Beni Culturali e il territorio Ionico Etneo

 

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Macchia

 Descrizione storica e unità topografica - Estesi boschi un tempo caratterizzavano la Contea di Mascali. Essi erano una delle più importanti fonti di reddito per i suoi abitanti. La Contea, infatti, esportava legname grezzo e lavorato, oltre che utilizzarlo per la fabbricazione di imbarcazioni di piccola e media stazza negli arsenali di Riposto, così piena, in passato, di intraprendenti armatori. La boscaglia più o meno fitta sembra toccasse anche il borgo di Giarre nei pressi dell’odierna frazione di Macchia, il cui toponimo confermava la limitrofa esistenza di una selva, con la quale gli abitanti provavano a convivere, accettandone di buon grado vantaggi e svantaggi. Probabilmente il “passo della Macchia” e il “Fondo Macchia” ebbero un’origine seicentesca, similmente a molte altre frazioni dell’attuale territorio comunale di Giarre. Nel caso specifico il primitivo popolamento si distribuì in maniera sparsa, nella misura in cui ciò era concesso dagli spazi liberi offerti dal bosco e da quelli faticosamente conquistati dall’uomo. Non è possibile stabilire se i primi coloni trovarono tracce consistenti di frequentazioni tardo antiche ed alto medievali, le cui vestigia ancora ai nostri giorni di tanto in tanto fanno capolino attraverso rinvenimenti casuali. La borgata di Macchia, dunque, si costituì probabilmente attraverso un progressivo “sinecismo”, un fenomeno che lentamente, tra la seconda metà del settecento e gli inizi dell’ottocento, spinse il caseggiato sparso ad accentrarsi attorno ad un nucleo ben definito, costituito, similmente ad altri abitati limitrofi, dall’unico edificio sacro probabilmente esistente all’epoca: la chiesetta edificata nel posto, ove un tempo esisteva un’antica icona della Madonna, detta “Mater Providentiae”, immagine della cui origine, con grande rammarico, nulla è dato sapere. Non è possibile stabilire con certezza la data di costruzione dell’edificio sacro, che con approssimazione si colloca tra la fine del seicento e gli inizi del settecento, o per volontà di un facoltoso benefattore, ovvero attraverso gli sforzi congiunti degli abitanti, che edificarono a spese proprie la chiesa in un terreno ottenuto tramite donazione. Considerando la povertà diffusa del tempo, la costruzione fu probabilmente di dimensioni limitate e comunque sufficiente per accogliere quegli abitanti sparsi, i quali consideravano la piccola chiesa un ideale e materiale punto di incontro e di accentramento spirituale. Tra la metà e la fine del settecento, l’incremento demografico favorì la tendenza alla dissoluzione dell’abitato sparso per macchia, lasciando finalmente spazio alla costituzione di un abitato regolare, intorno a quella chiesetta, che per ovvi motivi subì nel medesimo periodo una ricostruzione, volta all’ampliamento dell’edificio. Si rafforzò, dunque, l’identità e l’orgoglio dell’abitato, che nel corso dei decenni successivi ebbe a subire numerosi eventi funesti, che segnarono in maniera indelebile la borgata. Durante il XIX secolo, infatti, almeno tre terremoti risultarono funesti per il già adulto quartiere: nella notte tra il 19 ed il 20 febbraio 1818 tremò tutto il versante orientale dell’Etna, causando ingenti danni e numerosi morti un po’ ovunque; pochi decenni dopo, il 18 luglio 1865, un altro sisma flagellò il territorio provocando la morte di sessantaquattro abitanti e il ferimento di altrettanti quarantasette. In seguito a questa catastrofe l’edificio sacro risultò talmente danneggiato da costringere l’immediato inizio di lavori volti al consolidamento ed all’ulteriore ampliamento del corpo di fabbrica. Poco meno di venti anni dopo, l’undici febbraio 1881, un altro terremoto flagellava Macchia, lesionando e danneggiando gravemente ancora una volta l’edificio di culto, che rischiò seriamente il crollo. Attraverso sforzi congiunti si pose riparo anche a questa catastrofe. Un edificio sacro certamente non risparmiato dagli eventi funesti, ma carico di quella forza e volontà di tramandare il proprio culto ai posteri. Durante il corso del XX secolo la chiesa ebbe ancora a subire altri ingenti restauri. In particolare nel 1933 avvenne un consolidamento della facciata, senza che ne venisse modificato alcun particolare; al contrario durante gli anni 1968-70 si approvò un progetto volto a risolvere i problemi di disorganicità artistica, congeniti alla facciata di origine. L’attuale aspetto dell’edificio sacro è  dunque quello, che porta la data del 14 marzo 1970, anno della ufficiale riapertura al culto. Numerose opere d’arte si custodiscono all’interno dell’edificio sacro, soprattutto alcuni quadri, che dimostrano la grande venerazione tributata  all’edificio quale luogo di  antico culto. Una delle opere pittoriche più importanti raffigura S. Vito, dipinto, intorno al 1924, in olio su tela dall’artista acese F. Mancini e contenuto all’interno di una splendida cornice dorata. Probabilmente era attribuibile al pittore catanese Giuseppe Zacco (1786-1834) un quadro raffigurante la Madonna del Carmine, adesso purtroppo scomparso. Al medesimo Zacco si potrebbe ascrivere il restauro di una seconda opera pittorica ritraente S. Vito Martire. Autentici capolavori erano 10 pitture tematiche, sempre in olio su tela, presenti presso le navate minori, impreziosite da cornici a stucco rilevato dalle pareti. Esse rappresentavano altrettanti momenti della vita della Madonna, dalla nascita all’assunzione in cielo. Si è ritenuto che esse fossero un pregevole prodotto della scuola di G. Zacco. Nove delle dieci originarie sono state trafugate dalla chiesa la notte tra il 10 e l’11 settembre 1992. Presentano un grande valore artistico anche le tele della deposizione e della sepoltura di Cristo, poste, dopo la ristrutturazione del 1970, ai lati dell’organo, nei pressi dell’abside. Non si esclude che una delle due opere su tela appartenga alla scuola di Antonello da Messina.

Bibliografia - Di Maggio V., La chiesa di Maria SS. Della Provvidenza di Macchia, Giarre 1993; Fresta S., Le chiese di Giarre, Giarre 2000; 

 

Testi e fotografie: Giuseppe Tropea

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