 

Adriana si alza: sorridendo e salutando con la manina, sguscia via dalla porta immaginaria.

 

«Allora, Enzo, stammi a sentire: tra poco arriva qui il cavalier Santaniello, quello della Lloyd Security Assicurazioni. Detto tra noi, è un rompicoglioni tremendo, però non lo si può trascurare. Lui vorrebbe farci firmare il solito contratto globale: vita, incendio, furto e calamità naturali... Noi, dico noi, invece, vogliamo firmarne uno semplice: assicurazione vita, punto e basta.

Ma un contratto globale è meglio!

Ho detto semplice, punto e basta! E rimettiti la ciakka per favore!»

 

Inge gira le spalle ed esce da dove è venuta dopo aver passato un dito sulla polvere della scrivania.

 

Scaramella ritorna alla scrivania, controlla la polvere, ma non ce n’è neppure un velo, scrolla la testa e allarga le braccia rassegnato. In quel momento bussano alla porta dello studio ed entra il professore:

 

Mi scusi, ho dimenticato il cappello…

Professore, venite… Vi ho rincorso, ma siete sparito come un fantasma…

Eh, caro architetto, quando si comincia a dimenticare il cappello è brutto segno…

Che dite, professore… Voi siete un genio… Professore, statemi bene a sentire… il miracolo è avvenuto…

Quale miracolo?

La porta!

Quale porta?

La porta dell’Oneiros si è aperta!… Professore, siete grande, la vostra invenzione vi farà diventare famoso! Famoso e ricco!

Non voglio diventare ricco!… ora mi racconti tutto, ma sia telegrafico!

«Si è aperta due volte: la prima volta ho visto mio padre che suonava il violino, e poco dopo è apparsa … non l’immaginate neppure… Adriana… tutta nuda… ma in quel mentre è arrivata mia moglie e s’è dileguata, ma lei non l’ha vista…

«Non poteva vederla… la Oneiros apre solo la porta dei ricordi, e i ricordi sono sempre personali.»

«Voi pensate che tornerà di nuovo?»

«Dipende solo da lei, da quanta voglia ha di rivederla» precisa il professore. «Conosco un tale che apre la porta dei sogni ogni giorno e che incontra tutte le donne che ha amato nella vita.»

«Davvero? Mi piacerebbe molto parlarci. Dove sta?»

«Al Santa Maria della Pietà, il manicomio di Roma.»

 

Quest'ultima risposta lascia alquanto interdetto Scaramèlla: commenta rivolto al professore, ma è come se parlasse più a sé stesso:

 

«Vuoi vedere che farò anch'io una fine del genere… A volte penso come sarebbe stata la mia vita se avessi fatto scélte diverse. Supponiamo, per esempio, che invece di sposare Inge, mi fossi sposato Adriana. Mi chiedo: oggi sarei più felice? E lei sarebbe morta lo stesso in un incidente automobilistico? E Inge, poverina, che fine avrebbe fatto?»

 

«Chi può dirlo? … La vita è un labirinto con migliaia e migliaia di bivi, uno diètro l'altro, e per ogni bivio ci sono almeno due vite possibili in attesa. 1'unica cosa di cui possiamo essere certi è che Adriana l'avrèbbe tradito, così come ha tradito il marito.»

 

«E perché mai? lo non l'avrei tormentata.»

 

«Perché, da come me l'ha descritta, non èra una donna moglie, ma solo una donna amante, e in quanto tale, una donna votata al Disordine.»

 

«In che senso: al Disordine?»

 

«Caro Scaramella, si ricordi di quello che le dico: in ogni matrimonio il coniuge rappresenta l'Ordine e l'amante il Disordine. Ringrazi Dio, quindi, di aver incontrato Inge, altrimenti avrebbe fatto la fine del professor Unrath, quello dell'Angelo azzurro che per amore finisce col fare chicchirichì»

 

«Allora, se ho sposato Inge, mi devo ritenere fortunato»

 

«Non esattamente, ma poteva andarle pèggio»

 

 

SIPARIO

 

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