Povera
vecchia fantascienza, diventata schiava dei media.
(articolo
di Dario Olivero uscito su Panorama del 25/09/2002)
ACCATASTATE sulle bancarelle o negli
scaffali delle librerie a metà prezzo. Con le copertine di Karel Thole che
basta guardarle per ripiombare in un periodo onirico che va dagli anni Cinquanta
ai Settanta. Ingialliti, impolverati e con i dorsi piegati e le orecchie negli
angoli. Sono i libri Urania, la collana di fantascienza che da cinquant'anni
esatti (li compirà ufficialmente il 10 ottobre) esce regolarmente in edicola.
Ha fatto conoscere agli italiani autori come Arthur C. Clarke, J. G. Ballard e
Isaac Asimov. Ha avuto tra i suoi curatori nomi come Fruttero e Lucentini, ha
istituito premi nazionali che ancora oggi sono un trampolino di lancio per
giovani scrittori italiani. Urania è la fantascienza in Italia. E la domanda in
questi giorni - con l'arrivo nelle sale di film basati sull'opera di Philip K.
Dick (Minority Report di Steven Spielberg con Tom Cruise viene presentato oggi
alla stampa) - è: in Italia quanto è diffuso l'interesse per la fantascienza?
Difficile tradurre in cifre e in lettori la portata della produzione
dell'editoria fantascientifica. "Urania - dice il suo curatore Giuseppe
Lippi - oggi vende intorno alle 10 mila copie al mese". Tanto, se si
considera la soglia minima odierna per stabilire il successo di un libro di
narrativa medio (intorno alle 10 mila appunto). Poco se si considera che nel
periodo d'oro il periodico della Mondadori viaggiava a ritmi di 50, 60 mila
copie. Ma Lippi è uno dei più ottimisti sulla situazione: "C'è stato un
periodo di crisi nella seconda metà degli anni Novanta, ma ora le cose sembrano
essere cambiate anche sulla spinta di case editrici che hanno legato di più il
loro catalogo al mondo dei media e del cinema".
Un'altra proiezione di dati la offre Gianfranco Viviani di Editrice Nord, una
delle poche case editrice specializzate solo in fantascienza e fantasy,
confluita da poco nel gruppo Longanesi. "Noi - dice - abbiamo 20 mila
iscritti alla nostra rivista. Sono appassionati, sono clienti veri che noi
monitoriamo. E' tutta gente che acquista i nostri libri".
E il dato viene confermato da Silvio Sosio, responsabile del "Corriere
della fantascienza", una delle riviste online più autorevoli del settore
che fa parte del portale fantascienza.com. "Abbiamo - spiega - dai 10 ai 15
mila lettori. Volendo fare una proiezione sulla popolazione complessiva,
azzarderei che gli appassionati sono cinque o sei volte tanto". Dice Sergio
Fanucci dell'omonima casa editrice: "Il settore è in crisi, lo zoccolo
duro si è ridotto a un migliaio di persone, ma quando un romanzo è bello si
arriva a picchi di 20 mila copie vendute". Quindi, senza forzare le cifre,
si potrebbe calcolare che in Italia gli appassionati di fantascienza oscillano
dai 40 mila (cifra molto ottimistica) ai 10 mila (cifra attendibile per
difetto).
In editoria si parla, di fronte a numeri del genere, di "nicchia". Ma
è poi così vero? Sì se si guarda all'interesse per le ristampe dei classici o
per quelli che secondo Viviani "cercano soprattutto una letteratura di
evasione". Ma la produzione fantascientifica ha subito un'evoluzione
marcata da quella classica (si parte dalla scienza e si esplora il mondo futuro
portando le teorie agli estremi) a quella sociologica alle sperimentazioni di
Dick e Ballard (l'epoca in cui realtà e illusione non sono più scindibili)
alla riscoperta di questi anni legata ai media e al cinema. Se si tiene conto di
quest'ultima evoluzione, non è poi tanto vero che gli appassionati di
fantascienza siano soltanto una nicchia.
Perché il romanzo vende quando riesce a utilizzare un linguaggio adatto agli
scenari di oggi. E' il caso della Dick renaissance cinematografica che, dai
vecchi Blade Runner e Atto di forza ai moderni Impostor e Minority Report, è
una stella fissa per Hollywood e fa da traino anche all'editoria. "Il fatto
è che la nostra epoca - come dice Sosio - sembra un romanzo di Dick". Dick
vende, ma non è l'unico caso tra gli scrittori di fantascienza di successo. Ci
sono fenomeni (anche italiani, come Valerio Evangelisti) che arrivano a vendere
30, 40 mila copie.
Ecco perché non si può parlare solo di nicchia. L'unico problema è capire se
si può ancora parlare di fantascienza. Fanucci, per esempio, preferisce parlare
di "immaginario", una nuova categoria che racchiude più generi, più
stili e che racchiude in sé anche ciò che resta della fantascienza classica.
Quel che è certo è che accanto alla convinzione degli esperti c'è una
curiosità diffusa che va al di là della classificazione del genere
fantascienza, ci sono addetti ai lavori, che quasi sempre vengono individuati in
quelli che curano i palinsesti televisivi e dei grandi gruppi editoriali, che
non se la sentono di scommettere su questo genre. In America ci sono canali
tematici dedicati solo alla fantascienza, in Gran Bretagna su tutti i canali tv
c'è un fiorire di telefilm di genere che accompagnano una produzione editoriale
di primo livello.
"La domanda va creata", dice Lippi. Ma allora perché non la si crea?
Fanucci: "Non c'è la volontà perché non c'è la cultura dei grandi
gruppi editoriali nel leggere la fantascienza come una chiave per capire la
realtà". "C'è una fantascienza che è intrattenimento e c'è una
fantascienza che esplora il futuro e aiuta la conoscenza, serve a capire. Il
lettore in questo caso ha la curiosità di anticipare e capire i rivolgimenti
della storia", aggiunge ancora Lippi.
E se fosse un problema di scomodità della fantascienza? Se fosse un genere a
suo modo eversivo e per questo emarginato? La fantascienza, o almeno quella che,
nelle sue molteplici evoluzioni cerchiamo di chiamare ancora così, dice ancora
Fanucci, "è scomoda perché inserisce nel cervello il seme del dubbio e
chi dubita si ribella al conformismo".