Tito Ernesto Di Blasi      

 

 

Ho voluto aprire la pagina con questa fotografia perché ricorda il mio girovagare in solitaria per le cime della Valmalenco: in questa immagine mi ritrovo e mi riconosco ancora, alpinista e sognatore, quale veramente sono...  

Che bei tempi!  Verso la metà d'aprile,  slavine ormai cadute e crepacci bene in vista,  possibilmente in periodo di luna piena,  mi caricavo sci e zaino sulle spalle e me ne andavo dritto dritto in Marinelli; il custode m'avvertiva quando apriva il rifugio e io lo raggiungevo appena possibile. 

M'è anche capitato di passare la settimana intera seduto a tavolino davanti alla stufetta a legna, a giocare tutto il giorno a carte o a dama col custode del rifugio perché fuori nevicava di brutto: si usciva a turno ogni due ore soltanto per liberare dalla neve il sentiero dei gabinetti.

Ordunque, per riprendere il filo del discorso, se proprio devo scrivere di me perché il sito me lo impone, desidero dedicare questa pagina a chi mi ha voluto e mi vuol bene...

 Sono nato a Sondrio  da genitori napoletani che hanno forgiato la parte migliore del mio carattere: mio padre arrivò in Valtellina nel '35, aveva vinto il classico concorso statale - economo della Questura - e aveva scelto Sondrio come sede di lavoro - in alternativa a Como e Varese - perché suo fratello faceva il  servizio militare nelle guardie di frontiera alla dogana di Tirano; era sua intenzione,  però,  ritornare al suo paese dopo qualche tempo:  poi  si sposò, nacquero i figli,  scoppiò la guerra, e lui mise radici qui...

Mia madre era casalinga, in casa sapeva fare di tutto, dalla cuoca alla sarta all'infermiera: aveva un carattere gioioso ed era anche un tipo accomodante, ma, dapprincipio, quando s'affacciava alla finestra e guardava il muro di montagne che le nascondeva il sole,  piangeva e faceva i capricci,  voleva ritornare a Napoli che a quel tempo era una città incantevole e venivano da tutto il mondo a visitarla...  

Quando nacqui io,  era un po' provata: aveva poco latte e dovette mandarmi a balia da mamma Olga che aveva da poco partorito il suo terzo figliolo.  

Mamma Olga era di Albosaggia.  Credo che, insieme al latte, mi abbia trasmesso l'amore per la montagna e la forza della natura: aveva un fisico asciutto e forte, le mani e il viso temprate dalla campagna e dal sole, d'estate andava su e giù dal Porto al Busch del Lach con la gerla sulle spalle, lavorando a maglia e parlando alle sue caprette. 

Così, oltre a due simpatiche sorelline, Lucia e Bruna, ho anche un fratello di latte di nome Alberto.

Sono cresciuto in campagna, praticamente tra i prati e le rive dell'Adda, tra il Porto  (si chiama così perché un tempo vi attraccavano i barconi dei borrai) e i boschi di Albosaggia che considero affettivamente mio paese natio. 

Dopo il diploma di ragioniere, conseguito nel '57 con la famigerata  5a A dell'Istituto A. De Simoni, ho svolto il servizio militare a Lecce e Cesano di Roma come allievo ufficiale,  quindi a Malles  come sottotenente degli alpini nel Battaglion Tirano: è maturata qui la fraterna amicizia con l'Ambrogio; ci incontriamo raramente, ma , quando capita, mettiamo da parte i nostri impegni e stiamo insieme a raccontarla finché possiamo. 

Ho lavorato al Credito Valtellinese sotto la direzione di Tirinzoni, Melazzini,  De Censi e Bartesaghi e  ho vissuto la crescita e i cambiamenti della banca in tutti i suoi aspetti.

Se avessi seguito le mie aspirazioni, però,  avrei preferito fare l'elettricista o l'astrofisico - la foto dell'Ale Bop è ripresa con un Tamron 1600 - ma anche lo scrittore o il marinaio,  e perfino il clochard (avevo scritto closciard, ma l'amico Bagiotti mi ha imposto l'errata corrige... grazie Silvio)

Maria Luisa, alias Pupa, è la mia metà:  con lei sono riuscito a superare dignitosamente l'avventura della vita. Spero sia stata felice con me,  anzi credo proprio di  sì, anche se adesso vorrebbe di più e si lamenta che la faccio disperare.  E' una cuoca raffinata e pittrice di grande talento.  Dice d'avermi preso per la gola, ma io penso più da un altro verso...

Ho due bravissimi figlioli, Nino (Antonino come il nonno) e Manuela.

Mio figlio ha sposato Gabriella e  vive a Bergamo dove ha costruito una bella casetta al largo, in campagna: ha una cultura classica umanistica, si diletta ancora di greco e di latino ed è un purista della lingua italiana, è laureato in scienze politiche, conosce un paio di lingue ed è uno specialista nella creazione di siti web. 

Mia figlia invece è architetto d'interni: ha una mano felicissima e una discreta esperienza in materia di ristrutturazione. Non abita troppo lontano, ha sposato Piercarlo e mi ha regalato un nipotino di nome Stefano che ora ha sette anni ed è appassionato di ferromodellismo. Ho tentato di propinargli un gozzo ligure,  poi un bel veleggiatore di due metri d'ala, niente da fare: ama solo i treni. Gliene ho costruiti una stanza piena, di balsa e di cartone, colorati e con le luci. Quella però che mi ha richiesto l'impegno maggiore, oltre due anni di lavoro, è la Pacific, una vaporiera di circa un metro di lunghezza ricca di particolari: ora è in bella mostra sulla mensola della sua stanza. 

Avevo anche un nipotino adottivo, Ricardo Brandon Louis Cuautle di cinque anni che viveva a Loma nella colonia di San Miguel Teotongo in Messico: un bel giorno lui e la sua famiglia sono spariti senza lasciare traccia. I responsabili della Colonia non hanno saputo darmi altre spiegazioni. Prego Dio ogni giorno perché vegli su di lui. 

Fino allo scorso anno, ho tenuto un magnifico soriano di ben dodici chili di stazza, con le zampe palmate e la lunga coda arrotolata all'insù: è vissuto come un pascià fino all'età di diciotto anni pensando di essere l'unico gatto al  mondo. 

Ho vari interessi e altrettanti hobby, sono astemio, ma amo intrattenermi con gli amici davanti a un buon bicchiere di rosso  -  rosso genuino, come quello del Cleto -  perché lo considero qualcosa di più di un semplice vino: ha una sua anima e un suo prestigio, è la componente espressiva della cultura, del carattere e delle tradizioni di un popolo. 

Fino a qualche mese fa, sono stato un basso del Coro Cai di Sondrio del quale ho fatto parte fin dalla sua fondazione. 

Amo la montagna. Mi vanto d'aver scalato in solitaria quasi tutte le montagne della Valmalenco e delle Orobie, e di essere stato uno dei primi, certamente primo in Valtellina, ad affrontare la montagna in "rampichino": nel 1985, dopo alcune uscite d'allenamento, sono salito a Scerscen in mountain byke  per poi ridiscendere al rifugio Longoni, firmare il libro degli ospiti e mandare una cartolina al Prof. Paolo Biglioli che, pochi mesi prima,  m'aveva sottoposto a un delicato quanto ardito intervento di bypass al cuore.

Il commento del Prof. Biglioli non fu particolarmente esaltante: mi mandò a dire ch'ero un asino - Dich che l'è n'asén - ma poi ho saputo che, per incoraggiarli,  mostrava la mia cartolina ai suoi pazienti in attesa d'intervento...

Amo leggere e scrivere,  suonare la chitarra,  disegnare, collezionare minerali e cristalli, fare fotografie

Amo anche ascoltare musica,  vedere un buon film e i documentari naturalistici di Licia Colò - che sa trasmettere il suo amore per la natura ed è bellissima -  ma, ad eccezione di questi, non guardo la televisione che giudico indecente e demenziale.

Mi diverte invece a navigare in "Ciat".   Ho stabilito simpatici rapporti di cordialità con appassionati di musica, di canto e poesia in tutto il mondo: in Cina, Giappone e Thailandia mi chiamano  "grandfather o uncle Tito". 

Il mio motto: il tempo  non è mai abbastanza per vivere tutta la vita...

Sono tifoso del Toro, ma odio il mondo del calcio con le sue esagerazioni, le sue esaltazioni e le sue espressioni di violenza... 

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