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Incubi e sogni tra gli androidi di Philip K.Dick

(articolo di Antonio Monda uscito su Panorama del 27/07/2000)

New YorK

Philip Kindred Dick non riuscì a vedere Blade Runner, il film di Ridley Scott tratto dal suo romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche?. L'alcol, le anfetamine ed una forma acuta di agorafobia lo trascinarono per lungo tempo in uno stato di disperata eccitazione e quindi alla morte in solitudine a soli 53 anni. Mancavano soltanto pochi mesi all'uscita di quello straordinario film di fantascienza che ne avrebbe consacrato la statura di autore di culto, e in quegli ultimi giorni Dick non avrebbe immaginato neanche nei suoi rari momenti di ottimismo che l'improvviso interesse di Hollywood per una sua storia dimenticata avrebbe scatenato la ricerca di romanzi che avevano ricevuto perennemente l'insulto del rifiuto. Lo scrittore californiano non riuscì a vedere una superstar come Harrison Ford interpretare il suo cacciatore di replicanti Rick Reckard; non vide il monosillabico Arnold Schwarzenegger diventare il protagonista di Total Recall per Paul Verhoeven, e non vedrà Tom Cruise difendere la propria libertà di sbagliare in Minority Report per la regia di Steven Spielberg (di cui ancora non si sa la data di uscita). Mentre è entrato in lavorazione anche un adattamento dell'Impostore, diretto da Gary Fleder e interpretato da Gary Sinise e Madeleine Stowe, le opere di Dick riempiono nuovamente gli scaffali delle librerie di tutto il mondo, conquistando una collocazione che trascende il genere e consacra lo scrittore come un classico della letteratura americana del dopoguerra.Assolutamente encomiabile in tal senso l'iniziativa delle Edizioni Fanucci, che ha acquistato in esclusiva l'opera omnia dello scrittore, ed ha cominciato a pubblicare con Ma gli androidi sognano le pecore elettriche? (pagg. 288, lire 25.000) l'intera "Collezione Dick", curata rigorosamente dal massimo esperto italiano Carlo Pagetti.Questo clamoroso caso di rivalutazione letteraria deve certamente molto ai risultati ottenuti recentemente nel cinema, ma non si può sottovalutare l'appassionata adesione culturale al mondo visionario e profetico dello scrittore da parte di intellettuali diversissimi come Jean Baudrillard, Fernanda Pivano, Art Spiegelman, Ursula Le Guin, Goffredo Fofi e Fredric Jameson. Ogni giorno della sua vita e della sua carriera, Dick chiese a se stesso e ai suoi lettori cosa sia autenticamente umano e cosa possiamo riconoscere invece come reale. Nell'Impostore, un ingegnere di nome Spence Olham riesce a mettere a punto l'arma definitiva per combattere gli alieni, ma da quel momento in poi è sospettato di essere a sua volta un alieno. Il tema, che ricorda immediatamente alcuni personaggi resi noti da Blade Runner, ossessionò lo scrittore fino alla paranoia, ma nei momenti di maggiore lucidità lo portò a riflessioni di tipo etico e giuridico. Ciò che ha convinto Steven Spielberg ad adattare per lo schermo Minority Report è l'evidente potenzialità di apologo morale su un tema fondamentale come il libero arbitrio: la prevenzione di un reato non può limitare la libertà di un uomo, anche se quest'ultimo è un potenziale criminale. L'approccio artistico di Dick nei confronti di temi così sofferti fu spesso deformato dall'uso della droga e da una grave instabilità mentale che lo portò a due tentativi di suicidio e a perdere i pochi amici e le quattro compagne che lo accompagnarono lungo tutta la sua esistenza infelice. Nei momenti più drammatici si convinse di essere perseguitato dalla Cia e dalla terza moglie Anne, a suo avviso desiderosa di ucciderlo, ma proprio allora riuscì a scrivere Ubik, The simulacra, The Three Stigmata of Palmer Eldritch e soprattutto The Man in the High Castle, l'unico romanzo che gli diede qualche soddisfazione in vita. Anche nelle sue opere migliori, la sua scrittura è incostante, nevrotica e spesso imprecisa, ma le sue intuizioni sono sempre folgoranti: le pecore elettriche del suo romanzo più celebre anticipano di tre decenni la reale clonazione di Dolly, e la metafora dei replicanti senza passato e senza futuro, costretti a vivere al servizio dei più potenti, trova riflessi dolenti nella frustrata quotidianità di molti dannati della terra. Il dolore è sempre presente nel mondo di Philip Dick, e la speranza è affidata alla ribellione nei confronti delle regole: si tratta tuttavia di un anelito che si colora di venature mistiche prima che politiche. Anche negli anni più caldi della contestazione, durante i quali ha scritto buona parte delle sue opere migliori, il suo nichilismo notturno e disperato non gli consentiva di attribuire alcuna speranza agli ideali allora in voga. Per i suoi personaggi, costantemente chiusi nella loro interiorità, ed assolutamente refrattari nei confronti di ogni seduzione comunitaria, la rivoluzione è da conquistare innanzitutto nella propria interiorità. E' difficile trovare qualcosa di sistematico nelle sue riflessioni, e spesso le conclusioni cercano l'effetto e la semplificazione a scapito delle straordinarie intuizioni di partenza. Nei suoi romanzi più riusciti e visionari, Dick si rivela un nobile e inconsapevole precursore del new age, tuttavia il suo approdo mistico sembra una scelta obbligata e dolorosa, che si colloca per molti versi agli antipodi dalla superficiale ricerca della serenità di questa nuova moda che lo scrittore avrebbe probabilmente combattuto con il consueto, cupo sarcasmo.