Patrick Abercrombie
Greater London Plan 1944
Preambolo
Da: Greater London Plan 1944, by Patrick Abercrombie, His Majesty's Stationery Office, London 1945, pp. 1-20. Traduzione di Fabrizio Bottini

 
 

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 ATTUAZIONE: PROGETTO E AMENITÀ

Va tutto bene quando si delinea uno schema completo di popolazione, industria, comunicazioni, spazi per il gioco, centri sociali, negozi, forniture d’acqua e fogne: si propone di aggiungere qua, di colonizzare là di rigenerare e riaggruppare; il tutto scritto su carta ed evidenziato su mappe a due dimensioni. Il grosso svantaggio, nell’arte e nella scienza della pianificazione, è che la realizzazione deve essere graduale, che resta sulla carta a lungo, iniziando a vivere un pezzettino qui e uno là, singole tessere di un mosaico il cui schema completo si perde di vista facilmente. È anche un freno fin dal principio, il fatto che debba essere presentato in questo modo piatto; nessuno si sognerebbe mai di giudicare il lavoro di un architetto soltanto dai suoi disegni. Wren ne verrebbe fuori piuttosto miseramente coi suoi disegni per St. Paul, comparati con la cattedrale così come l’abbiamo davanti. I disegni in prospettiva, il tentativo dell’architetto di anticipare la realizzazione, i modelli, che si avvicinano ancora di più: anche questi possono essere usati solo superficialmente per illustrare singoli aspetti o dettagli, in un grande schema di piano che copre 2.599 miglia quadrate.
Nondimeno, deve essere affermato con la più grande enfasi che anche il più logico e sociologico piano concepibile su carta sarà alla fine giudicato nelle sue realizzazioni, in opere di architettura, ingegneria, arte del paesaggio. Non c’è solo un obiettivo, ma la necessità delle più alte professionalità in ogni settore della progettazione edilizia, individuale e di massa. Strade e ponti, le nuove autostrade, danno nuove grandi opportunità; come è stato mostrato negli U.S.A., possono essere oggetti di bellezza per l’utenza, e calarsi nel paesaggio in modo non ingombrante a migliorarlo.
Non è sufficiente per coloro che devono fornire case o altri edifici contare su qualche “autorità di controllo” con poteri per respingere o modificare la progettazione di bassa qualità, e ritenere che tutto vada bene se queste autorità hanno personale attrezzato per questo scopo. Dobbiamo tendere ad una buona progettazione, in primo luogo, che non si appoggi all’essere limata nella giusta forma da un funzionario, per quanto competente e scrupoloso, fino a che possa superare l’esame. Una comunità non è fatta di un certo numero di singoli edifici, senza alcuna relazione l’uno con l’altro, e che al meglio riescono ad essere innocui e senza infamia. I costruttori di case, in special modo, che hanno sbagliato nel recente passato, devono assestarsi su uno standard più alto. Si tratta di un obiettivo gigantesco perché, al posto di una grande singola concezione, abbiamo un mosaico costituito da innumerevoli pezzi [mezzo milione di sole case, con l’aggiunta di edifici più grandi e piccoli dettagli come lampioni, corrimano, marciapiedi] che non possono essere progettati da un singolo ufficio ma che devono essere armonizzati e provarsi degni dell’idea centrale, Londra, la capitale dell’Impero.
La parola “amenità”, a cui l’uso ufficiale ha dato un suono raggelante che in nessun modo aveva nel contesto originario classico (Velox amoenum saepe Lucretilem. Mutat Lycaes Faunus. Non c’era niente di raggelante in Orazio), attiene agli aspetti in cui il progetto propositivo non ricerca tanto l’originalità, quanto la conservazione di un ambiente piacevole, prima fra tutte l’aria pulita, con niente di peggio della foschia che ci può dare il Tamigi, non ispessita in un minestrone.
Lo sbottare contro il cambiamento, da parte di persone che vivono in dintorni piacevoli, è stata in generale giustificata, visto che quasi ogni cambiamento nella campagna attorno a Londra nel recente passato è stato in peggio. Coloro che sono abbastanza fortunati da ricordarsi i villaggi nella pianura del Middlesex (pochi, miracolosamente, rimangono ancora), i sentieri dell’Hertfordshire, le brughiere e valli calcaree del Surrey, i boschi e pendii del Buckinghamshire, i frutteti del Kent e le solitudini rurali dell’Essex a trenta miglia da Londra, non può che infuriarsi di fronte a quello che li ha sostituiti.
Questa naturale e giustificabile reazione contro il cambiamento deve essere “conquistata”, convinta, che al posto di innumerevoli case di tutte le dimensioni, senza alcuno schema di gruppo o punti focali, polverizzate sulla campagna o infilate lungo le strade, è possibile creare vere comunità, dove la gente sia fiera di vivere. Guardare dalla scarpata gessosa su un castello medievale o una cittadina rinascimentale a due o tre miglia di distanza nel Weald non è certo offensivo: delizia l’occhio, delimitato dalle sue mura, magari con una cerchia di percorsi alberati a contornarlo, con il suo profilo a tagliare la linea delle South Downs, il colore in armonia, o in contrasto, con il verde della campagna. Non può, tutta l’abilità degli architetti e paesaggisti di oggi, produrre qualcosa di egualmente bello, sia osservato da lontano che da vicino?
Per fortuna la maggior parte della normale campagna, come enfatizzato dal Rapporto Scott, trae la propria bellezza in gran parte dalle azioni e dalle opere della coltivazione, basate sulla natura del territorio con la sua varietà di rilievi, geologia, qualità dei terreni, e con le sue caratteristiche dinamiche, il Tamigi con i suoi tributari, grandi e piccoli; abbiamo, anche, ereditato molte delle aggiunte storiche dell’uomo sotto forma di villaggi, fattorie, piantagioni di alberi e parchi progettati. L’agricoltura, per produrre la tipica bellezza dell’Inghilterra rurale deve, come pure indica il Rapporto Scott, essere prospera: i terreni agricoli in declino non sono la stessa cosa della natura selvaggia. Bisogna dare un’opportunità all’Agricoltura, e non invaderla con ingombranti costruzioni.
Ci sono, infine, sfregi che tipicamente si ritrovano nei pressi delle grandi città: la pubblicità mal sistemata è forse il principale. È anche facile per i rifiuti, che nella forma effimera per quanto discutibili possono sempre essere spazzati via, assumere qui la quasi permanente e disordinata forma di cumuli, lavori abbandonati, ecc.
Sfortunatamente alcune essenziali attività industriali, basate su caratteristiche geologiche, diventano sfregi, in particolare quando si scontrano con l’uso ricreazionale degli spazi. Le tre principali, produzione di mattoni, fabbricazione di calce e cemento, e cave di ghiaia, sono tutte legate all’attività costruttiva, di cui ci sarà una domanda senza precedenti dopo la guerra. Fortunatamente la produzione di mattoni su larga scala, il cui danno maggiore e pervasivo è il fumo, si colloca fuori dalla Regione. Le altre richiedono un più attento ed equilibrato esame, incluso in particolare il ripristino del sito dopo che i lavori si sono esauriti. Queste, ed alcune altre produzioni industriali, confutano la teoria secondo cui se un’attività produttiva è utile ed efficiente, deve per forza essere anche bella.