Seminario Italia/USA sulla pianificazione urbana e regionale
Ischia, giugno 1955

 
 

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La prossima ricostruzione delle città Americane
di Oscar Stonorov

...Intuizione che riposa su una piacevole comprensione della esperienza...
ALBERT EINSTEIN

Urbem virumque vano...

Il futuro delle città americane è strettamente legato al problema dell’automatismo industriale. Se dei cervelli meccanici montati entro sistemi auto alimentati di controllo dei robots renderanno possibile di produrre sempre maggiori beni con sempre minor manodopera, allora la settimana lavorativa americana di 5 giorni, che esiste ormai dal 1945, cederà il posto ad una di 4 giorni dal 1960, ad una di 3 giorni dal 1970 ecc. Il nostro Governo e la nostra stampa ritengono concordemente che la disoccupazione deve essere arrestata al presente livello, e che i lavoratori che entrano a far parte delle nuove leve (ora 50.000 all’anno, ed in grande aumento) dovranno essere adoperati per opere pubbliche tipo autostrade, case e scuole.
Disgraziatamente l’automatismo e la settimana lavorativa raccorciata stanno già determinando negli S.U. il carattere delle nostre città, e contribuiranno sempre più ad indirizzare o verso una intensa concentrazione o verso un’inattesa decentralizzazione, o verso entrambe. Prima che si mutino le nostre decisioni nel campo dei piani regolatori delle città, le nostre originalità speculative nel campo della costruzione di case-città dormitorio suburbane, da acquistarsi dai singoli ad un prezzo praticamente nullo - e la violenza dell’impulso industriale che si ostina nel piantare aziende senza nessun piano, in centri di distribuzione in continuo cambiamento, finiranno forse con noi. Tale è il caos della produttività americana, il genio dell’improvvisazione, il paradosso della nostra vitalità, esibito talvolta alla costernazione e al disprezzo dei nostri amici stranieri... Perciò, se avremo un automatismo in aumento ed una settimana lavorativa in regresso, con maggiori paghe per una maggiore produttività, se noi avremo più veloci autostrade per passare dei lunghi fine settimana a pesca o a caccia o semplicemente “spendendo”, avremo l’occasione non solo economica ma anche filosofica per riaccentrare, o decentrare, o entrambe. Città con quartieri dove si vive male saranno trasformati in zone belle e comode, fornite di luoghi di lavoro puliti e luminosi, di laboratori-modello e di industrie completamente automatiche: queste sono alcune delle considerazioni sui progetti di urbanistica dei quali mi sono interessato a Detroit e Filadelfia. Queste non sono fantasie... ci stiamo vertiginosamente avvicinando alla demolizione di parti di grandi città a colpi di 300-600 acri per volta. Ancora non lo abbiamo fatto, ma uno di questi giorni ci troveremo in mezzo ai cantieri... questo movimento verso una nuova sistemazione del centro delle nostre grandi città è caratteristico del lavoro di alcuni di noi. Io, come individuo, non sono più interessato ad un fabbricato in quanto entità architettonica, ma piuttosto allo insieme architettonico di diversi fabbricati contigui. Il problema è insieme finanziario ed amministrativo. Noi negli S.U. stiamo studiando, nell’ambito delle leggi urbanistiche del 1949 e 1954, molte nuove soluzioni come abitazioni per il ceto medio, costruite senza scopo di lucro da Enti pubblici, costituzione di società edili pubbliche o semi-pubbliche, ecc. (tutte iniziative che in Italia dipenderebbero più o meno per la loro realizzazione dal forte intervento del Governo centrale). Stiamo cercando di collegare il nostro odierno capitalismo - volubile sì, ma sensibile a certe sollecitazioni - al potere regolamentare di pubbliche Commissioni dotate di fondi sufficienti a invogliare la iniziativa privata a sottoporsi alla disciplina della pianificazione.
Le Corbusier nel 1952 ha dato origine alla città radiante, Frank Lloyd Wright nel 1932 alla città-campagna. Wright ci ha profondamente influenzato con le sue impostazioni, materiali e spirituali, del paesaggio trasformato in architettura, della città- giardino... concetti di forza che trascendono l’umano, per il momento non ancora pienamente afferrati nel loro completo portento da nessuno di noi...
Io definirò la mia attività urbanistica e quella di un certo numero di noi come un tentativo verso una nuova “urbanità” - decisamente non un nuovo urbanismo nel senso di Le Corbusier. Questa “urbanità” è insieme una tecnica e un comportamento umano, e sorge oggi in America come portato da una rinnovata tendenza all’accentramento. Il nostro interesse economico e la nostra illimitatezza tecnologica ci portano verso una scelta immediata - la base della Democrazia Americana - e verso una combinazione di eventi che dà alla nostra attività un carattere di eclettismo sistematizzato. Noi desideriamo ardentemente conservare valori e strutture tradizionali, per contrapporli alle più inusitate forme di coesistenza tra sociologia e industrializzazione; ed è questo che si chiama progettare una città. L’improvvisazione, non la meccanizzazione, va affermandosi in America. L’improvvisazione è un genere di pragmatismo, il pragmatismo americano, che il vostro Papini ha descritto come non tanto una filosofia quanto un metodo di procedere senza metodo. Noi abbiamo improvvisato delle vaste città con milioni di abitanti. Siamo ora sul punto di improvvisare senza fondamenta filosofiche, senza una teoria, la trasformazione delle nostre città in organismi del ventesimo secolo. La nostra concezione della pianificazione è molto simile alla nostra concezione della legge: crediamo - per citare Morrison e Commager in “Lo sviluppo della Repubblica Americana” - che pianificazione sia “uno sviluppo organico che va adattato alle mutevoli esigenze di una società mutevole”. Adattamento questo - per dirla col Roscoe “di principi e dottrine alle situazioni umane che essi dovrebbero governare, e non riconoscimento dogmatico di principi primi”. Molto spesso questa concezione, che informa di sé la nostra vita associata, o per meglio dire la rivoluzione pacifica oggi in atto negli S.U., e mal compresa all’estero, che ci guarda con gli occhi sbarrati non riuscendo a capire il carattere di paradosso sistematizzato degli S.U. oggi. Questa lotta per il progresso in America - un concetto del tutto intraducibile - va capita nei suoi postulati prima di udire cosa fanno gli architetti americani d’oggi.
Un progetto urbanistico in America è tutto in funzione degli abitanti, degli uomini, delle donne, dei fanciulli, delle loro speranze, aspirazioni, e sogni di un migliore domani. Un nuovo movimento sindacale unificato di sedici milioni di persone si accinge ad agire con forza per un ancor maggiore “progresso”. La nostra ultima improvvisazione è la città-dormitorio composta di alloggi indipendenti di mt. 17 x 50, avvolti intorno a un gigantesco nucleo di negozi: il tutto definito “Comunità organica”. Nulla a che vedere con le “nuove città” inglesi; credo tuttavia che - dopo una serie di costosi esperimenti su scala gigantesca - gli Stati Uniti stiano oggi avviandosi verso una improvvisazione più ragionata. Devo dire che il maggiore interesse di noi urbanisti si concentra oggi sul centro originario della città, nella ricerca di una nuova forma di vivere cittadino. I nostri problemi in genere sono molto diversi dai problemi delle città italiane o di quelle europee. Io non credo che il nostro contributo a questo Convegno debba limitarsi alla “assistenza tecnica” prestata a voi, nostri colleghi. Sarebbe un insulto alla vostra capacità professionale ed alla vostra intelligenza ed anche al genio del vostro Paese. Voi conoscete meglio di noi le possibilità strutturali del cemento armato. Non c’è bisogno di insegnarvi le dimensioni di acquedotti o di fossi d’irrigazione: voi sapete più di noi di architettura di villaggi e di comunità. Noi vediamo in voi, nostri colleghi di urbanistica ed architettura, alcuni fra i maggiori talenti che possano essere adunati in qualsiasi parte del mondo. Noi siamo tanto ansiosi di udire i vostri suggerimenti per i nostri problemi, quanto esitanti nel darvi dei consigli. Possiamo descrivervi i fermenti che si agitano nella nostra organizzazione governativa. Noi abbiamo un problema di qualità. Voi essenzialmente un problema di quantità. Voi dovete ancora conseguire quell’abbondanza di materiali che, già raggiunta da noi, sta oggi per soffocarci e ci soffocherà se non troveremo nuovi criteri economici che ci consentano di utilizzare la gigantesca potenza della nostra produzione. Voi avete problemi di trasformazione organica insieme con il problema di procurarvi più abitazioni e maggior nutrimento con minori sforzi. Noi affrontiamo il problema di creare nuove città e comunità nello ambito della sancita libertà sociale ed economica di tutta la popolazione degli S.U., senza pregiudizi di razza o di nazionalità originaria.
La nostra popolazione è meno stratificata economicamente di quanto lo è dal punto di vista razziale e sociale. Parte dei nostri piani urbanistici è l’espressione della lotta per dominare questi problemi; lotta, ad esempio, per trasformare i nostri tuguri in qualcosa di differente da semplici “case popolari” che creano ghetti economici e sociali nel mezzo delle nostre città. Eppure, c’è voluta l’esperienza degli ultimi 20 anni per portarci a ripudiare i vecchi principi; solo da poco abbiamo cominciato a progettare complessi edilizi integrati anche se economicamente eterogenei, che siano espressione delle vere e più alte concezioni americane. Parlerò più tardi di un esempio del genere, il primo in ordine di tempo. Da queste esperienze noi dobbiamo trarre nuove forme di vita, forme dettate dalle nostre democratiche aspirazioni di giustizia sociale. In verità non c’è alcun passo logico verso queste soluzioni; per parafrasare il grande Einstein, solo “intuizione che si adagia su di una compiacente comprensione dell’esperienza”...
Ci siamo radunati in Italia per discutere i problemi degli uomini e delle loro città. Non desideriamo discutere questi problemi a vuoto o nelle torri di avorio della teoria pura. Per me l’architettura è un vettore sociale per gli uomini e la loro società. Comunque, ciò che ora occupa me ed un certo numero di persone che mi sono vicine non è il problema dello edificio singolo, le sue linee architettoniche, e neanche l’armonia fra due fabbricati. Ne mi curo gran che -per quanto importante possa essere il settore - della nuova passione per i progetti panoramici, che si vogliono complici di più profonda introspezione e conoscenza del passato. Confesso che mi interessa sopratutto la possibilità di una “nuova forma di abitato” per il ventesimo secolo in America, basata sugli effetti lungimiranti e veramente rivoluzionari della nostra capacità produttiva e del nostro dinamismo. Il mancato riconoscimento, o invece una adeguata considerazione dei 3 fattori connessi alla risistemazione di grandi nuclei di popolazione, determineranno la nostra nuova urbanistica nei prossimi 100 anni.
Qui devo esporre una delle caratteristiche del nostro modo di vedere come architetti-urbanistici americani - sono sicuro che ognuno di noi qui traduce in pratica nella sua specifica attività questo punto di vista - cioè che la pratica dell’architettura e dell’urbanistica si orienta sempre più verso la collaborazione professionale di più individui: statistici, studiosi di cose di finanza, sociologi, consulenti immobiliari, antropologi, ingegneri, assistenti sociali, pubblici funzionari, paesaggisti e architetti lavoreranno insieme a progettare e costruire nei prossimi dieci anni la nuova America. Quando 20 anni fa nacque l’architettura moderna, la estetica di un fabbricato isolato come un bianco cubo in mezzo ad una confusione di ridondanti stili del passato ebbe il suo trionfo. Oggi lo stesso trionfo spetta a un intiero quartiere. Costruire un bell’edificio isolato fra le rovine è inutile - Troppi architetti si accontentano di progettare case isolate. Per quanto belle siano, formano pur sempre parte di una brutta zona. La loro importanza architettonica è negativa. I conati babelici di New York - costruire stazioni sempre più grandi, o potenziare l’isolamento della Pennsylvania Station in mezzo al caotico traffico che le si svolge intorno - sono caratteristiche della impostazione mentale degli architetti-puristi.
La passata generazione americana fu una generazione di costruttori che ebbe il coraggio di commettere dei gravi errori - “Ma si possono fare gravi errori solo quando si affrontano grandi opere” come disse José Sert col suo astratto umorismo spagnolo. Il nostro massimo errore è la timidezza. Ci sono pochi esempi di progetti e costruzioni nella nostra generazione - in relazione ai mezzi e ai capitali a disposizione - che si possano paragonare alla Torre Eiffel, al Ponte di Brooklyn, al Parkway di Filadelfia, al Mall di Washington ed a pochi altri miracoli dell’epoca Vittoriana. Ci stiamo appena risvegliando da un periodo di 50 anni durante il quale la produzione industriale ha enormemente sopravanzato lo sviluppo delle città. Ora siamo dinanzi a un problema, in America come in Europa: negare o affermare. Pianificare è azione positiva. Pianificare è affermare.
L’urbanistica degli S.U. deve affrontare le seguenti realtà:
l) spostamento: l’automobile;
2) la produzione di materiali edilizi e di articoli di arredamento, che aumenta con un ritmo lontano da ogni rapporto fra prezzi e acquisti, e il cui unico vero problema è la scoperta di una formula per far consumare alla popolazione tutto ciò che viene prodotto;
3) la settimana lavorativa di 4 giorni che diventerà indubbiamente una realtà entro i prossimi 10 anni, ed è quindi – come si dice – “alle porte”.
Benché i nostri problemi, e l’esempio di Detroit che più tardi illustrerò, rivestano forse per voi scarso interesse immediato, credo non sia del tutto inutile per voi soffermarvi ad osservare questi nostri problemi - anche se qualitativamente e quantitativamente diversi dai vostri - perchè non si possa decidere insieme sul come le nostre comuni cognizioni vanno impiegate per risolvere situazioni del tutto diverse. Sono certo che anche l’Italia comprenderà in un prossimo futuro il rapporto fra alti salari e consumi, e realizzerà forse più presto dell’America la produttività nell’industria edilizia (con iniziative come il progettato “Centro Tecnico per l’Edilizia”) evitando il caos fisico da noi creato in America negli ultimi 25 anni, quando coll’aumentare della nostra prosperità permettemmo alla ricchezza di espandersi incontrollatamente.
A questo punto vorrei citare un importantissimo giudizio di un eminente uomo; il Presidente del C.I.O. Walter Reuther, che ha da poco iniziato una nuova rivoluzione in America - ma non una rivoluzione Marxista. Questa citazione è presa dalla sua introduzione alla “Nuova Tecnologia”, un libretto che discutere i problemi dell’automatismo:
“Bisogna andare incontro all’automatismo liberamente e costruttivamente in modo che il miracolo della produzione in massa - e la sempre maggiore abbondanza economica resa possibile dallo automatismo - possa trovare espressione nella vita degli uomini attraverso una migliore sicurezza economica e una maggiore partecipazione alla felicità e dignità umana Noi intendiamo sfruttare intelligentemente, razionalmente e scientificamente questa nuova forza nella nostra vita, usando il suo potenziale per produrre un’era nella quale il benessere la giustizia e la pace saranno universale proprietà del genere umano. Storicamente i problemi del genere umano si sono sempre esternati attraverso conflitti fra individui, gruppi e nazioni, ciascuno dei quali impegnato nella lotta per la ripartizione delle scarse risorse disponibili. Abbiamo avuto un mondo diviso fra “abbienti” e “non abbienti”, fra coloro che erano ben nutriti e coloro che avevano fame. Ora la scienza e la tecnologia ci hanno finalmente dato i mezzi per l’abbondanza economica e non siamo più angustiati dalla necessità di combattere per dividere l’indigenza.
L’abbondanza economica è ora in nostra mano se appena noi abbiamo il buon senso di adoperare le nostre risorse, la nostra tecnologia, pienamente ed efficacemente in una struttura di politica economica moralmente giusta e socialmente responsabile. Gli uomini e le nazioni hanno dimostrato di essere capaci di una totale dedizione in periodi di grandi conflitti internazionali. Sospinti da comune odio e terrore in tempi di guerra gli uomini e le nazioni hanno fatto i loro massimi sacrifici e realizzato la più piena misura del fine comune. Ora l’automatismo e la nuova tecnologia, insieme con la promessa di un pacifico uso dell’energia atomica, ci offrono la possibilità di dare una espressione positiva alle nostre comuni speranze, aspirazioni e convinzioni. Questi nuovi mezzi di abbondanza danno a noi, popolo libero, la possibilità di dedicarci totalmente al compito comune di costruire un migliore domani in un mondo in cui uomini e nazioni possano vivere in pace liberi di spirito, liberi dalla tirannia e liberi dall’angoscia della fame... Noi del C.I.O. siamo fiduciosi che non dovremo combattere nuovi macchinari e nuove invenzioni. Piuttosto li useremo per fondare salute, felicità, sicurezza e svago, e pace e libertà al genere umano ovunque!”.
Queste le parole di un uomo che è uno degli iniziatori del nuovo complesso residenziale Gratiot, il vasto progetto di rinnovamento del centro di Detroit. II significato di queste affermazioni sta tutto nel grande incremento della produttività industriale e nei suoi riflessi sulla vita di 10 milioni di lavoratori, i quali stanno oggi costringendo le 16 maggiori città americane a prendere provvedimenti di portata storica per la sopravvivenza dei centri urbani come entità culturali, fisiche ed economiche. Ritengo che siamo nell’era della rivalutazione della vita contemporanea in America, caratterizzata dai due termini - decentramento e riaccentramento - dato che non esiste un termine unico che li comprenda. È ciò che io ho chiamato prima un nuovo concetto di urbanesimo integrale, o meglio un movimento verso una nuova “urbanità”, che comprende anche una nuova forma mentis...
Stiamo cambiando la direzione delle nostre più veloci autostrade. Esse erano state concepite per condurre la gente fuori della città. Oggi noi suggeriamo che esse abbiano due direzioni e possano ricondurre la gente dentro la città, ad un centro diverso, un nuovo centro di abitazione per la popolazione delle nostre grandi città, dove tutti disteranno dal loro posto di lavoro tanto da poterci andare anche a piedi. Abbiamo portato le grandi industrie fuori delle città, e le grandi industrie hanno fatto sorgere in pochi anni quartieri operai di 10-30 mila case. Le autostrade e il rapido deteriorarsi delle nostre grandi città forniranno nuove vaste aree di terreno per la risistemazione di stabilimenti di montaggio automatico in zone oggi coperte da tuguri. Quattro giorni di lavoro per produrre il doppio di automobili a partire dal 1965, 3 giorni di svago con l’impiego dell’automobile, gli elettrodomestici in acciaio e altri aggeggi del genere cambieranno completamente i nostri modi di vita. Nuovi grandi agglomerati di abitazioni presso gli stabilimenti automatici di montaggio, e colonie per soggiorni di fine settimana in montagna, ai laghi o al mare, distanti 150-300 chilometri dalle attuali infelici e ingorgate zone delle grandi città, creeranno i nuovi abitati. Alcuni dei miei colleghi possono non essere d’accordo con me in questa mia impostazione estremista dei problemi. Comunque il sig. Cole - che qui rappresenta l’attività edilizia della Pubblica Amministrazione americana - converrà con me nel rilevare come nelle nuove costruzioni del 1955 il rapporto tra edifici periferici ed edifici centrali è stato di 8 a l.
Abbiamo solo pochissime città con grandi zone d’interesse storico, confrontabili con le vostre; perciò sarà difficile per voi capire i nostri problemi di sviluppo. Paragonate le vostre grandi città:
Milano – Firenze – Venezia - Roma - Genova - Napoli – Palermo
alle nostre
Boston - Filadelfìa - Pittsburgh - San Paolo - Chicago - Minneapolis - San Francisco - Los Angeles - St. Louis - Baltimora - New Orleans - Houston
(Washington e New York hanno problemi differenti)
Oltre Boston, Baltimora, Filadelfia, e Nuova Orleans non abbiamo altre città di interesse storico. Qualche chiesa, qualche cimitero, e poche stradine con qualche centinaio di vecchie case... Nei nostri centri zone di nuova prosperità immobiliare hanno soppiantato e distrutto zone una volta prospere, portando altrove gli inquilini abbienti e abbandonando i loro vecchi quartieri alla classe economica successiva in ordine di censo... Solo di recente abbiamo compreso il valore della continuità e della conservazione dei quartieri residenziali, perché essi restino decorosamente abitabili per un più lungo periodo di tempo Ora vorrei indirizzarmi formalmente verso il problema che ho convenuto di chiamare “la nuova urbanità” verso il grande compito - che dovrà investire tutti i centri di tutte le nostre città - di creare di punto in bianco un nuovo ambiente che esprima il potenziale effettivo della seconda metà del nostro secolo. Viviamo essenzialmente in città create dal 19 secolo e solo qualche operazione radicale ha cambiato negli ultimi 20 anni il cuore delle nostre città.
Consideriamo Filadelfia. È cambiata Chestnut Street? Sono cambiate Walnut e Broad Streets dal 1930? Un quarto di secolo senza il minimo mutamento. Ora tutto d’un tratto si comincia. La necessità di cambiare si farà sempre più imperativa. È divenuto un problema di vita o di morte per la comunità politica, ha scosso l’equazione finanziaria della vita associata. Problemi come l’automatismo stanno raggiungendo il cuore della nostra società. E il mondo degli affari è sensibile - molto più di quanto non voglia apertamente ammettere - alle emergenti nuove realtà finanziarie della vita. Il capitale privato sempre più difficilmente si indurrà ad investire in negozi del centro, con la prospetti va di una settimana lavorativa di 4 giorni quale avremo fra 6-8 anni se non vi saranno guerre. Sobborghi in sviluppo e decentramento delle funzioni commerciali renderanno la vita sempre più brutta e degraderanno politicamente la popolazione cittadina di minor reddito, ameno che uno sforzo, grande come mai fu tentato, sia fatto nella nostra economia moderna per mezzo di piani e finanziamenti, per conservare un cuore culturale, politico e commerciale alle nostre grandi città.
Nel frattempo, le superstiti potenti forze che ancora combattono la loro lotta nel centro cittadino - i giganteschi grandi magazzini, con la loro corolla di negozi specializzati che attraggono di riflesso la clientela dei loro più potenti concorrenti - si preparano a ritirarsi su posizioni di periferia, lasciando i terreni a disposizione di negozi che smerciano generi di cattiva qualità, e quindi di modesti commercianti che vanno ad aumentare la popolazione del centro. L’ovvio rimedio a questa situazione si può solo avere attraverso l’aumento dei consumatori di qualità nella zona dei negozi del centro, e questo aumento deve essere raggiunto presto, al ritmo dell’attuale ritirarsi del consumatore dal centro della città.
In altre parole vivere in centro deve essere almeno altrettanto attraente quanto vivere in periferia. Noi potremmo realizzare al centro, su aree di mt. 17 x 33, e con un costo di 12.000 dollari, qualcosa di molto simile per comodità alla casa dell’epoca coloniale caratteristica delle aziende agricole dell’Ovest; per l’acquisto di questa casa si potrebbero predisporre forme rateali con pagamenti iniziali sempre più modesti e con garanzie finanziarie sempre più limitate queste case, completamente arredate, dotate di frigorifero, aria condizionata, apparecchio TV, macchina da cucire e una “Ford” o una “Chevrolet” nel garage. Queste case sarebbero - specie per il costruttore - un sogno simile a un gigantesco gelato di crema guarnito di tutte le raffinatezze del caso. Ma sarebbero anche - in termini di stabilità della popolazione del centro - una minaccia costante, o - come si dice – “avere Annibale alle porte”.
Vi illustrerò ora un esempio del concetto che ho prima esposto, descrivendovi l’organizzazione e le caratteristiche fisiche ed economiche di un significativo esempio di riedificazione del centro cittadino. Vi illustrerò il progetto del quartiere di Gratiot come la derivazione della teoria urbanistica che mi ha sempre interessato da quando ho avuto cognizione della città radiale di Le Corbusier e della “città-campagna” di Wright. I due concetti sono gli ascendenti spirituali della mia teoria ed hanno influenzato il mio pensiero negli ultimi 20 anni nella preparazione di piani per complessi residenziali e nell’attuazione del mio primo esperimento di città nuova, la città di Willow Run (1939). Nel progetto di Gratiot sono in società con due brillanti architetti americani, Yamasaki e Victor Gruen. Yamasaki è l’ideatore di alcune delle strutture più razionali fra quante ne siano mai state costruite; Victor Gruen, è il capo di una efficientissima organizzazione che progetta e realizza alcuni dei migliori super negozi d’America, fra i quali Northland a Detroit è il migliore esempio che si conosca. Gratiot è la prima cellula di una eventuale totale organizzazione dell’interno di Detroit, ma è anche, per quel che mi riguarda personalmente, l’altro estremo di un sistema polare di sintesi agricola e urbana, che fa parte della mia tesa urbanistica, ma che non posso illustrare qui per mancanza di tempo.
L’interesse istintivo per la plasticità nel progettare una città - e per plasticità intendo il trattamento tridimensionale del movimento della folla nello spazio di una strada o di una piazza - è una nota caratteristica della tradizione italiana; è una concezione che noi oggi ammiriamo profondamente. Questo talento italiano risale ai tempi della repubblica romana. Questo è vero urbanismo, e non impostazione statica o meccanica dei problemi della progettazione di una città con la sua tecnica delle previsioni, l’uso di carte geografiche, studi dell’origine e destinazione del traffico, che sono il fondamento di una impostazione dogmatica, priva di fantasia, cioè di qualcosa che è l’opposto di un’impostazione scientifico-intuitiva, la sola capace di liberarci dalla schiavitù delle cifre e delle percentuali. È importante - mi sembra - fare questa distinzione fra urbanismo e progettazione di una città, se vogliamo studiare nuove soluzioni che siano soluzioni plastiche - soluzioni architettoniche:
del movimento degli uomini del movimento dei veicoli
del movimento delle merci.
Al momento in America fra i progettisti vi è un grosso, se pur forse inconsapevole, conflitto fra la soluzione edilizia del problema dell’urbanesimo e l’interesse statistico per gli immensi problemi ai quali ci troviamo di fronte riguardo i fattori dell’aumento della popolazione e della deficienza di strade. Gratiot è concepito come una tesi plastica - una ipotesi operante verso una nuova forma di abitato - aspira ad una bella soluzione architettonica. La possibilità esiste specie nel cuore di Detroit dove 300 acri diventeranno l’area sperimentale per il 20° secolo, un quartiere democraticamente integrato di 4500 famiglie.
I principali fattori sono:
l) La posizione, immediatamente vicina al centro della città.
2) La posizione, immediatamente vicina a una superautostrada.
3) L’organizzazione di un piano direttivo generale che si vale di uno o più realizzatori.
4) Parcheggio fuori strada per una macchina per casa o famiglia, e 75% di parcheggi fuori strada per visitatori; accesso alla porta di ogni casa in auto.
5) Integrazione di tutte le forme residenziali fisiche e sociali : case singole, città-casa, file di case, ad uno, due, e più piani per proprietari singoli, per cooperative o a scopo di fitto.
6) Controllo dell’esecuzione del progetto da parte di una Associazione senza lucro di cittadini eminenti, riconosciuta legalmente dal governo federale e da quello locale.
7) Controllo continuativo e permanente da parte di tale Associazione.
Citerò ora il rapporto degli architetti-progettisti Yamasaki, Stonorov e Gruen, redatto in occasione della presentazione dei piani per il quartiere Gratiot. I brani qui citati testualmente aumenteranno la conoscenza dei nostri colleghi italiani riguardo la procedura dei piani americani e metteranno pure in rilievo il tipico processo democratico americano per cui un certo numero di cittadini si costituisce in comitato, decide di agire, riceve l’approvazione pubblica ed aiuta il compito del la Pubblica Amministrazione.

Introduzione
L’incarico conferitoci dal Comitato cittadino di riedificazione, cioè la preparazione di un progetto generale per la zona di Gratiot costituisce una sfida che da molti Iati è senza precedenti. Esso comporta l’invenzione di un nuovo tipo di comunità residenziale dentro la città, un concetto radicalmente differente sia dai cosiddetti progetti degli alloggi, sia dai progetti di sviluppo della periferia. L’incarico tende alla creazione di una nuova forma di vita, intonata all’era dell’automobile, come al bisogno di riposo e di pace - un concetto che deve combinare in sé i vantaggi del vivere in un quartiere suburbano ed il desiderio di vivere vicino al centro di una grande città. In qualità di pionieri abbiamo creduto nostro compito non solo di sviluppare un piano di zona, ma, in uno sforzo parallelo, di impegnarci in ricerche, invenzioni, e disegni di nuovi tipi di unità abitabili che, per effetto della loro posizione, sistemazione ed arredamento offrano la possibilità di un interno originale e di un piacevole esterno, di efficienza e facilità di menage che sono oggi caratteristiche delle case di periferia. Perciò noi abbiamo disegnato e sviluppato nei dettagli dieci differenti tipi di abitazione, in parte in fabbricati alti e in parte in bassi, ed abbiamo considerato questi tipi individuali come elementi base dell’intero progetto.
Una delle nostre prime preoccupazioni è stata quella di adattare il progetto di Gratiot-Orleans al piano di sviluppo della città, come concepito dalla Commissione Progettuale della città di Detroit. In questo lavoro abbiamo avuto a nostra disposizione gli studi che la Commissione urbanistica aveva precedentemente intrapreso riguardo questa area in particolare. Eravamo pure guidati dal desiderio di utilizzare al possibile le strade esistenti e gli attuali servizi pubblici. Per espresso desiderio del comitato cittadino questo progetto è stato allargato fino a comprendere l’intera zona del quartiere di Gratiot, come fu delimitata dalla suddetta Commissione urbanistica... Esso abbraccia quindi le esigenze di una intiera area comprendente scuole, parchi di ricreazione, mercato locale di generi alimentari, e tutti i pubblici servizi. Questa area è sufficiente per creare una vera comunità democratica pronta a servire tutte le razze e tutti i livelli economici.
Comunque, malgrado la considerevole ampiezza del quartiere di Gratiot, pensiamo che il suo sviluppo ha senso solo se visto quale parte integrante di un programma integrale di rinnovamento urbano di Detroit. Gratiot-Orleans è visto dal comitato cittadino come un progetto-pilota, da essere seguito da un certo numero di quartieri analoghi che cingano la zona degli affari del centro-città. Come risulta da informazioni avute dalla Commissione urbanistica, la zona Gratiot rappresenta all’incirca un venticinquesimo del potenziale programma di rinnovamento.

Obiettivi della pianificazione.
L’obiettivo generale del progetto è di invertire le tendenze che minacciano la vita dei nostri grandi centri urbani e che sono state provocate dall’automobile privata quale mezzo di trasporto di massa. È del tutto ovvio ormai, che l’automobile ha rivoluzionato il nostro sistema di vita. Comunque è un fatto che essa ha provocato:
La contrazione della popolazione nella zona centrale, in contrasto alla forte crescita di popolazione nei sobborghi e dintorni della città.
L’incremento dei nuclei familiari a basso reddito nelle zone centrali, del tutto sproporzionato al resto della popolazione della città.
Il deterioramento fisico delle zone residenziali centrali, risultante dalla formazione di anelli di zone infime che ora soffocano il cuore finanziario della città.
L’impoverimento economico-culturale delle zone centrali, risultante dall’emigrazione di affari, magazzini ed uffici nel suburbio e la paralisi della vita sociale e culturale nel centro.
Il deterioramento della zona centrale mette in pericolo le basi economico-culturali e civiche di Detroit. Solo misure straordinarie e concetti coraggiosi e vasti potranno riportare con successo il centro di Detroit ed il cuore della città allo splendente ruolo di vero centro di affari e di cultura, che le spetta quale punto focale di una vasta zona metropolitana. Gratiot-Orleans è il corollario naturale del programma di sviluppo del centro civico e delle autostrade, intrapreso dalla città.

Considerazioni sulla pianificazione.
Il centro di Detroit, per fiorire, ha bisogno non solo di una maggiore popolazione nell’area metropolitana, ma deve attirare in proporzione considerevolmente maggiore le classi medie e superiori. Perciò il centro deve provvedere unità residenziali sufficientemente attraenti e dotate di bei dintorni in modo da soddisfare famiglie di gusti e standards elevati.
Detroit, in contrasto a molte altre città, ora non ha quasi una zona residenziale elegante in prossimità del centro. E si noti che questo fatto non deve essere interpretato come una mancanza di richiesta e di desiderio di vivere in centro. Ci sono in grande numero persone che vivono ora nella periferia non perché amano viverci ma solo perché non ci sono altri posti disponibili in centro; scapoli di ambo i sessi, coppie con figli adulti e famiglie con predominanti interessi culturali, sociali ed educativi.
Il modello di vita rapidamente mutevole della famiglia americana necessita di nuove abitazioni che consentano di avvalersi della sempre crescente meccanizzazione domestica, vera base della prosperità industriale. ..
Un problema sorge per effetto dell’esistenza di un piano per erigere 3.800 case nell’immediate vicinanze di Gratiot. Noi siamo convinti che un così gran blocco di edifici sovvenzionati sia indesiderabile. Essi creano dei ghetti per i ceti non privilegiati. Noi favoriamo il progetto di minori gruppi di unità di abitazione non più di 200-300 unità in un dato quartiere, per tenere nelle giuste proporzioni la presenza economica delle famiglie a basso reddito nell’equilibrio della società. E pensiamo sia desiderabile che questi gruppi siano sparsi egualmente in tutta l’area metropolitana... La casa statale non dovrebbe essere un marchio né per sé né per la società.
È ovvio che chiunque progetti una zona residenziale urbana deve affrontare realisticamente il problema della macchina privata. Abbiamo disegnato il quartiere di Gratiot tenendo presente che Detroit è la città più ricca di auto nel Paese più ricco di auto del mondo. Abbiamo convenuto che i cittadini di Detroit vogliono le loro macchine subito vicino o dentro le loro case, e che oltre al parcheggio al 100% per le auto degli appartamenti bisogna provvedere al 100% di parcheggi fuori strada per le auto dei visitatori o per la seconda auto del proprietario di casa. Questa riflessione sta alla base del piano per la zona di Gratiot.
Nella nostra complessa civiltà l’uomo ha bisogno di una quantità di cose per vivere. La zona di Gratiot sarà adatta alla gente che ama il giardinaggio, ed a quelli ai quali non piace, a gente con figli di ogni età ed a gente senza, a chi ama la vista dall’alto e a chi preferisce stare al pianterreno. Progettando per queste diverse forme di abitazione, provvedendo una gran varietà di queste forme, raggruppando questi diversi tipi di case secondo differenti modelli, la zona di Gratiot eviterà l’aspetto impersonale della tipica area suburbana nella quale ognuno riconosce la propria casa solo quando guarda il numero. Molte delle odierne zone di affari e residenziali sono sminuzzate in piccoli blocchi che rendono l’automobile scomoda e pericolosa. Con il sistema dei tre super-isolati abbiamo creato zone riservate ai pedoni, zone dove i bambini possono andare alle scuole elementari senza attraversare una strada. Abbiamo creato per ogni abitazione comodità per colazioni all’aperto, per riposarsi e per giocare. Vi sono altre zone di svago per adulti e per ragazzi più grandi.

Conclusioni.
Sulla base delle nostre ricerche e dei nostri studi ci siamo rafforzati nella convinzione che la zona di Gratiot ha una posizione eccellente per attuarvi questo progetto sperimentale. Le nostre ragioni sono le seguenti: la zona di Gratiot ha accesso immediato alla rete di autostrade; ciò rende possibile, per chi abita nella zona, di arrivare in tempo minimo ed in piacevoli condizioni in campagna, alla spiaggia o fuori città. La zona di Gratiot è collegata al nuovo centro civico e culturale il cui compimento è imminente. Gratiot è vicina ai posti di larga possibilità di impiego. La distanza dal lato ovest al centro degli affari di Woodward Avenue è di soli 1000 metri; perciò le migliori e maggiori attrattive dei negozi di Detroit sono ad immediata portata di mano. La zona di riedificazione di Gratiot è tutta ripulita e pronta per una immediata costruzione. Le altre due aree componenti possono essere approntate per la riedificazione nel prossimo futuro.
Sarebbe un grave errore attendersi che la relazione di questo, primo progetto porti i desiderati effetti se il suo ammaestramento non è applicato alle altre zone della città insufficientemente sviluppate.
Il progetto di Gratiot, quando sarà completato, fornirà all’incirca 4.400 unità abitabili con 4.400 famiglie di medio ceto. Per i prossimi 12 anni oltre 25 progetti analoghi dovrebbero essere realizzati. Si provvederà così a 100.000 famiglie che risiederanno intorno al cuore della città: gente che avrà a breve distanza il suo luogo di lavoro: gente che spenderà il suo danaro in massima parte in città. Questa modifica strutturale della popolazione risistemata in nuclei stabili provocherà il potenziamento delle zone degli affari incoraggerà la costruzione di nuovi edifici e nuovi negozi; provvederà maggiore incoraggiamento per teatri, ristoranti, musei ed istituzioni educative. Lo sviluppo di 25 rioni riuscirà a rompere con successo il cerchio di tuguri che ora separa il centro di Detroit dalle sue zone residenziali suburbane, ed incoraggerà così il suburbio ad avvalersi dei benefici che solo il centro di una grande città può dare, e che possono attenersi senza eccessivo sacrificio.
Gratiot può assumere in questo momento critico l’importanza di un simbolo, una scintilla, un modello di lavoro. Una delle più importanti parti del rapporto è quella riguardante la tecnica dei contratti, le garanzie fisiche e l’ordinata amministrazione della nuova entità: “il quartiere amministrato”.
L’Associazione, che sarà anche l’amministratrice, deve aderire ad alcuni criteri generali relativi alla protezione del piano principale per mezzo di determinati contratti e direttive che rappresentano i significativi singoli dettagli del piano, senza i quali la sicurezza economica finanziaria, morale e fisica, che è il primo obiettivo di un vasto programma residenziale, e l’integrità architettonica, espressione visiva del concetto di area integrata, non potranno essere raggiunti. La riedificazione di Gratiot vera e propria sarà sviluppata sotto il completo controllo dell’ Associazione quale principale operatrice, con la collaborazione di altri suboperatori, come stabilito dalla Commissione edilizia, dal Governo Federale e dallo statuto della Associazione.
Gli scopi della Associazione sono:
l) La zona di Gratiot deve essere sviluppata sotto forma di un organismo vivente, democratico ed integrato, nel quale siano rappresentati diversi gruppi economici e razziali della società in modo organico e secondo i principi che rappresentano i naturali interessi di tutti i futuri cittadini del quartiere di Gratiot.
2) La zona di Gratiot deve svilupparsi quale area “più desiderabile” della città di Detroit, una zona che, come il piano generale tende a dimostrare, riunisce i vantaggi della vicinanza al centro con le caratteristiche e le comodità della residenza in periferia. Entro i suoi confini tutte le forme di proprietà o gestione privata o cooperativa devono coesistere.
3)La zona di Gratiot con le sue differenti forme di abitazione - dalla casa ad abitazione singola alla casa ad appartamenti - deve fissare una nuova forma di vita di questa metà del secolo - una dimostrazione delle ambizioni industriali ed umane della nazione: un insieme di fabbricati completamente forniti, in intima relazione con le risorse culturali, musei, teatri, istituzioni commerciali ed educative del centro della città, zone di lavoro e di attività sociali, immediatamente prossima alle più ampie zone suburbane e rurali della regione metropolitana attraverso il sistema di super-autostrade che la zone di Gratiot costeggerà.

Misure per assicurare le finalità del progetto. Si suggerisce che la Associazione:
l) Adotti il piano generale di tutta la zona quale strumento principale in senso giuridico per l’amministrazione del proprio terreno e delle costruzioni, e per le trattative con costruttori esterni;
2) Adotti una serie di restrizioni e vincoli  -in collaborazione con gli enti cittadini - e altre condizioni dettagliate che stabiliscano il tipo degli accessori, delle unità di alloggi e dei metodi di costruzione, simili nello scopo alle regole e regolamenti che governano le operazioni della Amministrazione Federale degli Alloggi, o dei servizi ipotecari delle principali compagnie di assicurazione.
3) Adotti il principio che ogni zona ricreativa e paesaggistica comprese fontane, piccoli laghi, spiazzi per giocare, piazze, etc. sia disegnata, costruita e mantenuta dalla Associazione e che il costo di questi miglioramenti e relativa manutenzione siano proporzionalmente ripartiti tra i diversi sub-imprenditori o eventualmente i proprietari delle singole case, in quanto parte del costo originario del terreno e quale tassa di partecipazione alla manutenzione della zona.
4) Adotti il principio di una amministrazione comune (che col tempo farà risparmiare denaro ai singoli partecipanti attraverso l’aumentato potere di acquisto della Associazione);
5) Intraprenda una adeguata campagna pubblicitaria per le locazioni e le vendite.
6) Adotti un programma di pubbliche relazioni e azioni dimostrative, ivi compresa la sistemazione degli uffici dell’Associazione in uno stabile-modello del quartiere di Gratiot.
7) Stabilisca un piano generale di viabilità, disegni di strade, del paesaggio, di spazi aperti, fatti dal capo-costruttore e costruiti dalla Associazione, piano al quale dovranno aderire tutti i sub-costruttori, e che comprenderà la distribuzione dell’energia elettrica per uso domestico e per l’illuminazione delle strade, con linee aree e sotterranee.
8)Acquisto all’ingrosso dell’elettricità, gas e vapore da parte dell’Associazione.
9) Stabilisca uno standard per sistemare, rimpiazzare e mantenere gli impianti in modo da tenere la zona di Gratiot nelle migliori condizioni fisiche, provvista sempre delle più recenti installazioni tecniche.

Conclusioni
Troppo spesso noi confondiamo un “piano edilizio” con una forma contemporanea di vita. Mettiamo sobborghi nel cuore della città. La città radiale di Le Corbusier vuole idealizzare Manhattan (Chandigar è un brutto suburbio americano). La città. campagna di Wright è la negazione delle distanze.
Gratiot aspira ad essere una unità residenziale nella sua interezza: l’abitazione per la settimana lavorativa di una città del 200 secolo. È al di là del funzionalismo e del mercantilismo. È una nuova forma di vita. Può essere bella.
Può essere la riaffermazione della città. È la nostra forma dello “Hotel de Ville”. Il 1860 ha dato inizio al suburbanesimo, un processo che ha creato le città che ora vediamo ovunque... è interessante notare che stiamo ancora vivendo in queste città del 19° secolo. Oggi siamo alle soglie della fondazione di una città secondo una nuova immagine. La nuova architettura esiste. Wright e Le Corbusier insieme hanno creato questa nuova architettura in una profetica ricerca di nuove città. Finora mi pare che la bella arte di costruire ha predominato sulla necessità di una architettura per uomini.
Nel nostro Paese la nuova forma di abitazione già esiste in alcuni complessi industriali ed alcune università, dove esempi abbastanza vasti di architettura contemporanea sono stati creati in un loro insieme architettonico (il centro Generals Motors, la nuova Accademia Aeronautica). Ormai la grossa borghesia e il governo hanno riconosciuto la potenza simbolica del linguaggio contemporaneo del costruire e gli uomini politici in America cominciano a vedere il significato economico di nuove frontiere.

“Grandi piani per grandi uomini politici”, come George Howe chiese profeticamente circa 15 anni fa, necessitano oggi per incanalare l’automatismo, la seconda rivoluzione industriale, a servizio dell’uomo e della giustizia sociale, per creare belle città, eterno simbolo delle aspirazioni spirituali dell’uomo.