Introduzione
La questione di
quanto debba
essere grande la “cellula elementare della città”, cosa debba
contenere,
come le sue parti debbano equilibrarsi e rapportarsi l’una con l’altra
e con l’intorno, è forse antica quanto l’urbanistica. Ma
è
nel ventesimo secolo che il problema assume le forme della riflessione
scientifica. Come ci ricorda Charles Benjamin Purdom nel suo The
Building
of Satellite Cities (1949) il tema moderno del quartiere appare
già
negli schemi della Città Giardino di Howard: è un settore
residenziale denominato “Ward”, dal nome di una tradizionale cellula
amministrativa
britannica, raccolto attorno a un edificio scolastico, con una
popolazione
di 5.000 abitanti.
La
sistematizzazione completa
del tema, però, avverrà trent’anni più tardi nel
corso
degli studi per il Regional Plan of New York and its Environs,
che
vedono come coordinatore generale proprio uno dei primi collaboratori
di
Howard e sperimentatore sul campo nella realizzazione di
comunità
modello, Thomas Adams. Il dibattito su questi problemi
proseguirà
e si amplierà di molto negli anni successivi alla seconda guerra
mondiale, dal Greater London Plan di Patrick Abercrombie e alle
New Towns, attraverso più o meno tutti i grandi quartieri di
iniziativa
pubblica europei, e i più piccoli ma altrettanto importanti
esperimenti
italiani dei villaggi familiari realizzati dal piano INA_Casa, e
successivamente
dilatati nei grandi quartieri periferici degli istituti case popolari
fino
agli anni Settanta.
Il punto di svolta
decisivo
della questione, però, mi sembra essere proprio l’originale
percorso
scelto da Clarence Perry, ricercatore della Russel Sage Foundation,
nello
studio redatto nell’ambito del piano regionale di New York, che mescola
l’osservazione empirica di alcune esperienze urbanistiche in corso, ad
alcuni auspici di carattere prevalentemente sociale ed educativo, per
giungere
a fissare, se non un vero e proprio standard (come invece si
cercherà
spesso più tardi di fare in Europa), una serie di indicazioni
utili
sia alla grande agenzia pubblica di housing, sia all’operatore
privato
“illuminato”, o semplicemente desideroso di un profitto basato sulla
qualità
invece che sulla sola capacità di marketing pubblicitario o
sulla
speculazione.
Tra i molti spunti
interessanti,
credo che la lettura dei brani di Perry proposti qui (forse per la
prima
volta in italiano) fornisca un’idea di come idee diverse possano
mescolarsi
e convergere, secondo un percorso via via induttivo e deduttivo, a
definire
un “contenitore”, la cui forma vuole essere molto più della
somma
algebrica del “contenuto”, ma allo stesso tempo non cristallizzarsi in
un modello tale da spaventare investitori, cittadini, potenziali
progettisti
e soprattutto residenti. E nonostante la dovizia di indici di
densità,
tabelle di confronto, dati statistici comparati, anche la prosa di
Clarence
Perry sembra voglia essere “a misura d’uomo”, come gli spazi
residenziali
che propone. Spazi che letti qui appaiono probabilmente piuttosto
lontani
dalle descrizioni tecniche che poi diverranno norma e oggetto di
discussione
nel secondo dopoguerra, con una centralità degli architetti e
della
loro cultura che, qui, nel testo che fissa la denominazione ufficiale
di “Neighborhood Unit”, non appare per niente scontata.
Anche se per una
comprensione
approfondita rinvio ovviamente al testo integrale (ristampato in
anastatica
da Routledge per la collana Early Urban Planning, curata da
Richard
LeGates e Frederic Stout, nel 1999), credo siano sufficienti a dare
un’idea
generale valida anche i brani iniziali dello studio che ho tradotto e
che
propongo qui. Si tratta dei paragrafi introduttivi metodologici, e
soprattutto
del capitolo sul dimensionamento e i confini, che dà il senso
del
rapporto fra quartiere e città, vicinato e comunità
più
vasta, spazi e società che li abita.
Dato che il testo
è
piuttosto lungo per una lettura continua a schermo, il lettore
troverà
sempre a disposizione sulla sinistra un indice integrale. Sono state
inserite
soltanto cinque, indispensabili immagini (che per quanto ridimensionate
possono richiedere qualche tempo a caricarsi): le planimetrie dei
quattro
esempi di vicinato che Perry descrive dettagliatamente come “tipi”
possibili,
e un diagramma del rapporto fra forma, dimensione, sfera di servizio.