Le
torri di Malogrado
Una
leggenda racconta che il gran Conte Ruggero transitando, nel 1081
d.C., per l'odierna borgata di S. Maria la Strada, sia stato assalito
da una "gualdana" musulmana. Non avendo alcuna possibilità
di respingere i nemici con il suo esiguo numero di uomini, egli invocò
la Madonna, la quale mandò in suo soccorso cento candidi cavalieri,
che misero in fuga gli "infedeli". Racconta ancora la leggenda
che il Gran Conte, al fine di ringraziare la Madonna e celebrare l'avvenuto
miracolo, abbia fatto erigere un piccolo santuario, che ancora oggi
si venera nelle sembianze dell'attuale chiesa di S. Maria la Strada.
La leggenda lascia credere che l'intera zona, durante le lotte della
riconquista cristiana, fosse ancora sotto il controllo musulmano e
che essi lo detenessero ed esercitassero attraverso due torri esistenti,
in prossimità della costa, nelle sponde opposte dell'attuale
torrente Macchia. Erano le torri di "Malogrado" (dal latino
"malus gradus", passo disagevole). Nonostante svariate ricerche
volte al ritrovamento di tali strutture, solo nel 1995 (Barbagallo
Isidoro M. Sidro, Da Giarre a Taormina, la storia attraverso i toponimi,
Catania 1995, pag. 56) sembra che siano stati rinvenuti i resti della
torre edificata presso la sponda meridionale del torrente. Siffatti
resti sono stati oggetto di una recente visita.
I ruderi trovano posto a sud-est di S. Maria la Strada, tra il mercato
ortofrutticolo e le propaggini settentrionali della Stazione delle
FS, nei pressi del vecchio ponte della ferrovia, sulla sommità
di un moderno terrazzamento. Sebbene invasi dalla vegetazione, i resti
della torre permettono una parziale lettura ricostruttiva dell'impianto.
L'edificio presenta una pianta quadrata: ogni lato misura m. 2,90;
lo spessore della muratura non supera i cm. 40; le due diagonali misurano
rispettivamente m. 3,13 e m. 3,14. L'altezza di ciò che rimane
del corpo di fabbrica non oltrepassa il m. 1,70. Non agevole si presenta
la lettura dell'impianto: i miseri resti sono completamente invasi
dalla vegetazione, sia all'interno che all'esterno. Solo dopo lunga
fatica e perseveranza è stato possibile liberare parzialmente
la struttura e di conseguenza tentare una prima ipotesi di ricostruzione:
l'edificio ha un ingresso largo cm. 93, posto presso il lato meridionale;
i muri perimetrali est, ovest e nord presentano tre aperture adesso
murate. Le aperture, ad un attento esame, si rivelano in realtà
delle saettiere, feritoie verticali, dalle quali, un tempo, era possibile
colpire, in tutta sicurezza, con dardi e frecce l'eventuale nemico.
Delle tre saettiere solo quella occidentale si rivela pressoché
intatta, le altre due sono state ampiamente rimaneggiate nel corso
dei secoli. Si apprende con grande chiarezza che l'edificio è
stato riutilizzato alla stregua di ripostiglio per il legname dai
contadini della zona. L'interno presenta nel pavimento gli strati
di crollo del tetto e della porzione superiore delle pareti. Parte
del materiale crollato è visibile anche all'esterno. Le opere
della muratura sono semplici, ma efficaci: si tratte generalmente
di pietrame di dimensione variabile non squadrato, legato insieme
da malta e di tanto in tanto inzeppato da frammenti di terracotta.
Solo gli angoli sono rinforzati da blocchi di pietra lavica sovrapposti
e parzialmente squadrati.
Dallo spessore delle pareti si può evincere che probabilmente
l'edificio non doveva superare i 6/7 metri d'altezza. E' possibile
immaginare che la sommità della torre avesse una copertura
piana lignea, sulla quale poteva innestarsi un terrazzo, forse merlato,
ove stazionava una vedetta. Al piccolo terrazzo vi si poteva probabilmente
accedere attraverso una botola, a sua volta fruibile attraverso una
scala in legno, opportunamente asportabile, vista l'esiguità
dello spazio interno. La torre non poteva ospitare più di tre/quattro
armigeri, opportunamente accasermati per il controllo del territorio.
La carta a colori del territorio di Giarre/Riposto, prodotta dall'Intendenza
borbonica nel 1831 (Iachello E., Il vino e il mare, "Trafficanti"
siciliani tra '700 e '800 nella Contea di Mascali, Catania 1991, tav.
3), relativamente alla porzione di territorio di S. Maria la Strada,
poco più a valle e in corrispondenza dell'omonimo torrente,
offre una riproduzione grafica di entrambe le torri di Malogrado.
Si apprende così che la seconda torre doveva trovare posto
nei pressi della sponda settentrionale del torrente: di questa struttura
non rimane, purtroppo alcun resto sopra terra e solo indagini approfondite
potrebbero svelare più di quanto già si conosce.
Sebbene la tradizione voglia legare l'edificazione delle due strutture
fortificate all'epoca della dominazione araba in Sicilia (IX/XI secolo
d.C.), non esiste alcuna prova concreta, che possa convalidare la
leggenda del conte Ruggero assalito da una "gualdana" musulmana,
di stanza nelle immediate vicinanze dell'odierna borgata di S. Maria
la Strada. Qualora si possa appurare che le dimensioni di entrambe
le strutture combacino, esse potevano ospitare non oltre 4 uomini
ciascuno, otto armigeri in tutto, che ben poco avrebbero potuto impensierire
il conte Ruggero, in compagnia del suo seguito.
Le saettiere presso i ruderi della torre superstite, rendono preferibile
una datazione ad epoca medievale, giacché la tipologia è
comune ad altre feritoie, presenti in strutture medievali di Sicilia.
In realtà non risulta affatto agevole stabilire in quale esatta
epoca della Sicilia medievale entrambe le strutture siano state edificate.
Una cosa è certa: il luogo in cui sorge il rudere è
un piccolo poggio, dal quale è possibile mantenere un contatto
visivo con il castello di Calatabiano, la cui datazione oscilla tra
l'epoca bizantina e quella arabo/normanna. Si consideri però
che al momento si sconosce l'esatta ubicazione di una possibile struttura
fortificata esistente nel territorio compreso tra Mascali e Fiumefreddo
e che la tradizione tramanda con il nome di "Bidio", con
la quale le due torri di Malogrado avrebbero potuto mantenere un contatto
visivo ben più serrato.
Infine non bisogna scartare l'ipotesi che le due piccole strutture
fortificate sia state costruite per controllare anche la foce dell'odierno
torrente Macchia, un tempo probabilmente navigabile e agevole via
di penetrazione per un eventuale invasore. Si ricordi che a monte
di S. Maria la Strada, nei pressi dell'omonima frazione Macchia, il
letto del torrente ha restituito, nel 1985, i cospicui resti di un
grande dolio, databile con certezza ad epoca bizantina. Il ritrovamento
è utile indizio, per comprendere i movimenti umani, che nell'antichità
certamente gravitavano intorno al bacino idrico del torrente Macchia.
Testi
e fotografie: Giuseppe Tropea