La prossima ricostruzione
delle città
Americane
di Oscar Stonorov
...Intuizione che riposa su
una piacevole
comprensione della esperienza...
ALBERT EINSTEIN
Urbem virumque vano...
Il futuro delle città
americane
è strettamente legato al problema dell’automatismo industriale.
Se dei cervelli meccanici montati entro sistemi auto alimentati di
controllo
dei robots renderanno possibile di produrre sempre maggiori beni con
sempre
minor manodopera, allora la settimana lavorativa americana di 5 giorni,
che esiste ormai dal 1945, cederà il posto ad una di 4 giorni
dal
1960, ad una di 3 giorni dal 1970 ecc. Il nostro Governo e la nostra
stampa
ritengono concordemente che la disoccupazione deve essere arrestata al
presente livello, e che i lavoratori che entrano a far parte delle
nuove
leve (ora 50.000 all’anno, ed in grande aumento) dovranno essere
adoperati
per opere pubbliche tipo autostrade, case e scuole.
Disgraziatamente l’automatismo e
la settimana
lavorativa raccorciata stanno già determinando negli S.U. il
carattere
delle nostre città, e contribuiranno sempre più ad
indirizzare
o verso una intensa concentrazione o verso un’inattesa
decentralizzazione,
o verso entrambe. Prima che si mutino le nostre decisioni nel campo dei
piani regolatori delle città, le nostre originalità
speculative
nel campo della costruzione di case-città dormitorio suburbane,
da acquistarsi dai singoli ad un prezzo praticamente nullo - e la
violenza
dell’impulso industriale che si ostina nel piantare aziende senza
nessun
piano, in centri di distribuzione in continuo cambiamento, finiranno
forse
con noi. Tale è il caos della produttività americana, il
genio dell’improvvisazione, il paradosso della nostra vitalità,
esibito talvolta alla costernazione e al disprezzo dei nostri amici
stranieri...
Perciò, se avremo un automatismo in aumento ed una settimana
lavorativa
in regresso, con maggiori paghe per una maggiore produttività,
se
noi avremo più veloci autostrade per passare dei lunghi fine
settimana
a pesca o a caccia o semplicemente “spendendo”, avremo l’occasione non
solo economica ma anche filosofica per riaccentrare, o decentrare, o
entrambe.
Città con quartieri dove si vive male saranno trasformati in
zone
belle e comode, fornite di luoghi di lavoro puliti e luminosi, di
laboratori-modello
e di industrie completamente automatiche: queste sono alcune delle
considerazioni
sui progetti di urbanistica dei quali mi sono interessato a Detroit e
Filadelfia.
Queste non sono fantasie... ci stiamo vertiginosamente avvicinando alla
demolizione di parti di grandi città a colpi di 300-600 acri per
volta. Ancora non lo abbiamo fatto, ma uno di questi giorni ci
troveremo
in mezzo ai cantieri... questo movimento verso una nuova sistemazione
del
centro delle nostre grandi città è caratteristico del
lavoro
di alcuni di noi. Io, come individuo, non sono più interessato
ad
un fabbricato in quanto entità architettonica, ma piuttosto allo
insieme architettonico di diversi fabbricati contigui. Il problema
è
insieme finanziario ed amministrativo. Noi negli S.U. stiamo studiando,
nell’ambito delle leggi urbanistiche del 1949 e 1954, molte nuove
soluzioni
come abitazioni per il ceto medio, costruite senza scopo di lucro da
Enti
pubblici, costituzione di società edili pubbliche o
semi-pubbliche,
ecc. (tutte iniziative che in Italia dipenderebbero più o meno
per
la loro realizzazione dal forte intervento del Governo centrale).
Stiamo
cercando di collegare il nostro odierno capitalismo - volubile
sì,
ma sensibile a certe sollecitazioni - al potere regolamentare di
pubbliche
Commissioni dotate di fondi sufficienti a invogliare la iniziativa
privata
a sottoporsi alla disciplina della pianificazione.
Le Corbusier nel 1952 ha dato
origine
alla città radiante, Frank Lloyd Wright nel 1932 alla
città-campagna.
Wright ci ha profondamente influenzato con le sue impostazioni,
materiali
e spirituali, del paesaggio trasformato in architettura, della
città-
giardino... concetti di forza che trascendono l’umano, per il momento
non
ancora pienamente afferrati nel loro completo portento da nessuno di
noi...
Io definirò la mia
attività
urbanistica e quella di un certo numero di noi come un tentativo verso
una nuova “urbanità” - decisamente non un nuovo urbanismo nel
senso
di Le Corbusier. Questa “urbanità” è insieme una tecnica
e un comportamento umano, e sorge oggi in America come portato da una
rinnovata
tendenza all’accentramento. Il nostro interesse economico e la nostra
illimitatezza
tecnologica ci portano verso una scelta immediata - la base della
Democrazia
Americana - e verso una combinazione di eventi che dà alla
nostra
attività un carattere di eclettismo sistematizzato. Noi
desideriamo
ardentemente conservare valori e strutture tradizionali, per
contrapporli
alle più inusitate forme di coesistenza tra sociologia e
industrializzazione;
ed è questo che si chiama progettare una città.
L’improvvisazione,
non la meccanizzazione, va affermandosi in America. L’improvvisazione
è
un genere di pragmatismo, il pragmatismo americano, che il vostro
Papini
ha descritto come non tanto una filosofia quanto un metodo di procedere
senza metodo. Noi abbiamo improvvisato delle vaste città con
milioni
di abitanti. Siamo ora sul punto di improvvisare senza fondamenta
filosofiche,
senza una teoria, la trasformazione delle nostre città in
organismi
del ventesimo secolo. La nostra concezione della pianificazione
è
molto simile alla nostra concezione della legge: crediamo - per citare
Morrison e Commager in “Lo sviluppo della Repubblica Americana” - che
pianificazione
sia “uno sviluppo organico che va adattato alle mutevoli esigenze di
una
società mutevole”. Adattamento questo - per dirla col Roscoe “di
principi e dottrine alle situazioni umane che essi dovrebbero
governare,
e non riconoscimento dogmatico di principi primi”. Molto spesso questa
concezione, che informa di sé la nostra vita associata, o per
meglio
dire la rivoluzione pacifica oggi in atto negli S.U., e mal compresa
all’estero,
che ci guarda con gli occhi sbarrati non riuscendo a capire il
carattere
di paradosso sistematizzato degli S.U. oggi. Questa lotta per il
progresso
in America - un concetto del tutto intraducibile - va capita nei suoi
postulati
prima di udire cosa fanno gli architetti americani d’oggi.
Un progetto urbanistico in America
è
tutto in funzione degli abitanti, degli uomini, delle donne, dei
fanciulli,
delle loro speranze, aspirazioni, e sogni di un migliore domani. Un
nuovo
movimento sindacale unificato di sedici milioni di persone si accinge
ad
agire con forza per un ancor maggiore “progresso”. La nostra ultima
improvvisazione
è la città-dormitorio composta di alloggi indipendenti di
mt. 17 x 50, avvolti intorno a un gigantesco nucleo di negozi: il tutto
definito “Comunità organica”. Nulla a che vedere con le “nuove
città”
inglesi; credo tuttavia che - dopo una serie di costosi esperimenti su
scala gigantesca - gli Stati Uniti stiano oggi avviandosi verso una
improvvisazione
più ragionata. Devo dire che il maggiore interesse di noi
urbanisti
si concentra oggi sul centro originario della città, nella
ricerca
di una nuova forma di vivere cittadino. I nostri problemi in genere
sono
molto diversi dai problemi delle città italiane o di quelle
europee.
Io non credo che il nostro contributo a questo Convegno debba limitarsi
alla “assistenza tecnica” prestata a voi, nostri colleghi. Sarebbe un
insulto
alla vostra capacità professionale ed alla vostra intelligenza
ed
anche al genio del vostro Paese. Voi conoscete meglio di noi le
possibilità
strutturali del cemento armato. Non c’è bisogno di insegnarvi le
dimensioni di acquedotti o di fossi d’irrigazione: voi sapete
più
di noi di architettura di villaggi e di comunità. Noi vediamo in
voi, nostri colleghi di urbanistica ed architettura, alcuni fra i
maggiori
talenti che possano essere adunati in qualsiasi parte del mondo. Noi
siamo
tanto ansiosi di udire i vostri suggerimenti per i nostri problemi,
quanto
esitanti nel darvi dei consigli. Possiamo descrivervi i fermenti che si
agitano nella nostra organizzazione governativa. Noi abbiamo un
problema
di qualità. Voi essenzialmente un problema di quantità.
Voi
dovete ancora conseguire quell’abbondanza di materiali che, già
raggiunta da noi, sta oggi per soffocarci e ci soffocherà se non
troveremo nuovi criteri economici che ci consentano di utilizzare la
gigantesca
potenza della nostra produzione. Voi avete problemi di trasformazione
organica
insieme con il problema di procurarvi più abitazioni e maggior
nutrimento
con minori sforzi. Noi affrontiamo il problema di creare nuove
città
e comunità nello ambito della sancita libertà sociale ed
economica di tutta la popolazione degli S.U., senza pregiudizi di razza
o di nazionalità originaria.
La nostra popolazione è
meno stratificata
economicamente di quanto lo è dal punto di vista razziale e
sociale.
Parte dei nostri piani urbanistici è l’espressione della lotta
per
dominare questi problemi; lotta, ad esempio, per trasformare i nostri
tuguri
in qualcosa di differente da semplici “case popolari” che creano ghetti
economici e sociali nel mezzo delle nostre città. Eppure,
c’è
voluta l’esperienza degli ultimi 20 anni per portarci a ripudiare i
vecchi
principi; solo da poco abbiamo cominciato a progettare complessi
edilizi
integrati anche se economicamente eterogenei, che siano espressione
delle
vere e più alte concezioni americane. Parlerò più
tardi di un esempio del genere, il primo in ordine di tempo. Da queste
esperienze noi dobbiamo trarre nuove forme di vita, forme dettate dalle
nostre democratiche aspirazioni di giustizia sociale. In verità
non c’è alcun passo logico verso queste soluzioni; per
parafrasare
il grande Einstein, solo “intuizione che si adagia su di una
compiacente
comprensione dell’esperienza”...
Ci siamo radunati in Italia per
discutere
i problemi degli uomini e delle loro città. Non desideriamo
discutere
questi problemi a vuoto o nelle torri di avorio della teoria pura. Per
me l’architettura è un vettore sociale per gli uomini e la loro
società. Comunque, ciò che ora occupa me ed un certo
numero
di persone che mi sono vicine non è il problema dello edificio
singolo,
le sue linee architettoniche, e neanche l’armonia fra due fabbricati.
Ne
mi curo gran che -per quanto importante possa essere il settore - della
nuova passione per i progetti panoramici, che si vogliono complici di
più
profonda introspezione e conoscenza del passato. Confesso che mi
interessa
sopratutto la possibilità di una “nuova forma di abitato” per il
ventesimo secolo in America, basata sugli effetti lungimiranti e
veramente
rivoluzionari della nostra capacità produttiva e del nostro
dinamismo.
Il mancato riconoscimento, o invece una adeguata considerazione dei 3
fattori
connessi alla risistemazione di grandi nuclei di popolazione,
determineranno
la nostra nuova urbanistica nei prossimi 100 anni.
Qui devo esporre una delle
caratteristiche
del nostro modo di vedere come architetti-urbanistici americani - sono
sicuro che ognuno di noi qui traduce in pratica nella sua specifica
attività
questo punto di vista - cioè che la pratica dell’architettura e
dell’urbanistica si orienta sempre più verso la collaborazione
professionale
di più individui: statistici, studiosi di cose di finanza,
sociologi,
consulenti immobiliari, antropologi, ingegneri, assistenti sociali,
pubblici
funzionari, paesaggisti e architetti lavoreranno insieme a progettare e
costruire nei prossimi dieci anni la nuova America. Quando 20 anni fa
nacque
l’architettura moderna, la estetica di un fabbricato isolato come un
bianco
cubo in mezzo ad una confusione di ridondanti stili del passato ebbe il
suo trionfo. Oggi lo stesso trionfo spetta a un intiero quartiere.
Costruire
un bell’edificio isolato fra le rovine è inutile - Troppi
architetti
si accontentano di progettare case isolate. Per quanto belle siano,
formano
pur sempre parte di una brutta zona. La loro importanza architettonica
è negativa. I conati babelici di New York - costruire stazioni
sempre
più grandi, o potenziare l’isolamento della Pennsylvania Station
in mezzo al caotico traffico che le si svolge intorno - sono
caratteristiche
della impostazione mentale degli architetti-puristi.
La passata generazione americana
fu una
generazione di costruttori che ebbe il coraggio di commettere dei gravi
errori - “Ma si possono fare gravi errori solo quando si affrontano
grandi
opere” come disse José Sert col suo astratto umorismo spagnolo.
Il nostro massimo errore è la timidezza. Ci sono pochi esempi di
progetti e costruzioni nella nostra generazione - in relazione ai mezzi
e ai capitali a disposizione - che si possano paragonare alla Torre
Eiffel,
al Ponte di Brooklyn, al Parkway di Filadelfia, al Mall di Washington
ed
a pochi altri miracoli dell’epoca Vittoriana. Ci stiamo appena
risvegliando
da un periodo di 50 anni durante il quale la produzione industriale ha
enormemente sopravanzato lo sviluppo delle città. Ora siamo
dinanzi
a un problema, in America come in Europa: negare o affermare.
Pianificare
è azione positiva. Pianificare è affermare.
L’urbanistica degli S.U. deve
affrontare
le seguenti realtà:
l) spostamento: l’automobile;
2) la produzione di materiali
edilizi
e di articoli di arredamento, che aumenta con un ritmo lontano da ogni
rapporto fra prezzi e acquisti, e il cui unico vero problema è
la
scoperta di una formula per far consumare alla popolazione tutto
ciò
che viene prodotto;
3) la settimana lavorativa di 4
giorni
che diventerà indubbiamente una realtà entro i prossimi
10
anni, ed è quindi – come si dice – “alle porte”.
Benché i nostri problemi, e
l’esempio
di Detroit che più tardi illustrerò, rivestano forse per
voi scarso interesse immediato, credo non sia del tutto inutile per voi
soffermarvi ad osservare questi nostri problemi - anche se
qualitativamente
e quantitativamente diversi dai vostri - perchè non si possa
decidere
insieme sul come le nostre comuni cognizioni vanno impiegate per
risolvere
situazioni del tutto diverse. Sono certo che anche l’Italia
comprenderà
in un prossimo futuro il rapporto fra alti salari e consumi, e
realizzerà
forse più presto dell’America la produttività
nell’industria
edilizia (con iniziative come il progettato “Centro Tecnico per
l’Edilizia”)
evitando il caos fisico da noi creato in America negli ultimi 25 anni,
quando coll’aumentare della nostra prosperità permettemmo alla
ricchezza
di espandersi incontrollatamente.
A questo punto vorrei citare un
importantissimo
giudizio di un eminente uomo; il Presidente del C.I.O. Walter Reuther,
che ha da poco iniziato una nuova rivoluzione in America - ma non una
rivoluzione
Marxista. Questa citazione è presa dalla sua introduzione alla
“Nuova
Tecnologia”, un libretto che discutere i problemi dell’automatismo:
“Bisogna andare incontro
all’automatismo
liberamente e costruttivamente in modo che il miracolo della produzione
in massa - e la sempre maggiore abbondanza economica resa possibile
dallo
automatismo - possa trovare espressione nella vita degli uomini
attraverso
una migliore sicurezza economica e una maggiore partecipazione alla
felicità
e dignità umana Noi intendiamo sfruttare intelligentemente,
razionalmente
e scientificamente questa nuova forza nella nostra vita, usando il suo
potenziale per produrre un’era nella quale il benessere la giustizia e
la pace saranno universale proprietà del genere umano.
Storicamente
i problemi del genere umano si sono sempre esternati attraverso
conflitti
fra individui, gruppi e nazioni, ciascuno dei quali impegnato nella
lotta
per la ripartizione delle scarse risorse disponibili. Abbiamo avuto un
mondo diviso fra “abbienti” e “non abbienti”, fra coloro che erano ben
nutriti e coloro che avevano fame. Ora la scienza e la tecnologia ci
hanno
finalmente dato i mezzi per l’abbondanza economica e non siamo
più
angustiati dalla necessità di combattere per dividere
l’indigenza.
L’abbondanza economica è
ora in
nostra mano se appena noi abbiamo il buon senso di adoperare le nostre
risorse, la nostra tecnologia, pienamente ed efficacemente in una
struttura
di politica economica moralmente giusta e socialmente responsabile. Gli
uomini e le nazioni hanno dimostrato di essere capaci di una totale
dedizione
in periodi di grandi conflitti internazionali. Sospinti da comune odio
e terrore in tempi di guerra gli uomini e le nazioni hanno fatto i loro
massimi sacrifici e realizzato la più piena misura del fine
comune.
Ora l’automatismo e la nuova tecnologia, insieme con la promessa di un
pacifico uso dell’energia atomica, ci offrono la possibilità di
dare una espressione positiva alle nostre comuni speranze, aspirazioni
e convinzioni. Questi nuovi mezzi di abbondanza danno a noi, popolo
libero,
la possibilità di dedicarci totalmente al compito comune di
costruire
un migliore domani in un mondo in cui uomini e nazioni possano vivere
in
pace liberi di spirito, liberi dalla tirannia e liberi dall’angoscia
della
fame... Noi del C.I.O. siamo fiduciosi che non dovremo combattere nuovi
macchinari e nuove invenzioni. Piuttosto li useremo per fondare salute,
felicità, sicurezza e svago, e pace e libertà al genere
umano
ovunque!”.
Queste le parole di un uomo che
è
uno degli iniziatori del nuovo complesso residenziale Gratiot, il vasto
progetto di rinnovamento del centro di Detroit. II significato di
queste
affermazioni sta tutto nel grande incremento della produttività
industriale e nei suoi riflessi sulla vita di 10 milioni di lavoratori,
i quali stanno oggi costringendo le 16 maggiori città americane
a prendere provvedimenti di portata storica per la sopravvivenza dei
centri
urbani come entità culturali, fisiche ed economiche. Ritengo che
siamo nell’era della rivalutazione della vita contemporanea in America,
caratterizzata dai due termini - decentramento e riaccentramento - dato
che non esiste un termine unico che li comprenda. È ciò
che
io ho chiamato prima un nuovo concetto di urbanesimo integrale, o
meglio
un movimento verso una nuova “urbanità”, che comprende anche una
nuova forma mentis...
Stiamo cambiando la direzione
delle nostre
più veloci autostrade. Esse erano state concepite per condurre
la
gente fuori della città. Oggi noi suggeriamo che esse abbiano
due
direzioni e possano ricondurre la gente dentro la città, ad un
centro
diverso, un nuovo centro di abitazione per la popolazione delle nostre
grandi città, dove tutti disteranno dal loro posto di lavoro
tanto
da poterci andare anche a piedi. Abbiamo portato le grandi industrie
fuori
delle città, e le grandi industrie hanno fatto sorgere in pochi
anni quartieri operai di 10-30 mila case. Le autostrade e il rapido
deteriorarsi
delle nostre grandi città forniranno nuove vaste aree di terreno
per la risistemazione di stabilimenti di montaggio automatico in zone
oggi
coperte da tuguri. Quattro giorni di lavoro per produrre il doppio di
automobili
a partire dal 1965, 3 giorni di svago con l’impiego dell’automobile,
gli
elettrodomestici in acciaio e altri aggeggi del genere cambieranno
completamente
i nostri modi di vita. Nuovi grandi agglomerati di abitazioni presso
gli
stabilimenti automatici di montaggio, e colonie per soggiorni di fine
settimana
in montagna, ai laghi o al mare, distanti 150-300 chilometri dalle
attuali
infelici e ingorgate zone delle grandi città, creeranno i nuovi
abitati. Alcuni dei miei colleghi possono non essere d’accordo con me
in
questa mia impostazione estremista dei problemi. Comunque il sig. Cole
- che qui rappresenta l’attività edilizia della Pubblica
Amministrazione
americana - converrà con me nel rilevare come nelle nuove
costruzioni
del 1955 il rapporto tra edifici periferici ed edifici centrali
è
stato di 8 a l.
Abbiamo solo pochissime
città con
grandi zone d’interesse storico, confrontabili con le vostre;
perciò
sarà difficile per voi capire i nostri problemi di sviluppo.
Paragonate
le vostre grandi città:
Milano – Firenze – Venezia - Roma
- Genova
- Napoli – Palermo
alle nostre
Boston - Filadelfìa -
Pittsburgh
- San Paolo - Chicago - Minneapolis - San Francisco - Los Angeles - St.
Louis - Baltimora - New Orleans - Houston
(Washington e New York hanno
problemi
differenti)
Oltre Boston, Baltimora,
Filadelfia, e
Nuova Orleans non abbiamo altre città di interesse storico.
Qualche
chiesa, qualche cimitero, e poche stradine con qualche centinaio di
vecchie
case... Nei nostri centri zone di nuova prosperità immobiliare
hanno
soppiantato e distrutto zone una volta prospere, portando altrove gli
inquilini
abbienti e abbandonando i loro vecchi quartieri alla classe economica
successiva
in ordine di censo... Solo di recente abbiamo compreso il valore della
continuità e della conservazione dei quartieri residenziali,
perché
essi restino decorosamente abitabili per un più lungo periodo di
tempo Ora vorrei indirizzarmi formalmente verso il problema che ho
convenuto
di chiamare “la nuova urbanità” verso il grande compito - che
dovrà
investire tutti i centri di tutte le nostre città - di creare di
punto in bianco un nuovo ambiente che esprima il potenziale effettivo
della
seconda metà del nostro secolo. Viviamo essenzialmente in
città
create dal 19 secolo e solo qualche operazione radicale ha cambiato
negli
ultimi 20 anni il cuore delle nostre città.
Consideriamo Filadelfia. È
cambiata
Chestnut Street? Sono cambiate Walnut e Broad Streets dal 1930? Un
quarto
di secolo senza il minimo mutamento. Ora tutto d’un tratto si comincia.
La necessità di cambiare si farà sempre più
imperativa.
È divenuto un problema di vita o di morte per la comunità
politica, ha scosso l’equazione finanziaria della vita associata.
Problemi
come l’automatismo stanno raggiungendo il cuore della nostra
società.
E il mondo degli affari è sensibile - molto più di quanto
non voglia apertamente ammettere - alle emergenti nuove realtà
finanziarie
della vita. Il capitale privato sempre più difficilmente si
indurrà
ad investire in negozi del centro, con la prospetti va di una settimana
lavorativa di 4 giorni quale avremo fra 6-8 anni se non vi saranno
guerre.
Sobborghi in sviluppo e decentramento delle funzioni commerciali
renderanno
la vita sempre più brutta e degraderanno politicamente la
popolazione
cittadina di minor reddito, ameno che uno sforzo, grande come mai fu
tentato,
sia fatto nella nostra economia moderna per mezzo di piani e
finanziamenti,
per conservare un cuore culturale, politico e commerciale alle nostre
grandi
città.
Nel frattempo, le superstiti
potenti forze
che ancora combattono la loro lotta nel centro cittadino - i
giganteschi
grandi magazzini, con la loro corolla di negozi specializzati che
attraggono
di riflesso la clientela dei loro più potenti concorrenti - si
preparano
a ritirarsi su posizioni di periferia, lasciando i terreni a
disposizione
di negozi che smerciano generi di cattiva qualità, e quindi di
modesti
commercianti che vanno ad aumentare la popolazione del centro. L’ovvio
rimedio a questa situazione si può solo avere attraverso
l’aumento
dei consumatori di qualità nella zona dei negozi del centro, e
questo
aumento deve essere raggiunto presto, al ritmo dell’attuale ritirarsi
del
consumatore dal centro della città.
In altre parole vivere in centro
deve
essere almeno altrettanto attraente quanto vivere in periferia. Noi
potremmo
realizzare al centro, su aree di mt. 17 x 33, e con un costo di 12.000
dollari, qualcosa di molto simile per comodità alla casa
dell’epoca
coloniale caratteristica delle aziende agricole dell’Ovest; per
l’acquisto
di questa casa si potrebbero predisporre forme rateali con pagamenti
iniziali
sempre più modesti e con garanzie finanziarie sempre più
limitate queste case, completamente arredate, dotate di frigorifero,
aria
condizionata, apparecchio TV, macchina da cucire e una “Ford” o una
“Chevrolet”
nel garage. Queste case sarebbero - specie per il costruttore - un
sogno
simile a un gigantesco gelato di crema guarnito di tutte le
raffinatezze
del caso. Ma sarebbero anche - in termini di stabilità della
popolazione
del centro - una minaccia costante, o - come si dice – “avere Annibale
alle porte”.
Vi illustrerò ora un
esempio del
concetto che ho prima esposto, descrivendovi l’organizzazione e le
caratteristiche
fisiche ed economiche di un significativo esempio di riedificazione del
centro cittadino. Vi illustrerò il progetto del quartiere di
Gratiot
come la derivazione della teoria urbanistica che mi ha sempre
interessato
da quando ho avuto cognizione della città radiale di Le
Corbusier
e della “città-campagna” di Wright. I due concetti sono gli
ascendenti
spirituali della mia teoria ed hanno influenzato il mio pensiero negli
ultimi 20 anni nella preparazione di piani per complessi residenziali e
nell’attuazione del mio primo esperimento di città nuova, la
città
di Willow Run (1939). Nel progetto di Gratiot sono in società
con
due brillanti architetti americani, Yamasaki e Victor Gruen. Yamasaki
è
l’ideatore di alcune delle strutture più razionali fra quante ne
siano mai state costruite; Victor Gruen, è il capo di una
efficientissima
organizzazione che progetta e realizza alcuni dei migliori super negozi
d’America, fra i quali Northland a Detroit è il migliore esempio
che si conosca. Gratiot è la prima cellula di una eventuale
totale
organizzazione dell’interno di Detroit, ma è anche, per quel che
mi riguarda personalmente, l’altro estremo di un sistema polare di
sintesi
agricola e urbana, che fa parte della mia tesa urbanistica, ma che non
posso illustrare qui per mancanza di tempo.
L’interesse istintivo per la
plasticità
nel progettare una città - e per plasticità intendo il
trattamento
tridimensionale del movimento della folla nello spazio di una strada o
di una piazza - è una nota caratteristica della tradizione
italiana;
è una concezione che noi oggi ammiriamo profondamente. Questo
talento
italiano risale ai tempi della repubblica romana. Questo è vero
urbanismo, e non impostazione statica o meccanica dei problemi della
progettazione
di una città con la sua tecnica delle previsioni, l’uso di carte
geografiche, studi dell’origine e destinazione del traffico, che sono
il
fondamento di una impostazione dogmatica, priva di fantasia,
cioè
di qualcosa che è l’opposto di un’impostazione
scientifico-intuitiva,
la sola capace di liberarci dalla schiavitù delle cifre e delle
percentuali. È importante - mi sembra - fare questa distinzione
fra urbanismo e progettazione di una città, se vogliamo studiare
nuove soluzioni che siano soluzioni plastiche - soluzioni
architettoniche:
del movimento degli uomini del
movimento
dei veicoli
del movimento delle merci.
Al momento in America fra i
progettisti
vi è un grosso, se pur forse inconsapevole, conflitto fra la
soluzione
edilizia del problema dell’urbanesimo e l’interesse statistico per gli
immensi problemi ai quali ci troviamo di fronte riguardo i fattori
dell’aumento
della popolazione e della deficienza di strade. Gratiot è
concepito
come una tesi plastica - una ipotesi operante verso una nuova forma di
abitato - aspira ad una bella soluzione architettonica. La
possibilità
esiste specie nel cuore di Detroit dove 300 acri diventeranno l’area
sperimentale
per il 20° secolo, un quartiere democraticamente integrato di 4500
famiglie.
I principali fattori sono:
l) La posizione, immediatamente
vicina
al centro della città.
2) La posizione, immediatamente
vicina
a una superautostrada.
3) L’organizzazione di un piano
direttivo
generale che si vale di uno o più realizzatori.
4) Parcheggio fuori strada per una
macchina
per casa o famiglia, e 75% di parcheggi fuori strada per visitatori;
accesso
alla porta di ogni casa in auto.
5) Integrazione di tutte le forme
residenziali
fisiche e sociali : case singole, città-casa, file di case, ad
uno,
due, e più piani per proprietari singoli, per cooperative o a
scopo
di fitto.
6) Controllo dell’esecuzione del
progetto
da parte di una Associazione senza lucro di cittadini eminenti,
riconosciuta
legalmente dal governo federale e da quello locale.
7) Controllo continuativo e
permanente
da parte di tale Associazione.
Citerò ora il rapporto
degli architetti-progettisti
Yamasaki, Stonorov e Gruen, redatto in occasione della presentazione
dei
piani per il quartiere Gratiot. I brani qui citati testualmente
aumenteranno
la conoscenza dei nostri colleghi italiani riguardo la procedura dei
piani
americani e metteranno pure in rilievo il tipico processo democratico
americano
per cui un certo numero di cittadini si costituisce in comitato, decide
di agire, riceve l’approvazione pubblica ed aiuta il compito del la
Pubblica
Amministrazione.
Introduzione
L’incarico conferitoci dal
Comitato cittadino
di riedificazione, cioè la preparazione di un progetto generale
per la zona di Gratiot costituisce una sfida che da molti Iati è
senza precedenti. Esso comporta l’invenzione di un nuovo tipo di
comunità
residenziale dentro la città, un concetto radicalmente
differente
sia dai cosiddetti progetti degli alloggi, sia dai progetti di sviluppo
della periferia. L’incarico tende alla creazione di una nuova forma di
vita, intonata all’era dell’automobile, come al bisogno di riposo e di
pace - un concetto che deve combinare in sé i vantaggi del
vivere
in un quartiere suburbano ed il desiderio di vivere vicino al centro di
una grande città. In qualità di pionieri abbiamo creduto
nostro compito non solo di sviluppare un piano di zona, ma, in uno
sforzo
parallelo, di impegnarci in ricerche, invenzioni, e disegni di nuovi
tipi
di unità abitabili che, per effetto della loro posizione,
sistemazione
ed arredamento offrano la possibilità di un interno originale e
di un piacevole esterno, di efficienza e facilità di menage che
sono oggi caratteristiche delle case di periferia. Perciò noi
abbiamo
disegnato e sviluppato nei dettagli dieci differenti tipi di
abitazione,
in parte in fabbricati alti e in parte in bassi, ed abbiamo considerato
questi tipi individuali come elementi base dell’intero progetto.
Una delle nostre prime
preoccupazioni
è stata quella di adattare il progetto di Gratiot-Orleans al
piano
di sviluppo della città, come concepito dalla Commissione
Progettuale
della città di Detroit. In questo lavoro abbiamo avuto a nostra
disposizione gli studi che la Commissione urbanistica aveva
precedentemente
intrapreso riguardo questa area in particolare. Eravamo pure guidati
dal
desiderio di utilizzare al possibile le strade esistenti e gli attuali
servizi pubblici. Per espresso desiderio del comitato cittadino questo
progetto è stato allargato fino a comprendere l’intera zona del
quartiere di Gratiot, come fu delimitata dalla suddetta Commissione
urbanistica...
Esso abbraccia quindi le esigenze di una intiera area comprendente
scuole,
parchi di ricreazione, mercato locale di generi alimentari, e tutti i
pubblici
servizi. Questa area è sufficiente per creare una vera
comunità
democratica pronta a servire tutte le razze e tutti i livelli economici.
Comunque, malgrado la
considerevole ampiezza
del quartiere di Gratiot, pensiamo che il suo sviluppo ha senso solo se
visto quale parte integrante di un programma integrale di rinnovamento
urbano di Detroit. Gratiot-Orleans è visto dal comitato
cittadino
come un progetto-pilota, da essere seguito da un certo numero di
quartieri
analoghi che cingano la zona degli affari del centro-città. Come
risulta da informazioni avute dalla Commissione urbanistica, la zona
Gratiot
rappresenta all’incirca un venticinquesimo del potenziale programma di
rinnovamento.
Obiettivi della
pianificazione.
L’obiettivo generale del progetto
è
di invertire le tendenze che minacciano la vita dei nostri grandi
centri
urbani e che sono state provocate dall’automobile privata quale mezzo
di
trasporto di massa. È del tutto ovvio ormai, che l’automobile ha
rivoluzionato il nostro sistema di vita. Comunque è un fatto che
essa ha provocato:
La contrazione della popolazione
nella
zona centrale, in contrasto alla forte crescita di popolazione nei
sobborghi
e dintorni della città.
L’incremento dei nuclei familiari
a basso
reddito nelle zone centrali, del tutto sproporzionato al resto della
popolazione
della città.
Il deterioramento fisico delle
zone residenziali
centrali, risultante dalla formazione di anelli di zone infime che ora
soffocano il cuore finanziario della città.
L’impoverimento
economico-culturale delle
zone centrali, risultante dall’emigrazione di affari, magazzini ed
uffici
nel suburbio e la paralisi della vita sociale e culturale nel centro.
Il deterioramento della zona
centrale
mette in pericolo le basi economico-culturali e civiche di Detroit.
Solo
misure straordinarie e concetti coraggiosi e vasti potranno riportare
con
successo il centro di Detroit ed il cuore della città allo
splendente
ruolo di vero centro di affari e di cultura, che le spetta quale punto
focale di una vasta zona metropolitana. Gratiot-Orleans è il
corollario
naturale del programma di sviluppo del centro civico e delle
autostrade,
intrapreso dalla città.
Considerazioni sulla
pianificazione.
Il centro di Detroit, per fiorire,
ha
bisogno non solo di una maggiore popolazione nell’area metropolitana,
ma
deve attirare in proporzione considerevolmente maggiore le classi medie
e superiori. Perciò il centro deve provvedere unità
residenziali
sufficientemente attraenti e dotate di bei dintorni in modo da
soddisfare
famiglie di gusti e standards elevati.
Detroit, in contrasto a molte
altre città,
ora non ha quasi una zona residenziale elegante in prossimità
del
centro. E si noti che questo fatto non deve essere interpretato come
una
mancanza di richiesta e di desiderio di vivere in centro. Ci sono in
grande
numero persone che vivono ora nella periferia non perché amano
viverci
ma solo perché non ci sono altri posti disponibili in centro;
scapoli
di ambo i sessi, coppie con figli adulti e famiglie con predominanti
interessi
culturali, sociali ed educativi.
Il modello di vita rapidamente
mutevole
della famiglia americana necessita di nuove abitazioni che consentano
di
avvalersi della sempre crescente meccanizzazione domestica, vera base
della
prosperità industriale. ..
Un problema sorge per effetto
dell’esistenza
di un piano per erigere 3.800 case nell’immediate vicinanze di Gratiot.
Noi siamo convinti che un così gran blocco di edifici
sovvenzionati
sia indesiderabile. Essi creano dei ghetti per i ceti non privilegiati.
Noi favoriamo il progetto di minori gruppi di unità di
abitazione
non più di 200-300 unità in un dato quartiere, per tenere
nelle giuste proporzioni la presenza economica delle famiglie a basso
reddito
nell’equilibrio della società. E pensiamo sia desiderabile che
questi
gruppi siano sparsi egualmente in tutta l’area metropolitana... La casa
statale non dovrebbe essere un marchio né per sé
né
per la società.
È ovvio che chiunque
progetti una
zona residenziale urbana deve affrontare realisticamente il problema
della
macchina privata. Abbiamo disegnato il quartiere di Gratiot tenendo
presente
che Detroit è la città più ricca di auto nel Paese
più ricco di auto del mondo. Abbiamo convenuto che i cittadini
di
Detroit vogliono le loro macchine subito vicino o dentro le loro case,
e che oltre al parcheggio al 100% per le auto degli appartamenti
bisogna
provvedere al 100% di parcheggi fuori strada per le auto dei visitatori
o per la seconda auto del proprietario di casa. Questa riflessione sta
alla base del piano per la zona di Gratiot.
Nella nostra complessa
civiltà
l’uomo ha bisogno di una quantità di cose per vivere. La zona di
Gratiot sarà adatta alla gente che ama il giardinaggio, ed a
quelli
ai quali non piace, a gente con figli di ogni età ed a gente
senza,
a chi ama la vista dall’alto e a chi preferisce stare al pianterreno.
Progettando
per queste diverse forme di abitazione, provvedendo una gran
varietà
di queste forme, raggruppando questi diversi tipi di case secondo
differenti
modelli, la zona di Gratiot eviterà l’aspetto impersonale della
tipica area suburbana nella quale ognuno riconosce la propria casa solo
quando guarda il numero. Molte delle odierne zone di affari e
residenziali
sono sminuzzate in piccoli blocchi che rendono l’automobile scomoda e
pericolosa.
Con il sistema dei tre super-isolati abbiamo creato zone riservate ai
pedoni,
zone dove i bambini possono andare alle scuole elementari senza
attraversare
una strada. Abbiamo creato per ogni abitazione comodità per
colazioni
all’aperto, per riposarsi e per giocare. Vi sono altre zone di svago
per
adulti e per ragazzi più grandi.
Conclusioni.
Sulla base delle nostre ricerche e
dei
nostri studi ci siamo rafforzati nella convinzione che la zona di
Gratiot
ha una posizione eccellente per attuarvi questo progetto sperimentale.
Le nostre ragioni sono le seguenti: la zona di Gratiot ha accesso
immediato
alla rete di autostrade; ciò rende possibile, per chi abita
nella
zona, di arrivare in tempo minimo ed in piacevoli condizioni in
campagna,
alla spiaggia o fuori città. La zona di Gratiot è
collegata
al nuovo centro civico e culturale il cui compimento è
imminente.
Gratiot è vicina ai posti di larga possibilità di
impiego.
La distanza dal lato ovest al centro degli affari di Woodward Avenue
è
di soli 1000 metri; perciò le migliori e maggiori attrattive dei
negozi di Detroit sono ad immediata portata di mano. La zona di
riedificazione
di Gratiot è tutta ripulita e pronta per una immediata
costruzione.
Le altre due aree componenti possono essere approntate per la
riedificazione
nel prossimo futuro.
Sarebbe un grave errore attendersi
che
la relazione di questo, primo progetto porti i desiderati effetti se il
suo ammaestramento non è applicato alle altre zone della
città
insufficientemente sviluppate.
Il progetto di Gratiot, quando
sarà
completato, fornirà all’incirca 4.400 unità abitabili con
4.400 famiglie di medio ceto. Per i prossimi 12 anni oltre 25 progetti
analoghi dovrebbero essere realizzati. Si provvederà così
a 100.000 famiglie che risiederanno intorno al cuore della
città:
gente che avrà a breve distanza il suo luogo di lavoro: gente
che
spenderà il suo danaro in massima parte in città. Questa
modifica strutturale della popolazione risistemata in nuclei stabili
provocherà
il potenziamento delle zone degli affari incoraggerà la
costruzione
di nuovi edifici e nuovi negozi; provvederà maggiore
incoraggiamento
per teatri, ristoranti, musei ed istituzioni educative. Lo sviluppo di
25 rioni riuscirà a rompere con successo il cerchio di tuguri
che
ora separa il centro di Detroit dalle sue zone residenziali suburbane,
ed incoraggerà così il suburbio ad avvalersi dei benefici
che solo il centro di una grande città può dare, e che
possono
attenersi senza eccessivo sacrificio.
Gratiot può assumere in
questo
momento critico l’importanza di un simbolo, una scintilla, un modello
di
lavoro. Una delle più importanti parti del rapporto è
quella
riguardante la tecnica dei contratti, le garanzie fisiche e l’ordinata
amministrazione della nuova entità: “il quartiere amministrato”.
L’Associazione, che sarà
anche
l’amministratrice, deve aderire ad alcuni criteri generali relativi
alla
protezione del piano principale per mezzo di determinati contratti e
direttive
che rappresentano i significativi singoli dettagli del piano, senza i
quali
la sicurezza economica finanziaria, morale e fisica, che è il
primo
obiettivo di un vasto programma residenziale, e l’integrità
architettonica,
espressione visiva del concetto di area integrata, non potranno essere
raggiunti. La riedificazione di Gratiot vera e propria sarà
sviluppata
sotto il completo controllo dell’ Associazione quale principale
operatrice,
con la collaborazione di altri suboperatori, come stabilito dalla
Commissione
edilizia, dal Governo Federale e dallo statuto della Associazione.
Gli scopi della Associazione sono:
l) La zona di Gratiot deve essere
sviluppata
sotto forma di un organismo vivente, democratico ed integrato, nel
quale
siano rappresentati diversi gruppi economici e razziali della
società
in modo organico e secondo i principi che rappresentano i naturali
interessi
di tutti i futuri cittadini del quartiere di Gratiot.
2) La zona di Gratiot deve
svilupparsi
quale area “più desiderabile” della città di Detroit, una
zona che, come il piano generale tende a dimostrare, riunisce i
vantaggi
della vicinanza al centro con le caratteristiche e le comodità
della
residenza in periferia. Entro i suoi confini tutte le forme di
proprietà
o gestione privata o cooperativa devono coesistere.
3)La zona di Gratiot con le sue
differenti
forme di abitazione - dalla casa ad abitazione singola alla casa ad
appartamenti
- deve fissare una nuova forma di vita di questa metà del secolo
- una dimostrazione delle ambizioni industriali ed umane della nazione:
un insieme di fabbricati completamente forniti, in intima relazione con
le risorse culturali, musei, teatri, istituzioni commerciali ed
educative
del centro della città, zone di lavoro e di attività
sociali,
immediatamente prossima alle più ampie zone suburbane e rurali
della
regione metropolitana attraverso il sistema di super-autostrade che la
zone di Gratiot costeggerà.
Misure per assicurare le
finalità
del progetto. Si suggerisce che la Associazione:
l) Adotti il piano generale di
tutta la
zona quale strumento principale in senso giuridico per
l’amministrazione
del proprio terreno e delle costruzioni, e per le trattative con
costruttori
esterni;
2) Adotti una serie di restrizioni
e vincoli
-in collaborazione con gli enti cittadini - e altre condizioni
dettagliate
che stabiliscano il tipo degli accessori, delle unità di alloggi
e dei metodi di costruzione, simili nello scopo alle regole e
regolamenti
che governano le operazioni della Amministrazione Federale degli
Alloggi,
o dei servizi ipotecari delle principali compagnie di assicurazione.
3) Adotti il principio che ogni
zona ricreativa
e paesaggistica comprese fontane, piccoli laghi, spiazzi per giocare,
piazze,
etc. sia disegnata, costruita e mantenuta dalla Associazione e che il
costo
di questi miglioramenti e relativa manutenzione siano proporzionalmente
ripartiti tra i diversi sub-imprenditori o eventualmente i proprietari
delle singole case, in quanto parte del costo originario del terreno e
quale tassa di partecipazione alla manutenzione della zona.
4) Adotti il principio di una
amministrazione
comune (che col tempo farà risparmiare denaro ai singoli
partecipanti
attraverso l’aumentato potere di acquisto della Associazione);
5) Intraprenda una adeguata
campagna pubblicitaria
per le locazioni e le vendite.
6) Adotti un programma di
pubbliche relazioni
e azioni dimostrative, ivi compresa la sistemazione degli uffici
dell’Associazione
in uno stabile-modello del quartiere di Gratiot.
7) Stabilisca un piano generale di
viabilità,
disegni di strade, del paesaggio, di spazi aperti, fatti dal
capo-costruttore
e costruiti dalla Associazione, piano al quale dovranno aderire tutti i
sub-costruttori, e che comprenderà la distribuzione dell’energia
elettrica per uso domestico e per l’illuminazione delle strade, con
linee
aree e sotterranee.
8)Acquisto all’ingrosso
dell’elettricità,
gas e vapore da parte dell’Associazione.
9) Stabilisca uno standard per
sistemare,
rimpiazzare e mantenere gli impianti in modo da tenere la zona di
Gratiot
nelle migliori condizioni fisiche, provvista sempre delle più
recenti
installazioni tecniche.
Conclusioni
Troppo spesso noi confondiamo un
“piano
edilizio” con una forma contemporanea di vita. Mettiamo sobborghi nel
cuore
della città. La città radiale di Le Corbusier vuole
idealizzare
Manhattan (Chandigar è un brutto suburbio americano). La
città.
campagna di Wright è la negazione delle distanze.
Gratiot aspira ad essere una
unità
residenziale nella sua interezza: l’abitazione per la settimana
lavorativa
di una città del 200 secolo. È al di là del
funzionalismo
e del mercantilismo. È una nuova forma di vita. Può
essere
bella.
Può essere la
riaffermazione della
città. È la nostra forma dello “Hotel de Ville”. Il 1860
ha dato inizio al suburbanesimo, un processo che ha creato le
città
che ora vediamo ovunque... è interessante notare che stiamo
ancora
vivendo in queste città del 19° secolo. Oggi siamo alle
soglie
della fondazione di una città secondo una nuova immagine. La
nuova
architettura esiste. Wright e Le Corbusier insieme hanno creato questa
nuova architettura in una profetica ricerca di nuove città.
Finora
mi pare che la bella arte di costruire ha predominato sulla
necessità
di una architettura per uomini.
Nel nostro Paese la nuova forma di
abitazione
già esiste in alcuni complessi industriali ed alcune
università,
dove esempi abbastanza vasti di architettura contemporanea sono stati
creati
in un loro insieme architettonico (il centro Generals Motors, la nuova
Accademia Aeronautica). Ormai la grossa borghesia e il governo hanno
riconosciuto
la potenza simbolica del linguaggio contemporaneo del costruire e gli
uomini
politici in America cominciano a vedere il significato economico di
nuove
frontiere.
“Grandi piani per grandi uomini
politici”,
come George Howe chiese profeticamente circa 15 anni fa, necessitano
oggi
per incanalare l’automatismo, la seconda rivoluzione industriale, a
servizio
dell’uomo e della giustizia sociale, per creare belle città,
eterno
simbolo delle aspirazioni spirituali dell’uomo.