Dalla Stanza per voci

all’Archivio delle nominazioni, 1969, ‘70, ‘71, ‘72, ‘73, ‘74 …

#"(...) Dall’invisibile orizzonte

e dal centro del mio essere, una voce infinita

disse queste cose (queste cose, non queste parole,

che sono la mia povera traduzione temporale di una sola parola):

- Stelle, pane, biblioteche orientali e occidentali,

carte da gioco, scacchiere, gallerie, lucernai e scantinati,

un corpo umano per andare sulla terra,

unghie che crescono nella notte, nella morte,

ombra che dimentica, affaccendati specchi che moltiplicano (...)"

(Jorge Luis Borges, Mateo, XXV, 30)

 

Per il grado di coinvolgimento ambientale e di interattività, che dal punto di vista sensoriale stimolano Stanza per voci e l’Archivio delle nominazioni, si sarebbe indotti a chiudere, o meglio,"archiviare" il senso dell’opera, leggerla cioè secondo un’ottica meramente storicistica, attraverso il novero di azioni artistiche, che alla fine degli anni ‘60, videro gli artisti tesi verso il superamento degli spazi artistici convenzionali aprendo l’opera all’esterno, ribaltandone al di fuori le problematiche operative e/o concettuali.

Stanza per voci e l’Archivio delle nominazioni è questo ed altro; mira ad altri intendimenti, supera l’azione/evento nel momento in cui opera una lettura trasversale rispetto agli slittamenti semantici, alle compromissioni dell’evento, alle sovrapposizioni linguistiche, alla riflessione del medesimo e dell’altro.

La "stanza", intesa come anonimo luogo di consuetudine domestica e familiare, è una Stanza per voci: uno spazio/tempo per la condivisione di molteplici strategie individuali ed iterabili all’infinito .

Stanza per voci (tav. I) è un’opera che percepiamo in tutta la sua essenzialità: un’installazione con una cornice in alluminio anodizzato e a terra l’Archivio delle nominazioni (tav. IV) un’astuccio in marmo1 contenente dieci bobine di alluminio (tav. XII) sulle quali sono avvolti i nastri registrati e un doppio elenco in cui compaiono i titoli di registrazioni effettive e progettate (tav. V - VI)

L’opera pronunzia subito il suo orizzonte denunziando una indicativa assenza, o meglio, una non-presenza: la tela, il luogo tradizionale della rappresentazione pittorica. Sono posti, così, i termini di un’altra ambizione: quella di porsi nell’interstizio più inquieto della raffigurazione, dove si indaga la distanza, nello spazio simbolico che separa l’opera dallo spettatore, le domande dalle risposte "(...) in questo luogo esatto, ma indifferente, il guardante e il guardato si sostituiscono incessantemente l’uno all’altro. Nessuno sguardo è stabile o piuttosto, nel solco neutro dello sguardo, che trafigge perpendicolarmente la tela, soggetto e oggetto, spettatore e modello invertono le loro parti all’infinito (...)"2

Nel vuoto, perimetrato dalla cornice, un nastro magnetico fende lo spazio.

La cornice simmetrica, immobile, ed il nastro,che gira al suo interno con un moto rotatorio, creano una doppia orbita, in un gioco di reciprocità visiva dove la circolarità è "(...) sans début ni fin. Un univers dans lequel l’espace e le temps perdent leur signification, car rien ne permet de s’y orienter, de repérer les objets ou de mesurer la durée. En fixant notre regard sur une section quelconque du disque et en parcourant celui-ci on reviendra inévitablement au point de dèpart, et cela quelle que soit la section considérée (...)"3

Il nastro è la testimonianza di un frammento temporale di un’unica sequenza: dal 1° al 100° secondo, esso percorre l’intera campata della cornice per poi ritornare su se stesso, in un perenne ripetersi; e già, sull’eco dell’ultima parola sentiamo di nuovo la prima che chiude la spirale circolare. È un processo temporale anonimo, perché disattende il contesto storico decontestualizzandone la durata, ed anomalo perché segna una demarcazione mobile, una fluida distanza tra il prima ed il poi, tra io e l’altro, tra l’apparenza ed il disvelamento.

Dal 1° secondo ad 1’ e 40" si alternano parole e secondi scanditi da un orologio; mentre all’intensità di questo puro esistere si sovrappone una qualità sensibile che si fenomenizza attraverso il suono, che compenetra lo spazio.

Attraverso il suono: la voce, le parole articolate, scivolano nell’al di qua, fluide si amplificano nell’aria circostante, fluttuano nell’aria che ora respiriamo, nello spazio che occupiamo, appartengono ora a questo presente dove agiscono su/con i pensieri, in una interazione che ci sovrappone, ci sdoppia. Nella Stanza per voci vengono smarrite le coordinate spazio/temporali e si subisce il plagio del mutevole ed intricato gioco del ribaltamento, del rispecchiamento.

Le leggi della risonanza sono affini a quelle della riflessione dei corpi nell’acqua "(...) si metta una goccia d’acqua su una foglia di una pianta e si otterranno tante immagini del sole quante sono le gocce (...)" (Seneca).

Se il tempo è illusoria sensazione, il suono, l’odore, la sensibilità tattile dello spazio, sono tra le apparenze le più effimere, sfuggenti, illusorie.

La consistenza fisica delle impressioni sensibili (limitate e necessarie all’esperire individuale) è legata inevitabilmente alla reinterpretazione soggettiva così come al tradimento della riproduzione, della duplicazione. Secondo l’idea eraclitea della inafferrabile fragranza dell’evento: "L’esperienza dei sensi noi l’afferriamo istantaneamente e poi la lasciamo cadere; se vogliamo fissarla, inchiodarla, la falsifichiamo."4

Alfano è straordinario artefice dei più raffinati meccanismi di suggestione, di affabulazione visiva, concomitanza che rintracciamo nelle altre opere coeve a Stanza per voci: da Tempi di un percorso circolare (1968), Delle distanze dalla rappresentazione (1968/‘69), Distanze (1969/‘70)5 al ciclo Tempi prospettici6.

Eppure l’incanto meditativo delle sue opere, non è mai il fine stesso della sua esperienza, del suo lavoro; le apparenze scaturiscono da oggetti precisi, si condensano sempre in segni concreti. La facile piacevolezza del transeunte, della caducità, non gli interessa. Egli lavora sul senso della possibilità di ciò che non appare nell’oscurità, eppure esiste, come nello spazio dove il suono contiene in sé l’ombra dell’eco e le cose manifestano, nel riflesso dell’immagine, il loro negativo.

Su questi confini accetta i termini della instabilità, resta in attesa sulla soglia, tra l’indeterminatezza delle possibilità e l’impossibilità del determinato. In questi termini, acconsente a seguire la variabilità che condiziona l’opera: "(...) che segna ogni evento, e lo sospende al suo carattere provvisorio ed effimero. Quello che semplicemente capita, è, di necessità, più ricco di ciò che è programmato. Il contenuto estetico di un’opera dotata di senso deve sopportare l’intensità, e il peso, dell’influenza da parte di uno, o più, aspetti della realtà, come può essere quella insita nell’oggetto di arte visiva, e mentre il suono può essere "il detto del non detto", è anche la voce, il respiro, il battito del cuore dell’opera. Questa è stata, forse da sempre, la segreta, ma indomabile, aspirazione dell’artista: dare voce, phoné, al proprio lavoro." 7

Dunque, Alfano intercetta questo sottile crinale, anzi il suo lavoro consiste, appunto, nell’amplificare questa distanza: dallo spettatore al pittore.

Da colui, che vedendo rispecchiata la propria effige nello spazio e la propria voce nel tempo, si racconta, da Narciso ad Eco .

Il mondo di Alfano è punteggiato di qualità sensibili, mentali, che sono una costante del suo lavoro: durata, intensità, risonanza, profondità, opacità, sonorità, silenzio, memoria, destino, luce, oscurità. La loro traduzione materica è minima, discreta, si sottrae alla emotività come al sentimento, si sostiene sulla imperscrutabile leggerezza, sulla trasmutabilità delle cose: acqua, suono, luce, oscurità.

Materie, che nel suo caso, sono insofferenti alla definizione di "povere" poiché prima ancora di essere energie liberate sono attitudini del pensiero, concetti solidi che si manifestano in forma dialettica. Nel 1969 all’alluminio sordo della cornice di Stanza rispondeva la risonanza, la profondità, del suono del nastro, nel 1987 nella Camera questi termini dialettici si sostanziavano nell’alluminio e nella pellicola fotografica .

Di questi materiali "minimi" che appartengono alla sensibilità di Alfano quello del suono condivide con l’acqua le medesime proprietà: è incolore, trasparente, riflettente, temporale.

La imponderabile leggerezza del materiale sonoro è sezionata in unità minime attraverso i secondi: dal 1° al 100°. In questo spazio temporale l’immaginario e l’apparente si affrontano senza soluzione di continuità,, permeano i nostri sensi, fagocitano il nostro esistere, "qui ed ora", coinvolgendoci in un’altra rappresentazione sempre diversa e medesima dal 1° al 100° secondo : "(...) dopo il mio udito sostituirò, ancora in un altro tempo, il mio respiro (la mia voce) (...)"8.

Eppure, nella Stanza per voci, il dialogo stabilito dalla prospettiva frontale, tra spettatore ed opera, non ambisce a fissare un equilibrio dialettico, una strategia delle contrapposizioni geometriche (domanda /risposta, sé/altro da sé).

Alfano rivela l’infondatezza anche di questi punti di riferimento, alterando ulteriormente questo perimetro e aggiungendo un ulteriore segno di instabilità introduce nella Stanza una seconda cornice sonora. Similmente a quello che accade quando con il nostro corpo occupiamo lo spazio innanzi a due specchi perfettamente paralleli, creando l’illusivo effetto di un dilatamento prospettico infinito.

Le due cornici, che potremmo descrivere come parallele e speculari, ma anche definire, affrontate e separate, creano nello spazio un corto circuito temporale dato dall’accavallamento temporale dal 1° al 100° secondo.

La moltiplicazione degli echi nella Stanza crea un segnale di disturbo pari al disorientamento che in Camera le bussole alterate, poste sulle sfaccettature del poliedro, determinano, introducendo un ulteriore senso di incertezza spaziale, a conferma della impossibilità di tracciare rotte, conformare prospettive; analogamente al disturbo di un oggetto caduto nell’acqua che deforma l’immagine specchiata.

Quando Alfano prevede Stanza per voci con l’installazione delle due cornici (tav. IX - X) l’opera agisce: "(…) nel doppio movimento della ripetizione variata: sosta nella permanenza con ciò che la precede ed è spinta verso l’apertura della variazione. È legata al progetto, all’essenza ripetitiva del simbolo come condizione al suo movimento di trasformazione (come i rami di un albero, divergono dal progetto lineare e ascensionale di questo) 9

Potremmo definire Stanza per voci e Archivio delle nominazioni come il segno di un lavoro infinito se consideriamo l’opera come l’anello di una catena di argomentazioni cui rimanda il ciclo dei Frammenti di un autoritratto anonimo10 o l’Archivio. Allora il rimando, il rovesciamento, lo sdoppiamento della riproduzione sono i presupposti di un’opera "non finita".

Nell’Archivio delle nominazioni 1969, ‘70, ‘71, ‘72, ‘73, ‘74 ... , Alfano costruisce uno schedario progressivo, onnivoro ed eclettico, potenzialmente infinito, che innesca un ordine discontinuo delle rappresentazioni, un catalogo delle logiche disattese, delle ombre silenziose sulle/nelle quali altre "figure" possono rappresentarsi:

· il profilo di sé che si unisce alla contiguità dell’altro (nastro n. 0,2);

· la percezione della propria voce (nastro n. 0,3);

· lo sfalsamento e le deformazioni del riflettersi nello spazio (nastro n. 0,8);

· l’esperienza frammentata dell’essere (nastro n. 0,9);

· i monologhi di Molly Bloom di fronte alle ragioni del proprio corpo (nastro n. 0,14);

· i pensieri di luoghi, di ricordi di cose (nastri nn. 0,13 - 0, 15 - 0, 28)11;

· la contraffazione temporale (nastro n. 0,8).

Nei due Elenchi (tav. V - VI) apparentemente uguali, la classificazione comprende cose, persone, Autoritratti, Ritratti. Ma in realtà, il doppio catalogo si offre ad una lettura speculare e l’ambigua ambivalenza linguistica cela il perfetto, sofisticato congegno concettuale, per cui l’Autoritratto (incorniciato dalla/nella Stanza per voci) è inesorabilmente un Ritratto12:

· il colore del nome di Jannis Kounellis ed intorno lo spazio (nastro n. 0,33 a);

· il cinismo di Achille Bonito Oliva (nastro n. 0,35 a);

· la percezione della propria dimensione sonora sul crinale delle progettualità di Alberto Boatto (nastro n. 0,36 a);

· l’esame di coscienza di Filiberto Menna rispetto allo "strumento diabolico" (nastro n. 0,38 a)13;

· le citazioni letterarie di Bruno Mantura (nastro n. 0,39 a);

· gli organi di Lucio Amelio (nastro n. 0,40 a);

· la negazione di Giuseppe Chiari (nastro n. 0,49 a);

· lo scarno comunicato biografico di Giulio Paolini (tav. XI);

· il modellare dello spazio attraverso la voce di Joseph Beuys (nastro n. 0,19 a).

A proposito di quest’ultimo autoritratto dice Alfano: "(...) a me, nell’autoritratto, questa espansione di sé, dal proprio nucleo al mondo esterno, ricorda in qualche modo l’autoritratto che Joyce scrive di sé in Dedalus quando, studente, prende coscienza del proprio essere - nel banco di scuola - e traccia in cerchi sempre più aperti i moti della sua autoconsapevolezza: dal suo essere geografico, dal suo nome all’universo (...)"14

In alcuni casi l’enumerazione empirica, condotta attraverso la logica delle similitudini (nastro n. 0,4), potrebbe intrattenere un immaginario colloquio con la logica delle verosimiglianze dei bestiari medievali o l’illusiva tassonomia dell’enciclopedia cinese raccontata da Borges che classifica gli animali in:

"(...)

a) appartenenti all’imperatore,

b) imbalsamati,

c) addomesticati,

d) maialini di latte,

e) sirene,

f) favolosi,

g) cani in libertà,

h) inclusi nella presente classificazione,

i) che si agitano follemente,

j) innumerevoli,

k) disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello

(...)".

Ed in fondo, anche noi che occupiamo lo spazio di questa Stanza per voci finiamo per essere inclusi in una categoria dell’elenco come appartenenti all’Archivio delle nominazioni 1969, ‘70, ‘71, ‘72, ‘73, ‘74 …

Flavia Alfano

 

1 A questo termine è associata l’idea dell’astuccio in legno dove i pittori riponevano i propri "strumenti".

2 M. Foucault, Le parole e le cose, Milano, Rizzoli, 1967, pagg. 18, 19.

3 Come per il Pi (disco rituale cinese simbolo del Dio supremo). G. Nicolis, Brisures de symétrie et perception des formes, in AA.VV., L’art et le temps regards sur la quatrieme dimension, cat. mostra presso Sociétè des Exposition du Palais des Beaux-Art de Bruxelles, 1984, pag. 36.

4 G. Colli, La nascita della filosofia, Milano, Adelphi, 1978, pag. 65.

5 Cfr. AA.VV., Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960/1970, cat. mostra Palazzo delle Esposizioni, Roma, Firenze, Centro Di, 1970, s.p.

6 Cfr. R. D’Andria, Il Tuffatore di Carlo Alfano. Restauro di un’opera dei ‘Tempi prospettici’ a Paestum, Salerno, Ed. 10/17, 1995.

7 M. Vescovo, Sound - Forme e colori del suono, cat. mostra Museo d’Arte Moderna Bolzano, Museion, 1993, pag. 22.

8 Appunto di Carlo Alfano.

9 Testo di Carlo Alfano tratto dal colloquio con A. Trimarco, In compagnia di Narciso, in "Rara Avis", Napoli, 1985.

10 Il ciclo Frammenti di un autoritratto anonimo parallelo agli altri e mai interrotto, punteggia l’attività di Alfano dagli anni ‘70 fino al 25.10.90, le grandi tele nere o bianche sono le trascrizioni, nello spazio figurativo, di questa trama temporale ed intersecano nei luoghi del silenzio e delle pause, cifre pittoriche, letterarie, autobiografiche.

11 Piera degli Esposti è Molly Bloom.

12 Cfr. A. Boatto, Narciso infranto L’autoritratto moderno da Goya a Warhol, Bari, Laterza, 1997.

13 Scrive a questo proposito F. Menna: "La trappola predisposta da Alfano per i suoi interlocutori: l’innocenza apparente del dispositivo è invitante, come la disponibilità dell’analista. Ma abbiamo solo pochi secondi e occorre approfittarne per ritrovare un’immagine in cui ci si riconosca veramente... " in AA.VV., Incontri 1972, cat. Incontri Internazionali d’Arte Roma, Mondadori, 1979.

14 Testo tratto da uno scambio epistolare del 1987 tra Pasquale Trisorio e Carlo Alfano a proposito di una progettata edizione non realizzata dell’Autoritratto di Joseph Beuys dall’Archivio delle nominazioni 1971, di cui però si conservano i prototipi ed alcuni esemplari (tav. II - III)