Introduzione
Benton
MacKaye è, dai primi anni Venti, uno degli esponenti
di maggior rilevanza della Regional Planning Association of America,
insieme a
Lewis Mumford e Clarence Stein. Là dove Mumford rappresenta
soprattutto
l’aspetto divulgativo, di propaganda, interculturale e
interdisciplinare, e
Stein la ricerca tecnico-formale del progettista di architetture e
piani
urbanistici, Mackaye rafforza per molti versi il legame con alcune
radici
primordiali della cultura americana, quali il rapporti con la natura, i
grandi
spazi, l’ambiente primordiale. Laureato ad Harvard in scienze forestali
e
funzionario del servizio parchi, propone nel 1921 il progetto dello Appalachian
Trail, un lunghissimo percorso lungo l’omonima catena montuosa,
dalla
Georgia al Maine, allo stesso tempo a servizio di polmone verde per le
grandi
metropoli lungo l’asse, e progetto di sviluppo ambientalmente
compatibile per
le popolazioni locali, nel segno di un nuovo modello di turismo non
invasivo.
La sua cultura ambientalista ispirerà molte delle posizioni del
gruppo RPAA e
della cultura della pianificazione in generale.
Il breve testo riportato di seguito, è interessante anche
perché, alla vigilia della grande trasformazione territoriale
americana nel
segno dell’automobile (siamo nel 1930, e il processo di crescita e
motorizzazione di massa ha subito un arresto a causa della recessione),
pone in
modo chiaro e puntuale una questione ancora oggi all’ordine del giorno.
Basta
ad esempio paragonarne i temi a quelli che quasi contemporaneamente
sviluppa
l’europeo Patrick Abercrombie nel suo Town and Country Planning,
dove la
difesa del patrimonio rurale e naturale, radice di identità
nazionale, avviene
a causa di una generica (per quanto ben documentata) espansione urbana
e
suburbanizzazione. Mackaye individua invece un problema centrale:
l’apparentemente piccolo nastro della strada, che come già
accaduto con la
ferrovia, i nativi, le mandrie di bisonti, passa travolgendo paesaggio
naturale, comunità, qualità di vita e identità
comunitaria. La sua è, in
qualche modo, profezia della grande migrazione che disordinatamente
(salvo le
politiche del New Deal che tanti suoi temi riecheggiano) avverrà
massicciamente
negli anni successivi, fotografata dalla letteratura in The Grapes of Wrath
(Furore) di John Steinbeck, del 1939. I rimedi proposti, probabilmente
un esercizio intellettuale
all’epoca, sono oggi - con l’eccezione più importante
dell’approccio
pianificato – prassi corrente, che qualunque automobilista usa
quotidianamente.
Fabrizio Bottini
***
La
progettazione di automobili ha impiegato anni a superare
l’idea fuorviante che l’auto a motore fosse semplicemente un calesse
senza
cavallo. Le nostre strade per automobili sono ancora al livello della
progettazione automobilistica di trent’anni fa. Anche le strade
più moderne,
moderne nel senso di avere un fondo solido e superfici in cemento e
sponde
nelle curve più strette, sono concepite come semplici estensioni
e allargamenti
delle vecchie strade progettate per i veicoli a trazione animale.
Ora, la strada per veicoli a motore
è un nuovo tipo di
strada, e richiede, coerentemente, un nuovo tipo di progettazione. Lo
sviluppo
logico della strada moderna per veicoli a motore, dal punto di vista
del
trasporto persone e cose e da quello di guida delle nuove migrazioni di
popolazione, va verso la strada senza città. In contrasto con la
Utopia di
Roadtown, che Edgar Chambless pubblicò qualche decennio fa,
il moderno
pianificatore regionale giunge esattamente alla conclusione opposta:
vale a
dire, un’autostrada completamente libera da cavalli, carri, pedoni,
città,
attraversamenti a livello; una strada costruita per l’automobilista e
libera da
qualunque intrusione, eccetto le stazioni di rifornimento e i luoghi di
ristoro
per sua comodità. Il traffico motorizzato e la “vita” pedonale
non possono
convivere. Isolare ciascuna delle due attività è
condizione primaria per la
velocità e comodità da un lato, e per la sicurezza e
tranquillità di spirito,
per non dire della libertà da rumore e biossido di carbonio,
dall’altro.
Capiamo quanto necessaria e
inevitabile sia l’autostrada
senza città, se ripercorriamo le caratteristiche principali
delle nostre
precedenti epoche in fatto di trasporti.
La prima migrazione del popolo
Americano fu caratterizzata
da carro coperto; la successiva dal cavallo d’acciaio, che stese la
rete
ferroviaria del paese e conferì importanza e prestigio alle
città di incrocio e
testa. L’attuale migrazione di popolazione è basata
sull’automobile; e mentre
una futura potrebbe risultare dall’aeroplano, non c’è
ragione per
pensare che il trasporto di superficie scomparirà nel futuro prossimo,
nonostante le due modalità possano divenire più
strettamente coordinate. Di
conseguenza, è con la migrazione attuale che dobbiamo
confrontarci
intelligentemente. La migrazione di oggi consiste in uno spostamento,
più o
meno automatico e non pianificato, dalle principali città verso
l’esterno,
lungo le strade principali. Conseguentemente la moderna strada per
veicoli a
motore ha due distinte funzioni: una è il trasporto, ovvero
l’immediato flusso
di persone e cose, e l’altra è la migrazione, ovvero il
ricollocarsi di
popolazione sulla mappa degli Stati Uniti. Sia la pista del tiro a
buoi, che la
ferrovia, avevano questo duplice ruolo. Il primo tipo di trasporto
spinse alla
moltiplicazione di villaggi e cittadine di campagna, legate al
circondario
agricolo; la ferrovia, su più ampie porzioni di territorio,
localizzò
nettamente la maggior parte delle città industriali; e oggi,
l’autostrada sta
creando, in modo cieco, ancora un altro schema.
Guidata dal tiro a buoi o dalla
ferrovia, la migrazione
Americana verso l’Ovest era una forma di civilizzazione rude e
pioniera;
mancava in gran parte delle comodità fisiche e raffinatezze
dell’esistenza
moderna: la stanza da bagno, la luce elettrica, il telefono, l’auto
privata. Ma
con tutte queste ristrettezze possedeva, attraverso il puro caso della
natura e
distribuzione geografica, le basi fisiche per una cultura genuina che
poteva
paragonarsi a qualunque delle sue origini Europee: aveva un intatto
retroterra
naturale e una scelta di ambienti in cui vivere. Prima del 1900, un
Americano
poteva vivere in città, in campagna, o nei boschi. Aveva una
scelta di
contatti: il grande mondo delle appartenenze e interessi metropolitani,
o il
grande spirito della natura selvaggia mai toccata dall’uomo, o ancora i
contatti di amici e vicini nella piccola comunità. In breve
l’Americano del
diciannovesimo secolo, sebbene ideologicamente un totale
individualista, aveva
come elemento di esperienza quotidiana l’ambiente della
comunità; aveva anche
l’ambiente dei grandi spazi: la foresta o le montagne, i campi sul
ciglio della
strada, o un facile accesso al mare aperto. Tutti questi tipi di
ambienti
primari sono ora in pericolo di estinzione: la cittadina e i campi
aperti sono
entrambi sul punto di essere sopraffatti e cancellati
dall’incontrollata
migrazione odierna guidata dall’automobile.
L’auto è una creatura
ingannevole. A causa delle sue
origini, pensiamo ad essa come a un veicolo familiare e di buona
compagnia,
come il vecchio calesse, quando di fatto si tratta di una specie a
parte, come
la locomotiva. Con simili spostamenti d’abitudini, abbiamo fino a tempi
recenti
visto la strada per automobili come accettabile fronte per il terreno
della
nostra casa, invece di guardarla realisticamente come un percorso
specializzato, da evitarsi tanto quanto una ferrovia. Una volta
eliminati
questi pregiudizi, vediamo che la strada per veicoli a motore è
un nuovo tipo
di ferrovia, nonostante abbia molte caratteristiche che la rendono
piuttosto
diversa da quel tipo di trasporto. Per dirne una, questa nuova
“locomotiva” si
inserisce nella linea in qualunque punto; per dirne un’altra corre in
entrambe
le direzioni su una sola linea, e la sicurezza si basa sulla tecnica di
procedere imperturbabilmente dritti o diventare abili schivatori. Dato
che la
locomotiva a benzina può inserirsi in qualunque punto della
linea, ne segue che
file continue di edifici possono fiancheggiare la strada su ciascun
lato; sorge
così quel casuale insediamento stradale noto come motor slum.
Come
risultato di questo puramente automatico e non-intelligente adattamento
al
nuovo mezzo di trasporto, abbiamo oggi un modo di muoverci non sicuro e
un
canale di migrazione incivile. Il motor slum in aperta campagna
è oggi
un elemento di degrado importante quanto i peggiori vecchi slums
industriali urbani; e il movimento su strada che conduce nel cuore
delle nostre
città e villaggi, facendo di ogni incrocio un passaggio a
livello, non è sicuro
né per i pedoni né per gli automobilisti.
La cura per questo doppio errore e
questo crescente male, è
di prendere più seriamente i nostri nuovi mezzi di trasporto, e
creare per essi
forme comuni che corrispondano alle nuove funzioni. Dobbiamo provvedere
accessi
e attraversamenti adeguatamente controllati, adeguatamente
intervallati, alle
principali strade; dobbiamo provvedere luoghi di sosta o stazioni, da
ciascuno
dei quali una strada secondaria conduca alla città adiacente,
con i suoi
quartieri d’affari e le separate zone residenziali; dobbiamo prendere
possesso
delle fasce laterali, mantenendole libere dall’edilizia commerciale e
conservando a beneficio dell’automobilista la piacevole vista dei vari
aspetti
della campagna, non rovinata dal chiassoso affollarsi dei cartelloni
pubblicitari. Può sembrare una programma vasto, ma veramente
è solo il minimo
richiesto; e quando si considera la perdita di vite e di valori di
proprietà, e
di salute, e di piacere, generata dal nostro attuale modo di
costruzione delle
strade per automobili, il prezzo da pagare appare piccolo.
Un audace primo passo è
già stato compiuto, in direzione di
adattare l’automobile alla vita della città; è accaduto
nel piccolo centro di
Radburn, New Jersey, in corso di costruzione da parte della City
Housing
Corporation di New York. È il primo tentativo di pensare anche
alle
implicazioni del trasporto moderno, e la dimostrazione fatta in questo
caso non
è solo di primaria importanza per i pianificatori urbani:
è a ben vedere un
buon schema per lo sviluppo moderno di strade oltre i limiti della
città.
Radburn consiste, per quanto riguarda il suo sistema stradale, di uno
scheletro
di vie e viali principali connessi con le strade residenziali, che sono
una
serie di cul-de-sac correlati, confinanti con spazi a parco.
L’abitazione non viene mai a diretto contatto con la strada principale:
gli
alloggi fronteggiano una corsia in cui l’auto può entrare o
uscire, ma non
passare attraverso. I pedoni hanno i propri percorsi, che sono diversi
da
quelli delle automobili; i percorsi pedonali attraversano quelli
automobilistici tramite un sottopassaggio: in breve, il passaggio a
livello è
stato abolito. Questo significa che il traffico di attraversamento
può
procedere lungo i viali principali senza ostacoli; significa, anche,
che
l’automobile che entra nel cul-de-sac residenziale non è
sospinta dal
traffico che la segue. A Radburn, in altre parole, la città
è collocata
“lontano dalla ferrovia” e la “ferrovia” non è ostacolata dalla
città: ciascuna
si libera dell’altra e guadagna dall’isolamento.
Questo felice divorzio è stato
raggiunto qualche volta per
accidente naturale, quando grazie alla topografia una strada principale
corre
attraverso la valle e lascia un vecchio villaggio in cima alla collina.
L’autostrada senza città vuole replicare questa pratica,
attraverso il progetto
anziché il caso. La strada senza città è
un’autostrada, dove la città sarà
nella stessa relazione, rispetto alla via, dei cul-de-sac di
Radburn con
i viali principali. Quello che Radburn è per la comunità
locale, l’autostrada
senza città sarà per tutto il paese. Questa è
autentica pianificazione
autostradale, opposta all’antiquata progettazione tradizionale in cui
ora
buttiamo milioni di dollari di denaro pubblico. Invece di un continuo roadtown
slum a raggrumarsi tra le nostre grandi città, la nuova
autostrada
incoraggerà la crescita di vere comunità in determinati
punti favorevoli, distinti
dal percorso principale. La città-cul-de-sac è il
necessario corollario
di arterie di trasporto sicure e veloci. La pianificazione regionale,
con
questi fini in mente, preserverà sia le comunità locali
che l’ambiente dei
territori attraversati dalle strade, dando comodo accesso agli ambienti
naturali, anziché spazzar via tutte queste cose insieme.
È possibile ora elencare gli
scopi e metodi dell’autostrada
senza città. Ci sono quattro specifici obiettivi:
- abolizione del motor
slum o roadtown, e sviluppo dell’ambiente rurale sulle
fasce laterali. Per ottenerla, si suggeriscono alcune misure, ovvero
abolizione degli accessi alla strada principale eccetto in alcuni
punti; proprietà pubblica, o effettivo controllo pubblico
attraverso un azzonamento rigoroso, dei terreni lungo le fasce
laterali, da acquisirsi prima della costruzione della strada, o da
espropriarsi; adeguata progettazione a parco dei terreni prospicienti,
inclusa piantumazione di alberi da ombra e regolamentazione di linee
telefoniche ed elettriche; infine, stretto controllo sulla
realizzazione delle stazioni di servizio stradali, inclusa
localizzazione, architetture, gestione delle pompe di benzina,
ristoranti e altri servizi connessi alla strada;
- stimolare la crescita di
cittadine e comunità distinte, pianificatamente compatte e a
dimensione contenuta, come il vecchio villaggio New England o la
moderna Radburn. Questo implica evitare che la strada attraversi la
piccola città o villaggio, che sarà raggiungibile
attraverso una o più vie secondarie. Implica, anche, la
realizzazione di corsie laterali di uscita che conducono a possibili
siti di villaggi o cittadine, ognuno dei quali sarà pianificato
secondo i principi della corrente urbanistica moderna, di bellezza,
economicità, e conservazione di un distinto carattere;
- liberare sia la strada di
attraversamento che la città attraversata dall’inutile
congestione e da altre fonti di contrasto. Per conseguire questo scopo,
l’autostrada deve evitare le grandi città e cittadine, per mezzo
di una circonvallazione attorno ad esse;
- conferire sicurezza sia
agli automobilisti che alla popolazione residente. Questo comporta
quattro misure: abolizione degli attraversamenti a livello sia per la
ferrovia che per le strade; uso di controlli di sicurezza su tutti gli
accessi alla strada; limitazione d’uso della strada ad un singolo
scopo: il trasporto passeggeri, e realizzazione di apposite
autostrade-espresso per il traffico merci; infine, la realizzazione di
un “doppio binario” nel senso di due separate e parallele corsie a
senso di marcia unico, con il terreno laterale e di separazione fra le
due di proprietà o controllo pubblico, come già suggerito.
Una politica autostradale nazionale
basata su queste
caratteristiche avrebbe già a sua disposizione un potere, ovvero
il fondo che
il Tesoro degli Stati Uniti ora mette annualmente a disposizione delle
strade
statali a finanziamento federale. Questi finanziamenti potrebbero
essere
condizionati al rispetto di certe condizioni (fisicamente, di alcune
caratteristiche). Questa politica potrebbe applicarsi a nuovi tratti di
strada
da costruirsi e in parte a tratti esistenti da rimodernare. La
questione
potrebbe essere affidata alle competenze di qualche autorità
tecnica, come la
recente Federal Traffic Commission, o qualche altro organismo di vaste
competenze
da crearsi appositamente. Questo richiederebbe, naturalmente, una
iniziativa
del Congresso.
Qualunque politica autostradale
dovrebbe essere parte di una
più ampia azione nazionale sui trasporti e sulle migrazioni, il
cui scopo
ultimo comprende la rilocalizzazione e redistribuzione del popolo
Americano.
Questa ampia politica comprenderebbe i trasporti “di”, “via”, e “per”:
trasporti di passeggeri, merci e materie prime,
elettricità,
informazioni; trasporti via terra, via acqua, via aria;
trasporti per
scopi industriali, per scopi di tempo libero, per la vita in generale.
Comprenderebbe le linee di trasmissione, il telefono e la radio
così come le
navi e gli aerei, i treni merci e gli autocarri. Richiederebbe una
pianificazione regionale e inter-regionale di vasto raggio, come quella
proposta recentemente da Thomas MacDonald, direttore dello United
States Bureau
of Public Roads, e da altri lungimiranti funzionari pubblici. Qualche
organismo
centrale, in stretto contatto col Presidente e il Congresso da un lato,
e con i
governi statali dall’altro, dovrebbe avere questo compito. E una
porzione
critica di questo super-piano, nella fase attuale della nostra storia e
riorganizzazione, sembra essere un sistema nazionale di autostrade per
passeggeri con sostegno federale, che guidino la nostra gente, secondo
una
definita politica, a formare appropriate comunità e
insediamenti, per
promuovere la crescita culturale, e non solo l’espansione industriale
della
civiltà Americana.